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Conosciamo il territorio: Oselera del Mation

Conosciamo il territorio

“Oselera del Mation” sulla collina di Tenna

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Balcone storico sulla strada romana Claudia Augusta Altinate

Nella parte meridionale della collina di Tenna, con una splendida vista su Levico, la piana di Caldonazzo, la Valsugana e i due laghi di Caldonazzo e Levico, in posizione strategica c’è la cosiddetta “oselera del Mation”, a quota 553 s.l.m., raggiungibile a piedi con tre bellissime passeggiate salendo da Brenta, o dal sentiero che si diparte dalla strada SP 16 nei pressi del campeggio Lago di Levico, altrimenti percorrendo la comoda stradina che si snoda sul crinale, partendo dal forte di Tenna, e passando a fianco della chiesetta di San. Valentino

Il manufatto, di proprietà privata, ristrutturato una ventina di anni orsono, è ubicato su una collinet ta che riveste una notevole rilevanza di carattere storico, come attestato dalle ricerche d’archivio e dai vari testi, ad opera soprattutto di Luciano Brida, autore e coautore di vari saggi sulla storia locale. Come si nota ( foto 1) tutta la colli na di Tenna era interessata, fin dalla preistoria e poi nell’epoca romana, a vari insediamenti, per la favorevole posizione al centro dei due laghi di Caldonazzo e Levico, in posizione sopraelevata rispetto al fondovalle, paludoso e soggetto ad esondazioni del fiume Brenta, e con il livello dei laghi più elevato rispetto all’attuale. Nella collinetta del “Mation”, viene evidenziata la cronologia storica degli insediamenti, prima un castelliere preistorico, poi un fortilizio romano e quindi Castel Vecchio. Il toponimo “Mation” deriva probabil mente dal termine “mastione” parte alta e fortificata di un castello, afferma il Brida e in base a documenti storici di Desiderio Reich “I castellieri del Trentino” 1904, la collinetta era stata interessata in epoca romana dalla co struzione di un fortilizio denominato

“Castrum Vetus – Castel Vecchio”. La strada romana Claudia Augusta Altinate, proveniente da Quarto d’Altino vicino a Venezia e giungeva fino ad Ausburg (Augusta), in Germania, nel suo percorso lungo la Valsugana, tran sitava sulla collina di Tenna, come ne è indiscussa testimonianza storica il miliare romano rinve Trincee al Mation I guerra mondiale nuto nel 1878 nei vigneti sotto il paese, con indicata la epigrafe XXXXI° milia, esattamente 60 km da Feltre, tappa importante del percorso. Lungo dette vie, venivano infatti costruite delle torri di avvista mento e di controllo; sul dosso del “Mation” è documentata la presenza di tale manufatto. Mation in stato abbandono Nel medioevo, esattamente nel di Fiorenza Malpaga 1258, è data per certa la presen vegetazione. za del Castel vecchio sulla collinetta Verso la fine del 1800, il proprietario del “Mation” , probabilmente una del bosco costruì sul cocuzzolo una propaggine di Castel Brenta, sito nei casetta per scopi forestali, poi desti pressi della chiesetta di S. Valentino, nata a roccolo, la cosiddetta “oselera”, come confermato in vari documenti dove venivano collocate le reti, gab dal Montebello nel 1743, ripreso da bie, lacci per la cattura dei numerosisDesiderio Reich nel 1907 e Carl Aus simi uccelli che in quegli anni passaserer nel 1915. vano nel transito dalla Valsugana. Il manufatto è stato poi nei secoli Attorno al dosso, e lungo il crinale abbandonato, diroccato e ricoperto di verso la chiesetta di San Valentino,

Oselera Mation attuale dal basso

erano collocate le reti, e gli uccelli rimanevano imbrigliati nel volo e cat turati; in quel periodo era una forma di caccia consentita. Durante la prima guerra mondiale, “l’oselera del Mation” era stata utilizza ta quale punto di osservazione e comunicazione fra i vari forti della zona quali quello di Tenna, delle Benne, Pizzo di Levico. Nelle vicinanze, sono ancora presenti tre “Utestan”, depositi utilizzati durante la grande guerra; nel paese di Tenna sono ancora presenti alcuni di questi depositi. Attorno al roccolo, sono presenti ancora le trincee, dove venivano collocate le fuciliere, rivolte verso le truppe italiane provenienti dalla Valsugana. La casetta subì poi uno stato di abbandono, al punto che era crollato il tetto, e nel locale interno erano cre sciute robinie, rovi ed altre sterpaglie;

Conosciamo il territorio

solo i muri perimetrali di sassi resistettero alle intemperie. Alcuni anni orsono il proprietario ha provveduto al recupero del manufat to, rispettando la sagoma ed il sedime dell’antico roccolo, per conservare la memoria e la storia di una struttura, che ha rivestito, nel corso dei secoli, una notevole valenza storica, come ho cercato di indicare in questo scritto.

Ne cito alcuni: -“Caldonazzo contributi storici” ed. Associazione Amici della storia anno 2000 -“Tenna cenni storici” ed Associazio ne Amici della storia anno 1993 Oltre ad altre fonti quali “Castel Bren ta e la chiesa di San Valentino sul colle di Tenna” ed. Associazione Castelli del Trentino 2004 e “I Castellieri preistorici del Trentino “ ed. Associazione Castelli del Trentino 2010.

