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Margherita Giordano
Abuso sessuale e dinamiche familiari
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Prima Edizione: 2016 ISBN 9788898037971 © 2016 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Marzo 2016 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)
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INDICE
Introduzione Capitolo 1: L’abuso sessuale e le sue conseguenze 1.1 La definizione del termine “abuso sessuale sui minori” 1.2 La definizione clinica di abuso sessuale 1.3 La definizione giuridica 1.4 Le fasi dell’abuso sessuale 1.5 Le tipologie dell’abuso sessuale 1.6 Gli indicatori dell’abuso sessuale 1.7 Le conseguenze dell’abuso sessuale Capitolo 2: Abuso sessuale intrafamiliare, l’incesto 2.1 La definizione giuridica d’incesto 2.2 L’incesto nella società 2.3 I vari tipi di incesto Capitolo 3: Le dinamiche familiari nel caso di abuso sessuale 3.1 La metafora del gioco 3.2 Giochi familiari tipici delle famiglie abusanti
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e maltrattanti 3.3 Incesto padre-figlia 3.4 Le conseguenze “dell’incesto” Capitolo 4: Dalla denuncia di abuso ai percorsi di prevenzione 4.1 La denuncia di abuso sessuale 4.2 Gli obblighi di denuncia da parte dei soggetti che rivestono funzioni o incarichi di natura pubblica 4.3 Conflitto fra l’obbligo di referto e l’obbligo al segreto professionale 4.4 La prevenzione terziaria: l’intervento terapeutico 4.4.1 La terapia familiare 4.4.2 La terapia dell’adulto protettivo 4.4.3 L’intervento sui fratelli del minore sessualmente abusato 4.4.4 La terapia dell’abusante 4.4.5 La terapia individuale della vittima di abuso sessuale 4.5 Principi generali sulla relazione terapeutica col minore vittima di abuso 4.5.1 L’ inizio della terapia 4.5.2 Conduzione della seduta e gestione dei comportamenti problematici 4.4.3 Strategie terapeutiche rivolte ai minori con attaccamento insicuro 4.5.4 Strategie rivolte a facilitare l’espressione di emozioni e pensieri del minore in terapia 4.5.5 Come affrontare le tematiche dell’abuso 6
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4.5.6 La gestione dell’ansia in seduta terapeutica 4.5.7 Strategie terapeutiche rivolte alla riparazione di specifici elementi cognitivi 4.6 Strategie terapeutiche attraverso l’ArtCounselig
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Conclusioni
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Bibliografia
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Documenti
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INTRODUZIONE
Il problema dell’abuso sessuale sui minori sembra essere emerso solo negli ultimi anni, diventando ormai un argomento di grande attualità, ma in realtà varie forme di abuso sessuale si sono verificate in tutti i periodi della storia dell’umanità. Risulta ancora oggi molto difficile e complesso dare una definizione univoca e condivisa di abuso sessuale sui minori, poiché si tratta di un argomento delicato e complesso, che i vari operatori affrontano ognuno con una specifica identità professionale. È quindi molto importante e vantaggioso un utilizzo congiunto tra definizione clinica e definizione giuridica per risolvere una questione problematica come quella dell’abuso sessuale all’infanzia. Spesso il luogo principale di amore, protezione, sicurezza, fiducia, cura, affetto, può diventare il luogo di odio, violenza, rabbia, paura, tradimento, abbandono, trascuratezza: la famiglia. Sono ormai frequenti e numerosi gli abusi consumati in famiglia in cui è possibile distinguere: il maltrattamento (fisico e psicologico); le patologie delle cure, caratterizzate dall’inadeguatezza delle cure, suddivise in incuria, discuria e ipercura; ma in questo testo sarà dedicata una prevalente attenzione all’abuso sessuale che provoca conseguenze negative sulla salute psicofisica-relazionale del bambino, sulla sua sicurezza, sul suo equi9
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librio emotivo, sulla sua crescita cognitiva e sessuo-affettiva. Nell’abuso sessuale si possono distinguere tre categorie: abuso sessuale manifesto, abuso sessuale mascherato e pseudo-abuso ed è inoltre possibile riconoscere specifiche fasi: fase dell’adescamento, fase dell’interazione sessuale, fase del segreto, fase dello svelamento dell’abuso e fase della rimozione. Purtroppo la percentuale più alta (circa il 90%) è rappresentata dagli abusi sessuali intrafamiliari: l’incesto. Vari sono i tipi di incesto: incesto tra padre-figlia (che è il più frequente), incesto padre-figlio, incesto madre-figlio, incesto madre-figlia, incesto commesso dal familiare. L’obiettivo principale di questo testo è quello di comprendere e “svelare” i giochi familiari tipici delle famiglie abusanti e incestuose, cioè quello di ricostruire e capire le dinamiche interattive che caratterizzano tali famiglie “patologiche”. Per poter maggiormente comprendere le dinamiche che possono condurre alla messa in atto dell’incesto, è necessario analizzare la struttura familiare attraverso un approccio sistemico-relazionale, che dà più considerazione alla configurazione triangolare dei rapporti, per cui viene superata la visione della diade vittima/ persecutore, ma viene data importanza, per quanto riguarda la dinamica dell’abuso, alla triade di attori (persecutore, vittima e osservatore). Questo è indispensabile per attuare una diagnosi familiare e arrivare così al cosiddetto “disvelamento del gioco”, cioè all’esplicitazione del gioco e delle dinamiche incestuose. Tutto ciò è molto importante per poter così avviare il più presto possibile percorsi di prevenzione, attraverso la stretta collaborazione tra operatori socio-sanitari e giudiziari, attuando prima di tutto la denuncia di abuso sessuale (prevenzione primaria), un intervento di tutela della vittima (prevenzione secondaria) e un procedimento penale nei confronti del presunto colpevole. 10
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Una volta che la magistratura si è occupata dell’accertamento dei fatti e della condanna e il Tribunale dei minori ha garantito la protezione del minore da ulteriori abusi, i servizi socio-sanitari cercano di fornire un sostegno psicologico, attuando veri e propri percorsi di intervento terapeutico (prevenzione terziaria): terapia familiare, terapia dell’adulto protettivo, l’intervento sui fratelli del minore sessualmente abusato, terapia dell’abusante e terapia individuale della vittima di abuso sessuale.
