Stress & Performance Atletica

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Punti di Vista

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Cesare Picco

Stress & Performance Atletica

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Prima Edizione: 2017 ISBN 9788899566135 © 2017 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di settembre 2017 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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INDICE

PREFAZIONE

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INTRODUZIONE

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CAPITOLO PRIMO - PREMESSE TEORICHE 1. Lo stress: una definizione 2. Terminologia legata allo stress 3. La Sindrome Generale di Adattamento 4. Il quadro clinico-sintomatologico legato allo stress 5. L’altro lato dello Stress: la resilienza 6. L’esperienza ottimale: il Flow

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CAPITOLO SECONDO - STRESS E PERFORMANCE SPORTIVA 1. Livelli di Stress e Performance sportiva 2. Quanto sono stressato? 3. Il corpo come un’orchestra 4. Come ridurre il livello di stress? 5. La sindrome del burn-out sportivo 6. Stress e overtraining 7. Stress e infortuni 8. Stress e alimentazione

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PUNTI DI VISTA

CAPITOLO TERZO - STRESS E TIPOLOGIE ATLETICHE 1. L’atleta con il motore a benzina 2. L’atleta con il motore a gas 3. L’atleta con il motore a diesel 4. Motori a funzionamento misto

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CAPITOLO QUARTO - STRESS, SPORT E PERSONALITÀ 1. Autoefficacia 2. Ansia di tratto 3. Vigoria psicologica 4. Locus of control 5. Personalità di tipo A e B 6. Sensation Seeking 7. Alessitimia 8. Perfezionismo 9. Ottimismo 10. Apertura sociale 11. Senso di coerenza 12. Affettività negativa 13. Personalità autotelica 14. Self-handicapping 15. Paura di vincere

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CAPITOLO QUINTO - CONCLUSIONI E CONSIDERAZIONI 1. Fissità e variabilità delle curve 2. L’importanza del modello SP e prospettive future

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BIBLIOGRAFIA

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FINALI

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There’s nothing so pratical as a good theory Kurt Lewin

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PREFAZIONE

Un giorno di primavera del 2015 il mio telefono suona e ricevo un messaggio. Cesare mi chiede se mi piacerebbe partecipare ad un blog sulla psicologia sportiva. Pochi giorni dopo eccoci davanti a una birra a confrontarci su come procedere. Piano piano le idee nebulose e confuse si chiariscono, pensiamo agli argomenti più adatti, a quali articoli proporre, e in un paio di mesi eccoci attivi con il nostro “Psiche&Sport”. Il mio 2015 sportivo non è però positivo. Dopo le ottime prestazioni di livello mondiale dell’anno precedente, mi alleno con maggior impegno, non mi risparmio mai, ma la stagione mi regala pochi successi e molte delusioni, tra cui il Mondiale di Ultratrail di Annecy, dove, pur arrivando al top della forma, qualcosa non va e faccio una pessima gara. Nel tentativo di recuperare nei successivi appuntamenti importanti, mi alleno ancora di più, ma questo non fa che stressarmi ulteriormente, e unito ad un pessimo periodo lavorativo, arrivo alle gare prosciugato, collezionando delusioni, o ancora peggio, ritiri. Psiche&Sport però va sempre meglio, oltre le nostre aspettative, e in inverno, nel ricostruire i cocci fisici e motivazionali per la mia nuova stagione sportiva, trovo molto aiuto nelle interviste a grandi atleti e negli articoli di Cesare sulla psicologia applicata allo sport che appaiono sul blog. In particolare è proprio l’arti9

