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In Controluce
Un tempo nuovo: cosa me ne faccio?
di Veronica Gianelo
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Tempo, una parola che oggi più che mai ci rimbomba nelle orecchie. Perché non ce n’è mai abbastanza, perché siamo presi da tante, troppe cose ogni giorno, e il tempo ci scappa, ci sfugge dalle mani; un’altra giornata arriva a termine e non ce ne siamo neanche accorti. “Ah, se avessi tempo…”, e si spengono luci e pensieri ed è già ora di andare a dormire.
Non c’è tempo di chiederci chi siamo, o perché cor riamo come i matti, non c’è tempo per chiederci “Ne vale la pena?”, non c’è tempo per un ab braccio, per un caffè che non sia al bancone, non c’è tempo per fermarsi a indovinare la forma delle nuvole. Carpe diem, direbbero gli antichi, cogli l’attimo, ma anche tempus fugit, il tempo fugge: chissà, forse erano confusi anche loro dalla misura del tempo, proprio come lo siamo noi? Perennemente tesi tra il desiderio di sfruttare al meglio le nostre gior nate, di incastrare tutto, di vivere il momento per poterlo raccontare, e lo scorrere delle lancette che ci ricorda inesorabile che, mentre siamo impegnati a vivere e pensare, il tempo è già passato. E così questo carpe diem diventa quasi una minaccia, una corsa, l’unico traguardo possibile per sistemare la nostra vita. Eppure, forse, è proprio questa cognizione che abbiamo perso: il senso del tempo. E lo sapeva bene Zygmunt Bauman, che non ritrovava più l’uomo nel caos della modernità. Sappiamo dire cos’è importante? Sappiamo capire cosa merita più tempo e cosa meno? Sappiamo che il nostro tempo ha un valore? E soprattutto, sappiamo che, come suggerirebbe Tabucchi, il tempo invecchia in fretta? Sì, perché il tempo non passa ma invecchia, raggrinzisce, svanisce… È un tempo che passa, tra sogni e incubi e poi si ferma, torna indietro e rende inquieto il presente, che torna a fuggire via. Eppure “c’è tempo, c’è tempo, c’è tempo”, cantava Fossati, talmente tanto che quando ce lo ritroviamo tra le mani… Non sappiamo cosa farcene. E diventiamo bambini, che davanti a un sacchetto di caramelle vivono delle piccole crisi esistenziali sulla scelta di quella da mangiare. Il mo mento storico che stiamo vivendo ci ha insegnato questo: rincorriamo in affanno il tempo, sospiriamo per averne un po’ di più, troviamo scuse per non impegnarci perché “tanto non ho tempo”, e quando all’improv viso ci viene regalato non sappiamo come gestirlo. Questa quarantena, questo #restareacasa, ci ha seduti di fronte al tempo. Tanto atteso, tanto desiderato, e ora? Alla fine questo tempo nuovo, questo tempo im mobile spaventa, un po’ perché non l’abbiamo scelto, un po’ perché ci ha spiazzato. E allora c’è chi si rilassa, chi davvero riesce a riprendersi il proprio tempo, chi riscopre cose dimenticate, chi impara a giocare con i propri figli, chi a cucinare, chi a stare lontano da chi ama. C’è chi continua a farlo, chi dopo due giorni si stufa e non vede l’ora di uscire. C’è chi si ama, chi non si sopporta più, chi ogni giorno ringra zia. C’è un’Italia che riscopre il pane fatto in casa, un esercito di “copertina,
divano e film” che scopre di essere un atleta. C’è chi s’inventa un lavoro, chi un modo per strappare un sorriso. E si impara a disegnare, a contare, a dire “mi manchi”. Si riordinano cantine, si appendono fotografie, si impara che esistono altri modi di lavorare e che quel corso di aggiornamento sull’uti lizzo del computer, forse, avrei dovuto seguirlo. Si sta su Zoom, su Facebook, si ha paura di restare tagliati fuori e di perdersi una diretta che t’insegni la vita. E allora le agende s’infittiscono di nuovo perché alle 8 c’è la colazione della famiglia felice, alle 10 c’è yoga alle 11 la seduta gratis online con il life coach, e di nuovo è già sera, ed è ora di spegnere luci e pensieri, e ancora non siamo riusciti ad acchiapparlo questo tempo. Ma allora che senso ha avuto tutto questo? Chiediamo che il mondo rallenti e poi, quando lo fa, corriamo per superarlo. Un tempo nuovo non è un tempo sprecato, e allora ecco che ci viene in aiuto la fisica che ci ricorda che il tempo è relativo, e ci insegna che non esiste un dentro o un fuori: siamo noi a decidere che valore dare al nostro tempo