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CAPITOLO 1 L’ABUSO SESSUALE E LE SUE CONSEGUENZE
1.1 La definizione del termine “abuso sessuale sui minori” La rilevazione e l’accertamento di abuso sessuale è un’operazione estremamente complessa, perché sussiste tra gli specialisti molta incertezza su cosa debba intendersi per abuso sessuale. Non è semplice delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in una materia fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la linea di demarcazione è molto sfumata. La difficoltà di definire i comportamenti umani è ancor più forte quando la classificazione riguarda i comportamenti sessuali illeciti, cioè quelli integranti fattispecie di reato. Nelle ricerche sull’abuso sessuale qualunque operatore adotta una definizione diversa e utile per la sua attività. Questa diversità nelle definizioni è ancora più evidente nel caso dell’incesto, dove la pluralità di definizioni si coniuga con il carattere intrafamiliare dell’abuso sessuale. Un primo effetto pratico immediato di tutta questa confusione è la difficoltà a promuovere le opportune politiche
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sociali e a mobilitare le risorse necessarie. Nasce così tra gli operatori in questa materia la polarizzazione tra quanti ritengono giustificabile l’intervento esterno solo nei casi più estremi e sono favorevoli ad una definizione di abuso sessuale assai circoscritta e quanti collocano al primo posto la protezione del minore e sostengono che l’adozione di una definizione, la più ampia possibile, può concorrere a prevenire un’escalation da forme di abuso meno gravi ad altre più gravi. Le definizioni del termine abuso sessuale sui minori divergono nelle diverse attività lavorative in quattro punti fondamentali1: 1. l’inclusione o meno dell’esibizionismo e delle proposte oscene nella definizione di abuso sessuale, 2. il limite di età della vittima, 3. l’inclusione o meno delle aggressioni commesse da coetanei, 4. la differenza di età tra vittima e aggressore. 1. Molti ricercatori usano una definizione ampia di abuso sessuale che comprende, oltre agli abusi sessuali con contatto fisico (contact abuse), anche atti che non contemplano un contatto fisico tra vittima e aggressore (non contact abuse), come ad esempio l’invito a partecipare ad attività sessuali: includono anche gli atti di esibizionismo e le proposte oscene. Altri autori, invece, esitano ad accomunare l’esibizionismo e le proposte oscene all’abuso sessuale caratterizzato da contatto fisico, dal momento che quest’ultimo implica 1 Vassalli A., L’abuso sessuale sui minori, in Abruzzese S., Minore e sessualità. Vecchi tabù e nuovi diritti, p.103-118, Franco Angeli, Milano, 1999.
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un ben più alto grado di gravità con seri effetti psicologici2. 2. Riguardo al limite di età delle vittime le definizioni variano da ricerca a ricerca, spaziando dall’età prepuberale ai sedici anni fino al limite dei diciotto anni, che coincide con la minore età giuridica. 3. La legislazione italiana prevede “la reclusione per chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”, includendovi anche i coetanei della vittima (art. 609-bis c.p.). 4. L’ultima divergenza è costituita dalla differenza minima di età tra vittima ed aggressore, necessaria perché si possa ricorrere alla definizione di abuso sessuale indipendentemente dall’esistenza di un apparente consenso da parte della vittima. In genere, tutti sono d’accordo nel ritenere sempre abuso sessuale ogni relazione tra un adulto ed un bambino. Quando gli episodi sessuali interessano vittime adolescenti, i confini a definire l’abuso sessuale si fanno più confusi. È impossibile e arbitrario definire il momento in cui l’adolescente raggiunge la capacità di acconsentire liberamente e pienamente a una relazione sessuale3.
2 Goodwin J., Abuso sessuale sui minori, Centro Scientifico Torinese editore, Torino, 1987. 3 A. Vassalli, Abuso sessuale sui bambini: definizione, caratteristiche e conseguenze, in M. Malacrea, A. Vassalli, Segreti di famiglia, Raffaello Cortina, Milano, 1990, pag. 18.
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1.2 La definizione clinica di abuso sessuale Vari professionisti (medici, magistrati, avvocati, psicologi, operatori sociali insegnanti) affrontano l’intervento nei casi di incesto ognuno partendo dalla propria specifica identità professionale. Spesso queste visioni possono essere assai discordanti e produrre fraintendimenti su aspetti di primaria importanza, come la protezione dei minori o l’apertura di procedimenti penali a carico degli adulti. Sul terreno dell’intervento operativo si pone quindi ancora più forte l’esigenza di una definizione che possa essere largamente condivisa da diverse figure professionali. D’altra parte una definizione troppo ampia rischia di lasciare un margine eccessivo alla discrezionalità, favorendo il riemergere di punti di vista parziali. Diversi autori, infatti, raccomandano di diffidare da definizioni troppo ampie e invitano ad affiancare ad espressioni generali, quali abuso sessuale sui minori, descrizioni dettagliate ed esplicitamente connesse al contesto di riferimento in cui vengono usate (per esempio “bambini molestati dai genitori”), invece di “bambini vittime di abusi sessuali”. La pedofilia e l’abuso sessuale sono tradizionalmente trattati come aberrazioni sessuali, laddove l’esperienza clinica ha ampiamente messo in evidenza che chi aggredisce sessualmente i bambini cerca, attraverso comportamenti sessuali, di soddisfare bisogni che hanno più a che fare con la ricerca di sensazioni di potere, di controllo e di dominio su soggetti più deboli che con il piacere sessuale. La possibilità di coinvolgere un minore in una relazione sessuale è determinata, infatti, dalla posizione di superiorità e dal potere che ha l’adulto nei confronti del bambino, che si trova invece in una posizione di dipendenza e di soggezione. È attraverso questa sua autorità che l’aggressore, implicitamente o esplicitamente, costringe il minore a sottomettersi alla relazione 16
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sessuale4. Una definizione operativamente efficace è quella proposta da Goodwin5, che utilizza indifferentemente le espressioni incesto e abuso sessuale intrafamiliare per indicare “ogni azione sessuale commessa su un bambino da parte di un adulto avente ruolo di genitore”. Sotto un profilo teorico, criminologico e giuridico, far coincidere l’incesto con l’abuso sessuale intrafamiliare può apparire arbitrario. Ogni distinzione si rivela però secondaria quando ci si muove nella prospettiva dettata da esigenze di intervento operativo (giuridico, sociale o psicologico) nell’interesse di minorenni. Infatti, indipendentemente dal grado, dalla durata e dalla stabilità del coinvolgimento del minore nella relazione incestuosa si attivano le medesime esigenze di protezione, di indagine e trattamento da parte delle istituzioni. È solo in un secondo momento che la distinzione torna ad acquisire tutta la sua importanza, quando si tratta di ricostruire la dinamica dell’incesto per definire i trattamenti idonei o per accertare il grado di responsabilità (psicologica e penale) del genitore e di altri familiari. Il concetto clinico di abuso sessuale elaborato dalla letteratura sociologica e psicologica risulta dunque più esteso rispetto alla condotta che integra la fattispecie di reato sul piano giudiziario. Anche nella Legge n. 66 del 1996 la definizione del reato implica la costrizione del soggetto-vittima a compiere o subire atti sessuali con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità, anche se molti correttivi rendono presunta tale componente violenta in situazioni in cui essa non è esercitata in modo esplicito (con riguardo all’età della vittima e al tipo d’autore). 4 G. De Leo, I. Petruccelli, L’abuso sessuale infantile e la pedofilia, Franco Angeli, Milano 1999 5
Goodwin J., op. cit., 1987
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Tuttavia rimane escluso da tale definizione, ad esempio, il verificarsi di relazioni sessualizzate tra soggetti minorenni con differenza di età pari o inferiore a tre anni se tali soggetti hanno più di tredici anni, indipendentemente dalla relazione che li lega6. Non possono inoltre essere considerate reato - in quanto non comportano veri e propri “atti”- altre situazioni in cui il minore è esposto ad un clima psicologico decisamente negativo e fuorviante per il corretto sviluppo di una sua propria identità sessuale e della sua personalità, o sia coinvolto come spettatore più o meno complice di giochi erotici tra persone cui sia fortemente legato. Secondo molti autori tali situazioni non differiscono invece, almeno sul piano qualitativo, dalle esperienze codificate come violenza sessuale, in quanto le conseguenze dannose che possono produrre potrebbero essere le medesime. Si può dunque affermare che c’è un’importante differenza tra la definizione clinica e quella giuridica di abuso sessuale. Nella prima, il bene giuridico protetto è l’integrità del minore come persona, il quale può essere danneggiato da qualunque atto sessuale che subisce, chiunque sia il soggetto agente. La Legge n. 66/96, invece, fornisce una tutela dello sviluppo della sessualità del minore e prevede, a seconda della sua età o della relazione con il soggetto agente, l’intangibilità sessuale oppure la sua capacità di autodeterminazione in ambito sessuale (purché egli abbia compiuto almeno tredici anni e la differenza di età con il coetaneo non sia superiore a tre anni). Quindi, mentre nella definizione clinica l’intervento operativo di protezione e trattamento dovrà essere attivato indipendentemente dal grado, dalla durata, dalla modalità dell’atto sessuale compiuto, dall’età del minore, perché la sua integrità come persona sarà stata comunque compromessa, nella definizione giuridica questi elementi sono im6
I. Merzagora, L’incesto, Giuffrè, Milano, 1986, pp. 4-13.
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portanti per poter valutare il grado di responsabilità del soggetto agente.
1.3 La definizione giuridica Secondo la definizione proposta dal Consiglio d’Europa nel 1978, per abuso sessuale di un minore deve intendersi “ogni atto o carenza che turbi gravemente i bambini o le bambine, che attenta alla loro integrità corporea, al loro sviluppo psico-fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di un terzo, ed ogni atto sessuale imposto al bambino non rispettando il suo libero consenso”7. Questa definizione solleva il problema dell’accertamento e della valutazione del grado di maturità e di capacità critica del minore che sia tale da consentirgli di esprimere realmente il suo libero consenso8. Vi è l’esigenza di fissare un’età minima al di sotto dalla quale si può affermare l’incapacità da parte del soggetto di esercitare tale consenso. Il nostro codice penale fornisce una definizione di violenza sessuale (art. 609-bis) riferendosi a “taluno che è costretto a compiere o subire atti sessuali, con violenza o minaccia ovvero mediante abuso di autorità”, facendo alcune distinzioni riguardo all’età della vittima per l’inasprimento della pena (un numero maggiore di anni di reclusione). La condizione di minore età costituisce, in tali ipotesi di reato, sia presupposto di violenza indipendentemente dal consenso espresso dalla vittima, sia circostanza aggravante rispetto alla punibilità, sia presuppo7
Montecchi F., Gli abusi all’infanzia, Carocci, Roma ,1998, p.20.