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colo sulla relazione tra stress e attività sportiva a colpirmi di più. Arriva marzo 2016, Cesare è invitato a parlare di questo aspetto all’evento promozionale che precede il Firenze Urban Trail. Colgo l’occasione per capire in modo più approfondito l’argomento, parlandone proprio con Cesare lungo il tragitto di ritorno in auto. Aspetti che prima avevo tralasciato, mi sono ora chiari. Già conoscevo la curva che associa il livello di stress alle performance sportive, ma in modo semplice e “classico”. Non sapevo che ognuno ha bisogno di un diverso livello di stress per essere più efficiente. Rifletto, ripenso alle mie gare più performanti, a quando riesco a lavorare al meglio, oppure a quando, scrivendo, un’altra mia passione, le parole escono dalla “penna” in maniera più efficace. Individuo la mia personale curva dello stress e conosco meglio me stesso. Non rimane che applicare questa consapevolezza alla mia capacità di resa, per meglio gestire allenamenti e gare, nonché, naturalmente, la mia vita privata e il lavoro. Dalla primavera del 2016, seppur con fisiologici alti e bassi per un’attività esigente come l’ultratrail, riesco a tornare ai miei buoni livelli sportivi e scopro di riuscire a coniugare al meglio i miei molti interessi, con diverse soddisfazioni personali. Conoscere come funziona la curva dello stress a livello generale e capire come funziona sulla propria persona non può che portare vantaggi. Uno sportivo deve convivere con lo stress in ogni momento, è risaputo, ma non deve solamente saperlo sopportare: d’ora in poi, grazie a questo libro, potrà riuscire a percepirlo e a gestirlo in modo migliore, per poter agire di conseguenza e sfruttarlo a proprio vantaggio. Stefano Ruzza (Ultratrailer, due volte campione italiano) 10

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Il movimento costituisce un vero bisogno della società contemporanea e attraverso la sua pratica regolare e costante l’essere umano trae una lunga serie di benefici psico-fisici, ma non solo, la passione e il coinvolgimento che derivano dalla pratica dell’attività fisica, spesso spingono la persona a dedicarsi ad una vera e propria attività sportiva. Praticare uno sport ha un significato diverso rispetto all’esecuzione di una semplice attività fisica perché prevede la necessità di sottoporsi a delle regole e ad accettare la competizione con se stessi o con gli avversari; il concetto di agonismo diventa quindi prioritario nei confronti dell’attività fisica praticata e prevede da parte dell’atleta un impegno e una dedizione per cercare di ottenere i migliori risultati nel rispetto delle proprie possibilità. Ho voluto fare questa premessa per sottolineare la indissolubile correlazione tra la pratica sportiva e la volontà da parte dell’atleta di esprimere al meglio le proprie prestazioni, che sono sempre condizionate da fattori fisici e mentali. A livello fisico un atleta esprime un potenziale che è frutto del proprio patrimonio genetico e della sua evoluzione motoria e in quest’ottica i limiti prestativi sono costituiti dalla capacità di sopportare determinati carichi di lavoro e dalla accortezza di adottare una metodologia di allenamento efficace. 11

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Dal punto di vista mentale invece, entrano in gioco tutta una serie di parametri in grado di ottimizzare ed esaltare le performance fisiche oppure di inibirle e limitarle. Da molti anni mi occupo di allenamento sportivo, con atleti di alto livello e atleti amatoriali, e nella mia esperienza personale ho sempre trovato nella gestione emozionale e psicologica dell’atleta uno dei punti cardini della riuscita della performance sportiva. In molte situazioni anche un coach esperto trova difficoltà a penetrare nel cervello dell’atleta e talvolta, questo tentativo di accesso, risulta essere addirittura controproducente nei confronti del rendimento. Sono profondamente convinto che nella maggior parte dei casi gli aspetti mentali influiscano in maniera enorme nei confronti del rendimento sportivo e solo attraverso la loro ottimizzazione l’atleta possa riuscire ad esprimere il proprio totale valore e per questo motivo gli allenatori, e gli atleti di qualsiasi livello, che vogliano cercare di esprimere al meglio il loro potenziale, debbano guardare con attenzione alla psicologia sportiva e all’opportunità di collaborare con uno specialista. Fulvio Massa (Preparatore e fisioterapista, autore di numerose pubblicazioni e membro dello Staff Tecnico della Nazionale Italiana di Trail Running)

