Che cos'è la malattia mentale

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Ricerche e Contributi in Psicologia

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Francesco Codato

Che cos’è la malattia mentale? Una prospettiva interdisciplinare

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Prima Edizione: 2015

ISBN 9788898037742 © 2015 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Giugno 2015 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl) Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata


INDICE

Introduzione Definire la malattia mentale 1) L’essenza della medicina: il nominalismo 2) L’essenza della psichiatria: il nominalismo dinamico 3) Malattia medica e malattia mentale 4) I tre paradigmi della psichiatria 5) Dizionari e manuali: alla ricerca di una definizione di malattia mentale 6) Un puro cavillo linguistico? Psichiatria, Biologia, Neuroscienze 1) Il modello medico-biologico: classificare le malattie mentali 2) Il DSM: la via neo-kraepeliniana 3) Il ruolo delle neuroscienze nell’oggettività diagnostica 4) Cosa ci insegna la psichiatria sulle malattie mentali Storia e malattia mentale 1) Il rapporto bidirezionale tra passato e presente nell’indagine storica 2) Malattia mentale e storia

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3) Storia e malattia mentale 4) Cosa ci insegna la storia sulle malattie mentali

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Antropologia e malattia mentale 1) L’antropologia medica: il valore dell’Altro 2) Luoghi diversi, malattie mentali uguali 3) L’etnopsichiatria 4) Cosa ci insegna l’antropologia sulle malattie mentali

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Sociologia e malattia mentale 1) Sociologia e strutture sociali 2) Sociologia delle malattie mentali e il valore della statistica 3) La follia del posto: l’analisi dell’istituzione psichiatrica 4) Cosa ci insegna la sociologia sulle malattie mentali Filosofia e malattia mentale 1) Fenomenologia e soggettività 2) La consulenza filosofica e l’interpretazione della visione del mondo 3) La filosofia può curare? 4) Cosa ci insegna la filosofia sulle malattie mentali Religione e malattia mentale 1) Psichiatria e “morale” religiosa 2) Il proliferare di ricerche religiose all’interno del mondo psichiatrico 3) Psicologia della religione 4) Cosa ci insegna la psicologia della religione sulle malattie mentali 6

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Diritto e malattia mentale 1) Le tre funzioni del diritto 2) L’immagine sociale: dalla legge alla considerazione sociale 3) Sociologia del diritto e neurodiritto 4) Cosa ci insegna il diritto sulle malattie mentali Economia e malattia mentale 1) Disease mongering 2) Da malattie dei poveri a malattie dei ricchi 3) Perfezionismo e comunicazione 4) Cosa ci insegna l’economia sulle malattie mentali Bioetica e malattia mentale: verso una psichiatria olistica 1) L’analisi della malattia mentale, ovvero saper guardare al molteplice 2) Il metodo bioetico: agire in modo interdisciplinare 3) Dalla verità della malattia alla verità sulla malattia 4) Per una psichiatria olistica

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A me sembra che quel fraintendimento che vizia il modo di pensare psichiatrico nasca dal fatto che si trascura la natura della cosa da pensare. K. Jaspers, Autobiografia filosofica, Morano, Napoli 1969, p. 29

Tutte le varie difficoltà di comunicazione tra psichiatri e i rappresentanti di altre scienze umane confluiscono in una difficoltà centrale. Gli specialisti dediti all’esplorazione scientifica dell’universo umano tendono a costruire un modello unitario dell’uomo, a partire dal segmento limitato del campione umano, dunque su una base troppo limitata. N. Elias, Oltre il muro dell’Io, Medusa, Milano 2011, p. 27

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INTRODUZIONE

La scienza è pur sempre un’ideazione che l’umanità ha prodotto nel corso della sua storia, sarebbe perciò assurdo se l’uomo decidesse di lasciarsi definitivamente giudicare da una sola delle sue ideazioni. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1972, p. 147 Ogni giorno il folto numero delle pubblicazioni attorno alla salute mentale aumenta, vengono infatti editi da riviste specialistiche, quotidiani, settimanali generici, editori specializzati e grandi editori, studi a carattere scientifico e divulgativo su come interpretare, diagnosticare e curare le patologie mentali. Oggetto di queste pubblicazioni non sono solo le malattie già consolidate nella storia psichiatrica, ma anche nuovi tipi di patologia. Tale situazione ci permette, forse ci costringe, a familiarizzare con una serie di patologie psichiche in continuo aumento, le quali in breve tempo diventano delle vere e proprie situazioni vitali condivise e certificate. Basti pensare alla diffusione della patologia depressiva, che l’OMS ha dichiaro che diverrà entro il 2020 la seconda causa di malattia nel mondo dietro le patologie cardiovascolari, o all’emergere dei disturbi legati alla dipendenza da videogiochi, sesso e alcol. I dati attorno alla diffusione delle patologie psichiche sono facilmente consultabili, infatti secondo il

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rapporto del 2012 dell’osservatorio nazionale dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco)1 il consumo di farmaci per il sistema nervoso centrale in Italia è di circa 161 dosi giornaliere ogni mille italiani, la spesa pro capite nell’anno è stata pari a 55,7 euro e i farmaci più utilizzati sono stati gli antidepressivi che registrano un aumento del 4,5% dal 2004 al 2012. Secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro (2010) circa 900 mila italiani fanno almeno una visita annuale da uno psichiatra, psicologo o psicoanalista. La tendenza aumenta se si guarda alla società americana, infatti, una ricerca della Medco condotta nel 20112 ha messo in luce come un adulto americano su cinque usa almeno un medicinale psichiatrico e l’11% di tutti gli adulti ha preso un antidepressivo nel 2010. Zuvekas e Vitiello3 hanno rilevato che il 4% dei bambini americani fa uso di stimolanti, mentre il 4% degli adolescenti prende antidepressivi. Il Centers for Disease Control and Prevention4 ha dichiarato che il 6% della popolazione americana è dipendente da farmaci regolarmente prescritti e ha messo in luce come i ricoveri in pronto soccorso e decessi dovuti a questi farmaci sono più numerosi rispetto a quelli causati dalle droghe illegali. Insomma come la peste ha segnato un’epoca, l’AIDS un’altra ancora, oggi si può affermare che il nostro presente è sempre più caratterizzato da disturbi psichiatrici. La malattia mentale è divenuta ciò che caratterizza, da un punto di vista medico, i nostri giorni, e la nostra situazione esistenziale si plasma sempre di più 1 Il rapporto è visualizzabile sul seguente sito: http://www. agenziafarmaco.gov.it/it/content/luso-dei-farmaci-italia-rapporto-osmed-2012 2 Per un’immagine complessiva delle ricerche e dei dati sulla diffusione degli psicofarmaci in america rimando a: A. Frances, Primo, non curare che è normale, Bollati Boringhieri, Torino 2013; M. Angell, The Truth about the Drug Companies: How They Deceive Us and What to Do about It, Random House Trade, 2005 3 S.H., Zuvekas, B. Vitiello, Stimulant Medication Use in Children. A 12 Year Perspective, In The American Journal of Psychiatry, CLXIX, 2, pp. 160-66 4 http://www.cdc.gov/media/releases/2011/p1101_flu_pain_killer_ overdose.html

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ad un meccanismo automatico di assunzione di farmaci finalizzati ad una risposta a crisi che sino a qualche secolo fa non venivano codificate come malattie. Ne segue che prendere ad esame le patologie psichiche non vuol dire solo analizzare il contesto medico-evolutivo della disciplina psichiatrica e delle patologie che essa studia, ma vuol dire scandagliare un intero mondo culturale che si forgia e trova la propria realtà nell’edificazione di queste prassi terapeutiche. Si può sostenere come ha fatto Marcel Sendrail, celebre medico e storico della medicina, nel suo studio più noto l’Histoire culturelle de la maladie5, che per indagare un particolare tipo di patologia non basta guardare alla storia della medicina, ma bisogna prendere ad esame il contesto storico-sociale su cui quella medicina si edifica e prende forma. Per Sendrail esistono delle malattie che caratterizzano in maniera così forte una particolare forma di civiltà che riescono a contribuire alla formazione propria dell’identità della stessa società. Per cogliere la valenza di tali patologie ci si è sempre rivolti, secondo Sendrail, alla considerazione delle prassi terapeutiche, non soffermandosi mai a riflettere realmente sul significato che tali patologie rivestono in una cultura e per una cultura. Tale situazione per Sendrail conduce non solo ad una disconoscenza del valore culturale che una patologia possiede, ma porta anche ad ignorare le domande fondamentali che si devono porre in medicina: che cos’è la malattia che sto curando? Come posso definirla? Cosa rappresenta? È proprio su tali domande che sorge il paradosso della modernità, infatti noi sappiamo diagnosticare, prevenire e curare la malattia mentale, ma sappiamo cos’è la malattia mentale? Sappiamo definirla? Cogliamo cosa essa rappresenta per la società stessa? La risposta sembrerebbe scontata, eppure se si cerca in una vasta serie di manuali sia riguardanti l’ambito psichiatrico (su tutti il DSM), oppure in campo psicanalitico (PDM), filosofico, sociologico o giuridico, non esiste una definizione precisa di che 5

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cosa sia la malattia mentale. Ciò che si può facilmente constare consultando tali manuali è che la definizione della malattia mentale o manca totalmente come nel caso del DSM, oppure dove è presente come nel PDM o nei vari manuali di filosofia, sociologia etc., serve unicamente come modello confutativo di alcune teorie. Detto in altro modo non è presente in alcun manuale una definizione “di fondo” che possa identificarsi come universale, ovvero che possa essere riscontrata e accettata non solo da tutte le discipline, ma anche da correnti diverse presenti all’interno di una medesima disciplina. Le rare definizioni che si ritrovano di malattia mentale servono unicamente all’instaurazione di un gioco delle parti, ovvero si rendono utili per la legittimazione di un particolare modo di guardare al disagio psichico funzionale al sorreggere la costituzione di un sistema terapeutico che si vuole propagandare. La situazione non cambia se si volge lo sguardo alle organizzazioni, come l’OMS, che dovrebbero definire tale situazione patologica. Infatti, l’OMS dona una definizione di malattia mentale che non asserisce cosa essa sia, ma dice cosa essa non è, creando una non definizione che funge unicamente da gioco linguistico per legittimare alcuni discorsi teorico-terapeutici. Stesso discorso vale anche per le persone comuni, che davanti alla domanda sulla definizione di malattia mentale portano esempi personali, situazioni viste in tv, situazioni economiche difficili, condotte morali riprovevoli o citano leggi e riforme sanitarie, insomma non riescono a definire in maniera semplice e univoca cosa sia la malattia mentale. Si potrebbe pensare che tale situazione sia comune a tutti gli ambiti patologici, quindi chiedendo a qualcuno o cercando in differenti manuali, in archivi e siti di organizzazioni cos’è una polmonite o una frattura la situazione dovrebbe essere la stessa che si verifica chiedendo cos’è la malattia mentale. Invece, ciò che si può verificare è che, seppur i dati culturali relativi alle esperienze personali e alle modalità di concepire e curare tali patologie siano differenti, non è possibile rinvenire alcuna dif12

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ferenza sostanziale attorno alla definizione di cosa esse siano. Infatti, tutti concordano che la polmonite è una malattia dei polmoni solitamente causata da un’infezione e che la frattura è l’interruzione parziale o totale della continuità di un osso. Ne segue che per tutte le patologie è abbastanza facile e lineare fornire una definizione che tenga conto quanto meno della parte anatomica che esse affliggono. La malattia mentale invece sfugge a questa chiara definizione, dunque, si può asserire che seppur la malattia mentale sia per numero di diagnosi, di pubblicazioni e d’interesse per le scienze della natura e dell’uomo l’oggetto di culto della nostra epoca, s’ignora ancora cosa essa sia. Lo scopo di questo libro non è quello di fornire una risposta a questa domanda identificando un punto biologico preciso in cui insorgono le malattie mentali, ma verificata l’impossibilità di realizzare tale scopo, vuole servirsi di un metodo culturale per poter ovviare a tale situazione, indagando ciò che la dimensione interdisciplinare può dire nell’edificazione di una definizione di malattia mentale che tenga conto delle molte sfaccettature con cui essa viene identificata e vissuta. Per fare ciò è essenziale volgere lo sguardo non solo al paradigma medico-biologico, ma anche verificare ciò che le scienze umane asseriscono sulla malattia mentale, cercando di trarne delle indicazioni che si possano “amalgamare” per costruire una definizione che rispetti l’immensa apertura di significato che la stessa patologia acquisisce nella società. Allen Frances, psichiatra che è stato a capo della task force che ha pubblicato il DSM-IV e che ha contribuito in maniera forte a diffondere l’asserto che le malattie mentali siano malattie biologiche, sconfessando tutto il suo lavoro precedente ha asserito: “avremo anche imparato tantissimo sul funzionamento cerebrale, ma non abbiamo ancora trovato il modo di trasformare la ricerca di base in psichiatria clinica. I nuovi potenti strumenti della biologia molecolare, della genetica, e del neuroimaging non si sono ancora trasformati in test di laboratorio per la demenenza o la depressione o la schizofrenia o il Disturbo Bipolare Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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o il Disturbo Ossessivo-Compulsivo o per altri disturbi mentali. L’ipotesi per cui un gene o un neurotrasmettitore o un circuito avrebbero potuto spiegare i diversi disturbi mentali si è rivelata ingenua e illusoria. Ancora oggi non abbiamo un solo test di laboratorio in psichiatria. Poiché la categoria del disturbo mentale è estremamente variabile al suo interno, così come è variabile il confine tra disturbo mentale e normalità o tra diversi disturbi mentali, nessuna delle promettenti scoperte biologiche si è mai tramutata in test diagnostico […] l’assenza di test biologici rappresenta uno svantaggio enorme per la psichiatria. Significa che tutte le nostre diagnosi sono basate su giudizi soggettivi e sono quindi intrinsecamente fallibili e soggette a mutamenti capricciosi. È come se dovessimo diagnosticare una polmonite senza avere nessun test per i virus o i batteri che causano le varie infezioni polmonari6”. Dalle parole di Frances si può cogliere che seppur la malattia mentale venga definita come un’alterazione organica, la ricerca è lontanissima da poter provare che esiste davvero un disturbo organico e perciò le diagnosi che essa compie non si basano sulla pura rilevazione biologica, ma tengono in considerazione un gran numero di fattori. Ne segue che la psichiatria, intesa come sfera applicativa della ricerca medicobiologica, non possieda le chiavi veritative per definire in modo univoco la malattia mentale. Per tal ragione diviene essenziale, al fine di cogliere cosa sia la malattia mentale, rispettare e utilizzare tutte le scienze che si occupano o hanno condotto ricerche attorno al valore di tale fenomeno. Attorno alla differenza tra le scienze Dilthey affermava: “le scienze dello spirito si distinguono dalle scienze della natura in quanto queste hanno come loro oggetto dei fatti che si presentano nella coscienza dall’esterno, cioè come fenomeni singolarmente dati, mentre in quelle dello spirito i fatti si presentano dall’interno, come realtà e come una connessione vivente […] ciò condiziona la grande differenza dei 6 A. Frances, Primo non curare chi è normale, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 30-31-32

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metodi con cui studiamo la vita psichica, la storia e la società, da quelli con cui è stata condotta innanzi la conoscenza della natura7”. Si coglie come la diversità tra le scienze della natura e le scienze dell’uomo si ritrovi nel metodo che esse utilizzano e come sostiene Dilthey mantenere un unico concetto di esperienza per tutti i possibili oggetti d’indagine non significa essere rigorosi, ma semplicemente essere semplificatori. In poche parole Dilthey afferma che non in tutti i fenomeni che riguardano l’esistenza sia possibile applicare unicamente l’approccio derivante dalle scienze della natura, ma è importante saper cogliere, per donare dignità sia all’oggetto d’indagine sia alla metodologia di ricerca, quali pratiche usare. Estendendo tale discorso alla questione sulla definizione della malattia mentale si può sostenere che le scienze della natura abbiamo cercato e cercano di spiegare il disturbo mentale nell’ottica di un’alterazione biologica, ma non riescono a fornire le prove di tale alterazione, quindi per riuscire ad aver una definizione su cui potersi basare comunemente nel definire la malattia mentale è necessario aprirsi anche a nuove forme di ricerca, ovvero quelle fornite dalle scienze dell’uomo. Infatti, solo l’interdisciplinarietà può riuscire a fornire una definizione che riesca a persuadere tutti gli animi attorno all’analisi della molteplicità delle espressioni intrinseche alla malattia mentale. Ne segue che tutte le discipline possono e devono fornire il loro contributo, concependo però che lo sguardo parziale proprio di ogni disciplina non potrà mai costituirsi a valore assoluto per la definizione stessa della malattia mentale. Seppur l’interdisciplinarietà sembri costituire l’unica via per la possibile costituzione della definizione della malattia mentale, come sottolinea il sociologo Norbert Elias, raggiungere tale scopo non è di certo facile, infatti, scrive: “nonostante la facilità con cui ci riempiamo la bocca con formule come interdisciplinarità, 7 W. Dilthey, Idee per una psicologia descrittiva e analitica, in Lo storicismo contemporaneo, Loescher, Torino 1968, pp. 143-144 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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in pratica la costituzione di una cooperazione più stretta, o semplicemente di una comunicazione più efficace, tra diversi gruppi professionali di scienziati specialisti, incappa in alcune difficoltà di fondo, che sono il più delle volte trascurate. C’è bisogno di una buona dose di riflessione propedeutica se si vuole raggiungere un qualche risultato8”. La riflessione propedeutica, che deve essere intesa come modalità d’instaurazione e di dialogo tra le diverse discipline, può provenire dal metodo bioetico, poiché come sostiene Soetje: “la bioetica si è sviluppata come ambito di riflessione etica avente però una caratteristica specifica: l’interdisciplinarità. In questa particolare area della riflessione etica applicata si sono riconosciuti coinvolti filosofi, medici, giuristi, biologi, sociologi, teologi morali [...] che utilizzano l’apporto di tutti i differenti strumenti disciplinari9”. Con il termine metodo bioetico non si vuol far riferimento alle teorie proprie di un orientamento etico (religioso, laico etc.), ma si vuol far riferimento al procedimento pratico che anima la disciplina bioetica, per esempio quello che si attua nei concili bioetici degli ospedali, i quali trovano la propria istanza ad agire tramite l’esplicazione di due principi: partire dai singoli casi e tentare la convergenza dei saperi. Tale metodologia si attua nel guardare alla singolarità del caso che si ha dinanzi vagliando tutte le possibili interpretazioni che gli esperti delle diverse discipline possono fornire su di esso (economica, sociale, biologica, legale, culturale). Solo dopo aver vagliato tali prospettive si cerca di risalire ad un universale10, quindi a definire la malattia del soggetto e a vagliarne le cure, le quali non saranno mai standardizzate, ma verranno tarate sulla singolarità del soggetto stesso. Quindi, il metodo bioetico si pone come fondamento operativo per avviare 8 9

N. Elias, Oltre il muro dell’Io, Medusa, Milano 2011 E. Soetje, La responsabilità della vita, Paravia, Torino 1997, p. 14 10 Per universale s’intende una malattia codificata entro un quadro tassonomico

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una ricerca interdisciplinare attorno al significato della malattia mentale, poiché per sua stessa essenza non ha una tesi particolare da esprimere, ma è una modalità operativa che apre i problemi e fa dialogare i vari saperi in modo che gli stessi tendano ad una naturale convergenza, utilizzando il medico, in questo caso lo psichiatra, come direttore dei lavori. L’utilizzo del metodo bioetico permette di passare da una verità della malattia, intesa quale situazione oggettiva e universalmente riscontrabile, ad una verità sulla malattia, intesa come convergenza di tutti i fattori che la possono causare. Tale situazione permette di cogliere come la malattia mentale sia un fenomeno complesso e variamente stratificato che non può essere trattato come una situazione da classificare facilmente tramite il solo metodo tassonomico, ma deve essere identificata guardando la soggettività e la particolarità del soggetto che si ha davanti. Il recupero del metodo bioetico in ambito di salute mentale mostra, quindi, la sua funzionalità nell’essere il filo che tramite l’argomentazione critica permette di unire e far dialogare i diversi saperi, offrendo così la possibilità per l’edificazione di una nuova maniera di guardare e curare il disagio psichico. In altre parole, se la psichiatria odierna trova la propria legittimazione terapeutica nel considerare la malattia mentale come puro disturbo biologico, situazione che però non rispecchia la realtà della manifestazione della malattia mentale, essa stessa deve ripensarsi per divenire l’elemento terapeutico della nuova definizione di malattia mentale. Per tal motivo l’interrogazione attorno a che cos’è la malattia mentale offre la possibilità di ripensare totalmente la tematica del disagio psichico, aprendo la via all’edificazione di una psichiatria olistica, dunque di una psichiatria che possa guardare alla totalità dell’espressione del male psichico, ergendo il soggetto malato a protagonista della propria esistenza e non ad un puro oggetto passivo del trend medico epocale.

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DEFINIRE LA MALATTIA MENTALE

Nella realtà non esistono problemi economici sociologici o psicologici, ma soltanto problemi e questi di regola sono complessi. G. Myrdal, L’obiettività nelle scienze sociali, Einaudi, Torino 1973, p. 9

1) L’essenza della medicina: il nominalismo Dare una definizione di medicina non è di certo un’impresa facile, poiché a seconda dello sguardo con cui si approccia tale pratica si possono rilevare dei sensi spesso inconciliabili tra loro. Infatti, una cosa è descrivere la pratica medica dal punto di vista storico, un’altra dal punto di vista scientifico, oppure ancora più banalmente è di certo diverso definire la medicina dall’ottica del paziente o dall’ottica del medico. In maniera ancora più generale è possibile affermare, come fa lo storico della medicina Jean-Charles Sournia: “la medicina pone una persona che si considera malata in presenza di un’altra persona alla quale essa attribuisce potere e conoscenze. Nessuna di queste circostanze sfugge dalla storia: il desiderio di essere curato trova la sua giustificazione nella presenza di un dolore, di un’anomalia nell’aspetto esteriore o nel funzionamento del corpo, la cui valutazione varia a seconda delle epoche, delle culture, delle società

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e delle religioni11”. Dare una definizione universale di medicina che possa valere sia per coloro che praticano tale disciplina che per chi la riceve in tutti i momenti storici è qualcosa di difficilissimo da pensare che sconfina in un esercizio teoretico senza fine. Nonostante la vasta possibilità di sguardi con cui la medicina può essere descritta, il medico e sociologo Ivan Cavicchi sostiene che: “le varie definizioni di medicina presumono di basarsi su qualche fondamento, cioè presumono una definizione, non più definizioni di essa. Natura, storia, filosofia, linguaggio oppure malattia, malato, segno, sintomo, evoluzione ecc., sono tutti, a vario titolo, fondamenti significativi di tante definizioni […] si tratta quindi di semplicità non di complessità. Come funziona questo modo di definire la medicina? Funziona per dichiarazione di essenza12”. Da queste parole possiamo cogliere come lo sforzo per donare una direttiva di medicina valevole si deve spostare dalla definizione della stessa, alla ricerca di un’essenza comune che la contraddistingue come pratica. Quando si parla di essenza della medicina sembra che essa possa sgorgare da molti poli, infatti usualmente si pensa che la medicina si possa ridurre o a storia del malato o a leggi naturalistiche d’interpretazione della malattia. Seppur tali situazioni rispecchiano a diverso titolo delle istanze utilizzabili per coniare una definizione di pratica medica, esse non rappresentano in senso stretto la descrizione dell’essenza della medicina. Con il termine essenza, secondo la concezione aristotelica, s’intende ciò per cui una certa cosa è quello che è e non un’altra cosa13. Quindi, l’essenza della medicina è ciò che 11 J. C. Sournia, Storia della medicina, Edizioni Dedalo, Bari 1994, p. 5 12 I. Cavicchi, Filosofia della pratica medica, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 18 13 Aristotele all’interno della Metafisica chiarisce che dire di qualcuno che è uomo, cioè “un animale ragionevole”, è indicarne la sua essenza. Poiché tutte le altre caratteristiche che si attribuiscono e che appartengono all’uomo, potrebbero anche non appartenergli, o può darsi che mutino nel tempo, senza che per ciò venga meno la sua essenza. In questo senso l’essenza si

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rende medicina il compiere una determinata azione e che la distingue da tutti gli altri saperi. Per scovare tale essenza potrebbe essere utile cercare in un vocabolario come essa venga descritta, ciò che si ritrova è sempre molto simile alla seguente espressione: “la medicina è la scienza che ha per oggetto lo studio delle malattie, la loro cura e la loro prevenzione14”. Da questa definizione ne segue che ciò che prende il nome di medicina non sia altro che una pratica che si costituisce attorno ad un oggetto che assume il nome di malattia. Sembra perciò doveroso chiedersi cosa s’intende con il termine malattia e proseguendo in una verifica si trova la seguente indicazione: “la malattia è una condizione abnorme e insolita di un organismo vivente, animale o vegetale, caratterizzata da disturbi funzionali, da alterazioni o lesioni […] oggetto di studio della medicina15”. Da questo semplicissimo ragionamento si può dedurre che la medicina è una pratica che si costituisce attorno ad un centro che è la malattia, detto in altro modo sembra essere la malattia che contrappone all’accidente, indicando quello che appartiene necessariamente a un ente, di contro a quello che gli appartiene solo contingentemente. In altre parole, se ad un uomo gli si chiede che cosa sei? Ed egli risponde “un musico”, la sua risposta non esprime veramente ciò che egli è di per se stesso, sempre e necessariamente. Difatti egli potrebbe benissimo non essere musico, o avendo cominciato ad esserlo può anche cessare di esserlo. Ma, se egli risponde che è “un animale ragionevole”, egli esprime ciò che non può non essere o che è necessariamente come uomo. Esprime cioè quella che Aristotele chiama “quod quid erat esse” ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un’altra cosa: che è la sostanza stessa considerata a parte dal suo aspetto materiale (Metafisica, VII, 7, 1032 b 14). Questa seconda risposta è la sola che può valere come definizione di essenza dell’uomo, mentre tutte le altre determinazioni, che dall’essenza stessa possono essere date, non valgono come definizione perché non dicono ciò che l’uomo è di per sé o necessariamente (Metafisica, VII, 4, 1029 b 13). Quindi l’essenza di un qualcosa è ciò che lo rende necessariamente quel qualcosa e che sussiste, perennemente, al di là delle determinazioni contingenti. 14 Definizione tratta dal vocabolario Treccani 15 Ibidem Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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legittima la medicina ad essere. Se si procede con l’analisi storica del termine medicina si coglie come essa, in vario modo, si sia sempre accompagnata al termine malattia, infatti il noto storico Roy Porter sostiene: “la guerra fra malattia e medici combattuta sul campo di battaglia della carne umana ha un inizio, uno svolgimento, ma nessuna fine. La storia della medicina, in altre parole, può dirsi ben lungi dall’essere la narrazione di un costante progresso verso il trionfo. Come suggerisce la storia del vaso di Pandora o della Caduta cristiana, flagelli e pestilenze rappresentano qualcosa di più che semplici rischi naturali e inevitabili che si possono, almeno così ci auguriamo, in qualche modo superare: si tratta in larga parte di qualcosa che l’umanità stessa ha creato. Le epidemie nascono infatti con la società, e le malattie sono state e sono destinate a rimanere, un prodotto sociale non meno della medicina che le combatte. La civilizzazione, infatti, non porta con sé soltanto il malcontento, ma anche la malattia16”. Ne segue che il concetto di malattia sia un qualcosa, che in forme diverse, è sempre esistito, almeno da quando l’uomo si è organizzato in reti sociali, e che ha sempre portato con sé una serie di pratiche che cercano di porre rimedio a tali situazioni. Non è un caso che l’analisi di Porter continui nel seguente modo: “l’uomo ha sempre tentato di proteggere se stesso e la sua famiglia: si tratta di un elemento che è parte integrante dell’istinto di conservazione e della cura dei figli. Tuttavia, sin dai tempi più remoti, curare diviene anche un mestiere svolto da divinatori e da medici stregoni, i quali combattevano le malattie che piovevano giù dal cielo e offrivano rimedi17”. Le forme con cui l’uomo ha cercato di porre rimedio hanno acquisito nella prima fase evolutiva il carattere di riti magici che dovevano guarire da uno scompenso considerato di origine so16 R. Porter, Breve ma veridica storia della medicina occidentale, Carocci, Roma 2004, p. 15 17 Ivi, p. 37

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vrannaturale, ovvero ci si affidava a dei guaritori-santoni capaci di compiere dei rituali finalizzati a guarire una malattia considerata di essenza sovrannaturale. La prima comparsa in Occidente di una medicina essenzialmente laica si ebbe con i discepoli di Ippocrate, che si diffusero nel mondo di lingua greca nel V secolo a.C.. Essi screditarono i guaritori tradizionali e religiosi sviluppando un ideale elitario di identità professionale che promuoveva una cura basata sulla conoscenza della natura, dunque considerando sia la salute che la malattia come fondate sulle leggi naturali e non nel sovrannaturale18. Ciò che essi compirono fu un passaggio epocale che portò la concezione della malattia da un terreno di essenza magica ad un terreno naturalista e organicista, organizzando il sapere medico attorno a tale situazione. In altri termini essi eliminarono l’eccedenza di significato, confinando il terreno della malattia nel campo della stretta biologicità. Questa idea fu ben sviluppata da Aristotele, il quale sostenne che il sapere attorno alla malattia dovesse essere pensato come una branca scientifica, poiché rappresentava il tipico esempio di come un insieme empirico di capacità e di saperi si potesse trasformare organicamente in una scienza intesa come possibilità di giungere, mediante osservazione, all’universale. Infatti, per Aristotele il sapere che il medico doveva imparare a possedere implicava la conoscenza dell’universale, dunque, il medico doveva conoscere la ragione per cui un determinato tipo di cura ha successo. Per questo motivo il medico doveva avere coscienza della relazione tra causa ed effetto per potersi, così, pronunciare su uno stato patologico. Si può intuire come per Aristotele, in linea con gli ippocratici, la sovrabbondanza di senso, ovvero il valore mitico di spiegazione su cosa fosse l’uomo che la malattia aveva assunto nelle precedenti epoche umane, viene considerato un linguaggio irrimediabilmente equivoco e da rifiutare. Da Aristotele in poi comincia a prendere forma una medicina che fa corrispondere a 18 Per una trattazione approfondita di questa tematica rimando al libro di S. B. Nuland, I figli di Ippocrate, Mondadori editore, Milano 1992 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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determinati nomi delle precise catalogazioni di malattie e quindi di cure: la medicina, intesa come pratica di cura delle malattie, perde ogni tipo di valore magico e interpretativo per divenire una tecnica precisa che tramite un linguaggio rigoroso riesce a far coincidere determinati effetti a delle cause prestabilite. In virtù di questa logica per Aristotele non avere un significato preciso equivaleva a non avere un significato, dunque una malattia si contraddistingue per avere una precisa causa osservabile e comunicabile in modo oggettivo19. Tale definizione si protrae, anche se in modi culturalmente diversi, lungo tutta la successiva storia della medicina e trova la propria consacrazione grazie al lavoro di Claud Bernard. Bernard coniò la definizione di medicina sperimentale, ritenendo che lo scienziato-medico dovesse costituirsi come il fotografo della natura20, cioè come il solo protagonista in grado di vincere il grande rischio della malattia. Per compiere tale impresa il medico avrebbe dovuto applicare il metodo sperimentale, comune a tutte le altre scienze, anche agli eventi che riguardano la stretta connessione delle funzioni del vivente. La medicina sperimentale, come proposta da Bernard, diviene una pratica che, non solo ha la pretesa di conoscere le leggi dell’organismo sano e malato, ma vuole poter modificare tali regole al fine di porre il paziente nella miglior situazione vitale possibile e per fare ciò deve prima di tutto descrivere e catalogare le alterazioni in tabelle tassonomiche. La medicina, da Bernard in poi, ha subito molti mutamenti dovuti al tempo alle credenze e agli aspetti socio-culturali, nonostante ciò si può affermare che in tutta la storia umana il sapere medico si sia fondato sulla malattia, quindi come afferma lo psichiatra e psicoanalista Clavreul: “il sapere medico diviene un sapere sulla malattia, non sull’uomo che interessa il medico esclusivamente 19 Cfr I. Cavicchi, L’uomo inguaribile, il significato della medicina, Editori Riuniti, Roma 1998 20 Cfr C. Bernard, Introduction à l’étude de la médecine expérimentale, Flammarion, Paris 2008

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in quanto terreno in cui la malattia si sviluppa21”. Il concetto di malattia rimane aperto ad una serie imprecisata di determinazioni, ma rimane il concetto base su cui edificare il sapere medico, il quale da Bernard in poi si vota ad essere una pratica scientifica, ovvero a procedere con la stessa metodologia di tutte le altre scienze. Per fare ciò è essenziale, come affermato anche da Aristotele, definire il campo d’azione, ovvero definire in modo preciso la malattia. Si coglie, così, come il nominalismo, ovvero attribuire dei precisi significati alle parole, in questo caso al concetto di malattia, possa considerarsi come la vera essenza della medicina. Infatti, la malattia è ciò che dona vita alla medicina, ma è anche ciò che, nelle varie epoche, ha distinto ciò che era da considerarsi medicina, dunque cura accettata sulla malattia, e cosa non lo era. Detto in altro modo la rigida definizione delle malattie permette oggi come in passato di cogliere ciò che rientra nel campo della scienza medica e ciò che invece non ne fa parte. L’enunciazione di tale concetto è di fondamentale importanza poiché come ha asserito il medico e saggista Jean Hamburger:“la dispersione dell’entità malattia potrebbe raggiungere in certi ambiti della medicina un grado tale che, singolarmente, proprio per un’accresciuta esigenza di rigore, i fatti darebbero ragione al vecchio concetto intuitivo secondo cui: Non ci sono malattie, ma solo malati. È chiara tuttavia l’inquietante difficoltà scientifica che verrebbe così evocata, in quanto esiste scienza solo del generale e del correlativo, non del particolare22”. Detto in altri termini i ragionamenti attorno all’umanizzazione delle cure, agli sviluppi dei processi terapeutici sono di fondamentale importanza, ma non possono annoverarsi come l’essenza della medicina, poiché l’essenza, intesa come ciò per cui una certa cosa è quello che è, si ritrova nel rigido nominalismo con cui la medicina nomina i propri oggetti di riferimento: le 21

J. Clavreul, Il rovescio della psicanalisi, Edizioni Dedalo, Bari 1981, p. 127

J. Hamburger, 22 1972, p. 72

La puissance et la fragilità, Flammarion, Paris

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malattie. Insomma, potrebbe sembrare scontato, ma l’oggetto della medicina è la malattia e solo costituendo delle definizioni precise delle patologie, le quali obbedendo al credo scientifico sposato con Bernard devono rinviare a delle alterazioni biologiche precise, essa può rispondere al proprio compito che si edifica nella salvaguardia della vita umana. Fare medicina vuol dire proteggere l’uomo dalle condizioni di alterazione, per fare ciò la medicina ha scelto di sposare il metodo scientifico, ovvero un sistema di conoscenze preciso che si basa sull’analisi delle cause e degli effetti che necessita di un insieme di parole bene definite che possano marcare in maniera inequivocabile il campo d’azione. In poche parole la medicina trova la propria legittimazione ad esistere proprio perché adotta un’essenza nominalista, che le permette di descrivere in maniera precisa il proprio campo d’indagine e i metodi utilizzati. Senza definizioni rigorose ed accettate la medicina non esisterebbe come branca autonoma e scientifica, ma si trasformerebbe in una serie di atti rientranti a vario titolo all’interno di quello che prende il nome di credenza popolare. La medicina come mostrano le analisi di Foucault o di Canguilhem, o le recenti analisi storiche del medico e storico Giorgio Cosmancini, ha mutato lungo la storia i propri metodi operativi, i propri strumenti, è rientrata all’interno di discorsi politici etc., ma ha sempre conservato la propria essenza che è quella di basarsi sulla malattia e su una rigorosa nomenclatura di essa, che utilizzando il metodo scientifico rinvia ad una definita alterazione organica. 2) L’essenza della psichiatria: il nominalismo dinamico Il lavoro dello psichiatra si pone su una posizione diversa rispetto a quella di tutti gli altri tecnici della scienza medica. Infatti come sostiene Foucault: “il punto effettivo su cui si esercita il sapere psichiatrico non è sin dal principio, né essenzialmente, 26

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quello che consente di specificare, di caratterizzare, di spiegare la malattia. Detto in altri termini, mentre un medico ha come compito principale o come obbligo, per via della posizione che occupa, di rispondere ai sintomi, ai lamenti del malato, attraverso un’attività di specificazione, di caratterizzazione […] lo psichiatra, invece, non è chiamato in causa né convocato a tale scopo, cioè perché intervenga, rispetto alla domanda del malato, per attribuire uno statuto, un carattere e una specificazione ai sui sintomi. Allo psichiatra ci si rivolge a un livello ancora precedente, a una soglia che sta più in basso, e precisamente nel punto in cui si tratta di decidere se c’è o meno malattia23”. Ciò che Foucault asserisce è che mentre il punto in cui funziona il sapere medico è quello della specificazione della malattia, in psichiatria il sapere medico interviene nel punto in cui viene presa una decisione relativa alla presenza o all’assenza della follia, dunque nel momento in cui si decide tra la realtà e la non realtà. Detto in altro modo se l’essenza della medicina è costituita dal rigido nominalismo che la contraddistingue edificandola come pratica terapeutica che si basa su nomi condivisi che rinviano a lesioni biologiche accertate, la psichiatria, invece, non sembra poter contare su una tale essenza. Infatti, ciò che la psichiatria fa non è curare un ben definito tipo di malattia guardando alle alterazioni biologiche e incasellandole sotto la specifica di un nome, ma si focalizza nel decidere se esiste o meno la malattia. Quindi, se un ortopedico, un ginecologo, un cardiologo etc., sanno con precisione definire una malattia sia sotto il versante dell’organo colpito che sotto il versante dell’agente che colpisce (per esempio la pancreatite è un processo infiammatorio acuto o cronico del pancreas, l’ipertensione arteriosa è una condizione clinica in cui la pressione del sangue nelle arterie della circolazione sistemica risulta elevata, la polmonite è una malattia dei polmoni e del sistema respiratorio caratterizzata dall’infiammazione degli alveoli polmonari, etc.), situazione che legittima 23

M. Foucault, Il potere psichiatrico, Feltrinelli, Milano 2004, p. 225 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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l’utilizzo di metodi medici quali farmaci e interventi chirurgici, uno psichiatra non sa definire con altrettanta precisione cos’è la depressione, la schizofrenia, l’autismo e tutte le altre malattie oggetto del proprio sapere. Secondo Gadamer24 la psichiatria è collocata ai confini della scienza per via della sua indissolubile natura di prassi (di conoscenze applicata ad una realtà in movimento), la quale trascende spesso dalla mera applicazione del sapere poiché particolarmente legata alla comprensione. Gadamer sostiene così che la psichiatria non riesce a porre al proprio centro un oggetto ben codificato, quale la malattia biologica, ma ha come proprio oggetto le modalità di esplicazione dell’uomo, il quale resta però oggetto largamente sconosciuto, non tanto perché in futuro la ricerca potrà continuare a definirlo meglio, ma in quanto materia non conoscibile al di fuori di un particolare scambio. In tal senso la cura psichiatrica si pensa solo all’interno della relazione e le competenze comunicative relative ad essa sono quanto definisce lo psichiatra nella prassi25. Riprendendo dunque le teorie di Gadamer, si può sostenere che il lavoro dello psichiatra non si basi su una certezza nominale che fa da specchio ad un’alterazione biologica, ma si basi sulla relazione e sulla costruzione d’identità. Ciò che fa la psichiatria, come sostiene il filosofo Ian Hacking, si può assimilare più a ciò che fa uno scienziato sociale, in quanto lo psichiatra crea dei concetti di malattia raggruppando persone in base all’emergere di un determinato tipo di concetto che deriva dall’analisi delle relazioni. Un esempio di tale procedimento è rappresentato dal concetto di perversione sessuale, che è uno degli aspetti patologici a cui la psichiatria si è più dedicata negli ultimi anni, il quale, però, non è esistito prima della metà

24 H. G. Gadamer, Dove si nasconde la salute, Raffaello Cortina editore, Milano 1994 25 Cfr.V. Pellegrino, Follie ragionate, Utet, Torino 2012, pp. 24-25.

