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Il personaggio - Angelico Prati
Il personaggio
Angelico Prati professore autodidatta
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È stato il primo docente universitario che ha insegnato all’Università di Pisa senza aver conseguito nessuna laurea. Lui è Angelico Prati, un linguista ma soprattutto un valsuganotto che merita di essere riscoperto. Il ricercatore dell’ateneo trentino Luca Morlino, ricorda come “siamo davanti ad un personaggio poco prati…co nelle sue scelte e nelle decisioni della vita”.
Presso la sala polifunzionale di Agnedo, nelle scorse settimane, l’Associazione Mondinsieme ha organizzato una serata per ricordarne la figura. Figlio del pittore Eugenio e di Ersilia Vassellai, nacque ad Agnedo nel 1883 ed in Valsugana è ricordato soprattutto per il Dizionario Valsuganotto dato alle stampe nel 1960. Un volume di cui non riuscì e vedere l’ultima bozza, il lungo lavoro di una vita. Infatti, morì il 31 gennaio del 1961, all’età di 78 anni. Come ricorda Morlino “colpito da una grave malattia, si trovava all’ospedale di Velletri e chiese di essere trasportato in ambulanza nel suo paese natio. Purtroppo non ci arrivò, spirò durante il lungo tragitto”. Ma Angelico Prati era uno studioso davvero originale. Esperto di filologia, etimologia e di storia, studiò a Trento e ad Este ma non frequentò mai l’università, tranne un paio di mesi in cui seguì le lezioni di Karl von Ettmayer a Friburgo. Come si legge su Wikipedia “nonostante ciò, dopo qualche anno di insegnamento nelle scuole medie di Orvieto e Modena, nel 1924 conseguì brillantemente la libera docenza in dialettologia italiana. Negli anni precedenti, infatti, si era distinto per aver redatto alcuni interessanti studi, fondati unicamente sulla sua grande passione per l’argomento”. Alla serata di Villa Agnedo tanta gente. Con Morlino anche Bruno Pecoraro di Mondinsieme. “Angelico Prati si formò soprattutto leggendo. Ebbe una vita difficile e scrisse più di cento articoli per riviste nazionali ed internazionali”. Dal 1924 divenne libero docente (1924) di dialettologia italiana e visse appartato dedicandosi agli studî che più lo appassionavano. Nel 1925 si stabilì a Roma dove, per un periodo, lavorò come bibliotecario privato per poi essere assunto dall’Accademia d’Italia per la redazione del Vocabolario della lingua italiana. Appassionato, autodidatta, dei dialetti, soprattutto quelli della Valsugana, di lui si ricorda il volume “L’italiano e il parlare della Valsugana” del 1916 e “I Valsuganotti” edito nel 1923. Nel suo repertorio bibliografico anche “I vocabolari delle parlate italiane” (1931), “Voci di gerganti, vagabondi e malviventi” (1940) oltre al “Dizionario di marina dell’Acdi Massimo Dalledonne
cademia d’Italia” (1937), ed il Vocabolario etimologico italiano del 1951. A causa di una grave situazione economica nel 1950 fu costretto a vendere la sua fornita collezione di dizionari dialettali e nel novembre dello stesso anno ottenne l’insegnamento della Storia della lingua italiana presso l’università di Pisa. Vi rimase sino al 1953 allorché, nuovamente colpito dalle ristrettezze economiche, fu costretto a trasferirsi a Velletri. Le sue opere si incentrano principalmente sulle parlate della sua terra natale, la Valsugana. Angelico Prati è un nome da riscoprire, da rivalorizzare soprattutto dai suoi conterranei. Appassionato della storia, usi e costumi della sua terra non ha mai dimenticato le proprie radici. Quei luoghi in cui, prossimo alla morte, ha cercato di ritornare. Per respirare aria di casa. Della Valsugana, della sua Villa Agnedo.
Ieri avvenne
Novembre 1989 Cade il muro che ha cambiato l’Europa
Era il 13 agosto 1961 quando il governo comunista della Repubblica Democratica Tedesca (RDT, o Germania dell’Est) iniziò a costruire con il filo spinato e il cemento tra Berlino Est e Ovest quella che loro definirono l’”Antifascistischer Schutzwall”, il “baluardo antifascista”. Lo scopo di questo muro era quello di impedire ai fascisti, ovvero ai tedeschi d’occidente, di entrare nella Germania dell’Est e di minare quindi lo Stato socialista; in realtà si trattava del sistema migliore per definire il confine tra le due Germanie, cosa che fece egregiamente per quasi trent’anni.