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INTRODUZIONE

Ormai da quasi 10 anni mi occupo di formazione sulla tematica dello stress e della sua gestione. L’incontro e il confronto diretto, con le numerose persone incontrate, mi ha permesso di cogliere come il modello di relazione tra livelli di stress e performance, tradizionalmente proposto, sia troppo stringente. L’idea che a livelli bassi e alti di stress la performance sia insoddisfacente e a livelli intermedi sia ottimale rappresenta il funzionamento solo di una fetta della popolazione, ma non della totalità. Da qui la necessità di allargare questo modello, integrandolo con ulteriori modalità. Il rapporto tra stress e performance è, specificamente, il filo rosso e l’argomento intorno al quale questo libro si sviluppa. Questo lavoro si rivolge ai professionisti che lavorano nel mondo dello sport: psicologi sportivi, mental coach, allenatori, personal trainer. Il fine è fornire uno strumento utile nella pianificazione degli allenamenti e che permetta di raggiungere alti livelli prestazionali, attraverso la comprensione del funzionamento interno degli atleti. Ho pensato di indirizzare questo libro ai professionisti che lavorano dietro le quinte del mondo sportivo, ma credo siano gli atleti stessi i beneficiari principali di quanto proposto. Uno sportivo che desideri acquisire una sensibilità maggiore nella com13

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prensione di sé e che stia ricercando un modello per affiancare un training mentale ai suoi normali allenamenti, può trovare, a mio parere, in queste pagine un valido aiuto. Il libro si divide in 5 capitoli. Nel primo presento le principali basi teoriche riguardanti la tematica dello stress, declinandole in ambito sportivo. Nel secondo capitolo analizzo la relazione tra stress e performance, spiegando come venga tradizionalmente descritto attraverso una curva a campana, che si rifà alla legge di Yerkes e Dodson. Fornisco inoltre delle indicazioni per individuare in quale punto, lungo la curva, un atleta possa situarsi e se possa, per lui, essere funzionale a fini prestativi aumentare o ridurre il proprio livello di stress. Nel capitolo 3 propongo come la legge di Yerkes e Dodson, e la curva a campana con cui viene raffigurata, sia rappresentativa solo di una fetta della popolazione atletica, ma non della totalità. Affianco a questa modalità, che chiamo motore a benzina, altre quattro possibili interazioni tra livelli di stress percepiti e bontà prestativa, che nomino: motore a diesel; motore a gas; motore a funzionamento misto A; motore a funzionamento misto B. Chiarisco come alcuni atleti funzionino meglio a livelli bassi di stress, mentre altri a livelli alti di stress. Nel capitolo 4 presento le principali caratteristiche di personalità che in letteratura vengono associate alla tematica dello stress, analizzando come queste si combinino ai diversi “motori”. Fornisco, inoltre, alcune indicazioni su come, per ogni caratteristica, sia importante lavorare per ottenere la migliore performance atletica. Nel capitolo conclusivo mi concentro sul perchè saper delineare la propria curva stress-performance, il proprio motore, e sapersi muovere consapevolmente lungo di essa, costituiscano 14

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STRESS & PERFORMANCE ATLETICA

l’aspetto fondamentale per il mental training in ambito sportivo. Accenno, infine, alla possibilità di modificare la curva stress-performance nell’arco della vita.

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CAPITOLO PRIMO

PREMESSE TEORICHE

1. Lo stress: una definizione Ognuno di noi ha fatto esperienza e percepisce lo stress nella quotidianità della sua vita. Se visto e concepito all’interno della cornice del senso comune è un fenomeno negativo, dannoso per le nostre attività e capace di sottrarci benessere. Proviamo però a porre questo nostro sapere tra parentesi, rivolgendoci con curiosità alla letteratura scientifica. Si aprirà un nuovo e ricco modo di concepire questo mondo, che potrà fornire importanti chiavi di lettura nella pianificazione degli allenamenti, nella gestione delle gare e nelle fasi di recupero. La nascita del termine stress si deve ad un medico, Hans Selye, che nel 1956 ne ha tratteggiato la definizione: “lo stress è una reazione adattiva di un organismo stimolato da fattori esterni. Stress è indifferentemente la risposta a un eccesso o a una mancanza di stimolazione rispetto a un livello ottimale al quale corrisponde il miglior funzionamento dell’organismo”. Gli elementi portanti contenuti in tale definizione sono due: 1) lo stress è una reazione adattiva; 2) lo stress deriva sia da un eccesso, che da una mancanza di stimolazione, rispetto a un livello 17