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del XIX secolo26. Solo con l’emergere di alcuni determinati tipi di idee, derivanti dal lavoro di alcuni medici del settecento attorno al concetto di masturbazione27 e che hanno portato la società a ritenere giusta una determinata visione della vita sessuale, è stato possibile ritenere chiunque non rispettasse quel determinato tipo di senso comune del vivere come malato. Ne segue che prima dell’edificazione di una relazione tendente ad asserire che masturbarsi fosse patologico, o che fare l’amore con qualcuno dello stesso sesso fosse patologico, in breve dell’istituzione di un concetto stesso di perversione sessuale, non poteva esistere nemmeno una serie di pazienti chiamati perversi. A tal proposito Hacking sostiene che in molti campi delle scienze umane alcune categorie di persone iniziano ad esistere nello stesso momento in cui iniziano ad esistere tipi di persone che entrano in queste categorie, e tra i due processi c’è un’interazione bi-direzionale. Tale situazione è definita da Hacking con il termine nominalismo dinamico, il quale mostra come la storia giochi un ruolo essenziale nel costituirsi degli oggetti, dove gli oggetti sono le persone e i modi in cui si comportano, dal momento che le scienze umane danno origine a nuove categorie, che in parte danno a loro volta origine a nuovi tipi di persone28. 26 Cfr M. Foucault, La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1976;T. Szasz, Sex by Prescription: The Startling Truth about Today’s Sex Therapy, Syracuse University Press 1990;A. I. Davidson, The Emergente of Sexuality, Harvard University press, 2004; 27 J. Stengers e A. Van Neck hanno descritto nell’opera Histoire d’une grande peur, la masturbation (1998) tutti i processi che hanno portato all’edificazione del concetto di perversione sessuale, mostrando come esso abbia preso i propri natali dall’atto compiuto da Tissot, il quale con l’opera Onania (1760) ha trattato per la prima volta un problema sessuale, la masturbazione, come fosse una malattia. Un’altra opera degna di nota che descrive la nascita della perversione sessuale è quella ad opera di È. Roudinesco, La part oscure de nous-même. Une histoire des pervers, Albin Michel, 2007. 28 Per approfondire questo tema consiglio la lettura di A. I. Davidson,

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A tal proposito scrive: “il nominalismo dinamico sostiene che […] un tipo di persona ha iniziato ad esistere nello stesso momento in cui quel tipo stesso veniva inventato. In certi casi, quindi, le nostre classificazioni e le nostre classi concorrono a emergere tenendosi per mano e incantandosi l’un l’altra. […] Il nominalismo dinamico resta una dottrina intrigante, e sostiene che molti tipi di esseri e di atti umani iniziano a esistere mano nella mano con la nostra invenzione delle categorie che li etichettano29”. Si può quindi sostenere, seguendo il ragionamento di Hacking, che è solo dopo la comparsa-invenzione del concetto di perversione che nascono i perversi, solo dopo la comparsa del concetto di depressione che nascono i depressi, solo dopo la comparsa del concetto di autismo che nascono gli autistici e viceversa, solo perché si è riconosciuto delle persone come perverse che si è potuto legittimare una malattia chiamata perversione sessuale, solo perché si è riconosciuto delle persone come depresse che si legittima la depressione, solo perché si è riconosciuto delle persone come autistiche che si è legittimato l’autismo come malattia. Un esempio che certifica la validità di tale definizione è sancito dal recentissimo disturbo da dipendenza da gioco30, infatti il gioco d’azzardo è sempre esistito e seppur venisse etichettato in maniera morale, o positivamente o in maniera dispregiativa, esso non è mai stato considerato come una patologia. Solo nel 1994 è comparso nel gergo psichiatrico il disturbo da gioco d’azzardo che ha fatto sì che le stesse persone assuefatte a tale pratica fossero deThe emergence of sexuality, Harvard University Press, 2004. Davidson è l’autore che più ha tematizzato e sviluppato tali idee. 29 I. Hacking, Historical Ontology, Harvard University Press, 2002, p. 106 e p. 113 30 Nel DSM-IV tale disturbo fa la sua comparsa nella categoria diagnostica dei Disturbi del controllo degli impulsi, nel DSM-V esso viene inserito nella categoria delle cosiddette “dipendenze comportamentali”.

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finite come portatrici di tale patologia, ma le persone a loro volta venendo definite tali hanno donato valore ed esistenza alla stessa malattia. La quale pure essendo nata come criterio diagnostico nel 199431, ha trovato legittimità e diffusione solo una decina di anni dopo, ovvero dopo che si è riuscito a trovare un cospicuo numero di persone che potessero rientrare in tale patologia. Per tal ragione si può sostenere che se l’essenza della medicina è il nominalismo, ovvero il far corrispondere ad un nome una precisa lesione anatomica situata in un organo ben definito, l’essenza della psichiatria è invece il nominalismo dinamico, il quale si basa su un concetto di tipo relazionale dedito alla costruzione e verificazione di una patologia non fondata su un’evidenza biologica, ma derivandola da una riflessione sociale fondata sulla relazione di mutuo riconoscimento tra categoria e soggetti interessati da tale categoria32. 31 Per il DSM-IV (1994) è affetto da disturbo da gioco d’azzardo chi presentava almeno 5 dei seguenti disturbi: 1. È assorbito dal gioco; 2. Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato; 3. Tenta di ridurre, controllare o interrompere il gioco d’azzardo, ma senza successo; 4. È irrequieto e irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo; 5. Gioca d’azzardo per sfuggire a problemi o per alleviare un umore disforico; 6. Dopo aver perso al gioco, spesso torna un altro giorno per giocare ancora, rincorrendo le proprie perdite; 7. Mente per occultare l’entità del coinvolgimento nel gioco d’azzardo; 8. Ha commesso azioni illegali per finanziare il gioco d’azzardo; 9. Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo; 10. Fa affidamento sugli altri per reperire denaro per alleviare la situazione economica difficile causata dal gioco. 32 Cfr. A. I. Davidson, The emergence of sexuality, Harvard University Press, 2004

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3) Malattia medica e malattia mentale Le diverse essenze della medicina e della psichiatria, ovvero il nominalismo e il nominalismo dinamico, rinviano ad un differente modo di definire la malattia in generale. Infatti, la medicina definisce con tale termine un’alterazione organica o un disturbo funzionale. A tal proposito Thomas Szasz scrive: “che cos’è una malattia? In italiano si dice “malattia”, mentre in inglese esistono parole diverse che si usano come sinonimi, ma non sono veri e propri sinonimi: disease, illness, malady, sickness. La parola malady è la più generica e può includere di tutto, mentre la parola disease è più specifica, se usata nel senso moderno. È bene tenerlo presente, poiché un tempo era usata nel senso etimologico di “disagio”, e non era neppure strettamente connessa con il corpo. Prima del XIX secolo, c’era la cosiddetta “teoria degli umori”, un concetto prescientifico risalente a Galeno. Disease nel senso di malattia è quindi un concetto moderno, che risale soltanto all’Ottocento, ed è il risultato di studi condotti da medici e scienziati sul corpo umano, in particolare sui cadaveri. Disease nel senso di malattia, quindi, nella scienza moderna implica una qualche anormalità nel corpo, nella struttura del corpo come oggetto fisico. In tal senso, la malattia è un fenomeno fisico, analogo a qualsiasi altro fenomeno fisico esistente in natura33”. Si coglie come con il termine Disease, tradotto in italiano con la parola malattia, la medicina designi qualcosa di fisico che riguarda il corpo, quindi una situazione realmente visibile che trova poi forma specifica a seconda dell’organo che si prende in considerazione. Tale chiarezza non si ritrova nella definizione di malattia data dalla psichiatria. Infatti, esistono almeno tre grandi concezioni che rinviano ad altrettante definizioni del termine generico malattia mentale. La prima fa riferimento a Wilhelm 33

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T. Szasz, La battaglia per la salute, Spirali, Milano 2000, pp. 4-5

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Griesinger il quale sostenne che: “le malattie mentali sono malattie del cervello34”. Griesinger trovò un metodo, da lui definito psicologia empirica, che consentiva di descrivere i fenomeni psichici in modo da concettualizzarli e da interpretarli esclusivamente come funzioni di un organo e precisamente dell’organo cerebrale. L’opinione di Griesinger si può riassumere utilizzando le sue parole: “bisogna solo aspettare pazientemente il giorno in cui i problemi relativi alla connessione tra il contenuto e la forma della vita mentale dell’uomo diventino questioni fisiologiche e non più metafisiche35”. La prima definizione di malattia mentale dunque fa riferimento ad una concezione organicista, al contrario, la seconda definizione, che si può far risalire a Ludwig Binswanger, trova le proprie radici in una credenza di stampo filosofico. Infatti, Binswanger polemizza con Griesinger sostenendo che: “la psicologia non ha a che fare con un soggetto privo del suo mondo perchè un simile soggetto non sarebbe altro che un oggetto, né tanto meno con la scissione soggetto-oggetto perché tale scissione non la si potrebbe intendere se non come avente alla base l’umana esistenza. La psicologia inizia quando comprende l’esistenza umana come originario essere-nel-mondo e considera i determinati modi fondamentali in cui l’esistenza di fatto esiste36”. Binswanger sostiene che lo schema proposto da Cartesio, che verte sulla differenza tra “res cogitans” e “res extensa”, si pone a base della costituzione organicista adottata da Griesinger, non possa addirsi alla disciplina psichiatrica. Infatti, tale teoria porta con sé la lacerazione dell’unità propria dell’uomo, costituendo una dualità tra corpo e mente che per Binswanger rappresenta il 34 W. Griesinger, Pathologie und Therapie der psychinschen Krankheiten, Braunschweig, Stuttgart 1876, p.4 35 Ivi, p. 6 36 L. Binswanger, Per un’antropologia fenomenologica, Feltrinelli, Milano 2007, p. 101

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cancro di ogni psichiatria. Separando la sfera dello psichico dalla sfera corporea l’uomo viene ridotto ad oggetto fra gli altri oggetti, perdendo la propria originalità. Il punto centrale della teoria di Binswanger è il superamento del dualismo cartesiano, inteso come unica possibilità per guardare alla soggettività, che si costruisce nel suo sperimentare ed essere influenzata dal mondo che la circonda. La psichiatria che trova fondamento da Binswanger si basa sull’analisi della presenza umana (Dasein) nel suo esserenel-mondo, senza creare distinzioni tra sano e folle, poiché sia l’uno che l’altro appartengono allo stesso mondo e sperimentano lo stesso mondo. In questa maniera Binswanger afferma la possibilità per ogni individualità di vivere la propria soggettività, in quanto il così detto malato di mente differisce dall’individuo sano per il modo di approcciarsi alla realtà, che testimonia il tentativo di diventare comunque se stesso. Si coglie come la malattia mentale assume per Binswanger la concezione di alterazione del rapporto Io-mondo e lo scopo della psichiatria diviene quello di rintracciare il senso della relazione Io-mondo di ogni individuo, cogliendo, così, attraverso le varie possibilità di esistenza in cui si rivela la presenza, il senso dei fenomeni morbosi. Detto in altro modo se la definizione di malattia mentale di Griesinger fa riferimento ad una sfera organica, quella di Binswanger fa riferimento ad una sfera fenomenologico-ermeneutica37. L’ultima definizione di malattia mentale è quella che prende forma dall’operato di Franco Basaglia. Per Basaglia la riflessione attorno alla malattia mentale non può prescindere da una riflessione sulla società, infatti, egli sostiene che: “un individuo è dunque normale finché accetta le norme che vengono definite come le regole della convivenza civile e che, in realtà, corrispondono alle regole che stabiliscono la distanza fra chi ha il potere di determinare la legge e chi ha il dovere di subirla. La classe che ha 37 Vedi, U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1987; G. Gross, Ludwig Binswanger: Entre phénoménologie et expérience psychiatrique, Trasparance, 2009

