Lo psicologo in tribunale. Come effettuare una consulenza tecnica in separazioni, divorzi e ...

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Strumenti



Elisa Manco

Lo Psicologo in Tribunale La Consulenza Tecnica in materia di separazione, divorzio e affidamento dei figli minori


Prima Edizione: 2012 ISBN 9788889845639 © 2012 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di febbraio 2012 in Italia da Atena.net srl - Grisignano di Zocco (VI) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)


INDICE

Presentazione (Marino Maglietta) Introduzione Parte prima: le fasi del processo di consulenza e la valutazione delle parti 1. L’udienza di incarico e il giuramento 2. Il quesito del Giudice 3. Potestà genitoriale e affidamento del minore: riferimenti normativi e procedurali 4. Esame degli Atti e Procedimento Giudiziario 5. Il primo incontro con le parti 6. L’indagine sui genitori: - esame clinico area individuale - ricostruzione della vicenda familiare - dinamiche del conflitto - il colloquio sul figlio 7. La valutazione psicodiagnostica Parte seconda: l’ascolto del minore

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1. Riferimenti normativi, procedurali e deontolo5


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE

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gici Il bambino nel conflitto genitoriale Il maltrattamento infantile: indicatori, effetti, stili genitoriali • Pas: “Sindrome di alienazione parentale” • Maltrattamento fisico e psicologico • Violenza assistita • Patologia delle cure L’abuso sessuale sul minore Indicazioni metodologiche all’approccio del minore vittima di maltrattamenti familiari e abuso sessuale Le azioni di tutela del minore vittima di maltrattamento familiare e abuso sessuale Il colloquio con il minore: Premessa Protocollo peritale: a) primo incontro b) anamnesi clinica: 1. Funzionamento della personalità 2. Vissuto e comprensione degli eventi relativi alla separazione e alla conflittualità genitoriale 3. Sintomatologia insorta successivamente agli eventi in oggetto 4. qualità delle relazioni affettive. Desideri, punti di vista e progettualità L’interazione tra il minore e i genitori La psicodiagnosi del bambino Il colloquio di restituzione ai genitori Casi

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STRUMENTI Parte terza: la stesura della relazione peritale

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Frontespizio Calendario delle operazioni peritali Metodologia e strumenti Esame degli atti del procedimento Trascrizione dei colloqui effettuati Protocolli e scoring dei test somministrati Verbale di nomina dell’ausiliario e considerazioni tecniche prodotte 8. Indagine di tipo sociale sull’ambiente 9. Considerazioni peritali e risultanze testistiche 10. Conclusioni peritali e risposta al quesito 11. La relazione di consulenza tecnica di parte (C.T.P.) e la risposta del C.T.U. 12. La proposta di notula

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Normativa di riferimento

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Bibliografia

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PRESENTAZIONE

Definirei questo testo una lectio magistralis. Dopo avere sperimentato per anni letture deviate delle norme in vigore, dopo avere seguito decine di casi in cui nessuno degli addetti ai lavori svolgeva correttamente il suo ruolo, leggere questo libro è stato per me ritrovare finalmente chiarezza di idee e ordine delle cose. Tutto è al posto giusto. Ruoli e compiti sono rispettati. Lo si comprende immediatamente dalla sua impostazione, dall’invocato “principio guida”: “la cornice di riferimento è quella indicata dalle norme, in particolar modo dal primo comma dell’art.155 che sancisce: “il minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Questo vuol dire tante cose. Vuol dire anzitutto richiamare gli interessati alla centralità non solo del “l’interesse del minore”(concetto abusatissimo), ma più che altro dei suoi diritti, letti all’interno di una normativa che non ne fa un imperativo a sé stante, avulso dal contesto generale, ma lo colloca all’interno delle problematiche della famiglia separata tutta intera, nella consapevolezza che il modo più corretto ed efficace di fare l’interesse del minore è quello di inserirlo in un quadro familiare dove si rispettano i ruoli e le aspettative di tutti, dove si è fatto il massimo per evitare delusioni e scontentezze. 9


