Anoressia rabbiosa. La ribellione muta e i sentimenti repressi

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Luciano Peirone Elena Gerardi

ANORESSIA RABBIOSA La ribellione muta e i sentimenti repressi

Prefazione

Prof. Mario Fulcheri

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Prima Edizione: 2010 ISBN 9788889845417 © 2010 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Dicembre 2010 in Italia da FastEdit srl - Acquaviva Picena (AP) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl) Edizioni Psiconline®

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INDICE

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Prefazione (Prof. Mario Fulcheri) Anoressia, identità e cura di sé: premesse metodologiche

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Il paradosso dell’abbondanza, la silenziosa ribellione del corpo e l’aggressività repressa-inespressa

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L’anoressia rabbiosa: raccontata e scritta, vissuta in prima e in terza persona, oggetto di aiuto voluto e non voluto

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Approfondimenti di teoria e tecnica psicoanalitica: per meglio conoscere, per meglio diagnosticare, per meglio curare

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Anoressia e diramazioni collaterali: vomiting, bulimia, binge eating disorder, obesità

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L’anoressia quale dipendenza: dal cibo e dalle persone, e la sua parentela con la dipendenza dalle sostanze psicoattive

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Appunti di psicologia clinica: la fatica della terapia

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Appunti di psicologia della salute: informazione e sensibilizzazione, prevenzione e sostegno

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I pesanti “buoni sentimenti”: la difficoltà nel passare dall’odio all’amore

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Bibliografia

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Note Bio-bibliografiche sugli autori

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PREFAZIONE

Dalla medicina alla psicologia clinica Nel corso di alcuni decenni gli studi e le ricerche sulla anoressia hanno visto un progressivo allargamento d’orizzonte: si è passati da una impostazione prevalentemente organicistica ad una modalità di approccio via via sempre più imperniata sugli aspetti funzionali e comportamentali, e perciò nell’ambito della psicologia clinica, in special modo nell’area psicoterapeutica dove significativo rilievo hanno rivestito i modelli paradigmatici inerenti la psicoanalisi e l’indirizzo sistemico-familiare. Lo stesso vale per quanto riguarda la lettura interpretativa del soggetto anoressico. L’originaria visione di un malato che sta morendo di fame (o corre questo rischio terminale) si è ampliata, proprio in virtù della lente psicologica che sa vedere al di là del deperimento organico e del trattamento farmacologico e dietologico. Ne è via via emersa la dimensione cognitiva (ossessioni riguardo al cibo; distorsione percettiva del proprio corpo), come pure quella affettiva e relazionale (difficoltà nel provare le giuste emozioni e nel saper instaurare i corretti rapporti umani indispensabili per costruire una identità sana; impatto con i giochi perversi di famiglie invischiate che vanno a creare il ben noto effetto del paziente designato).

Dall’igiene mentale alla salute mentale, dalla psicopatologia clinica alla psicologia della salute Ora, nel presente, si assiste ad una ulteriore diramazione: quella che fa via via emergere l’importanza di un approccio focalizzato su Edizioni Psiconline®

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RICERCHE E CONTRIBUTI IN PSICOLOGIA

cosa fare e cosa dire, ai fini di una corretta informazione, rivolta tanto ai soggetti a rischio (per lo più, come sempre, appartenenti alle tipiche fasce del disagio dell’età evolutiva) quanto a coloro che di essi si occupano (o si dovrebbero occupare), in altre parole i genitori e gli insegnanti. Al di là del fatto che rari sono i progetti realmente efficaci e soprattutto di vasta portata sociale, la scommessa per il futuro è proprio quella di riuscire a creare, mediante opportune reti informative, una sensibilità capace di educare “contro” l’anoressia. Insomma, insegnando ai vari tipi di operatori (specialisti e non) a trasmettere corretti messaggi sulla alimentazione, ma non solo come “cibo” bensì anche e soprattutto come “vissuti esperienziali connessi al cibo”, giungendo alla radice di quel disagio latente che poi corre il rischio di trasformarsi in malattia anoressica vera e propria. In definitiva, occorrono politiche di intervento per l’educazione alla salute e per la promozione della salute, in una azione di coping socio-culturale realmente operativa.

I vissuti dell’anoressico Veniamo ora al libro di Luciano Peirone ed Elena Gerardi, testo imperniato sugli aspetti fenomenologici ed interpretativi profondi della anoressia. L’accento viene posto dagli autori su una particolare dimensione di tale malattia, di tale disagio: quella dei cattivi sentimenti, per lo più rabbia, odio, irritazione. Tale chiave di lettura va a selezionare (e a comprovare con autonarrazioni e resoconti clinici), nell’ampio ventaglio delle “psicologie dinamiche”, quella di matrice kleiniana. Tale scelta viene giustificata dal fatto che proprio questa corrente ha saputo evidenziare l’importanza di certi atteggiamenti negativi, teorizzando per l’appunto la posizione schizoparanoide quale “forma mentis” imbevuta di cattiveria. I nostri autori riprendono tale contributo facendone uno strumento-chiave per illuminare la rabbia (spesso profonda ed inconscia, spesso trattenuta e fatta montare sino a poi diventare esplosiva) di chi è portatore di disturbi alimentari, soprattutto l’ano8

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ANORESSIA RABBIOSA

ressico che tale vissuto negativo sembra coltivare con particolare pervicacia. Sempre in questo libro sono inoltre riscontrabili ulteriori aspetti. Si va dal tentativo di allargare la prospettiva di lettura al conseguente bisogno di integrare varie metodiche e scuole, proprio per non rinchiudere la valutazione dell’anoressia entro confini troppo ristretti. Si sottolinea che l’anoressico conclamato, prima di diventare tale dal punto di vista organico, è già portatore di una sotterranea patologia di tipo mentale, per cui ad essere in pericolo è un numero di adolescenti ben più ampio di quel che poi si vede “ad occhio nudo” sotto forma di malati. Inoltre, proprio questa prevalenza del dato psicologico consente sia l’intervento precoce sia l’importantissima (per non dire decisiva!) azione preventiva. Anche perché la terapia (sia medica sia psicologica) dei soggetti anoressici (o sulla strada per diventare tali) risulta tutt’altro che efficace, tutt’altro che agevole: e ciò, sostengono gli autori, proprio anche a causa di questi potenti vissuti rabbiosi, i quali non permettono una sufficiente collaborazione, così come una proficua alleanza terapeutica. Vittima sofferente e ribelle impotente nello stesso momento, è il moderno anoressico. Subisce i pericolosi condizionamenti di una società dei consumi che non si fa alcuno scrupolo nel proporre/ imporre modelli e stili di vita in realtà improponibili dal punto di vista della salute. Subisce sia la pressione di genitori troppo esigenti nella “fame di successo” proiettata sui propri figli, sia le lacerazioni interiori di una psiche immatura, che si macera nella sorda e corrosiva vendetta di chi si sente “non amato” e “non capito”. Mario Fulcheri Medico, Psichiatra, Psicoterapeuta e Analista Adleriano; Professore Ordinario di Psicologia Clinica, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute, Facoltà di Psicologia, Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti-Pescara; Docente Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Facoltà di Medicina, Università degli Studi di Torino Edizioni Psiconline®

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Ringraziamenti Si ringrazia, alla memoria, Gianna Faccioli Riconda, psicologa e psicoterapeuta, per il prezioso contributo sia pratico (gestione del Centro di Ascolto Anthropos e Tutorship dei Dottori in Psicologia Tirocinanti) sia empirico-teorico (raccolta di dati clinico-sociali, nonché messa a punto di idee ed esperienze maturate assieme agli autori), in particolare sul duplice versante della sindrome anoressica e della terapia sistemico-familiare. Si ringrazia inoltre Gianni Baiotti (già Primario di Medicina Interna, Ospedale Molinette Torino; attualmente Docente dei Corsi di Medicina all’UNITRE di Torino e Collegno; relatore in numerosi Convegni inerenti l’Umanizzazione della Medicina) per il fattivo contributo nella lettura “organica” della anoressia. Si ringrazia infine Mario Fulcheri (Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti-Pescara e Università degli Studi di Torino) per la sua competente prefazione.

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ANORESSIA, IDENTITÀ E CURA DI SÉ: PREMESSE METODOLOGICHE

Dimmi quello che mangi: ti dirò chi sei. Anthelme Brillat-Savarin L’uomo è ciò che mangia. Ludwig Feuerbach Il cibo sia la tua medicina, la tua medicina sia il cibo. Ippocrate

“Anoressia rabbiosa... anoressia nervosa” Il post-moderno titolo del libro richiama, e non solo per assonanza, il classico, tradizionale termine. Ma la tradizione lascia via via il passo all’aggiornamento, e l’originaria visione medica1 si allarga sempre più, lasciando sempre più spazio e peso (!)2 alla Nel 1873 William Withey Gull ed Ernest-Charles Lasègue giungono alla identificazione della anoressia quale specifica entità nosografico-clinica: Gull parlando di “anoressia nervosa”, Laségue parlando di “anoressia isterica”. 2 Curiose variazioni di senso connesse all’odierna anoressia: mentre il 1

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visione psicologica. In effetti, nell’anoressia, di “nervi” ce ne sono ben pochi: neurologicamente parlando, l’anoressia ha ben poco a che fare con la struttura fisico-chimica del sistema nervoso centrale o periferico (neuroni, sinapsi, neurotrasmettitori, attività bioelettrica). La storica ed ancora attuale debolezza terapeutica dei “ricostituenti” e degli psicofarmaci è lì a testimoniare la “scarsa corporeità dell’anoressia” (ecco un curioso ma interessante doppio senso, un gioco di parole a ribadire l’effettivo stato delle cose). A meno che i “nervi” ed il “nervoso” vengano usati in senso metaforico: allora, correttamente, l’anoressia è spesso una malattia altamente somatica-psichica (in senso olistico: corpo+spirito), nonché altamente psico-somatica (proprio nello specifico senso di “nevrosi di conversione”: dallo spirito al corpo). A sua volta, la nevrosi di conversione richiama l’“isteria”. E anche qui, con l’“utero” in evidenza, si va metaforicamente, ma anche abbastanza realisticamente, a definire un disturbo (tipico ma non esclusivo) dei soggetti “portatori di utero”, cioè le persone di genere femminile. Non solo, ma di “nervosismo”, inteso quale “esagerazione emozionale negativa” è corretto, ancora una volta metaforicamente, parlare... D’altra parte la Metafora (e con essa il Paradosso, e la Contraddizione) fa parte del Linguaggio, e della Parola. Spesso “nervoso”, nel senso di “irascibile ed aggressivo”, è il soggetto anoressico; al punto che, a volte, esasperando tale “nervosità”, si può giungere alla rabbia e persino all’odio: sentimenti forti, anche se non sempre espressi, anche se non sempre agiti, anche se non sempre di natura pienamente conscia. Pertanto: dall’“anoressia nervosa” all’“anoressia rabbiosa”... Sviluppi di certe “frange e periferie” di una sindrome ormai endemica (endémon = nel popolo), radicata proprio in quella società che reale peso corporeo diminuisce nelle persone malate, aumenta il “peso” della componente psichica nella malattia, e di conseguenza aumenta il “peso” della psicologia quale disciplina che lavora sulla malattia.

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ANORESSIA RABBIOSA

quasi più non conosce la fame (ecco un paradosso...). Dai “nervi” alla “rabbia”... Evoluzione degli studi sulla malattia paradigmatica dei nostri tempi... tempi sempre più “arrabbiati” in una vita sempre più “facile” (ecco un altro paradosso...). D’altra parte, l’anoressia è una malattia paradossale, forse la malattia paradossale per eccellenza, nel suo mescolare le carte in modo confuso (poco chiaro, a prima vista e per il profano). Tutto lotta con/contro tutto... Ogni cosa sembra scontrarsi con ogni altra... Il corpo e la mente. Il corpo e l’anima. Il corpo e la mente e l’anima. Il soma contro la psiche (meglio: la psiche contro il soma). Il gelido pensiero e la bollente scarica verbale. L’odio (a lungo nutrito nelle fredde e desolate lande della psiche) e il bisogno (disperato) di sentimenti (dei buoni, e quindi caldi, o almeno tiepidi, sentimenti, chissà dove nascosti... nell’anima/animo? nel cuore?). Il “cibo pesato” (per quel “poco di buono” che si ritiene contenuto in esso) ed il “cibo di poco peso, cioè svalutato”. Il cibo rifiutato/odiato/rigettato fuori di sé ed il cibo che “non dà sostanza” e che invece si “sostanzia nel senso di pericolo-fuga”. La Vita contro la Morte (a volte la morte reale, altre volte, quasi sempre per la verità, la morte ideata-idealizzata, per lo più in modo inconscio). E si va avanti, sin quasi all’infinito... Questa è l’anoressia: paradosso vivente (vivente o “del morente”? almeno per chi ne è affetto; “affetto”: altro paradosso, altro calembour!)... Questo strano “malato di nervi” (femmina o maschio che sia3) Se non diversamente specificato, in questo libro viene fatto un uso neutro di termini quali “anoressico”, “malato anoressico”, “soggetto anoressico”, “bulimico”, “vomitante”, “binge eater”, “obeso”, “ánthropos”. Purtroppo, la lingua italiana (ma non è l’unica) è povera in tal senso. Lungo l’intero testo aspettiamoci sempre una elasticità nei significati, anche per quanto riguarda il genere di appartenenza. La lettura va tuttavia fatta tenendo conto che la netta maggioranza dei soggetti anoressici appartiene al genere femminile: pressappoco 1 maschio a fronte di 9 femmine. Tale squilibrio statistico ha valide ragioni. Evidenziamone almeno due. Bellezza, seduzione, e corporeità sono più femminili che maschili. L’oggetto primario (madre) è femminile, per cui lo “sviluppo” anoressico (patologico) è

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è in effetti “un fascio di nervi”, un “corpo tutto nervi” tenuto su (sostenuto!) da una feroce volontà (nel dimagrire, nel faticare in palestra sino allo stremo delle forze, nello studiare, nel polemizzare senza sosta). Psiche, soma, cibo: in (potenzialmente, tendenzialmente) perenne conflitto fra loro... così come il grasso, l’unto, il bagnato, l’umido, il vischioso, l’umorale contrastati dal feroce bisogno di rigidità (freddezza e durezza) e secchezza... Così come il bellicoso scontro fra il morbido-polposo-prosperoso Seno (che richiama tanto la Madre quanto l’Éros) e le pungenti ossa che respingono ogni abbraccio (da quello tenero e affettuoso a quello voglioso e passionale)... Così come il Femminile che si nega al Maschile (suo logico e naturale complemento-completamento)...

Un corpo rannicchiato Quale corpo per il soggetto anoressico?4 Il corpo è, sostanzialmente, quello raffigurato nella copertina di questo libro: il più delle volte femminile, nemmeno tanto magro e malato, però sicuramente “racchiuso in se stesso”. Nasconde la testa, nasconde il volto, a difesa di un’anima al tempo stesso fragilissima e aggressiva. Prigioniero di se stesso, questo corpo è contratto nonché ripiegato in un piccolo spazio: è il piccolo mondo interiore di un essere che non trova posto nel mondo esteriore (e, tendenzialmente, non vuole trovarlo). Un “essere” che non ce la fa a diventare un “Essere”. più frequente nelle figlie (stesso genere della madre), mentre lo sviluppo omosessuale (sia quello sano sia quello problematico) è più frequente nei figli maschi (differente genere rispetto alla madre). In ogni caso, più femmine anoressiche che maschi anoressici: nove volte di più! Non è questo un dato sorprendente? Ma forse la psicologia del profondo riesce a spiegarlo… e con essa la sociologia e l’antropologia culturale… 4 Sul corpo e sulle sue problematiche esistenziali/patologiche, si consultino i seguenti lavori: Pasini (1982); Galimberti (1983); Ripa di Meana (2001); Marzano (2007); Foucault (2009).

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Anoressia: mangiare, essere, curare… Se per Ludwig Feuerbach (filosofo, 1804-1872) “L’uomo è ciò che mangia”, allora l’essere umano è ciò che inghiotte e divora, nutrendosene. Se ciò che si porta dentro determina l’identità, allora il cibo è soggetto a una duplice “intro-iezione”. Si “getta” dentro il nutrimento, tanto per il corpo quanto per lo spirito. Il Mangiare converge con l’Essere. Da qui il cibo quale fondamento del Sé. Con il suo detto “Dimmi quello che mangi: ti dirò chi sei” Anthelme Brillat-Savarin (gastronomo, 1755-1826, autore, nel 1825, de La fisiologia del gusto) conferma l’aspetto identificativo. Per cui, l’atto del mangiare risulta meno semplice, meno banale di quanto possa apparire a prima vista. L’oggetto mangiato permette di conoscere il soggetto mangiante. Inoltre, conta non solo “quello”, cioè “cosa”, ma anche “come” e “quanto” si mangia. E ancora, estendendo il significato dell’aforisma, il cibo è non solo “gusto e piacere per il palato” ma anche “gusto e piacere per la vita”, anche “salute e benessere in toto”. Da qui il cibo quale diagnosi. Non a caso, pertanto, ben prima dei due esperti citati, Ippocrate di Cos (medico, 460-377 a. C.) prescriveva “Il cibo sia la tua medicina, la tua medicina sia il cibo”. Da qui il cibo quale trattamento e prevenzione, quale terapia e profilassi. Alla luce di queste massime, che senso ha l’anoressia? Soprattutto quella rabbiosa?

L’anoressia: faccenda complicata Siamo ben lungi dal mero fatto alimentare, dal mero dato nutrizionale, dalla mera impostazione organicistica… Da un punto di vista metodologico, e prettamente epistemologico, il presente libro è stato scritto nella popperiana ottica del “trial and error”, ovvero nella precisa consapevolezza di procedere per tentativi imparando dagli errori (e dalle oggettive difficoltà dei problemi): e l’anoressia è uno di quei problemi... (come si suol dire: “Che te lo raccomando!”). Edizioni Psiconline®

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L’obiettivo principale degli autori risiede nel “come appare” l’anoressia (e soprattutto un certo tipo di anoressia): in dettaglio, come si manifesta, come si evidenzia, che “cos’è” l’anoressia paranoide-rabbiosa nelle sue dimensioni fenomenologiche (ed esistenziali), per cui nell’opera prevale il metodo della osservazione-descrizione. Risiede inoltre nel “come non appare”, intendendo la faccia nascosta del pianeta anoressia, nascosta in quanto profonda, perché “sta dietro (le quinte) e all’indietro (nel tempo)”: in dettaglio, cosa e come bisogna capire, per cui nell’opera prevale anche il metodo interpretativo, basato per l’appunto sulla “Deutung”. Coniugando pertanto fenomenologia ed eziopatogenesi, in ultima analisi il fuoco del libro risiede nell’intento diagnostico più ancora che nella finalità curativa. Se la questione anoressia è complicata, per agire bene (cioè in modo efficace ed utile) bisogna prima aver “letto e capito” bene (cioè aver conosciuto… e conoscere implica un impegno in termini di verità).

Metodi conoscitivi per un problema complesso Dal punto di vista epistemologico generale, si tratta di inquadrare qualsivoglia problema mediante gli strumenti sotto indicati: • Definire • Osservare • Descrivere • Spiegare • Prevedere • Interpretare • Comprendere In particolare, per quanto attiene l’anoressia rabbioso-paranoide, sono di particolare pregnanza la descrizione (dei fatti), la spiegazione (collegare gli effetti alle cause) e l’interpretazione (attribuire significati): senza questi punti nodali, il lavoro clinico risulta impoverito. Last but not least, al fine di “capire” risulta fondamentale 16

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la capacità di ascolto da parte di chi aiuta: sia sul versante conscio (colloquio manifesto) sia sul versante inconscio (livello latente; empatia profonda; analisi del transfert e del controtransfert). In ogni caso, il tutto va eseguito sempre tenendo conto delle difficoltà, delle resistenze, delle non-collaborazioni: insomma, senza lasciarsi fuorviare dalle “falsità” occultanti la “verità”. Dal punto di vista storico-teorico degli autori, questo volume costituisce il frutto di informazioni raccolte e riflessioni elaborate in merito alla “sindrome anoressica”. Esso è il risultato di oltre trentacinque anni di professione psicologica, lavoro attuato secondo il consolidato principio metodologico “intervento e ricerca, pratica e teoria”, nonché lavoro applicato alla “conoscenza ad ampio raggio dell’essere umano” (e quindi ben oltre la nicchia dell’anoressia). Ciò spiega lo stile espositivo5, volutamente non manualistico, e certe incursioni in settori collaterali alla tradizionale area clinica, settori Nel testo sottoposto all’attenzione del lettore la scrittura risulta a volte un po’ particolare, parallela o addirittura divergente rispetto a quella tecnica, tradizionalmente usata in medicina e psicologia quando viene trattato il tema anoressico. In effetti la sintattica e la semantica ogni tanto “sbordano”, un po’ ad imitazione della famosa “fisarmonica” tipica dei disturbi del comportamento alimentare. E c’è pure un uso massiccio delle virgolette, del grassetto, del corsivo, del tratto di separazione, delle barre di alternativa, delle ridondanze (solo apparenti: in realtà “continue variazioni sul tema e relativi approfondimenti”). E ancora, si abbonda con l’etimologia, con le similitudini, con le metafore, con i simboli, con il ragionamento analogico, con il linguaggio non-scientifico, con i modi di dire e le espressioni gergali, con la parlata giovanile. E infine, c’è l’uso del dialogo quotidiano (parole), del monologo interiore (pensieri), per cercare di rendere più comprensibili alcuni aspetti particolarmente “forti” della anoressia, per “dare corpo” a ciò che corpo non ha (meglio: ne ha molto poco). Talvolta leggero e talaltra pesante, lo stile della scrittura cerca di aiutare colui che legge, sia pure “costringendolo” a continue riflessioni. Certe intenzionali “arzigogolature” del testo rispondono al preciso scopo di far meglio comprendere la straordinaria complessità dell’universo anoressico, non di rado assai simile a tale “modus calami”. Perdoni il lettore queste difficoltà, didatticamente volute dagli autori.