Alla fine della seconda guerra mondiale attraverso una serie di conferenze di pace le potenze vincitrici si divisero la Germania per un controllo preventivo affinché il passato non si ripetesse. La nazione sconfitta fu dunque divisa in quattro zone di occupazione alleate: la parte orientale occupata dall’Unione Sovietica, la parte occidentale divisa tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Anche se la città di Berlino, capitale di quella Germania divisa, si trovava all’interno della parte sovietica del paese le stesse conferenze di pace la divisero, come il resto del paese, in quattro. Già nel giugno del 1945 truppe americane, inglesi, francesi e sovietiche si impossessarono della città. E così, nel bel mezzo della Germania Est, dove vigevano una politica e un’economia comuniste, vi era un’area dove il capitalismo la faceva da padrona. Opulenta, ricca e consumista era infatti la Berlino Ovest dell’immediato dopoguerra. Era un bel problema per le forze sovietiche, che dovevano in qualche modo arginare l’esodo da ovest a est. Nel 1948 i sovietici istituirono un
blocco nei confronti di Berlino Ovest per portare alla fame gli occupanti occidentali. Questi, invece di ritirarsi, rifornirono i loro settori della città dall’alto con invio di casse di cibo, generi alimentari e altro. Fu quindi istituito il famoso ponte aereo che nei mesi successivi permise di far arrivare in città più di 2,3 milioni di tonnellate di cibo, carburante e altre merci a Berlino Ovest. Un decennio dopo, nel 1958, le tensioni si riaccesero; da un lato le forze comunista erano rincuorate dai di Elisa Corni grandi successi avuti nella corsa allo spazio, ma dall’altro si trovavano di fronte a una fuga di persone impressionante: quasi 3 milioni di cittadini, per lo più operai qualificati, medici, insegnanti e ingegneri avevano lasciato Berlino Ovest nei dieci anni di quiete appena trascorsi. Il 12 agosto si raggiunse il record di disertori: in circa 2.400 lasciarono la Germania dell’Est. Si rese quindi necessario intervenire. Quella notte, il premier Krusciov diede al governo della Germania orientale il permes-
so di fermare il flusso di emigranti chiudendo definitivamente il confine. E così, in sole due settimane, i due lati della città furono definitivamente separati. Prima che il muro fosse costruito i berlinesi potevano muoversi abbastanza liberamente: attraversavano il confine per lavorare, fare acquisti, andare a teatro e al cinema. I treni e le linee della metropolitana trasportavano i passeggeri avanti e indietro. Dopo la costruzione del muro tutto ciò cambiò radicalmente. Si poteva andare dall’altra parte solo se in possesso di particolari e rari permessi e solo attraversando uno dei dodici Check Point, come il più famoso a Friedrichstrasse „Checkpoint Charlie". Eppure la voglia e il bisogno di varcare quel confine non si fermarono: famiglie divise, lavori perduti, necessità, fame, difficoltà economiche e minacce per posizioni politiche contrarie al partito portarono numerosissime persone a tentare il tutto per tutto, pur di attraversare quel confine. A volte rischiando anche la propria vita. In Almeno 171 persone sono state purtroppo uccise nel tentativo di sca-
Ieri avvenne
valcare, superare o aggirare il muro di Berlino. Ma ciò non poteva fermare le persone: in modi creativi e ormai leggendari tra il 1961 e il 1989, più di 5.000 tedeschi dell’est - comprese circa 600 guardie di frontiera - riuscirono a passare il terribile confine. Il 9 novembre 1989, mentre la Guerra Fredda iniziava a sciogliersi, il portavoce del Partito comunista di Berlino Est annunciò un cambiamento. A partire dalla mezzanotte di quel giorno i cittadini della RDT erano liberi di attraversare i confini del paese. I berlinesi dell’Est e dell’Ovest accorsero al muro, bevendo birra e champagne e cantando “Tor auf!” (“Apri il cancello!”). A mezzanotte furono invasi i posti di blocco. Il muro è infine caduto in quella notte nella quale folle estatiche sciamarono fino al muro con martelli e picconi riguadagnando così la libertà.