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Bauli in piazza
Attualità
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Il 10 ottobre di questo sfortunato 2020, Piazza del Duomo a Milano è stata occupata da 500 “flight case” che, per chi non lo sapesse, non sono altro che i bauli che contengono la strumentazione tecnica necessaria per allestire eventi: cavi, microfoni, fari, aste e molto altro ancora. È stata una protesta educata, silenziosa. Una performance allestita con tutti i crismi e i dettami di un grande evento, organizzata nel dettaglio, in ordine, senza fronzoli e, soprattutto, senza maleducati proclami. “Un unico settore, un unico futuro” – per sostenere professionisti, aziende e lavoratori del settore della musica in crisi a causa della pandemia. Questo lo slogan di “Bauli in piazza”, la manifestazione nata sull’onda del movimento americano “We make events”, che riunisce tutta la filiera del settore gravemente colpito negli ultimi mesi. Oltre ai 500 bauli, però, Piazza Duomo ha accolto anche una folta rappresentanza dei lavoratori dello spettacolo, tutti vestiti di nero. Un colore che si addice particolarmente al difficile momento che questo settore sta attraversando. Basti pensare che in Italia sono oltre 500 mila i professionisti a rischio. La loro voce si è aggiunta al coro di una manifestazione suggestiva, che ha alternato momenti di religioso silenzio a fragorosi applausi, scandita in sottofondo dalla musica creata dal battito delle mani sui tanti bauli presenti. Al centro di tutto un baule rosso, per ricordare tutti i lavoratori della spettacolo che hanno perso la vita facendo il loro dovere. Già, perché quello che i lavoratori dello spettacolo lamentano è proprio una mancanza di rispetto e di riconoscenza verso la loro professionalità. Lavoratori seri e preparati, rispettosi delle regole,
e con alle spalle un bagaglio enorme di esperienza. Mica lavoratori improvvisati della domenica. Purtroppo, però, questi lavoratori continuano ad essere dimenticati. Lo sono ora e lo erano anche prima di questa pandemia. Mancano infatti contratti, non ci sono tutele e nessuno ha mai considerato l’ipotesi di adottare dei provvedimenti seri per regolamentare il settore. La fortuna di queste persone è che vivono di passione vera per questa professione, che continuano a svolgere nonostante tutto, come tutti quelli che amano ciò che fanno. In questo Paese sono molte le persone che vivono di e con lo spettacolo: padri, madri, famiglie intere che si sostengono grazie all’arte. Non sono alieni, ma persone in carne e ossa, che silenziosamente da anni si muovono dietro le quinte. Sono quelli che ad ogni comizio accendono il microfono, che regolano le luci, e che prima ancora montano il palco, lo stesso palco sul quale sono salite anche quelle persone che ora fingono di non ascoltare, e ai quali ora è rivolto questo “grido” di piazza. Purtroppo, però, le speranze si affievoliscono Dpcm dopo Dpcm, l’ultimo di Katia Cont
Piazza Duomo - Milano
dei quali – firmato lo scorso 25 ottobre dal Presidente Conte - inserisce tra i luoghi più rischiosi i cinema e i teatri, decretandone quindi la chiusura. Un provvedimento difficile da accettare, soprattutto alla luce di una recente indagine condotta dall’Ufficio Studi e Programmazione dell’Agis (Agenzia generale italiana dello spettacolo), che dimostrerebbe proprio il contrario. Su 347.262 spettatori, si legge su un post condiviso dal Teatro Pubblico Pugliese, «in 2.782 spettacoli monitorati tra lirica, prosa, danza e concerti, con una media di 130 presenze per ciascun evento, nel periodo che va dal 15 giugno (giorno della riapertura dopo il lockdown) ad inizio ottobre, è stato registrato un solo caso di contagio da Covid 19 sulla base delle segnalazioni pervenute dalle ASL territoriali. Una percentuale, questa, pari allo zero e assolutamente irrilevante, che testimonia quanto i luoghi che continuano ad ospitare lo spettacolo siano assolutamente sicuri». Non rimane quindi che aspettare tempi migliori e capire se le manifestazioni civili, organizzate e ordinate possano avere maggiori riconoscimenti di quelle arroganti e distruttive.
Politicando
Gli italiani vogliono meno parlamentari
Il referendum del 20 e 21 settembre 2020è stato indetto per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale dal titolo “Modifiche agli articoli 56,57 e 59 dellaCostituzionein materia di riduzione del numero dei parlamentari” già approvata in Parlamento nell’ottobre del 2019 da tutti i partiti. Il nostro paese, dopo la vittoria del SI’, scende dal primo al quinto posto in Europa per numero di parlamentari, dopo Regno Unito (1.430 rappresentanti), Francia (925), Germania (778) e Spagna (616).
Il 20 e 21 settembre si è tenuto il referendum costituzionale (il quarto nella nostra storia repubblicana) che chiedeva agli elettori di esprimersi sulla riduzione di un terzo dei nostri rappresentanti alla Camera e al Senato. Di fatto gli italiani dovevano dare il
Palazzo Montecitorio - Camera dei Deputati
Palazzo Madama - Senato della Repubblica
loro parere su una modifica già approvata in Parlamento, ma sottoposta a referendum per le norme speciali che regolano le variazioni della nostra Costituzione. E gli italiani si sono espressi in maniera chiara e inequivocabile perché i SI’ sono stati il 69,5 per cento dei voti (17milioni 169mila) mentre i NO hanno ricevuto il 30,4 per cento (7milioni 500mila). L’affluenza è stata di circa il 54%. Per effetto di questo risultato dalla prossima legislatura i deputati passeranno da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Fino ad oggi, ovvero prima di questo referendum che ha determinato la più importante modifica dell’assetto istituzionale nella storia della Repubblica italiana, nel nostro paese veniva eletto un deputato ogni 96 mila abitanti e un senatore ogni 188 mila. Con il taglio referendario ci sarà un deputato ogni 151 mila abitanti e un senatore ogni 302 mila. Inoltre, con la nuova riforma elettorale, saranno ridotti anche i parlamentari all’estero: da 12 a 8 i deputati e da 6 a 4 i senatori. E altra
di Armando Munao' modifica riguarderà i senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica che dovranno essere massimo 5 e non più otto come prima. È importante precisare che quello cui sono stati chiamati ad esprimersi gli italiani era un referendum confermativo, ovvero si chiedeva loro, non di votare per eliminare una legge, bensì di approvare una riforma del testo costituzionale già vagliato da Camera e Senato. E in questo caso, a differenza dei referendum abrogativi, non era necessario raggiungere il quorum del 50% dei votanti, ovvero una soglia minima di voti per renderlo valido. Vinceva il risultato che avrebbe ottenuto il maggior numero di voti. E ha vinto il SI’. L’ultimo referendum, sul quale gli italiani sono stati chiamati a votare è stato quello del 4 dicembre 2016 (chiamato riforma “Boschi-Renzi”) che si concluse con una vittoria del “NO” al 59%. Tra le proposte bocciate, c’era il superamento del bicameralismo perfetto, in particolare la riforma del Senato e la riduzione del numero di senatori, l’abolizione del CNEL (Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro), la ridefinizione del Titolo V parte II della Costituzione, con una riduzione delle competenze regionali e il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni