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Giovanni Kezich e il destino di un museo
L’antropologia ai nostri giorni
di Waimer Perinelli
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KEZICH
E IL DESTINO DI UN MUSEO
“Sino a Pochi anni or sono, si poneva in dubbio l’esistenza dell’Antropologia Culturale, siamo spesso stati costretti ad illustrare l’oggetto, le finalità, la metodologia della disciplina”. Questo scriveva Tullio Tentori nel 1967 docente di Antropologia Culturale all’università di Trento e aggiungeva “Oggi tale compito è superato”. Ne siamo sicuri?
Credo di interpretare il pensiero di Giovanni Kezich, 64 anni, dismesso direttore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, affermando che, mezzo secolo dopo, tale sicurezza sulla conoscenza antropologica è ancora azzardata. Almeno in Trentino dove il Museo di San Michele all’Adige, uno dei più qualificati in Europa, è stato repentinamente decapitato e il ruolo di direttore scientifico e culturale è stato affidato ad un, pur benemerito nel suo campo, dirigente amministrativo. Scelte di questo tipo nel “colto” Trentino non sono infrequenti, ma finora, almeno per il Museo etnografico-etnologico, si erano limitati alla presidenza caratterizzata nei 21 anni di dirigenza di Kezich da una sola designazione, nel 2004, di un’antropologa, Emanuela Renzetti già assistente di Tullio Tentori alla cattedra dell’Università di Trento e poi essa stessa docente. Ero con lei, collaboratore extra moenia alla fine degli anni 70, quando a Milano avevo conosciuto Tullio Kezich, padre di Giovanni, stimato critico cinematografico originario di Trieste. Anche per questo la collaborazione con il direttore del Museo, nei primi anni del Duemila, fu serena e culturalmente proficua. Giovanni Kezich ha un carattere singolare, timido all’apparenza, ma forte e determinato. Geloso del proprio lavoro, rispettoso delle competenze e intelligenze altrui quanto intollerante e sbrigativo con gli incompetenti. E’ un neo pesante che lo ha portato a litigare con tutti coloro che, presidenti o no, s’intromettevano. Quello che si dice un cattivo carattere, ma se non è cattivo, che carattere è? Al Museo degli Usi e costumi della gente trentina, ha dedicato tempo e affetto perché ha amato profondamente questo territorio conosciuto ed esplorato attraverso l’etnografo e fondatore Giuseppe Sebesta. Verso il “padre” culturale ha manifestato sempre stima e riconoscenza ricordandone la figura e valorizzandone l’opera. Appassionato di musica Giovanni Kezich, suona il violino e altri strumenti musicali, anche a notte fonda, sottolinea una sua vicina di casa a Bolzano, e ama non solo osservare, ma immergersi nelle feste popolari. Ideatore del Carnival king of Europe nel 2008, ne fa uno strumento di collaborazione con Francia, Croazia, Macedonia e Bulgaria, valorizzando
Giovanni Kezich, antropologo
L’antropologia ai nostri giorni
in tal modo tutti i carnevali dell’Arco alpino. I giorni del Carnevale trasformano San Michele all’Adige nel palcoscenico dei gruppi carnevaleschi tradizionali del Trentino. Il Carnevale nelle antiche tradizioni montane rappresenta l’annuncio della fine dell’inverno e l’arrivo della Primavera; tale compito spetta a dei coloratissimi messaggeri. Nella valle di Fassa gli eleganti Lacchè corrono di maso in maso avvisando gli abitanti che il Bufon sta per arrivare. E così in ogni vallata troviamo esempi straordinari di maschere, di personaggi che raccontano la storia di coloro che le hanno vissute e la divertente manifestazione si trasforma nel confronto di usi e costumi e nella scoperta di
quanto le montagne, coperte dalla neve, separate dalle valli, non siano riuscite a frantumare lo spirito del popolo trentino. A livello museale esso è raccontato nelle sale dello splendido palazzo-convento, già degli agostiniani, dove sia Sebesta che Kezich, grazie ai molti collaboratori e fra essi Antonella Mott, hanno raccolto, catalogato, descritto, interpretando attraverso essi la cultura e la tradizione. Il maso rivive, con le diverse stanze, la stalla, la segheria, gli attrezzi di campagna, i costumi tradizionali, il canto, la musica... le fiabe. Tutto questo senza mai dimenticare che il museo non è solo una raccolta di oggetti o scritti, bensì una creatura viva, creatrice di cultura, cenacolo di studiosi, fucina di idee. In provincia, Kezich, promuove e
coordina una serie di musei locali assecondando una spontanea volontà popolare e avvicinando la gente alla propria tradizione. Il suo impegno viene riconosciuto a livello nazionale con incarichi universitari a Venezia e Verona, coordinamenti di grandi incontri antropologici a Roma e all’estero, gemellaggi con musei importantissimi come quello della Sardegna. Tutto questo non lo ha scansato dalla falce politica e Mirko Bisesti, assessore provinciale alla cultura, ha deciso che “Bisogna cambiare”; “Spostano i dirigenti come fossero sacchi di patate” ha detto Kezich, che ha reagito duramente alla scelta. Non è stato sufficiente a difendere il suo lavoro un documento firmato da quasi mille persone, e fra loro illustri studiosi italiani e stranieri. Il Museo, decapitato, non morirà ma siamo altrettanto certi che sarà un’altra cosa, speriamo almeno nel segno della tradizione. “La funzione che l’Antropologia è chiamata a svolgere, ha scritto il Pontefice Paolo VI, è che le discipline antropologiche con quelle filosofiche(..) collaborino alla soluzione di problemi spirituali e divini” . Auspichiamo senza trascurare la correttezza e l’etica.