8 F. Mantovani, I delitti sessuali: normativa vigente e prospettive di riforma, in G. Canepa, M. Lagazzi, I delitti sessuali, Padova, 1988, p. 271
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sto d’inferiorità psichica e fisica tipica dei minori, cioè essi si trovano sempre in un rapporto subalterno con l’autore del reato (adulto) e dunque nell’impossibilità di esprimere un consenso consapevole9. La scelta compiuta dalla legge italiana n. 66/1996 (“Norme contro la violenza sessuale”) è stata quella di introdurre, al posto della precedente normativa (che prevedeva sia l’ipotesi di violenza carnale, sia l’ipotesi di atti di libidine con differenti criteri di valutazione rispetto alle pene), la definizione di un’unica fattispecie di reato (atti sessuali), includendo così, in tale espressione, anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore (non contact abuse), come ad esempio nel reato di corruzione di minorenne10. L’elemento costitutivo del reato è la coercizione compiuta sulla vittima, mediante violenza, minaccia o abuso d’autorità, da parte del soggetto agente (che può essere anche un coetaneo del minore aggredito). Il nostro codice penale ha stabilito che la differenza di età tra soggetti adolescenti, affinché si possa escludere una situazione di abuso sessuale, debba essere al massimo di 3 anni (art. 609-quater, 2º comma), purché il minore ne abbia almeno 13. È stato così riconosciuto il diritto del minore ad esprimere la propria sessualità, senza alcuna penalizzazione. Nella pratica giudiziaria si cerca però di valutare le varie situazioni di violenza sessuale sui minori in base anche alle definizioni date dagli esperti in tali problematiche, che configurano tali reati anche quando la violenza o la minaccia non è presente in modo esplicito. Certo è che una definizione giuridica di un fenomeno, per la sua stessa natura, sarà sempre più ristretta di una 9 G. Scardaccione, Effetti della ricerca psicosociale e criminologica sulla legislazione italiana in tema di pedofilia, in Rassegna di psicoterapie, ipnosi, medicina psicosomatica, psicopatologia forense, (Vol. 5), 2000, p. 57 10
ibidem, p. 56
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sociologica, ma il loro utilizzo è diverso: la prima serve per incriminare un fatto, la seconda per spiegarlo o trovarne la causa. È però auspicabile e vantaggioso il loro utilizzo congiunto per risolvere una questione problematica come quella della violenza all’infanzia. Una delle definizioni più utilizzate e più appropriata, forse per la sua ampiezza e genericità, è quella di Kempe11, affermando con abuso sessuale sui minori: “il coinvolgimento di bambini e adolescenti, soggetti quindi immaturi e dipendenti, in attività sessuali che essi non comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella società circa i ruoli familiari”. Rientrano in questa definizione gli episodi di pedofilia, di stupro, d’incesto e di sfruttamento sessuale12. Si tratta, ovviamente, di situazioni che possono dar luogo ad episodi molto diversi l’uno dall’altro, in presenza o meno di violenza fisica, ma accomunati dalla caratteristica di agire in modo molto forte sulla vita psicologica e sulle relazioni sociali dei minori, turbandone i processi di sviluppo della personalità e di maturazione della sessualità. Tale definizione evita la specificazione dei singoli atti effettuati e permette così di classificare come abuso anche le prime manifestazioni d’interessamento e di seduzione rivolte dall’adulto al bambino13. La definizione di Kempe include, infine, il concetto di violazione dei tabù sociali, utile quando bisogna stabilire se le in11 Kempe C.H., Sexual abuse, another hidden pediatric problem, Pediatrics, 1978, (Vol. 62), in De Leo G., Petruccelli I., L’abuso sessuale infantile e la pedofilia, p.382389. 12
De Leo G.,Petruccelli I., op. cit.,1999, p.15.
13 2003.
Lucio Bonafiglia, Pedofilia. Perché? L’esigenza di confini, Edizioni Carlo Amore,
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terazioni sessualizzate tra minorenni integrano un abuso14. Ad esempio la differenza di età tra abusante e vittima, usato sia nel nostro che in altri paesi come criterio per discriminare la liceità delle condotte, può essere insufficiente e portare artificialmente, da un punto di vista legale, ad escludere l’abuso in casi in cui viceversa, sul piano clinico, esistono tutti i presupposti per configurare quella situazione come altamente traumatica. Alla definizione di Kempe si avvicina quella inserita nella Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia, approvata a Roma nel 1998, dove l’abuso sessuale è stato definito come “il coinvolgimento di un minore da parte di un partner preminente in attività sessuale anche non caratterizzata da violenza esplicita”, “fenomeno diffuso, che si configura sempre e comunque come un attacco confusivo e destabilizzante alla personalità del minore e al suo percorso evolutivo”15.
1.4 Le fasi dell’abuso sessuale Sgroi, Blick e Porter nel 1982 hanno individuato varie fasi dell’abuso sessuale16: 1. fase dell’adescamento: l’abusante mette in atto una serie di comportamenti per attirare su di sé il minore, separandolo dagli altri componenti della famiglia, in particolare 14 Kempe C.H., Le violenze sul bambino, Sovera Multimedia, Roma (Tivoli), 1989, pag. 69 15 Coordinamento nazionale dei centri e dei servizi di prevenzione e trattamento dell’abuso in danno di minori, Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia, Minori Giustizia, (Vol. 4), 1997, pp. 154-158 16 S.M. Sgroi, L. Blick, F.S. Porter, A conceptual framework for child sexual abuse, in S.M. Sgroi, Handbook of clinical intervention in child sexual abuse, Lexington Books, Lexington, MA, 1982
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dalla madre e creando delle situazioni che lo facilitino nei suoi piani; fase dell’interazione sessuale: durante la quale l’abusante passa a forme di violenza sempre più intrusive e devastanti (ad esempio da discorsi pornografici a esibizionismo, voyeurismo, a contatti fisici fino alla penetrazione, a volte con il coinvolgimento anche di altri minori, o inducendo il/la bambino/a a compiere a sua volta atti sessuali su fratelli e sorelle più piccoli; fase del segreto (il quale è presente anche nella fase precedente): in cui l’abusante costringe con vari mezzi il minore al silenzio; fase dello svelamento dell’abuso; fase della rimozione: caratterizzata dal tentativo di negare la realtà dell’abuso o di minimizzarlo, o di negare o minimizzare il danno derivato al/alla bambino/a dall’abuso stesso.
L’abuso sessuale è stato distinto in17: • • • •
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abuso sessuale intrafamiliare ed intradomestico: quando l’abuso sessuale è commesso dal genitore o da un parente convivente con il minore; abuso sessuale intrafamiliare ed extradomestico: quando l’abuso è perpetuato da un parente non convivente o da un amico di famiglia; abuso sessuale extrafamiliare: quando l’abuso è compiuto da un soggetto estraneo al minore e/o alla famiglia. istituzionale: abuso attuato da persone ai quali i minori vengono affidati per ragioni di cura, custodia, educazioRoccia C., Foti C., L’abuso sessuale sui minori, Unicopli, Milano, 1994
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ne, all’interno di diverse istituzioni ed organizzazioni (insegnanti, medici, allenatori…) Di strada: abuso attuato da parte di persone sconosciute Ai fini di lucro: commesso da parte di singoli o gruppi criminali organizzati per la produzione di materiale pornografico, per lo sfruttamento della prostituzione, agenzie per il turismo sessuale, etc. Da parte di gruppi organizzati (sette, gruppi di pedofili), esterni al nucleo familiare.