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ottimale. Partiamo analizzando il primo punto, ovvero che lo stress è una reazione adattiva. Quando Selye parla di “reazione adattiva” si riferisce al processo di adattamento, ovvero il cambiamento che ogni organismo pone in essere per adattarsi alle modificazioni avvenute nell’ambiente circostante. Concepito in quest’ottica, lo stress diventa un fenomeno funzionale alla vita stessa e un requisito fondamentale per la sopravvivenza. Senza di esso saremmo infatti costretti a soccombere. Se mi trovassi, ad esempio, a partecipare ad una spedizione alpinistica che dai 2000 metri sul livello del mare mi portasse a raggiungere la cima del monte Bianco a 4809 metri, il mio corpo avrebbe bisogno di produrre una serie di adattamenti fisiologici volti a garantirgli la sopravvivenza. Lo stress ha una valenza vitale, perché fornisce l’input per produrre i giusti mutamenti, con la giusta prudenza e i giusti tempi per far fronte al cambiamento di altitudine e di pressione atmosferica. Stress e adattamento sono processi strettamente consequenziali. Ogni volta che mi sto adattando a qualche situazione, a qualcosa o a qualcuno, in precedenza necessariamente ho percepito dello stress. Ma da cosa nasce lo stress? Nasce sempre da un “cambiamento di stato” e ogni “cambiamento di stato”, produrrà inevitabilmente stress. Ogni volta che qualcosa intorno a me, o dentro di me, si modifica, si presenterà un livello più o meno alto di stress, che darà il via ad un processo più o meno funzionale di adattamento. La consequenzialità logica è quindi la seguente: 1) Cambiamento; 2) Stress; 3) Processo di adattamento Fig. 1

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STRESS & PERFORMANCE ATLETICA

Ogni volta che mi confronto con un “cambiamento di stato”, ne deriva stress. Quali sono i “cambiamenti di stato” con cui mi confronto durante la vita quotidiana e quali sono quelli con cui mi confronto durante una competizione? Rispondere a queste domande comporterebbe scrivere una lista infinita, perché come suggeriva Eraclito, un filosofo greco, “l’unica costante è il cambiamento”. In ogni singolo istante della nostra vita, quotidiana e sportiva, ci confrontiamo continuamente con dei cambiamenti. Ad esempio, nel momento in cui mi alzo la mattina passo da essere sdraiato e dormiente ad essere in una posizione eretta e in uno stato di veglia. Quando rispondo al cellulare devo portare la mia mano nella tasca o nella borsa, estrarre il telefono e premere sul tasto della risposta, interrompendo l’attività che stavo praticando in precedenza. Anche il semplice sollevare il bicchiere per bere comporta il fronteggiare un cambiamento di stato (allungare il braccio, coordinare il sistema visivo con il sistema motorio, afferrare il bicchiere, ecc.). La vita è un lungo e costante cambiamento, tra cui si annoverano trovare lavoro, sposarsi, acquistare casa, andare in vacanza, come anche cambiamenti spiacevoli come: separazioni, lutti, licenziamenti, ecc. In ambito sportivo il discorso non è differente. Quando sono ai blocchi di partenza dei 100 metri dovrò prima posizionarmi e, progressivamente, tendere e allungare le gambe, per poi lanciarmi nella corsa adattandomi alle indicazioni del giudice “ready, steady, go!”. Iniziare una salita in bici, dopo un tratto pianeggiante, il superare o l’essere superato da un avversario, passare dal nuoto alla bici in una gara di triathlon, fermarsi all’arrivo, salire sul palco per festeggiare dopo ore di gara, sono tutti cambiamenti e produrranno di conseguenza stress. I cambiamenti nella vita quotidiana e nello sport sono aspetti 19