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE Affermazioni come “Riteniamo che l’applicazione dell’istituto dell’affidamento condiviso garantisca il minore rispetto al suo bisogno di relazionarsi con entrambi i genitori e, quindi, ad un sano sviluppo psicofisico e al diritto alla salute e al benessere sancito dalla Costituzione; che l’istituto in egual misura tuteli gli stessi genitori all’accesso con il figlio e alla esplicazione della cogenitorialità” ne sono la evidente dimostrazione. Elisa Manco ha perfettamente compreso l’inscindibile legame tra “salute”del bambino e adeguata impostazione delle relazioni familiari. Il concetto di scelta tra i genitori, di ricerca del “più idoneo”, così cara alla visione monogenitoriale, le è del tutto estraneo. E lo conferma in ogni affermazione, anche a costo di andare decisamente contro corrente: “l’affidamento condiviso deve essere suggerito … sempre, anche e soprattutto, in casi di alta conflittualità, qualora sia in atto una dinamica che tende ad escludere un genitore o che determini un rapporto difficile tra questi ed il figlio: la equa ripartizione di funzioni, tempi e responsabilità tra gli ex coniugi permette di interrompere o rendere difficoltose dinamiche di strumentalizzazione, esclusione o recisione della relazione genitore-figlio”. Né sfugge ai suoi contenuti, così come pensati e voluti dal legislatore, prendendo robuste distanze dalla opzione sbilanciata e asimmetrica di molti suoi colleghi, nonché dalla maggior parte degli operatori del diritto, a partire da avvocati e magistrati:”il consulente dovrebbe definire i tempi di permanenza del minore presso la abitazione paterna e materna più equamente suddivisi ed equilibrati, in relazione alle esigenze e alle disponibilità effettive di ciascuno, tali da garantire una costanza della relazione che determini una ripartizione dei compiti di accudimento e, dunque, la reale garanzia di accesso del minore ad entrambi i genitori.” Con il che si manda in soffitta, per gli aspetti sostanziali, il concetto di “genitore collocatario”, del quale diffida anche sotto il profilo terminologico: “Come il termine genitore “affidatario”, anche quello di genitore “domiciliatario o collocatario” deve essere utilizzato dal consulente in “toni cauti e solo se necessario”. E, con totale chiarezza e impossibilità di 10


STRUMENTI equivoci, completa il ragionamento pronunciandosi anche sull’affidamento esclusivo: “l’indicazione di un affidamento esclusivo, salvo casi di grave pregiudizio da parte di un genitore sul figlio, rappresenta infatti una evidente violazione del diritto indisponibile del minore a un rapporto equilibrato con i genitori”. Ma direi che ogni concetto innovativo, tuttora argomento di discussione o meglio di prevalente rigetto da parte degli operatori del diritto, viene sistematicamente ripreso e puntualizzato. L’autrice non sfugge al confronto, non evita i punti scabrosi. Come quando afferma che: “La stabilità” da un punto di vista psicologico è quella di una relazione affettiva con entrambi i genitori caratterizzata da continuità e coerenza: in tal senso la stabilità non deve essere intesa come “abitazione prevalente”, quindi nella individuazione del genitore “collocatario”o“domiciliatario”, ma nella garanzia di tempi e modalità equilibrati della presenza del minore presso ciascun genitore.“Individuare” il “genitore collocatario o domiciliatario, ancorchè affidatario”, implica la attribuzione di competenze e diritti diversi tra gli ex coniugi, riattivando quella logica di potere, di vincitore-perdente, contraria agli interessi del minore e all’obiettivo dell’intervento peritale che, come quello delle giustizia, intende ristabilire l’equilibrio funzionale perduto in termini di diritto alla salute. Magistrale. Non può usarsi altro aggettivo. Ma, ovviamente, non siamo di fronte a un trattato di diritto. La materia specificamente professionale viene ampiamente discussa, con ricchezza di suggerimenti e di esempi, ancora una volta affrontando le tematiche più delicate, come la PAS o i condizionamenti in genere e ancora una volta controcorrente: “L’orientamento di chi scrive è quello di ritenere preminente l’interesse del minore alla relazione con entrambi i genitori: il genitore che esercita una influenza sul figlio tale da precluderne la relazione con l’altro dovrebbe, in prevalenza, essere il destinatario degli incontri protetti. È infatti questa la comunicazione disfunzionale da dover essere rieducata ed anche monitorata: la casistica insegna che altrimenti i risultati ottenuti in poche ore di relazione positiva tra il genitore escluso e il figlio 11