1.5 Le tipologie dell’abuso sessuale Per poter descrivere quali sono i diversi tipi di abusi sessuali, è opportuno considerare il contesto in cui si verifica l’abuso sessuale, poiché ci aiuterà maggiormente a comprendere il tipo di relazione esistente tra l’abusante e la vittima: la violenza compiuta dall’estraneo è sicuramente diversa da quella messa in atto dal padre incestuoso, dal vicino di casa o dal conoscente18. Una particolare categoria di abusanti è quella delle cosiddette persone autorizzate, cioè di coloro che, in virtù dell’attività che svolgono (infermiere, medico, genitori, ecc.), hanno l’opportunità di entrare in relazione con la vittima in maniera naturale. Le violenze che il bambino subisce nell’ambito familiare sono, comunque, quelle più rilevanti, perché la carenza di un sostegno o dell’affetto della famiglia è quella che più gravemente condiziona la regolare strutturazione della personalità e l’adeguato sviluppo del processo di socializzazione del bambino. C’è da precisare che la famiglia abusante non è soltanto la famiglia autoritaria e dispotica, né solo quella sfruttatrice in senso econo18
AA.VV., La violenza nascosta, Raffaello Cortina, Milano, 1986, pp. 40-49
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mico del bambino (considerato come “merce”). Può danneggiare il minore anche la famiglia che, per rispettare “troppo” la sua libertà, lo lascia solo ad esplorare la vita; quella che è particolarmente esigente e perfezionista; quella che per iperprotezionismo gli impedisce di fare esperienze significative e strutturanti perché tutto costituisce pericolo; quella ripiegata narcisisticamente su se stessa e quindi portata ad inculcare nel figlio l’idea che tutto il mondo è ostile e negativo e che solo il modello familiare è valido; quella che attraverso il ricatto della riconoscenza, per l’amore dato e per i sacrifici compiuti, soffoca il bambino con un amore possessivo e distruggente19. Per svolgere adeguatamente il proprio ruolo genitoriale, captare le esigenze del bambino e saper rispettare la sua sensibilità, sono necessari nei genitori un’adeguata maturità personale ed un forte controllo di sé e delle proprie reazioni. Ma ciò non è facile, specialmente in una società che tende ad infantilizzare anche gli adulti, che isola ed emargina la famiglia, che moltiplica le situazioni di fragilità familiare, che propone continuamente modelli diversi e spesso contrastanti di educazione20. Risulta da numerose ricerche che la maggioranza dei bambini vittime di violenze vive in nuclei costituiti da entrambi i genitori biologici conviventi (il 56%) e la famiglia “normale” continua ad essere l’ambito in cui si verificano la maggior parte di abusi. Negli abusi sessuali consumati in famiglia si possono distinguere tre sottogruppi21: 19
Cigoli V., Il corpo familiare, Franco Angeli, Milano, 1992
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Andolfi M., Il colloquio relazionale, A.P.F., Roma, 1994
21 Petrone L. , Troiano M., E se l’orco fosse lei? Strumenti per l’analisi, la valutazione e la prevenzione dell’abuso al femminile. Con un nuovo Test per la diagnosi, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 37
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abusi sessuali manifesti: gli abusi di tipo incestuoso, consumati nella maggior parte dei casi da figure maschili con figlie femmine, ma anche tra padri e figli maschi; tra madri e figli maschi; tra fratelli e sorelle. Questi tipi di violenze sono, per i traumi e le conseguenze che lasciano sul minore, i più evidenti e sono quelli sui quali è possibile intervenire con fermezza; ma è difficile riconoscerli in quanto avvengono all’interno del nucleo di vita più vicino al bambino: la sua famiglia. abusi sessuali mascherati: lo sono pratiche genitali inconsuete, quali frequenti lavaggi del bambino, ispezioni ripetute e applicazioni di creme e preparati medicinali, oppure l’abuso sessuale “assistito” quando il bambino o la bambina assiste all’abuso che un genitore agisce su un fratello o una sorella, o viene fatto assistere alle attività sessuali dei genitori stessi. pseudo-abusi: a questo gruppo appartengono gli abusi dichiarati quando in realtà non sono stati concretamente consumati per: convinzione errata, a volte delirante, che il/la figlio/a (più frequentemente la figlia) sia stato/a abusato/a; dietro a tali convinzioni c’è talvolta la proiezione sul/la figlio/a di esperienze di abuso subite nella propria infanzia dal genitore; per consapevole accusa all’ipotetico autore di abuso sessuale finalizzato ad aggredirlo, screditarlo, perseguirlo giudizialmente. Queste accuse avvengono frequentemente da parte di madri o nonne contro i padri nel corso delle separazioni; per dichiarazione inventata dal/dalla giovane, di solito adolescente, per sovvertire una situazione familiare insostenibile. Anche se l’abuso non si è realizzato, sono situazioni che vanno sempre prese in considerazione perché indicano che
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il minore ha sicuramente un disagio e, pertanto, deve essere aiutato; o l’abuso sessuale “assistito”, quando cioè il bambino assiste all’abuso che un genitore agisce su un fratello o una sorella, o viene fatto assistere alle attività sessuali dei genitori22. abusi sessuali extrafamiliari: sono forme di abuso frequentemente sommerse e che riemergono nei racconti dei pazienti, ormai adulti, poiché, quando l’abuso si era verificato, i sentimenti di vergogna, imbarazzo, pudore dei genitori avevano prevalso sull’opportunità non solo di denunciare il fatto all’autorità giudiziaria, ma anche di occuparsi della salute mentale del minore che aveva subito l’abuso.
Il problema delle conseguenze psicologiche di questi soggetti non ha un’evoluzione univoca, ma è in funzione della situazione psicologica individuale e soprattutto di come l’ambiente familiare e sociale in cui vivono reagisce. Nella maggior parte dei casi vi è una situazione di trascuratezza fisica e/o affettiva, di incuria, cioè di abbandono e disinteresse per i bisogni soprattutto emotivi del bambino, perciò tale contesto in cui vive il minore non gli permette di sviluppare la capacità di discriminare i pericoli e lo rende quindi più predisposto ad accettare qualunque attenzione affettiva gli venga proposta dall’esterno, credendola compensatoria di una vuoto affettivo intrafamiliare23. Quando la negazione e l’omertà non reggono e il problema diventa palese, il bambino subisce dalla propria famiglia altre 22
ibidem.