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che tuttavia, in un modo o nell’altro, risultano interconnessi con i disturbi del comportamento alimentare, in particolare alla “mancanza di appetito”, intesa a sua volta nell’ottica della teoria della complessità.

La personalità anoressica: quale motore? Proprio in quanto fenomeno psicopatologico complesso ed abbastanza estremo (comportante/evocante la morte fisica; situato al confine fra nevrosi e psicosi, con innegabili irruzioni di “momenti folli”, quanto meno para-deliranti; configurato talvolta quale disturbo della personalità), l’anoressia risulta fortemente problematica, sia in senso diagnostico sia, ed ancor più, in senso terapeutico. Indipendentemente dal peso, poco o giusto che sia, l’anoressico è tale “dentro”: psicoanaliticamente parlando, lo è (anoressico) nel “mondo interno”. Insomma, gli manca l’appetito e, come si suol dire, “scusate se è poco”: si è di fronte alla negazione della vita… Senza cibo si muore: il messaggio è chiarissimo e durissimo, sia in senso concreto sia in senso simbolico. Il che lascia trasparire, in modo abbastanza evidente, sia la gravità sia la profondità dinamica sia la dimensione inconscia sia la primitività/precocità della malattia6. Ciò che conta, in ultima analisi, per una corretta diagnosi, è la valutazione della personalità, soprattutto in funzione della categoria nosografica “anoressia rabbiosa”. Infatti, si possono paradossalmente avere (e sono frequenti) anche soggetti fisicamente sani, col giusto peso, ma con un trend anoressico di tipo mentale (e soprattutto emozionale), accompagnato talvolta da un potente motore “rabbioso”; anche se, scavando opportunamente (cioè andando in profondità con l’approccio dinamico-analitico), proprio la rabbia, forse, secondo l’ipotesi degli scriventi, sembrerebbe costituire il minimo comun denominatore di tutte le anoressie, di tutti gli stadi di cui essa si compone. Come anche si fa strada, sia pure a stento ma in tutte le sue implicazioni, la junghiana Ombra, oscura e profonda.

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ANORESSIA RABBIOSA

Navigando nell’arcipelago anoressico Ecco perché in questo volume le narrazioni esistenziali, le interviste, i colloqui paziente-terapeuta e gli schematici resoconti di casi clinici fanno da sfondo alle teorizzazioni psicoanalitiche su alcune profonde e nascoste dimensioni, in particolare il “nucleo duro e paranoide” del disturbo anoressico. Ecco perché questo contributo focale - la rabbiosità anoressica (Peirone e Gerardi, 2009a e 2009b) - si rivolge a tante persone che, pur a contatto con il problema anoressico, potrebbero non coglierne certi aspetti. L’ingannevole faccia dell’anoressico sfortunato e “buono” non di rado tende a sviare sia gli operatori/ricercatori del settore (medici di base, dietologi, psicoterapeuti, endocrinologi, psichiatri, psicologi della salute, laureandi, specializzandi, studiosi del problema) sia i genitori, i familiari, gli insegnanti. Ecco perché questo libro - cercando di riequilibrare la letteratura, per larga parte sbilanciata sul versante terapeutico e molto meno attenta al versante descrittivo-diagnostico (e quindi metodologico di ricerca clinica) - è finalizzato ad approfondire la conoscenza (dati di fatto sul fenomeno e sulle cause) di quella che è al tempo stesso malattia, malessere, disagio, problema. Ecco perché il volume, nonostante alcune indicazioni sulla tecnica psicoterapeutica, insiste di più sulla componente “indagare e comprendere”: se per l’anoressia la pratica è così non poco zoppicante, risulta doveroso arricchire la teoria, il che richiede una maggiore attenzione metodologica (sia generale sia specifica). Ecco perché il contributo specifico (la mancanza di appetito7 Non si dimentichi che “anoressia” significa, letteralmente, “mancanza di appetito” e non “dimagrimento-deperimento”, per cui buona parte della scienza che se ne è occupata si è spesso lasciata fuorviare dal sintomo più eclatante (che è fisico: assenza di cibo e presenza di morte), quasi dimenticando il sintomo etimologico (che è psichico: assenza di fame e di sete) costitutivo del nocciolo della malattia. La quale malattia, almeno linguisticamente (e proprio per la medicina organica!), è invece un disturbo della funzione (“il paziente non mangia”) e non dell’organo (“la causa è strutturale”). Stranezze concettuali e metodologiche della scienza... di una