Giovanni Kezich al violino, la Vecchia Mitraglia (Segonzano 2017)
Sezione Riti Dell'Anno
L’Avvocato risponde
di Erica Vicentini *
Espropriazione di pubblica utilità e la quantificazione dell’indennizzo
L’espropriazione è definita nel codice civile (art. 834 c.c.) come l’istituto in base al quale un soggetto, previa corresponsione di una giusta indennità, può essere privato di beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata. La Pubblica Amministrazione può dunque essere legittimata a sacrificare l’interesse privato in vista di un superiore interesse pubblico che, nel caso dell’espropriazione per pubblica utilità, generalmente, consiste nell’attuazione di un’opera pubblica. La definizione del codice civile è costruita in negativo: la tutela della proprietà fondiaria può cedere il passo solo se, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, è posta a confronto con un interesse pubblico che è oggettivamente e concretamente definito. Risulta poi prevista per legge la corresponsione di un indennizzo. La potestà espropriativa trova la propria legittimazione anche nella Costituzione. Ferma restando la tutela degli interessi privati garantita dall’art. 23 Cost. (“nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”) l’art. 42 Cost. è chiaro nel prevedere che solo la legge possa disciplinare le ipotesi di esproprio per motivi d’interesse generale, salvo indennizzo per il soggetto destinatario della pretesa. La limitazione del potere di esproprio è quindi duplice: da un lato deve essere esplicitato e definito l’interesse che determina la necessità del provvedimento ablatorio, con la precisa considerazione delle ragioni per cui esso, comunque, comporti il minor sacrificio possibile per l’esecuzione, ad esempio, dell’opera di pubblica
L’Avvocato risponde
utilità; dall’altro, è prevista una precisa riserva di legge, unico strumento ritenuto idoneo a limitare la proprietà privata. Oltre a questi limiti, di natura oggettiva, è poi previsto l’obbligo per la P.A. di indennizzare il soggetto spogliato della propria proprietà. Sul punto occorre precisare il concetto di indennizzo, che è diverso da quello di risarcimento o restituzione: nella nozione di risarcimento è insita la necessità di riportare a parità un rapporto obbligatorio, nel senso di rifondere la sfera giuridica di un soggetto danneggiato del vulnus subito a causa del fatto dannoso; nel concetto di indennizzo, tale necessità non si pone, in primo luogo per il fatto che la sua liquidazione non segue ad un fatto lesivo, secondariamente perché il rapporto con la Pubblica Amministrazione non è, per definizione, caratterizzato da un piano di oggettiva e assoluta parità.
Ma come viene quantificata l’indennità da esproprio?
Ai sensi dell’art. 37 del T.U. (D.P.R. 327/2001), l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25%. Per le aree non edificabili, è previsto che l’indennità sia determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e sul valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati. Il valore di mercato del bene è determinato al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, con valutazione delle caratteristiche intrinseche del bene, in particolare dei vincoli di qualsiasi natura preesistenti. Solo le opere preesistenti all’avvio del procedimento espropriativo (costruzioni legalmente realizzate, piantagioni ed altre eventuali migliorie) possono essere inserite nella stima che conduce alla determinazione dell’indennità di esproprio da corrispondere al soggetto che subisce la perdita del bene; tutti gli interventi realizzati dopo l’avvio del procedimento espropriativo non possono essere inseriti nella determinazione dell’indennità di esproprio. Nel caso di espropriazione parziale di un bene unitario il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore: è necessario dunque individuare la differenza tra il giusto prezzo che l’immobile avrebbe avuto prima dell’espropriazione ed il giusto prezzo della parte residua dopo l’espropriazione stessa, in modo da ristorare l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo Dal punto di vista procedurale, il D.P.R. 327/2001 in materia di espropriazioni prevede due momenti: 1) il decreto di occupazione; 2) il decreto di esproprio. Già dalla lettura del decreto di esproprio deve essere possibile constatare l’esistenza di tutti i presupposti per la sua emanazione, in particolare che l’opera sia stata prevista nello strumento urbanistico generale, che sia stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio, sia stata dichiarata la pubblica utilità e determinata, anche in via provvisoria, l’indennità di esproprio. La relazione di stima del bene è depositata presso l’ufficio per le espropriazioni: da quel momento, termine 30 giorni, è possibile per il proprietario espropriato impugnare innanzi al Tribunale ordinario gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennità. È consigliabile quindi redigere immediatamente una perizia sul bene che dovrà essere espropriato, al fine di valutare la congruità dell’indennizzo.
*Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84
Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore@valsugananews.com