Risate senza tempo

Guareschi il “Don Camillo e Peppone”

“Le dittature fanno apparire grandi le piccole cose, l’umorismo fa l’esatto contrario”, affermò in un’intervista Guareschi, perfetto ritratto di un genio libero da vincoli, schieramenti e risentimento post-bellico. In questo pensiero risiede la forza più grande di quest’uomo: il suo essere provinciale per nascita ma soprattutto per scelta e al contempo aperto al mondo. Solo da una visione ampia e approfondita di ciò che sta fuori dai nostri confini si può creare il cambiamento. Guareschi fu innovatore e visionario. Fu tante cose, ma soprattutto fu, in maniera naturale e vera, un grande umorista.

Fu grande perché il suo “regime della risata” era fatto di sostanza e quotidiano, era un umorismo utile alla comunità. Egli stesso ha sempre affermato che il compito dell’umorista dev’essere innanzitutto quello di porsi nel presente ma con uno sguardo al futuro poiché proprio a lui spetta il compito di mettere in guardia le persone. L’umorista deve avere una funzione civile e una responsabilità che non sempre è scontata in chi di mestiere fa ridere la gente. Parlare di Guareschi solo in questi termini tuttavia sarebbe riduttivo. Lui, uomo libero che mai accettò compromessi, e che per questa sua indipendenza fu soggetto di diverse condanne, tra cui l’internamento militare nei campi tedeschi e polacchi durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma Guareschi fu anche scrittore e da questa esperienza regalò al mondo piccole perle letterarie tra cui su tutte va ricordata La Favola di Natale. “Non abbiamo vissuto come i bruti”—racconta l’autore in un intervista dopo il suo rilascio—“Noi prigionieri non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire”. Proprio da questa fede nell’avvenire e dalle solide radici, Guareschi riesce a ricostruirsi una vita, fatta, da quel momento in poi, soprattutto di giornalismo, ma ancora di più: fu fatta di un’idea messa su carta, diventata poi un successo. Quell’idea si intitolava Don Camillo. Dice l’autore: “Così Giovannino Guareschi vi ho detto, amici miei, come sono nati il mio pretone e il mio grosso sindaco della Bassa emiliana. [...] Chi li ha creati è la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare su e giù per l’alfabeto.” La naturalezza nella stesura di questa serie di racconti è dichiarata dall’autore che, come molti altri, ha bisogno di Veronica Gianello

dell’arte e delle parole per ridare ordine e coraggio alla dura vita del dopoguerra. Siamo nel 1948, e I racconti di Don Camillo segnano l’inizio del ciclo di Mondo Piccolo, ambientato in un paesino di campagna indecifrato in quella Bassa pianura emiliana che si stende ai lati del fiume Po, un microcosmo dove Guareschi incen

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Fernandel - Don Camillo

tra le vicende sui due protagonisti: don Camillo, il parroco, e il sindaco comunista (nonché meccanico del paese), Peppone, amici-nemici nell’Italia segnata dai conflitti del primo dopoguerra. La storia si costituisce di tanti episodi, pubblicati prima sul settimanale umoristico Candido, fondato, insieme a Giovanni Mosca, dallo stesso Guareschi. Successivamente vennero raccolti in otto libri, dei quali solo i primi tre pubblicati quando l’autore era ancora in vita. È subito un grande successo, che troverà la consacrazione definitiva con la trasposizione cinematografica del 1952 che, grazie ai volti dei noti attori Fernandel e Gino Cervi, farà entrare, con affetto, Don Camillo e Peppone nell’immaginario collettivo. Politica e Chiesa si intrecciano tra le pagine e sullo schermo in maniera unica e, ancora una volta innovativa. Le sfaccettature di un paese, che potrebbe essere uno qualunque, raccontano l’eterna

Gino Cervi - L'On.le Beppone

lotta tra le due parti che spesso sono complementari: Don Camillo è un prete grande e grosso, poco incline ad essere inquadrato negli stereotipi del prete di provincia, molto incline invece all’uso della forza fisica e di un linguaggio diretto. Un prete che possiamo definire in qualche modo “politicizzato”, che esce dalle mura sicure dalla sua Chiesa per consigliare e guidare “quel testone del sindaco”. Il sindaco Peppone, a sua volta, non è quasi mai descritto solo come primo cittadino. Certo, la sua ammirazione per il comunismo è cosa nota, ed è ciò che più di tutte preoccupa e infastidisce Don Camillo, eppure dietro al politico, all’istituzione, a quei baffi folti e allo sguardo burbero, c’è un uomo con una grande fede, che rispetta il Signore e ad egli si affida per essere uomo, padre e sindaco migliore. Il rapporto con Dio che passa attraverso fedeli e ministri terreni è completamente nuovo: spesso vengono

eliminati filtri e barriere, e lo stesso Signore interviene nella quotidianità di Don Camillo rompendo quel sacro confine tra cielo e terra. Il sacerdote infatti parla con Dio attraverso il crocefisso della chiesa. Lo fa sempre con grande rispetto e umiltà, tuttavia l’intimità e l’esclusività di questo rapporto riporta a un ambiente amicale. Questo particolare infastidì parecchio una parte della comunità cristiana che additò Guareschi come peccatore e paragonò i dialoghi con Dio alle bestemmie. Anche questa critica non toccò minimamente l’autore, ormai affermato e tradotto in tutto il mondo, che continuò a farsi compagnia con i suoi due amici e compaesani fino alla morte. Non avrebbe potuto immaginare, forse, che la grandezza che risiede nell’unicità, nella semplicità e nell’onestà della sua arte avrebbero continuato a vivere e ad essere riproposte con invariato affetto anche nelle generazioni future.

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