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quale espressione visibile di un invisibile odio rabbioso) si inscrive comunque in un metodo di fondo che sottolinea la mentalità anoressica ancor più della corporeità anoressica. Infatti, tale metodo coniuga l’analisi e l’intervento sulla malattia con le buone pratiche incentrate sulla costruzione del benessere: a riprova che i beneficiari dell’aiuto sono tanto i malati conclamati quanto la ben più vasta categoria dei soggetti a rischio, che non sono anoressici in senso stretto ma potrebbero diventarlo in quanto esposti a numerosi risk factors. Da qui l’accento posto sulla estrema importanza della prevenzione: se non si comprendono i significati minimali del concetto di anoressia (cioè quando il problema è appena accennato organicamente, o presente solo psicologicamente, o addirittura del tutto assente ma potenzialmente attivabile), non si riesce a comprendere il significato della prevenzione. In conclusione, lavorando nella particolare ottica che è stata illustrata, questo testo di meta-analisi e supervisione si pone un triplice obiettivo, uno di ordine generale e due di ordine specifico: 1. fornire un ulteriore contributo ad ampio respiro, lungo la chiave di lettura incentrata sull’approccio eclettico-integrato; 2. allargare il tema della anoressia oltre il tradizionale settore della psicopatologia clinica, per sfociare nelle feconde prospettive suggerite dalla psicologia della salute; 3. evidenziare e approfondire alcuni aspetti intrapsichici inconsci talvolta “presi sotto gamba” o addirittura trascurati nella difficile valutazione e nella faticosa cura del malato di anoressia.

scienza fallace di fronte ad un problema che, per certi versi, è un autentico rebus… Ma forse è persin giusto così: l’Anoressia è un gioco enigmistico, un calembour, un indovinello degno della Sfinge, un mitico Labirinto nel quale ci si perde. Sta forse qui il mistero della sua genesi? Sta forse qui il mistero della sua difficoltosa terapia?

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IL PARADOSSO DELL’ABBONDANZA, LA SILENZIOSA RIBELLIONE DEL CORPO E L’AGGRESSIVITÀ REPRESSA- INESPRESSA

La società opulenta e gli individui (in-)sofferenti La “affluent society” - dove (quasi) tutto è “in più”, ovviamente superfluo (e quindi inutile, senza senso, senza valori) - è, senza ombra di dubbio, malata di overdose8 (sovradosaggio in ogni settore: da quello economico a quello della ossessiva ricerca della immagine e della fitness; con massiccia disforia in senso maniacale, con esagerati toni dell’umore, che svelano la ben occultata isteria di fondo). La “grassa e crassa” società, raffinata e grossolana al tempo stesso… la società dei consumi… che tutto consuma, anche le persone, anche i loro corpi (sfruttandoli, smagrendoli, curandoli se magri, curandoli se grassi)… Una società improntata all’abbondanza, una esagerata/esasperata abbondanza…9 Non a caso la droga impera, nella società del “ridondante”, nella cultura dell’“eccessivo”. 9 In tutta questa opulenza socio-economica (cibo senza limiti; automobili, vestiti, denaro, almeno nei desideri, sulla stessa linea) non stupisce che la parola “dieta” veda i suoi vari possibili significati ridotti ad uno solo: “dimagrante”. Interessante questo mito moderno: nell’immaginario collettivo del cittadino occidentale la dieta ricostituente-ingrassante non viene neppure presa in considerazione. In tal modo vengono confermati certi massicci processi di rimozione/negazione e superficialità/indifferenza che la rappresentazione collettiva dominante esercita di fronte al rischio, al dramma, alla tragedia della anoressia. Figli che soffrono e genitori che non vogliono vedere, non vogliono sapere, non vogliono capire… 8

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Immerso in questo strano flusso, cosa è il corpo anoressico? Apparente corpo estraneo, apparente corpo in sintonia… Smisuratamente magro in una grassa società: un po’ integrazione, un po’ denuncia. E la persona? Il suo vissuto (prigioniero di questo strano corpo), come si colloca? Com’è, dentro di sé, l’anoressico? Sofferente? Non sempre. Insofferente? Sempre. Insofferente a se stesso, alla famiglia, alle relazioni affettive. Talvolta, pure con ragione, insofferente (anche se con scarsa consapevolezza) alla opulenza della società dei consumi (Palazzoli Selvini, 1985), dei consumi in sovrappiù e ragionevolmente senza utilità. Insofferente al “troppo” che lo circonda. Ma si ferma lì, a protestare con il corpo autolesionistico invece che con le parole e le azioni costruttive. L’anoressico, con la propria penuria (fisica: non sempre esistente; emozionale-sentimentale: sempre esistente), con la propria nonabbondanza, è al tempo stesso l’altra faccia della società abbondante. Ne è anche la cattiva coscienza, ne è la critica, ne è (talvolta) la vittima, la logica vittima di un sistema di vita “esagerato”. L’anoressico tende a “svanire”, a rendersi invisibile: ma, se esagera, il suo corpo macilento lo rende visibile. Se invece il suo corpo resta ancora sano, è la sua psiche a “svanire”, rivoltandosi contro una società troppo visibile: però, ancora una volta, egli diventa visibile attraverso la propria anima impoverita. Vittima e ribelle al tempo stesso. Ad ogni modo, lieve o grave che sia, egli resta un malato, un malato ostinato.

Una lenta, invisibile progressione/regressione Progressione… senza progresso; anzi, regressione. Andare avanti per tornare indietro… Evoluzione patologica. Involuzione patologica. L’anoressia è un percorso lento. Il più delle volte comincia con una dieta innocente, con il pretesto di perdere un po’ di peso. Appa22