23 C. Colesanti, L. Lunardi, Il maltrattamento del minore, Giuffrè, Milano, 1995, pag. 116
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violenze, che consistono nel costringerlo a ripetute e minuziose descrizioni dei fatti alle diverse autorità. Tutto questo perché il pensiero dominante per il genitore offeso diventa la vendetta, quasi perdendo di vista i bisogni e le angosce del/la proprio/a figlio o figlia. Riguardo al sesso delle vittime di abuso sessuale si tratta soprattutto di soggetti di sesso femminile e di età media raramente al di sotto dei sei anni. Parlare di violenza nei confronti di bambini significa, nella grande maggioranza dei casi, parlare di violenze nei confronti di bambine e adolescenti. Per i maschi è stato comunque registrato un notevole rischio di abuso sessuale extrafamiliare, a differenza delle femmine dove l’abuso avviene più frequentemente nell’ambito familiare24.
1.6 Gli indicatori dell’abuso sessuale Per accertare l’effettivo verificarsi di un abuso sessuale è possibile utilizzare una serie di criteri o indicatori, i quali però non possono costituire un elenco completo e certo sul quale poter desumere con esattezza se l’abuso si è realizzato oppure no25. Sono molti, infatti, i casi in cui la sintomatologia clinica non è troppo esaustiva e dove rimangono molti dubbi (ad esempio quando non c’è stata penetrazione). Gli indicatori variano in relazione alla fase di sviluppo del minore e si distinguono in: 1. indicatori cognitivi 2. indicatori fisici; 24 C. Pernisco, Violenza ed abuso sessuale sui minori, Corso di formazione per docenti del Servizio Scuola dell’infanzia, Firenze, 2002 25 Enrico Q., Antonello A., Maltrattamento e abuso all’infanzia, Franco Angeli, Milano, 2002.
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3. indicatori comportamentali/emotivi26. Tra gli indicatori cognitivi rientrano le conoscenze sessuali inadeguate per l’età, le modalità di rivelazione da parte del bambino dell’abuso sessuale, i dettagli dell’abuso e, a volte, si verifica una certa confusione nel ricordo dei fatti e nella sovrapposizione dei tempi. Per scoprire questi indicatori, le aree da indagare sono: il livello di coerenza delle dichiarazioni, l’elaborazione fantastica, la distinzione tra il vero e il falso, il giudizio morale e la chiarezza semantica. Gli indicatori fisici di abuso sessuale sono: la deflorazione, la rottura del frenulo, le ecchimosi e i lividi in zona perineale, i sintomi di malattie veneree ed altri che devono considerarsi più equivoci per le molteplici cause che possono averli generati, come le incisure imenali, le neovascolarizzazioni a livello del derma nelle grandi labbra (nelle bambine) o le irritazioni del glande o del prepuzio (nei bambini), arrossamenti e infiammazioni aspecifiche localizzate. Gli indicatori comportamentali ed emotivi comprendono sentimenti di paura, depressione, disturbi del sonno e dell’alimentazione, un comportamento ipervigilante che indica la paura della ripetizione del trauma, la mancanza di interesse verso le attività ludiche con i compagni, l’alterazione significativa della personalità con possibili sintomi psiconevrotici (isteria, fobie, ipocondria). La timidezza e la paura si manifestano soprattutto in presenza del genitore abusante o nei confronti di adulti di tal sesso. A causa dei sensi di colpa e delle minacce che ricevono, i bambini abusati possono mettere in atto comportamenti autodistruttivi fino al suicidio. 26 Montecchi F., Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi sui bambini e la violenza in famiglia: prevenzione, rilevamento e trattamento, Franco Angeli, Milano, 2005
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De Young27 ritiene che un ulteriore indicatore comportamentale di abuso sessuale sia una spiccata erotizzazione della propria vita: infatti i bambini abusati tendono a diventare sessualmente aggressivi nei comportamenti e nei giochi. Occorre tener conto che tali indicatori di abuso non possono essere utilizzati indiscriminatamente, poiché la presenza di uno o più di essi può essere determinata anche da altre cause; bisogna fare attenzione al rischio di vedere una correlazione illusoria tra causa supposta (abuso sessuale) e conseguenze (indicatori), dove questa non c’è. Nel caso degli indicatori fisici, ad esempio nelle bambine, una diagnosi di neovascolarizzazione è giudicata compatibile con atti traumatici ripetuti (quali atti di abuso sessuale), ma anche con esiti di infiammazioni vaginali. La stessa integrità dell’imene si presta a conclusioni equivoche, in quanto apparenti lacerazioni di essa possono in realtà corrispondere a particolarità morfologiche congenite. L’equivocità può riguardare anche gli indicatori comportamentali: la presenza di incubi, l’eccesso di masturbazione e la depressione non costituiscono di per sé sintomi di abuso sessuale e possono essere ricollegati a varie cause che incidono sulla vita e crescita del bambino. Anche gli indicatori cognitivi possono trarre in inganno: spesso si è portati a pensare che, se un bambino ha conoscenza in materia di sesso inadeguate alla sua età, non può che averle acquisite attraverso contatti sessuali diretti. In realtà, frequentemente capita che il bambino abbia visto determinate scene nei film oppure abbia ascoltato gli adulti che ne parlavano. Gli indicatori da soli non possono essere considerati gli indici certi di un avvenuto abuso sessuale ma sono necessarie ulteriori indagini28. 27 M. De Young, A conceptual model for judging the truthfulness of a young child’s allegation of sexual abuse, in American Journal of Orthopsychiatry, 1986, pp. 550559 28
Claudio Foti, L’ascolto dell’abuso e l’abuso nell’ascolto, in Minori Giustizia,
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1.7 Le conseguenze dell’abuso sessuale Un bambino che non comprende il significato delle azioni dell’adulto, non per questo non riporterà un danno: non è cioè la comprensione intellettuale di ciò che accade a dare la misura dell’effetto traumatico dell’abuso sessuale. La violenza all’interno della famiglia può causare una serie di conseguenze nocive per le vittime, quali gravi danni fisici, disturbi psicologici a breve e a lungo termine e il bisogno di andare via di casa. Emery e Laumann-Billings29 ritengono che le conseguenze della vittimizzazione siano comunque una funzione di almeno cinque classi variabili: 1. la natura dell’atto abusivo, frequenza, intensità e durata; 2. le caratteristiche individuali della vittima (ad esempio l’età); 3. la natura della relazione tra vittima e abusante (coniuge, patrigno, ecc.); 4. la risposta degli altri all’abuso (sostegno sociale, intervento legale o psicologico e reazione della famiglia); 5. i fattori legati all’abuso che possono esasperare i suoi effetti o sostenere alcune delle conseguenze dell’abuso stesso (caos familiare precedente all’atto abusivo). La violenza è intrinseca agli atti di abuso sessuale e consiste nell’impatto traumatico che la sessualità adulta (anche quando è mascherata da approccio “gentile”) ha sul minore e nella natura di per sé coercitiva di tali atti sessuali. Bambine e bambini, data l’immaturità psichica ed emotiva e dato lo svantaggio di Franco Angeli, Milano, 2001 29 R.E. Emery, L. Laumann-Billings, An overview of the nature, causes and consequences of abusive family relationships (Toward differentiating maltreatment and violence), in American psychologist, 52(2), 1998, pp. 121-135.