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il potere si identifica con queste regole perché sono connaturate alle sue esigenze […] anormale è quindi chi mette in discussione queste regole, trasgredendole perché non rispondono ai suoi bisogni38”. Basaglia afferma così che la società è formata su un profondo dualismo manicheo che ha preso forma dall’istanza religiosa, la quale ha avuto la funzione di manipolazione e di controllo dell’individuo attraverso la divisone fra bene e male, fra premio e castigo. Al giorno d’oggi, invece, la religione lascia il posto alle scienze, le quali si specializzano nella distinzione tra normale e anormale. La psichiatria si inserisce come la disciplina cardine che permette questa divisione, cancellando dal proprio campo d’indagine il mondo sociale, le aspettative, le speranze e i condizionamenti propri di ogni singola soggettività, riducendo il diverso ad un mero oggetto da eliminare dalla comunità a favore della tutela della sicurezza. Basaglia conia così la terza definizione di malattia mentale, che fa riferimento ad una concezione sociologica, che s’instaura nella premessa teorica del carattere sociogenetico delle malattie psichiche. Si coglie, così, come il termine malattia mentale non possa riferirsi ad un significato unico, come invece accade per il termine malattia in medicina, ma rinvia a tre differenti significati interdipendenti tra loro. 4) I tre paradigmi della psichiatria Se la medicina utilizzando in maniera univoca il termine malattia edifica un sistema terapeutico che pur nelle diversità di opinione si concepisce come unico, nel senso che le diverse forme applicative rinviano quantomeno alla stessa tipologia di malattia, dunque alla stessa alterazione biologica, in psichiatria tale situazione non si verifica, poiché utilizzando tre differenti definizioni di malattia mentale si aprono anche tre differenti modelli tera38 F. Basaglia, Condotte perturbate, in L’utopia della reaità, Einaudi, Torino 2005 pp. 286-87 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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peutici: il modello scientifico-naturalistico, il modello ermeneutico-psicologico e il modello sociale. Ciascuno di questi paradigmi sottintende specifici concetti di malattia con corrispondenti impostazioni, somatogenetiche, psicogenetiche e sociogenetiche, le quali avendo caratteristiche diverse non permettono una possibile comunicazione fra le tre diverse impostazioni. Detto in altro modo sebbene esistano diverse modalità di curare una polmonite, i medici nell’asserire che stanno curando una polmonite sono concordi nel sostenere che stanno curando i polmoni, invece gli psichiatri se dichiarano di curare la depressione non sono concordi nel dichiarare cosa di specifico stanno curando, poiché uno affermerà che sta curando l’alterazione biologica che crea la depressione, un altro sta cercando di far riesaminare il rapporto con il mondo del proprio paziente, un altro ancora sta cercando di far cogliere al paziente come la sua depressione derivi da uno scarso adattamento sociale. Il primo modello, quello scientifico-naturalistico, prende avvio dalla definizione di malattia mentale coniata da Griesinger e si basa nell’identificare la vita psichica con la vita somatica, anche se con articolazioni stratificate che sfuggono tutt’ora alla comprensione. Lo sviluppo di tale modello ha portato all’utilizzo massiccio della farmacologia e vede oggi giorno nuova linfa nell’utilizzo delle tecniche neuroscientifiche, ovvero nella possibilità di considerare la malattia mentale come un’alterazione delle connessioni neuronali. Il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali redatto dall’American Psychiatric Association) rappresenta il fulcro di tale orientamento che si basa sulla concezione di causalità lineare, ovvero in una rigida tassonomia della malattia mentale. Il principio di cura che anima questo modello prevede che a determinati sintomi corrisponda una precisa malattia, la quale ha un proprio decorso e una propria terapia. Il modello ermeneutico-psicologico che prende avvio dalla definizione di malattia mentale coniata da Binswanger si basa sulla ricerca del senso delle esperienze psicopatologiche, rivol36

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gendo quindi la sua attenzione non ai sintomi quali indizi di malattia, ma al mondo soggettivo del paziente: ai suoi vissuti e alle sue intere articolazioni psicologiche. La malattia psichica viene interpretata come una realtà umana che si forma e si realizza nell’incontro con l’altro da sé. Tale modello rinuncia ad ogni tipo di tassonomia e preferisce confrontarsi con l’esperienza, lo spazio e il tempo del singolo soggetto in cura. Viene, così, rifiutata ogni tipo di causalità lineare, in favore di una focalizzazione sul soggetto in cura. La malattia viene concepita come esperienza singolare che richiede lavoro su di sé, il quale si effettua non unicamente tramite gli psicofarmaci, ma anche con il donare valore alla parola e all’esame interiore39. Il modello sociologico prende avvio dalla definizione di malattia mentale coniata da Basaglia e si focalizza nell’esaminare l’influenza dell’ambiente sui contenuti dell’esperienza psicotica. Gli aderenti a tale modello ritengono che l’evoluzione della malattia mentale abbia come sua emblematica conseguenza l’insorgere di un processo sociale che trascina con sé la ristrutturazione del campo sociale costitutivo della famiglia e finisce con l’esclusione della persona malata. Quindi, essere malati di mente significa essere usciti dalla norma sociale e svuotarsi di ogni connotazione sociale. Tale situazione prevede una cura che si basa sull’integrazione in un gruppo, ovvero quello cha da Maxwell Jones in poi prende il nome di socioterapia. L’estremo esito di questo paradigma si deve al movimento, non unitario, che prende il nome di antipsichiatria40. Alcuni aderenti a tale movimento hanno sostenuto che la malattia mentale si fondi esclusivamente su un’origine sociogenetica. Per tal ragione le cure che propongono non hanno a che fare con psicofarmaci o esame di sé, ma 39 Vedi A. Gaston, Genealogia dell’alienazione, Feltrinelli, Milano 1987 40 Per una riflessione dettagliata su che cos’è l’antipsichiatria rimando ad un libro che ho scritto nel 2013 dal titolo Che cos’è l’antipsichiatria? Storia della nascita del movimento di critica alla psichiatria, Edizioni Psiconline, Francavilla al mare Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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prevedono una riforma sociale atta a far prendere coscienza di cosa è realmente la malattia mentale, ovvero esclusione del diverso. Questi tre modelli, come si può facilmente comprendere, si caratterizzano per l’incomunicabilità, poiché pur cercando di curare tutti è tre la malattia mentale, non riescono ad accordarsi sul punto fondamentale che edifica la stessa cura, ovvero che cos’è la malattia mentale. 5) Dizionari e manuali: alla ricerca di una definizione di malattia mentale Le pubblicazioni sulla malattia mentale sono in continuo aumento e i titoli allarmisti che spesso riportano sono molto sintomatici di quale sia la posizione della malattia mentale all’interno della nostra epoca. Oltre alle numerosissime pubblicazioni, anche i dati dell’OMS sono molto indicativi per eleggere la malattia mentale come la patologia regina della nostra epoca, basti pensare che si stima che solo in Italia più di 6 milioni di persone soffrono di problemi psichiatrici e secondo i dati OsMed41 nella stessa Italia il 12% della spesa farmaceutica riguarda antidepressivi e ansiolitici. Se si volge lo sguardo ad altri paesi i dati diventano ancora più allarmanti, in quanto si stima che la media delle diagnosi annuali in Europa della sola patologia depressiva ha raggiunto la quota record di 60 milioni42. In relazione a questi dati l’OMS ha dichiarato che la depressione sarà, nel 2020, la seconda causa di disabilità dopo le malattie cardiovascolari. Robert Whitaker a questo proposito scrive: “le diagnosi di malattia 41 I dati sono consultabili nel sito: http://www.agenziafarmaco.gov.it/ 42 Per tutti i dati aggiornati si rinviano ai vari rapporti stilati dall’OMS, per l’ambito Italiano si rimanda anche ai rapporti annuali stilati dall’Osservasalute e dall’OsMed

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mentale si è diffusa in maniera incredibile, essa è cresciuta in dimensioni e portata nel corso degli ultimi cinque decenni, infatti nella sola America vengono diagnosticati ogni giorno come malati mentali 850 adulti e 250 bambini43”. Whitaker nella propria pubblicazione mette in luce come in America nel 1955 si registravano 566,000 persone ospitate negli istituti di Igiene mentale, anche se solo 355,000 erano diagnosticate come affette da una patologia mentale, gli altri erano affetti da Alzheimer o avevano disturbi legati all’alcolismo. La relazione in quell’anno era di una diagnosi di malattia mentale ogni 468 persone. Nel 1987 le persone ricoverate aumentarono sino al numero di 1,25 milioni, rideterminando la proporzione tra popolazione e diagnosi di malattia mentale a una ogni 184 abitanti. Nel 2007 la nuova proporzione è di una diagnosi di malattia mentale ogni 76 americani. Tali dati vengono confermati anche da Richard J. McNally, il quale scrive: “quasi il 50 per cento degli americani sono stati malati di mente ad un certo punto della loro vita, e più di un quarto hanno sofferto di malattie negli scorsi dodici mesi. La malattia mentale a quanto pare è dilagante negli Stati Uniti. Queste sono le sorprendenti conclusioni emerse dalla National Co-morbidity Survey Replication (NCSR), uno studio condotto tramite interviste psichiatriche, su un campione di più di novemila adulti. Studi condotti in altri paesi, evidenziano tassi altrettanto alti di diagnosi di malattia mentale44”. Nonostante questi dati mettano in luce come la malattia mentale venga considerata a tutti gli effetti un tipo di “malattia medica” e come essa sia altamente diffusa nella nostra epoca, dalla trattazione svolta nei capitoli precedenti risulta chiaro come non sia possibile definire con precisione, situazione indispensabile 43 R. Whitaker, Anatomy of an Epidemic, Crown publisher, New York, 2010, p. 15 44 R. J. McNally, What is mental illness, Harvard University Press, 2011, p. 1