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PUNTI DI VISTA

costituenti e inevitabili. Lo stress che ne deriva è esso stesso un aspetto costituente e inevitabile della vita quotidiana e sportiva. L’unico momento nella nostra esistenza in cui è possibile che lo stress sia assente è quando il cambiamento è assente. L’unico frangente che risponde a queste caratteristiche è quando siamo morti. Non il momento in cui moriamo, ma quando siamo ormai deceduti. Nel momento in cui decediamo passiamo da essere vivi a essere qualcosa di altro. Il cambiamento insito in questo passaggio è strutturale e possiamo quindi ipotizzare che lo stress ad esso associato sia notevole. Quando siamo invece morti e la linea della vita è piatta, lo stress è scomparso. Il primo elemento costituente della definizione di stress, lo trasforma quindi da evento negativo, da eliminare, a fattore inevitabile e costituente della stessa vita. Questo non significa che lo stress non possa essere negativo, ma che lo stress negativo non è l’unica possibilità. Ciò che varierà è quanto alto sarà il livello di stress a cui una persona è sottoposta e se questo livello darà il via ad una reazione di adattamento efficace o meno. Sollevare la tazza di tè, appoggiata vicino al computer da cui sto scrivendo, comporterebbe un cambiamento minimo. Sollevare la scrivania su cui questo computer è posto richiederebbe, invece, un impegno decisamente più importante. Nel primo caso lo stress sarebbe minimo, nel secondo, visto che il cambiamento con cui devo confrontarmi è di molto maggiore, sarebbe notevole. Possiamo quindi dare per assodato che esistano diversi livelli di stress, che corrispondono ai diversi livelli di cambiamento richiesti. Potremmo affermare che lo stress sia: pochissimo, poco, medio, tanto, tantissimo. In letteratura (Holmes, Rahe, 1967) è presente una scala che identifica gli eventi di vita più stressanti e a cui è quindi associato un cambiamento più deciso. I primi cinque eventi sono: la morte del coniuge, divorzio, separazione, 20

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morte di un famigliare, detenzione. Per evitare ulteriormente l’associazione “stress-evento negativo”, ci tengo a sottolineare come, ad esempio, il matrimonio o un trasloco, possano essere eventi sognati per una vita intera. Per quanto positivi questi eventi possano essere, rimangono dei cambiamenti notevoli all’interno della nostra vita. Un grande cambiamento genererà un grande stress, che a sua volta porterà ad una notevole reazione di adattamento. Pensiamo ad un evento molto piacevole, come potrebbe essere una vacanza di una settimana in un hotel 5 stelle alle Maldive. Questo viaggio ci richiederà di prendere l’aereo, di affrontare il jet-lag, dormire su un materasso diverso da quello che abbiamo nella nostra abitazione e ammirare un panorama in cui non sono inclusi palazzi in cemento e cielo cupo e grigio. Bene anche questi sono cambiamenti e quindi anche questo è stress! Lo stress è un fenomeno neutro, che può assumere una connotazione positiva o negativa in relazione al cambiamento che ci viene richiesto e alla percezione che dell’evento in questione noi abbiamo. Prendiamo ad esempio il percorrere in bici la salita dello Zoncolan, conosciuta per essere la più dura d’Europa. Il suo tratto centrale per 6 km ha pendenze che non calano mai sotto il 13%. Lo sforzo richiesto al nostro corpo in un’attività come questa è notevole e il cambiamento che deve apportare rispetto a stare comodamente sdraiato sul divano è molto marcato, ma per un ciclista appassionato questa potrebbe essere un’esperienza positiva e che ricorderà con piacere per tutta la vita. Per un ciclista allenato salire sullo Zoncolan sarà faticoso e in parte stressante, ma lo stress che ne deriverà sarà positivo e piacevole. Per una persona sedentaria sarà invece molto faticoso e stressante all’inverosimile. Quanto sarà stressante un evento è quindi mediato sempre dalla rappresentazione che noi ne abbiamo (fig. 2). 21

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PUNTI DI VISTA Fig. 2

Un aspetto ulteriore, introdotto nelle ultime righe, riguarda l’esistenza di 2 forme di stress: lo stress positivo (eustress) e lo stress negativo (distress). La principale discriminante tra queste 2 forme di stress riguarda l’efficacia e la qualità della reazione di adattamento che ne consegue. Saranno quindi i risultati a permetterci di comprendere se lo stress percepito sarà positivo o negativo. Lo stress negativo è quello stress che non ci permette di svolgere in maniera soddisfacente un dato compito, un allenamento o una gara; lo stress positivo è quello stress che ci permette di porci nella pratica sportiva, come nella vita, con un atteggiamento determinato, carico, ma al contempo lucido, ottenendo quindi dei buoni risultati in relazione alle nostre capacità. Prima però di approfondire in maniera più estesa questo argomento dobbiamo porre la nostra attenzione al secondo elemento costitutivo della definizione di stress: “lo stress deriva sia da un eccesso, che da una mancanza di stimolazione, rispetto a un livello ottimale”. Questa affermazione implica innanzitutto l’esistenza di un livello ottimale di stress al quale è possibile ottenere il nostro picco prestativo, utilizzando al meglio delle nostre possibilità, le risorse fisiche e psicologiche a nostra disposizione. Accanto ad un livello ottimale di stress, a cui corrisponde il picco prestativo, esistono livelli di stress in cui è possibile ottenere performance soddisfacenti. Esiste però un altro aspetto implicito in questa 22