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ANORESSIA RABBIOSA

rentemente nulla di allarmante. Poi qualcosa va storto e inizia un progressivo, rischiosissimo rifiuto del cibo. Tornare indietro è difficile, in alcuni casi è fatalmente impossibile. Mille condizionamenti ci hanno abituati a considerare il corpo magro come sinonimo di bellezza assoluta. Lottando contro l’appetito si perdono i chili in più. Ma talvolta il dimagrimento diventa un’ossessione, l’obiettivo da raggiungere ad ogni costo. L’anoressia esprime anche la volontà di andare contro le imposizioni familiari (e della società), è l’estremo tentativo degli adolescenti di rifiutare le intrusioni operate nel loro spazio, nel loro spazio ultra-privato, ultra-protetto, il cosiddetto “giardino segreto” (Ordine degli Psicologi del Piemonte, 2009). Non si deve arrivare sino a questo punto: non mangiare, non avere voglia di mangiare, allo scopo di difendere la propria privacy. Parliamone, parliamoci. Prevenire l’anoressia è possibile, attraverso un impegno comune: da parte dei genitori cercando di capire realmente i figli, da parte dei figli nel farsi capire. Di fronte a tante trascuratezze socio-familiari, oltre che individuali, occorre, veramente, saperne di più… “LASCIATEMI ESISTERE...”. Questo è il “grido di dolore” (misto a rabbia ed impotente rivolta) che ogni tanto proviene da adolescenti, giovani, ed anche bambini. Proviene quindi da tutte le fasce cronologiche che compongono l’intera età evolutiva! “Let me be”, dice Crisp (1980). Essere a modo mio (questo può costituire la legittima richiesta di una giusta identità, ma anche una illegittima richiesta inficiata dalla maniacalità giovanile). Essere in un modo adatto alla mia età (questo va sicuramente bene). Soprattutto agli adolescenti (ed ai giovani, talvolta eterni adolescenti, eterni Peter Pan che non vogliono, e spesso non possono, crescere; ed ai bambini, talvolta trattati da “piccoli adulti”, che adulti non possono essere in una società troppo articolata e complessa) viene richiesto/imposto molto, troppo. Ai ragazzi viene chiesto troppo: di essere efficienti, di essere sempre i primi (oggi nello studio e nello sport, domani sul lavoro); viene loro “ordinato” addirittura Edizioni Psiconline®

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di essere belli. Ma, da parte loro, non di rado, c’è un modo muto e oscuro per rifiutare questa logica. È una ribellione silenziosa, è un male strisciante: è l’anoressia. Il disagio di chi sta crescendo (con fatica) è comprensibile, ma il “rimedio” è sbagliato. La risposta è sbagliata.

Il corpo immobile, inflessibile Il corpo anoressico, sostanzialmente, non cammina. Fermo, o quasi. Burattinesco, nei suoi scatti. Marionetta quasi priva di vita, mossa da fili invisibili, spesso i “propri” fili. Burattinaio di se stesso. Questa immobilità esasperata è ovviamente visibile negli stadi gravi e gravissimi (a volte terminali). In realtà, se si guarda con attenzione, essa può venire intra-vista anche in un corpo “normale” che però contiene dentro di sé una psiche anoressica. L’immobilità è più un fatto mentale che fisico. L’anoressico è inflessibile: non si piega, si spezza. Nella sua durezza di fondo (che esiste ben prima che divenga somatica), l’anoressico è un soggetto non-collaborativo. Anzi, di più: non di rado è un autentico ribelle. Il corpo anoressico risulta prigioniero di una ribellione zoppicante e sordastra, sostanzialmente cieca e soprattutto muta. Priva di voce: meglio, con voce flebile e lamentosa, che chiede, che implora pietistica attenzione, per poi, a volte, improvvisamente, inaspettatamente, “rivoltarsi”, rigirarsi contro, contro tutti, anche contro chi gli abbia teso la mano (o un “tozzo di pane”, comunque espresso, comunque concretizzato). Ma è una semplice rivolta, e nient’altro. Sono meri disordini (per l’appunto “dis-ordini”: contro la Regola, contro la Norma, non importa quale). Non è autentica rivoluzione. È uno sterile psicodramma (ovviamente non terapeutico, ovviamente naïf, infantile e lagnoso, ma non per questo esente da un tagliente, per l’appunto sottile ed acuminato, significato a sfondo aggressivo, che ogni tanto dà luogo ad un acting out, ad una operatività concretamente distruttiva). 24

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È un corpo “oppresso”, schiacciato da se stesso. Si direbbe, assurdamente, spianato a terra dal proprio peso, se non fosse che di peso ce n’è ben poco… Oppresso soprattutto dall’immane pesantore di fantasmi “intrisi, inzuppati, imbibiti” (ancora termini “alimentari”!) di un liquido verdastro (non si dice forse “verde dalla rabbia”?) che stagna e ribolle: una poltiglia, sgradevole mistura di aggressività e odio, che non fatica nel far ricordare certe sequenze da film dell’orrore. Con un fisico siffatto, con uno spirito siffatto, l’anoressico (quello grave o anche solo il soggetto “in via di, in odore di anoressia”) è tendenzialmente incapace di aprire il corpo e l’anima ai salutari affetti.

Silenziosa ribellione corporea Accanto ai contenuti negativi sopra descritti, si può anche, talvolta, intra-vedere una componente positiva. Sterile anch’essa, ma per certi versi positiva: almeno nel senso che la colpa, l’errore, stanno fuori, provengono dall’esterno. È la società, l’attuale “strabordante, obesa” società occidentale, che vuole, che impone il modello “magro-anoressico”: ennesima variante, forse quella massima, del grande paradosso di una civiltà che “vive di isteria”, pure avendola ben celata utilizzando mille dispersivi rivoli (dalle tante somatizzazioni alla maniacalità estetica, dagli attacchi di panico alle disfunzioni sessuali, dalla competitività fisicamente aggressiva alla esibizione-sfruttamento del corpo). E l’individuo, passivamente, si adegua. Il suo corpo (corpo individuale schiacciato dal corpo sociale) si adegua: si adegua e si ribella a suon di disagio/malessere/malattia, mentre la sua mente si fa taciturna… Il corpo urla e strepita e denuncia, mentre la ribellione è implicita e silente (Peirone e Gerardi, 2009a).