di Armando Munao’
Il Piano Marshall
In quest’ultimo periodo, anche e soprattutto per effetto della particolare situazione sanitaria ed economica che sta vivendo il nostro paese, sempre di più, nei dibattiti televisivi e nelle pagine dei media, si parla della necessità di attuare un “Piano Marshall” che sostanzialmente possa aiutare l’Italia a uscire o limitare al massimo la crisi finanziaria che inevitabilmente vivrà il nostro paese quando il coronavirus, e ciò che ha causato e determinato, scomparirà dalla nostra quotidianità. Un evento che tutti noi ci auguriamo e che permetterà a tutte le aziende, siano esse commerciali, industriali e artigianali, di riprendere, seppur lentamente, la loro attività produttiva. Molti conoscono già cosa è stato e cosa ha rappresentato, per tutte le nazioni coinvolte nella seconda guerra mondiale, il Piano Marshall. Questo mio scrivere, però, è volutamente indirizzato alle tantissime e a me carissime “zie Teresa” e ai loro mariti “gli zii Giuseppe” che rappresentano la stragrande maggioranza dei miei lettori e che di certo avranno sentito parlare del piano Marshall, ma forse non conoscono esattamente il perché è stato istituito e come è stato attuato alla fine della seconda guerra mondiale. Chiamato ufficialmente “Piano per la ripresa europea, o Programma europeo di recupero” fu uno degli interventi politico-economici che
George C. Marshall
il Segretario di Stato americano del presidente Henry Truman, George C. Marshall (già generale USA), annunciò il 5 giugno del 1947 e che fu, senza alcun dubbio, uno dei momenti più importanti nella storia della politica internazionale del dopoguerra. Nei suoi principi attuativi mirava, per decisione unilaterale degli Stati Uniti d’America (per la cronaca il Piano
Tabella esplicativa con gli aiuti derivanti dal Piano Marshall per ogni Stato
Stato
Austria Belgio e Lussemburgo Danimarca Francia Germania Ovest Grecia Islanda Irlanda Italia * Paesi Bassi Norvegia Portogallo Svezia Svizzera Turchia Regno Unito Totale 1948/49 (milioni di dollari)
232 195 103 1 085 510 175 6 88 594 471 82 0 39 0 28 1316 4 924
1949/50 (milioni di dollari) 1950/51 (milioni di dollari)
166 70 222 360 87 195 691 520 438 500 156 45 22 15 45 0 405 205 302 355 90 200 0 70 48 260 0 250 59 50 921 1 060 3 652 4 155
Totale (milioni di dollari)
468 777 385 2 296 1 448 376 43 133 1 204 1 128 372 70 347 250 137 3 297 12 731
ebbe il sostegno bipartisan sia dei democratici e sia dei repubblicani), alla ricostruzione dell’Europa e garantiva un massiccio finanziamento economico – si parla di circa 13 miliardi di dollari di allora- (oggi sarebbero stati oltre 140 miliardi) da destinare a tutte le nazioni che avevano partecipato al conflitto mondiale e che avevano subito enormi danni, sotto tutti gli aspetti. Nel suo particolare discorso Marshall ha sottolineato che tutta l’Europa avrebbe avuto bisogno, per 4/5 anni almeno, d’ingenti aiuti, non solo economici, da parte degli USA, e in mancanza dei quali il nostro Continente avrebbe vissuto giorni neri e tristemente bui sia sotto l’aspetto politico, ma soprattutto economico e sociale. E il 5 aprile 1948 il piano Marshall prese l’avvio e gli aiuti interessarono
concretamente, in primis le nazioni alleate, Regno Unito e Francia, di poi anche altre nazioni dell’Asse come l’Italia e quelle che erano rimaste neutrali, sebbene coinvolte nel conflitto mondiale. Dai documenti storici si è quantificato che furono 18 le nazioni a beneficiare del piano Marshall. Il maggior destinatario degli aiuti fu il Regno Unito che ricevette, fino al 1951, circa il 25% del totale pari a 3.297, milioni di dollari. All’ Italia andarono 1.204 milioni, poco meno del 10%. La Francia ebbe il 18%, pari a 2.296 milioni e la Germania Ovest, 1.448 pari al 11%. I testi di allora ci dicono che l’Unione Sovietica, pur essendo stata considerata come beneficiaria, non solo rifiutò i finanziamenti, ma li bloccò anche per tutti i paesi del blocco orientale, quali Polonia e Ungheria. E per contrapporsi al Piano Marshall, l’URSS concretizzò un suo piano economico, noto come Piano Molotov, che immise grandi risorse economiche nei paesi che erano stati politicamente suoi alleati.