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strumenti, potere e autorità rispetto all’adulto, sono nell’impossibilità di dare un consenso libero ed informato. L’abuso sessuale su un minore, dunque, viene sempre attuato dall’adulto, anche quando non c’è apparente uso di forza, sfruttando questa disparità di potere, autorità, dipendenza materiale ed affettiva del bambino, ed è poi ripetuto utilizzando lo stato di confusione, disperazione, paura e vergogna causati dall’abuso stesso30. Per parlare di mancato consenso non è inoltre necessario che il minore sia completamente all’oscuro del significato sessuale degli atti compiuti dall’adulto: infatti è la posizione di vantaggio di questo rispetto al minore e il clima di soggezione, confusione, ambiguità, colpevolizzazione creato dall’adulto ad impedire alla vittima una reazione efficace31. I mezzi usati dagli abusanti sono un insieme di lusinghe e minacce, di promesse e intimidazioni, di uso di forza fisica e di atteggiamenti gentili, in un’alternanza di facce e ruoli assunti da chi abusa al fine di togliere alla vittima qualsiasi possibilità di difendersi. In molti casi le ragazze e le donne che sono state da bambine vittime d’abuso non ricordano i tentativi che hanno inizialmente fatto per difendersi dalla violenza e sono convinte che l’abusante non abbia mai fatto uso di forza fisica. In realtà, ricostruendo con loro la storia, si scopre che spesso durante le prime aggressioni è stato fatto uso di vera e propria coercizione fisica. Successivamente il senso di impotenza, la vergogna, la disperazione, i ricatti a cui venivano sottoposte dall’abusante, l’isolamento in cui venivano costrette, la paura che provavano ed i messaggi ambigui e distorti che ricevevano toglievano loro totalmente la possibilità di reazione. La confusione, il fallimento dei tentativi di difesa, la sessualizza30
Claudio Foti, op. cit., 2001
31 R. Luberti, Abuso sessuale intrafamiliare su minori, in R. Luberti, D. Bianchi,...e poi disse che avevo sognato, Cultura della pace, San Domenica di Fiesole (Firenze), 1997, pag. 19.
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zione traumatica, la ripetizione dei messaggi dell’abusante che addossa alla minore la responsabilità dell’abuso, fanno sì che essa dimentichi la reale successione dei fatti e non riesca a darne la giusta interpretazione neanche da adulta. Per quanto riguarda la durata dell’abuso, un episodio isolato risulta meno dannoso di un’esperienza protratta nel tempo. Tuttavia i dati disponibili sono contraddittori in quanto la durata e la frequenza dei rapporti sono comunque elementi collegati ad altre variabili quali l’età del bambino all’esordio, il contesto familiare o extrafamiliare, la natura della relazione con l’abusante ed il tipo di attività sessuale commessa. A questo proposito, un sintomo particolare è costituito dal disturbo post-traumatico da stress (PTSD)32, il cui rischio tende ad aumentare quando l’abuso fisico è più grave e di lunga durata e quando l’abuso sessuale avviene in una relazione segreta o comporta un senso di pericolo o colpa da parte del bambino vittima. È stato inoltre dimostrato che lo stupro, in particolare, comporta un più elevato rischio di PTDS rispetto ad altri traumi comuni, a causa della forte coercizione fisica utilizzata. L’abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo e formazione del bambino, agendo sulla regolazione affettiva, lo sviluppo dell’autostima e le relazioni con i coetanei. Anche nell’età adulta persistono disturbi di relazione, sentimenti di paura, ansia, diffidenza nell’incontro con gli altri e ostilità nei confronti delle figure parentali; inoltre varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all’alcolismo. La Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia afferma che “l’intensità e la qualità degli esiti dan32 American Psychiatric Association. DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana, Masson, Milano, 2000
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nosi dell’abuso sessuale derivano dal bilancio tra le caratteristiche dell’evento (precocità, frequenza, durata, gravità degli atti sessuali) e gli interventi protettivi e riparativi esterni, che si attivano in relazione all’abuso”33. Inoltre il danno è tanto maggiore quanto più: • • • •
il fenomeno resta nascosto, o non viene riconosciuto; non viene attivata alcuna protezione nel contesto primario e in quello sociale; l’esperienza resta non verbalizzata e non elaborata; è forte il legame di dipendenza fisica ed affettiva della vittima dall’abusante.