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per fare medicina, cosa voglia dire malattia mentale. Infatti, le diverse definizioni che si possono attribuire al concetto di malattia mentale rendono del tutto impossibile una comunicazione univoca tra i tre sistemi terapeutici che si prendono cura di essa. Sebbene queste tre definizioni divergano, sembra doveroso cercare per altre vie una definizione di malattia mentale, che possa ovviare al problema della ricerca di una definizione che legittimi questo alto numero di pubblicazioni e i dati riportati. Volgendo lo sguardo ai due manuali che caratterizzano la cura ufficiale della malattia mentale, il DSM e il PDM (Manuale diagnostico psicodinamico), troviamo minuziose descrizioni di casi, di dinamiche, di codificazioni per decifrare le malattie, secondo un rigoroso schema tassonomico, ma non si rinviene una definizione generale di cosa sia la malattia mentale. La situazione non cambia se si volge lo sguardo ai dizionari, siano essi a carattere filosofico, medico, psicanalitico o di scienze sociali, in quanto la quasi totalità di essi sotto la voce malattia mentale rimanda alla voce psichiatria. Tale situazione conferma come l’essenza della psichiatria sia costituita dal nominalismo dinamico, poiché gli stessi dizionari sostengono che senza una definizione di psichiatria (quindi di medico della mente) sia difficile codificare la stessa concezione di malattia mentale e, viceversa, è proprio perché si edifica tale definizione che esiste la psichiatria. La situazione non cambia in quei rari dizionari che presentano una descrizione sotto la voce malattia mentale, infatti essa serve unicamente a giustificare una visione particolare della cura, quindi diviene oggetto di una limitazione, funzionale a creare la legittimità di uno specifico tipo di intervento terapeutico. Un ultimo tentativo per poter trovare una definizione della malattia mentale lo si può fare guardando all’Organizzazione Mondiale della Sanità la quale, così come precisato nella sua costituzione, trova il proprio fulcro nel raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello più alto possibile di salute. Per tal ragione redige dei rapporti, come quello da cui si sono tratti i dati sopra riportati, sulla diffusione delle particolari malattie. Va da 40

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sé che per effettuare tale relazione in campo di malattia mentale è essenziale determinare cosa s’intenda con il termine malattia mentale. La definizione di malattia mentale fornita dall’OMS, riportata anche dal ministero della salute Italiano è la seguente: “con l’espressione salute mentale, si fa riferimento ad uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l’individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all’interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni45”. Tale definizione è molto significativa, poiché non identifica la malattia mentale, ma specifica uno status, ovvero ciò che è da considerarsi come condizione di assenza della malattia mentale. In altri termini anche l’OMS asserisce che si può descrivere cos’è la malattia mentale solo in negativo ovvero definendo cos’è la salute e sostenendo che ciò che non corrisponde a tale situazione è da considerarsi come patologico. Si coglie come una tale espressione corrobori ancora di più l’asserzione in base alla quale l’essenza della psichiatria non può essere la stessa essenza che caratterizza la medicina, ovvero la psichiatria trova il proprio nucleo fondativo nel nominalismo dinamico, invece la medicina nel nominalismo. Da tutto questo ragionamento si può constatare che la psichiatria utilizza il concetto di malattia in maniera totalmente diversa rispetto alla medicina. Sebbene la modernità consideri normale affidarsi alla psichiatria e ritenga che tale disciplina sia una scienza medica, in realtà ignora quale sia la definizione dell’oggetto primo a cui essa si riferisce e che dovrebbe costituire la base per la stessa edificazione terapeutica. La malattia mentale 45 Definizione tratta dal sito internet del ministero della salute, consultabile al seguente link: http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp? lingua=italiano&id=171&area=salute%20mentale&menu=vuoto Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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ad oggi si può definire in molti modi, ciò vuol dire che non esiste una definizione univoca dello stesso termine, quindi nonostante sappiamo diagnosticare e curare la malattia mentale ignoriamo cosa essa sia. 6) Un puro cavillo linguistico? Sino ad ora si è asserito che nella storia umana è sempre esistita una nozione di malattia, intesa come condizione di pericolo vissuta dall’organismo umano, la quale ha portato all’edificazione di differenti tipi di cura a seconda del periodo storico. Quando l’uomo ruppe il rapporto tra concezione della malattia e credenze magiche e mitiche, le pratiche che si dedicarono al risolvere le alterazioni vitali presero il nome di medicina. Tale pratica si riferiva al naturale, quindi alla ricerca di un’alterazione biologica, e non più all’edificazione di riti sacri che avevano come obbiettivo il sovrannaturale, inoltre, la medicina da Bernard in poi si concepì come fondata sul metodo scientifico, ovvero sul metodo di causa ed effetto. Per rispettare il proprio compito, ovvero quello di cura scientifica alle alterazioni biologiche (malattie), la medicina ha bisogno di fondarsi su pilastri stabili che l’aiutino a sorreggere lo stesso metodo scientifico a cui si vota. Essa dunque si dona dei rigorosi statuti, che obbligano tutti i fruitori di tale tecnica ad adottare lo stesso lessico, il quale si basa sull’evidenza della malattia, ovvero sull’evidenza di una lesione anatomicobiologica a cui si deve porre rimedio. Si può così affermare che l’essenza della medicina, ovvero ciò che le consente di essere se stessa (disciplina scientifica dedita alla cura della malattia) è il rigido nominalismo, che permette di identificare in maniera univoca l’oggetto da cui tutto si edifica: la malattia. La psichiatria, pur essendo concepita come una pratica medico-scientifica, non riesce ad utilizzare il concetto di malattia come edificato dalla pratica medica, ma fa ricorso a quello che 42

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prende il nome di nominalismo dinamico. Detto in altre parole, la psichiatria non parte da un dato oggettivo (alterazione biologica) indicandolo con il nome malattia, ma si basa su concetti storico-culturali (come nel caso della perversione sessuale) a cui attribuisce il rango di malattia, facendo così rientrare un determinato gruppo di persone sotto la definizione di malati. L’utilizzo del nominalismo dinamico conduce ad una molteplicità delle definizioni e quindi di significati che vengono attribuiti al termine generale malattia mentale. Ne segue che se in medicina il termine malattia equivale ad un’alterazione organica a cui il medico deve porre rimedio, in psichiatria il concetto di malattia assume varie caratteristiche a seconda di come esso viene inteso. Ciò comporta l’edificazione di sistemi terapeutici totalmente differenti, che si pongono in un regime d’incomunicabilità, poiché cercano, diagnosticano e curano delle entità che, seppur racchiuse sotto la nomina generale di malattie mentali, non sembrano avere nulla in comune. La situazione fin qui descritta sembra essere un puro cavillo linguistico, una riflessione teoretica che poco ha a che vedere con la realtà del disagio psichico. L’analisi del linguaggio e la constatazione delle due diverse essenze sembrano essere un lavoro da filosofi del linguaggio, uno sforzo, magari legittimo, che corrisponde ad un esercizio di stile muto dinanzi al male mentale che affligge sempre più persone. Eppure come sostiene lo studioso di economia sanitaria Tramarin: “la malattia è un linguaggio: essa ha delle parole, una grammatica. La malattia è un disordine improvviso, un labirinto, un caos che cambia l’esistente, la realtà. Sotto un certo punto di vista, quindi, la medicina rappresenta la ricerca di un ordine, la capacità di predire gli eventi, di rendere meno ineluttabile la sofferenza […] la malattia, nella mente del clinico, si focalizza su un organo, un sintomo, un farmaco e come tale è analizzata singolarmente. […] Il linguaggio della malattia, visto dalla prospettiva del medico, è basato su un codice che comprende diversi sistemi di riferimento linguistici. Essi sono di tipo anatomico (dove), fisiologico (come), e infine

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biochimico molecolare, eziologico (perché)46”. Da queste parole si comprende come l’unica possibilità per la medicina di rispondere alla sofferenza provata da un individuo è quello di stabilire un ordine rigoroso, che si basa sulla costruzione di un linguaggio determinato rispetto all’oggetto della sofferenza: la malattia. Quindi, indagare il significato del termine malattia non è un puro gioco filosofico-linguistico ma, come ha messo in luce Michel Foucault, la ricerca attorno al valore delle parole permette di cogliere lo stato della scienza, quindi dei discorsi sulla verità di una data epoca47. Infatti, Foucault nelle sue ricerche teorizza ed utilizza il metodo archeologico, precisando che il compito di tale metodo è quello di dissotterrare e descrivere le regole che in una data epoca e società definiscono i limiti e le forme di dicibilità, le quali determinano di che cosa sia possibile parlare e quali siano le pratiche discorsive ammesse in una determinata società. Le parole e i discorsi non sono sistemi di segni che rimandano ad altro, ma sono pratiche che formano gli oggetti di cui si parla. Dunque, ogni società ha il proprio ordine di verità, la sua politica generale della verità, la quale accetta e legittima determinati discorsi che fa funzionare come veri48. Per tal ragione il discorso attorno al valore del termine malattia mentale serve a cogliere quali siano gli enunciati considerati come valevoli, perciò serve a comprendere il valore veritativo che oggi si restituisce a tutto ciò che ha a che fare con il concetto di malattia mentale, dunque anche alla scienza che si edifica su tale termine: la psichiatria. Infatti, la nostra società legittima come vero e accettabile, in campo medico, il discorso attorno alla scienza49, quindi la psichiatria deve ergersi a scienza per poter funzionare come pratica medica. Ciò comporta che per far funzionare il proprio ragiona46 47 48 49

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A. Tramarin, L’ospedale ammalato, Marsilio,Venezia 2002, pp. 19-20 Cfr M. Foucault, Les Mots et les Choses, Gallimard, Paris 1966 Cfr M. Foucault, L’Archéologie du savoir, Gallimard, Paris 1969 Vedi J. Habermas, Conoscenza e interesse, Laterza, Roma-Bari 1983 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata


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mento, essa deve riuscire ad adottare le stesse procedure della medicina, quindi eliminare la molteplicità degli sguardi e delle interpretazioni del concetto di malattia mentale, spendendo le proprie forze per convincere che il modello proposto da Griesinger, ovvero che le malattie mentali siano malattie del cervello, sia quello accettabile e l’unico corretto, poiché sposa la nozione di essenza della medicina. In altri termini la psichiatria deve ridurre al silenzio tutte le interpretazioni che non corrispondono a ciò che il regime veritativo prodotto dalla società ha stabilito essere il criterio di esistenza delle discipline che si possono occupare della malattia. Questo intento di votare la malattia mentale solo verso la biologicità, si rivela estremamente gravoso e lo stesso Griesinger sottolinea come non sia facile realizzare questo progetto. Infatti, la sua inquietudine si mostra in frasi come questa: “io credo, che se oggi un angelo venisse dal cielo e ci spiegasse tutto, la nostra ragione non sarebbe mai capace di afferrare50”. Tale frase è indicativa della difficoltà di un progetto che prevede di considerare le malattie mentali come malattie del cervello, infatti guardando alla storia della psichiatria tale evento non è stato mai realizzato ed è lontanissimo da ogni possibilità di realizzazione. Le stesse odierne scoperte neuroscientifiche, pur aiutando in questo obbiettivo, non hanno ancora prodotto alcun risultato tangibile che possa confermare tale situazione. Sembra dunque che la definizione di malattia mentale su cui si edifica la psichiatria odierna sia solo una facciata vuota e lo scredito dato ad ogni altra definizione serve solo a tutelare i propri interessi. Non è un caso che Allen Frances, psichiatra a capo della task force che ha redatto il DSM-IV, abbia affermato in un’intervista rilasciata a Gary Greenberg: “non esiste una definizione di malattia mentale […] ciò che voglio dire è che è impossibile definirla. Il concetto di malattia mentale è praticamente impossibile da de50 W. Griesinger, Pathologie und Therapie der psychinschen Krankheiten, Braunschweig, Stuttgart 1876, p. 17 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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finire con precisione, è impossibile delineare in maniera precisa i suoi confini51”. Si può così affermare che la questione su cosa sia la malattia mentale non è risolta e che l’utilizzo che ne fa la psichiatria, riprendendo l’essenza nominalistica della medicina, non è supportato da alcuna evidenza scientifica e sconfessa la stessa storia della disciplina psichiatrica che si fonda sul nominalismo dinamico. Non a caso il DSM, fonte esplicativa della psichiatria, viene stilato non su basi oggettive derivanti da osservazioni dirette di alterazioni biologiche, ma da discussioni interne all’APA. Prova di tal circostanza è il fatto che nelle diverse edizioni del manuale si è assistito alla cancellazione di alcune malattie, per esempio l’omosessualità52, e all’introduzione di altre malattie (di51 G. Greenberg, Inside the Battle to Define Mental Illnes, Wired megazine, 27 dicembre 2010 52 L’omossessualità appariva nel DSM-II (1968) come la figura principe delle devianze sessuali. All’inizio degli anni’70 molti congressi psichiatrici in America vengono interrotti da contestatori appartenenti alla comunità gay, i quali rivendicano il diritto ad uno stile di vita alternativo. Essi chiedono con forza una spiegazione riguardo l’inserimento dell’omosessualità all’interno delle condizioni patologiche descritte dal DSM. Tali contestazioni trovano il loro massimo punto nel 1972 grazie a John Fryer, psichiatra membro dell’APA e omosessuale, che travestendosi, camuffando la voce e celandosi dietro lo pseudonimo Dr. H. Anonymous, organizza a Dallas una conferenza per parlare di psichiatria e omosessualità. A questo convegno egli dichiara di essere psichiatra e omosessuale e di parlare in rappresentanza dei suoi colleghi che condividono il suo orientamento sessuale. Il suo discorso mira alla rivendicazione della propria scelta di vita, chiedendo che l’APA riveda il concetto di malattia attribuito all’omosessualità, in particolare togliendo lo status che vede l’allontanamento dalla professione di psichiatra a tutti gli omosessuali. In seguito a tale discorso la pressione verso l’APA diviene talmente pressante che l’anno successivo la stessa APA è costretta ad indire una votazione fra i suoi aderenti al fine di decidere se espellere o conservare l’omosessualità come malattia mentale. Vince la corrente che vuole una demedicalizzazione della sessualità con una percentuale del 58% e nell’edizione del DSM-II del 1974 l’omosessualità scompare come malattia mentale. Da questa situazione si può comprendere come la scomparsa di tale malattia non sia dovuta ad alcuna riflessione biologica o relativa ad accertamento o meno

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sturbo da iperattività), che se fossero realmente malattie, disturbi biologico-anatomici, non potrebbero scomparire dai manuali tassonomici. Infatti, nella medicina alcune malattie si considerano debellate, vaiolo, ma esse, avendo alle spalle la localizzazione del virus e dell’organo colpito, non cessano di essere definite malattie. L’omossessualità ha cessato di essere una malattia, l’iperattività ha iniziato ad essere una malattia, poiché tali situazioni non hanno alle spalle l’individuazione di una lesione anatomica (nominalismo), ma la creazione di un concetto socio-culturale di patologia (nominalismo dinamico). Tale fatto potrebbe sembrare vantaggioso perché permette di avere un concetto di patologia mentale che si dimostra dinamico e pronto ad adeguarsi al mutamento dei tempi e dei costumi, ma tale risultato rappresenta solo un lato della medaglia, poiché come sostiene lo psichiatra Giorgio Antonucci: “il concetto di malattia mentale è del tutto indeterminato e può così essere riempito o non riempito di qualunque contenuto e attribuito o non attribuito arbitrariamente a chiunque, a giudizio di chi è delegato dalla società a invalidare le persone e a tenere i cittadini sotto ricatto53”. Ciò vuol dire che l’apertura indeterminata del concetto di malattia mentale, supportata da una presunta definizione organica, rischia di far rientrare all’interno della propria definizione qualunque cosa, rischiano così di radicalizzare l’aspetto di medicalizzazione della vita, ovvero di far rientrare nel campo della psichiatria sempre nuovi aspetti vitali, non legittimando tale situazione con evidenti disturbi biologici. Tale risultato è stata evidenziato da Robert Whitaker nel libro Anatomy of an epidemic, in cui denuncia che l’aumento delle diagnosi di malattia mentale, quindi il crescente numero di prescrizioni di psicofarmaci, sia motivato dalle esigenze economiche delle case farmaceutiche di condizioni di alterazioni somatiche. 53 G. Antonucci, Il pregiudizio psichiatrico, Sensibili alle foglie, Cuneo 1995 p. 23 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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più che da una reale esigenza medica. Whitaker legittima con una serie di dati la tesi che Thomas Szasz sin dal 1961 ha posto come emblema della propria attività di critica alla psichiatria, ovvero l’asserzione che la psichiatria utilizza in modo metaforico i termini malattia e cura al fine di perpetuare i propri interessi riguardanti sia la propria legittimità scientifica, che il bisogno di sussistenza garantito dai finanziamenti elargiti dalle case farmaceutiche. Infatti, Szasz si esprime nel seguente modo:“quanto alla psichiatria, dovrebbe essere chiaro che nessuna diagnosi di malattia mentale è o potrebbe essere motivata da patologia. Tutte le diagnosi del genere sono motivate da ragionamenti e incentivi non medici, ossia economici, personali, legali, politici e sociali. Così, le diagnosi psichiatriche non indicano lesioni anatomiche o fisiologiche né agenti patogeni, ma al contrario alludono a comportamenti umani54”. Ne segue che l’assenza di una definizione di malattia mentale e la supposizione che essa rinvii ad aspetti puramente biologici si rivela atta unicamente a tutelare determinati interessi. Al contrario se si vuole prendere sul serio il compito della psichiatria, prestare reale soccorso al sofferente psichico, è necessario creare un altro tipo di definizione di malattia mentale, che non si riduca ad una pura alterazione biologica indimostrabile. Per fare ciò è essenziale volgere lo sguardo a ciò che varie discipline che si sono interessate di malattia mentale ci possono dire su tale fenomeno, senza screditarle per il solo fatto di non ridurre tutto alla pura organicità, in quanto, in mancanza di una definizione che rimandi ad un’alterazione biologica, risulta del tutto errato trascurare la voce delle scienze che si sono occupate a diverso titolo della sfera psichica. Non ha senso nascondersi dietro la metafora di un’alterazione biologica, poiché essa non essendo ancora rilevabile non permette di comprendere un fenomeno, la malattia mentale, che trova la propria ragione d’essere in una relazione dinamica più che dalla stretta biologia. Per ri54

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T. Szasz, Il mito della malattia mentale, Spirali, Milano 2003, p. 18 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata


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uscire in tale intento di ascoltare le singole discipline, bisogna però tenere presenti le parole del celebre sociologo Elias, il quale afferma: “gli psichiatri formulano alcuni assunti comuni sulle persone in generale, che riflettono le loro esperienze professionali circoscritte. Di queste esperienze sono imbevute le loro procedure, i loro concetti, tutto il loro modo di pensare le persone. Lo stesso si può dire degli psicologi o dei sociologi. Si potrebbe parlare di un homo psychiatrius, di un homo psychoanalyticus o di un homo sociologicus. Tutti questi gruppi sono inclini a vedere la propria provincia dell’universo umano come la più fondamentale e la più centrale55”. Come sostiene Elias è essenziale costruire una definizione di malattia mentale che guardi con interesse a tutte le dimensioni e specificazioni che le varie discipline posso restituire a tale termine senza assolutizzarne nessuna, in quanto ogni disciplina ha i propri interessi particolari e tenta di porre tali interessi al di sopra di ogni altra interpretazione. Per ovviare a questa situazione e quindi per far sì che una definizione di malattia mentale rispetti gli interessi delle varie discipline senza assecondarne nessuno, è necessario edificare una definizione di malattia mentale che seppur assolutamente parziale possa tener presente gli interessi di tutte le discipline. Tali interessi rappresentano, infatti, i diversi aspetti interpretativi dell’uomo e, tenendoli ben presente, si può edificare un sistema terapeutico che, rispettando l’opinione delle diverse discipline, rispetti anche la molteplicità dell’espressione vitale. La malattia mentale è uno dei problemi fondamentali del nostro presente, ma esso non si pone come emblema della biologia, della filosofia, dell’economia, del diritto, delle neuroscienze, ma si pone come problema esistenziale che per tal ragione s’identifica nell’essere multiforme. L’unica maniera per cogliere questa molteplicità di espressione è quella di guardare alle diverse discipline che hanno ognuna ad oggetto d’interesse una particolare forma di espressione umana. 55

N. Elias, Oltre il muro dell’Io, Medusa, Milano 2011, p. 28 Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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