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Famiglia 3.0: Il silenzio del dialogo
Famiglia 3.0
IL SILENZIO DEL DIALOGO
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di Patrizia Rapposelli
Altro che uomo come “animale sociale” nel modo in cui scrisse Aristotele! È vero che per natura tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società, ma l’uomo post-moderno ha dimenticato una parte fondamentale dell’essere sociale: il comunicare. Glaciale silenzio tra persone che si imbattono fisicamente le une con le altre, accigliate, immerse nei pensieri, al cellulare o impegnate in qualche social, manca una comunicazione profonda. Assenza di parole che ben più grave appare quando pensiamo alla famiglia. Infatti, nella “famiglia 3.0” non si parla. Manca una partecipazione vera tra genitori e figli: assenza di dialogo, senza contare il conversare di base o bofonchiato. È un argomento scottante e sentito oggi; tanti episodi di cronaca e problemi sociali che riguardano i giovani mandano il messaggio chiaro che, se fossero stati ascoltati e valutati prima, molto si sarebbe evitato. Le famiglie che navigano ogni giorno nell’abisso del silenzio, nell’incapacità di parlarsi e ritrovarsi sono numerose, troppe. In questo secondo decennio del terzo millennio trovare il giusto canale con i figli è difficile, complice un mondo complesso. I ritmi di lavoro, la competitività, la labilità dei legami, un egoismo spacciato per individualismo, forse all’apparenza più accettabile, un narcisismo che fatica la trasmissione dei valori ai futuri adulti e un’era di digitalizzazione massiva. Un mondo iperconnesso, fatto di social network e app di instant messaging che come dice la sociologa e psicologa statunitense Sherry Turkle hanno portato ad una grave crisi nei rapporti interpersonali. La conversazione è strettamente legata alla capacità di empatizzare, che è a sua volta importante per stringere rapporti significativi tra gli uomini. Oggi la comunicazione digitale permette di “bypassare” i vincoli del dialogo faccia a faccia e lascia poco tempo all’attenzione dell’altro. In casa succede lo stesso, teste e sguardi chinati, dita impegnate a chattare e silenzio; pranzi e cene consumati a casa con genitori e figli alienati dagli smartphone, sempre se almeno lo spazio attorno al tavolo è condiviso nella “famiglia 3.0”. Silenzio foriero di conflitti e incomprensioni: dove sono i limiti e le regole, i vecchi valori della famiglia e il buon senso di aprire una conversazione con i ragazzi? Costa fatica offrire del tempo ai giovani, meglio obbligarli a occupare il tempo e assecondare il loro non parlare. Il silenzio nell’adolescenza fa parte della naturale rottura con il mondo degli adulti. La mancanza di parola che abita il giovane entra in risonanza con un fermento interiore proprio di quell’età. Mamma e papà dovrebbero rallentare il ritmo della giornata e parlare con loro ogni giorno, raccontarsi, anche se la risposta sarà uno sbuffo (nel tempo si vede il risultato). Il crollo del dialogo è una crisi di attenzione e un conseguente perdere di vista i bisogni reali dei figli. Una comunicazione profonda, reciproca e di fiducia si crea fin dall’infanzia. La vita può essere rallentata come i fotogrammi di una pellicola scanditi uno alla volta, spazio alla parola, all’immaginazione, al fare insieme, fermando il vortice di voracità che trascina sempre avanti. Vedremo se il genitore avrà la capacità di saper cogliere il tempo in cui parlare, parlare davvero.