L’abuso sessuale che si verifica in un clima di calore affettivo, lusinghe, gratificazione mediante le concessioni di speciali privilegi e di estrema segretezza, può essere per il bambino traumatico e sconcertante al pari di un’aggressione violenta34. Molti bambini subiscono per anni un abuso sessuale ma, mentre crescono, aumenta in loro la consapevolezza che qualcosa è sbagliato e possono rendersi conto improvvisamente di ciò che sta loro succedendo (per esempio quando la possessività e la gelosia del padre diventano intollerabili). Un’adolescente può apparire orgogliosa del potere che ha sul padre o su altri uomini, ma dietro questo atteggiamento si cela un grande bisogno di affetto. Essa continuerà ad incontrare difficoltà nel dare e nel ricevere amore, anche quando magari sarà stata inserita in una famiglia diversa (ad esempio adottiva). Il fatto che tali effetti non si protraggano a lungo termine può dipendere, probabilmen33 Coordinamento nazionale dei Centri e dei Servizi di prevenzione e trattamento dell’abuso in danno di minori, Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia, in Minori Giustizia, 4, 1997, pp. 154-158 34
AA.VV., op. cit., 1986, pag. 48
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te, dalla possibilità di una diagnosi e di una terapia precoci. Uno dei caratteri più tipici dell’abuso sessuale, soprattutto intrafamiliare, è l’instaurazione e il mantenimento del segreto riguardo all’atto compiuto, che crea forti barriere nel minore sia a livello interiore, che nelle relazioni con gli altri. L’abusante costringe la vittima al silenzio con l’imbroglio e soprattutto con i bambini piccoli viene usato il discorso del gioco (“Questo è un gioco che si fa sempre tra padri e figlie, però non lo devi dire a nessuno”). Il bambino viene anche spesso ricattato e minacciato e la vittima della violenza, inoltre, per poter sopravvivere ad eventi così distruttivi mette in atto potenti meccanismi di difesa che rendono possibile quello che viene chiamato adattamento all’abuso, attraverso il quale il bambino tenta di ripararsi in qualche modo dal senso di catastrofe e di distruzione e può permettersi l’illusione che niente sia cambiato, che il suo papà sia comunque un papà buono che gli vuole bene e che la rovina che gli è caduta addosso possa essere in qualche modo tenuta sotto controllo35. Tali meccanismi patologici di adattamento partecipano al mantenimento del segreto. Il far finta di essere altrove durante gli atti abusivi (sentirsi per esempio parte del muro o un piccolo animale che guarda da un angolo della stanza quanto succede), sforzi auto-ipnotici di induzione anestetica riguardo al dolore fisico e alla sofferenza psicologica, e sforzi di non sentire rientrano nei primissimi meccanismi messi in atto dal bambino per difendersi dall’assoluta confusione, angoscia e paura che prova al termine dell’atto abusivo36. Tali reazioni sono determinate, oltre che dagli atti abusivi in sé, anche dalle circostanze in cui avviene l’abuso. Ad esempio le aggressioni notturne avvengono nell’assoluto silenzio e al buio mentre il/la bambino/a dorme, in modo 35
F. Montecchi, op. cit., 1994
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Malacrea M., Lorenzini S., Bambini abusati, Milano, Raffaello Cortina, 2003
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che ciò che avviene è contemporaneamente negato dalle stesse circostanze, che rendono più facile la negazione della realtà dei fatti da parte dell’abusante (“Hai fatto un sogno”). Il bambino e la bambina vengono premiati o perlomeno non puniti quanto più e quanto meglio riescono a mettere in atto i meccanismi di difesa, cioè quanto più riescono a tenere il segreto richiesto dall’autore della violenza, segreto che non è solo verbale ma anche emotivo e comportamentale. Infatti non sempre e non subito il bambino abusato ha comportamenti sintomatici manifesti37. Ciò non significa che il bambino e la bambina non siano danneggiati, ma che essi riescono a mantenere per un periodo più o meno lungo i meccanismi di adattamento messi in atto ai fini della sopravvivenza. Il segreto evita la punizione e tiene sotto controllo la paura di perdere i familiari o di sentirsi la causa della loro rovina. Invece, il pianto, la paura manifesta e i tentativi di ribellione portano alla punizione, scatenano la rabbia dell’abusante, aumentano i comportamenti sadici, che possono essere mascherati da atteggiamenti comprensivi e solidali. Spesso, il consolare il bambino triste, in quanto vive una situazione di violenza, è da parte dell’abusante il preludio di nuovi atti abusivi. Fattore basilare di mantenimento dell’abuso è la negazione da parte di chi abusa della realtà dei fatti, negazione che spesso persiste tenacemente anche dopo la rilevazione e l’accertamento dell’abuso, e persino di fronte a referti medici inequivocabili. Il negare degli abusanti comprende il negare di avere abusato e di avere progettato l’abuso. Infatti l’abuso non è un “raptus”: prima della messa in atto dei comportamenti abusivi ci sono dei pensieri, delle fantasie sul bambino ed una progettazione per così mettere in atto l’abuso con la ricerca delle circostanze ad esso 37
AA.VV., Il bambino maltrattato, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1981
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favorevoli. I meccanismi di negazione agiscono molto spesso anche negli altri adulti non abusanti (ad esempio nella madre connivente, che pur sospettando l’abuso non ha la forza di cambiare la situazione) e negli stessi operatori, che si possono far condizionare nelle loro attività dalla condizione economica della famiglia o dalla buona educazione impartita al bambino dalla famiglia stessa38. Le reazioni negative dell’ambiente circostante, a seguito dello svelamento dell’abuso, riportano il minore al silenzio e al segreto, lo spingono alla ritrattazione, aggravano la stigmatizzazione (la visione negativa che il bambino ha di se stesso come cattivo, colpevole, sporchi e contaminati dagli atti abusivi), aumentano il senso di vergogna e colpa che egli prova, le difficoltà relazionali, determinate dalla situazione abusiva, e portano il minore all’isolamento, confermando la convinzione di non poter condividere con nessuno la propria sofferenza, né di poter trovare in nessun luogo le risposte alla propria confusione39. Tutte queste reazioni sono dette forme di abuso secondario.
38 Petrone L., Rialti S., Prevenzione e non stigmatizzazione degli abusi sessuali nell’ infanzia, Il Bambino Sacrificato. Le diversità negate, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 1998 39 Alberto P., Un’ombra sul cuore. L’abuso sessuale: un’epidemia silenziosa, Franco Angeli, 2009
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