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L’esasperazione del rifiuto Ribellarsi, malamente; rivoltarsi, malamente. Il rifiuto, grezzo e mal posto, sembra essere alla base del disagio infantile-adolescenziale-giovanile. La nostra civiltà, la civiltà del “disagio tout court”, si esprime in gran parte mediante somatizzazioni, visto che la mente appare incapace di parlare (e protestare nel modo giusto). E la più vistosa somatizzazione attuale è costituita dal trend anoressico. La civiltà che abbiamo costruito è contraddittoria e paradossale: per certi versi, bulimica e obesa nell’area materiale, anoressica nell’area immateriale. Al tempo stesso ricca e povera, troppo forte e troppo fragile. Poderosi macchinari tecnici si sono affiancati ad un essere umano sempre più incerto e con difese psichiche in precario equilibrio. Ora, dal grande passiamo al piccolo, dal macroscopico ritorniamo al microscopico, dalla civiltà (?!) scivoliamo verso l’individuo, dalla sociologia rimbalziamo alla psicopatologia. La distorta immagine di sé; l’ossessivo autocontrollo sul corpo, sul suo peso, sul cibo da (non) inghiottire ed eventualmente vomitare; i vissuti ansioso-depressivi, i conflitti interpersonali, i disturbi sessuali e della vita affettiva in generale, il cattivo uso dell’intelligenza, la patologica strumentalizzazione della precisione e di certi ideali di irrealistico perfezionismo. Ecco, in sintesi, l’essenziale quadro (immagine e cornice) di riferimento della anoressia, un autentico paradosso per la “abbondante” civiltà occidentale. Ma c’è dell’altro: il lato più oscuro del rifiuto del cibo. Sottile, quasi invisibile, accanto e dietro al sintomo fisico si muove una ridda di pensieri e soprattutto di fantasmi inconsci, imbevuti (sic! “bevuti”: altro riferimento alimentare…) di immaturità e insicurezza, dipendenza e invidia, menzogna e manipolazione, ribellione e cattiveria. Fredda, dura, paranoide: questa è la sintesi della anoressia rabbiosa. 26

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Nella anoressia esiste sofferenza, ma essa è spesso ben celata dietro accurate difese. Esiste malattia, ma essa è quasi sempre negata/nascosta dal “portatore di malattia”. Con sofisticate scuse e razionalizzazioni l’anoressico mente agli altri, in primis a se stesso.

Verso l’inedia Per il soggetto anoressico, marcatamente se femmina, il quotidiano “ideale regolativo” (cioè l’obiettivo massimo possibile) sembra essere proprio l’inedia: un lungo digiuno con conseguente deperimento organico, accompagnato da apatia (insensibilità, mancanza di pathos/passione) e abulia (mancanza di volontà, assenza di forza di reazione). Ma cosa c’è dietro la “fame negata”, dietro il rifiuto del cibo e della società, dietro il polemico (anche se poco chiaro) atteggiamento scostante (“che discosta da sé”), dietro il “freno a mano tirato” nei confronti della “bontà/benevolenza” umana?

Usi impropri dell’aggressività: reprimerla, non esprimerla, farla esplodere “TOGLIETE IL MIO POSTO A TAVOLA!” è il comando (al tempo stesso supplichevole e patetico, gelido e ricattatorio) che ben esemplifica, in modo paradigmatico, il desiderio di controllo sul cibo e sull’ambiente familiare-relazionale, nonché i sentimenti negativi, a lungo covati e tenuti celati, che talvolta esplodono in una “cascata di rabbia”, finalmente visibile, la quale mette a nudo il “cuore” (se così, paradossalmente, si può dire...) del dimagrimento assurto a “religione personale”. Emerge in tal modo una particolare dimensione della personalità del soggetto anoressico, il quale è perennemente in lotta: combattuto fra una spinta all’auto-affermazione ed una muta-sorda inconcludente rivolta nei confronti del mondo; combattuto fra un salutare bisogno di aprire il corpo e l’anima ai giusti sentimenti ed una repressa-inespressa aggressività tendenzialmente gonfiata sino al Edizioni Psiconline®

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polo estremo dell’odio freddamente “ruminativo”. Ed emerge la preoccupante sottile connessione fra una società sempre più astratta ed un corpo che tende al “virtuale” e ad una progressiva esagerata “mentalizzazione”10.

10 È un caso, oppure no, il convergere di una “patogena cultura individuale anoressica e dimagrante” con una “sociale visione del mondo” dove il corpo è sempre più spesso oggetto di serrata indagine e pragmatico rifacimento estetico-chirurgico (cosmesi, bisturi), nonché oggetto di visione medica dall’interno (radiografia, ecografia, TAC, RMN, PET, e quindi bio-imaging)? Su questo “corpo incerto” Ortega (2008) traccia i limiti e i rischi di una traballante costruzione della soggettività (e quindi dell’identità). Tornando al tema del presente libro: nell’era post-moderna, come fa il trasparente corpo anoressico a non essere strettamente imparentato con la tecnica, con la medicina, con la cultura, con l’arte? Individuo, società e corpo sono forse un tutt’uno: la pelle tipo “carta velina” dell’anoressico grave risulta mentale e virtuale esattamente come il mondo interno (organi del corpo tenuti assieme da una simile trasparenza) e come il mondo esterno (ambiente umano-sociale ed information technology).

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