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affermazione, ovvero che oltre ad un livello ottimale e a livelli soddisfacenti, esistono modalità dannose per la performance. Una riguarda l’eccesso di stimolazione (molti cambiamenti) ed un conseguente livello in eccesso di stress, l’altro una mancanza di stimolazione (pochi cambiamenti) e un conseguente livello in difetto di stress. Concepiamo normalmente lo stress come un eccesso di stimolazione, mentre tendiamo a sottostimare l’esistenza di uno stress connesso alla mancanza di stimolazione. Pensiamo al linguaggio comune e a come decliniamo l’utilizzo del termine stress. Proponiamo alcuni esempi: “sto lavorando tantissimo, sono stressato”; “ho mille cose da fare, sono stressato”, “per allenarmi mi devo alzare tutte le mattine alle 5, per non togliere tempo alla famiglia e al lavoro, che stress!”; “ho gareggiato 4 volte in 3 settimane, mi sento stressato”. Lo stress derivante da un eccesso di stimolazione esiste e senza dubbio rappresenta la forma più conosciuta di questo fenomeno, ma non ne esaurisce le manifestazioni. Esiste infatti la possibilità di essere estremamente stressati non facendo nulla. Vi è mai capitato di avere la febbre per un paio di giorni quando eravate bambini? La mamma anche nei giorni a seguire, quando eravate completamente in forze e sfebbrati, vi raccomandava di non sudare e vi impediva di uscire e di andare a giocare a calcio con gli amici, obbligandovi a stare chiusi in casa. Come stavate in quel momento, in cui avreste desiderato uscire, ma vi era vietato? Credo stressati! Lo stress derivante da mancanza di stimolazione è molto conosciuto nel sistema carcerario. Non sono i lavori forzati la pena più temuta dai reclusi, ma bensì l’isolamento. Tutte le stimolazioni possibili in questo caso vengono tolte: il movimento, l’organizzazione del tempo, la comunicazione, la lettura e persino la percezione del trascor23

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PUNTI DI VISTA

rere del giorno e della notte. Questo esempio rende molto chiaro quanto sia presente anche uno stress da bassa stimolazione. Per comprendere meglio come lo stress possa essere dannoso sia in eccesso, che in difetto, proponiamo un esempio legato all’ambito sportivo e all’allenamento. Gli stimoli allenanti richiedono al nostro corpo di produrre una serie di adattamenti di natura cardiocircolatoria e muscolare che ci permetteranno di arrivare preparati alle competizioni. L’allenamento avendo a che fare con il cambiamento e con un processo di adattamento è quindi concepibile come stress. L’allenamento e lo stimolo allenante non dovrà però essere in eccesso e nemmeno in difetto. Uno stimolo allenante costituito unicamente da lavori molto stressanti come ripetute in salita o lavori in fuori soglia potrebbe portare un atleta in sovrallenamento o potrebbe metterlo a serio rischio di infortunio. Uno stimolo scarsamente stressante, come una passeggiata sul lungomare, non permetterebbe di ottenere alcun beneficio per un atleta già allenato. L’allenamento per essere efficace e produrre buoni frutti deve perciò essere in giusta quantità. La giusta quantità non è però un valore assoluto, ma può variare in relazione agli obiettivi dello sportivo, al suo livello di allenamento, dal momento della stagione e soprattutto dalla capacità che l’atleta ha di digerire la mole di allenamento. Esistono atleti che richiedono piccole quantità ad alta intensità per entrare in condizione e atleti che hanno bisogno di grandi quantità per raggiungere lo stesso obiettivo. Di contro alcuni atleti se sottoposti a grandi quantità potrebbero andare in sovrallenamento, mentre altri se sottoposti a piccole quantità, anche se a grandi intensità, potrebbero non trarre benefici. Questo ultimo punto pone in luce come lo stress, e come questo diventi positivo e negativo, abbia una marcata componente soggettiva, sia quindi 24

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