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE negli incontri protetti, vanno costantemente vanificati dalla forza dei messaggi disconfermanti e alienanti operati dell’altro genitore.” È questo che avviene nei tribunali? Tutt’altro e l’autrice ne è perfettamente consapevole, tanto che, dopo avere fatto lucido riferimento alle difficoltà attuali (“le tante resistenze ancora oggi presenti nella prassi giudiziale, ed anche, peritale”), getta verso il futuro uno sguardo fiducioso, che include anche lo strumento principe che vorrebbe vedere maggiormente utilizzato davvero nell’interesse del minore, la mediazione familiare: “nella speranza che il disegno di Legge n. 957 del 29 Luglio 2008 (nella stesura aggiornata n. 2454) venga approvato, facendo quindi divenire la Mediazione Familiare un passaggio informativo obbligatorio per le parti in disaccordo sui figli, prima di adire il Giudice”. Uno strumento che non esita a definire “di fondamentale importanza per il consulente.” Da parte di chi persegue da sempre i medesimi obiettivi, l’augurio che la fatica di Elisa Manco possa essere conosciuta e apprezzata nel modo più ampio possibile. Prof. Marino Maglietta 1

1 Docente universitario presso la facoltà di Ingegneria di Firenze.Nel 1993 fonda a Firenze l’associazione “Crescere Insieme” attraverso la quale porta avanti un’opera di sensibilizzazione rispetto alla tematica dell’affido condiviso e alla pratica della mediazione familiare. Concepisce la struttura portante di quella che diventa la prima Legge italiana che contempla l’affidamento condiviso dei figli attraverso la modifica dell’articolo 155 del Codice civile. Nel corso di quattro legislature ha contribuito sostanzialmente alla redazione dei testi base che hanno condotto alla legge 54/2006. Tra i più importanti: il PdL n. 3598 (XI Legislatura), il PdL n. 66 (XIV Legislatura) e il PdL n. 53 (XVI Legislatura). Attualmente opera a favore di una corretta e piena osservanza della nuova normativa. In tal senso ha anche elaborato e fatto giungere in Parlamento un nuovo testo di legge (DDL n. 957 - XVI Legislatura) che rafforza e rilancia il precedente provvedimento. Socio onorario dell’AIMeF, Associazione Italiana Mediatori familiari, membro della Consulta Nazionale per la Infanzia e l’Adolescenza “Gianni Rodari”

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro intende rivolgersi agli operatori coinvolti nel difficile e oneroso compito di coadiuvare il giudice ordinario o minorile nella valutazione delle competenze genitoriali degli ex coniugi e dello stato psicologico del minore coinvolto nella dinamica della separazione e della conflittualità genitoriale, suggerendo percorsi di sostegno e recupero nel rispetto dei diritti inalienabili dei soggetti coinvolti. L’elaborato intende anche offrire un contributo conoscitivo agli stessi organi competenti della magistratura perché possano essere individuate e concordate metodologie e principi condivisi che permettano un dialogo concreto e funzionale tra la psicologia ed il diritto, al fine di restituire una giustizia che tuteli i soggetti in un processo, quello della separazione, così carico di sofferenze, di difficoltà ed anche di elementi soggettivi, tali da determinare la necessità di un giudizio tecnico sopra le parti. La pubblicazione si rivolge, infine, a tutti coloro che, coinvolti nella dinamica giudiziale della separazione e del divorzio, possano trovare spunti utili di sostegno e di guida per intravedere, forse, una luce, un monito, un incoraggiamento che ne motivi la parola “fine”, in nome e per conto della parte più debole del sistema che è il figlio. L’intento è quello di creare, pur nella varietà della casistica, una metodologia ed una deontologia che connetta sempre il dato umano con quello clinico e normativo, affinché il giudizio possa essere la 13


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE interpretazione e l’applicazione della norma alla specificità e complessità di ogni singolo caso: la norma come cornice e riferimento, la psicologia come lente di comprensione della singolarità, del processo dinamico ed anche prognostico. Riteniamo, infatti, che i due ruoli, quello del giudice e quello del consulente, siano complementari nei contenuti, nella metodologia e nei fini e che non vi sia una separazione tra sistemi conoscitivi, gnoseologici ed etici. Il fine di entrambi è ristabilire un equilibrio, quello di una genitorialità condivisa e funzionale ad un sano sviluppo psicofisico del minore, rotta dalla separazione che è, sì conflitto e incapacità, ma anche e soprattutto, perdita, sofferenza e crisi di quella “normalità” che deve essere ascoltata, accolta, reindirizzata e rieducata, attraverso anche la esplicitazione degli intenti, della metodologia dell’intervento peritale e dei principi normativi. L’approccio metodologico proposto intende suggerire una deontologia che, applicando la norma, restituisca il valore educativo dell’intervento e del fine reale della giustizia, non solo quindi quello giudicante: la diagnosi indirizza i suggerimenti, ma non può essere il solo fine della consulenza. Essa deve necessariamente restituire alle parti, con coraggio, quei principi universali di diritto dei singoli, sostenendoli nella riappropriazione di competenze, ruoli e funzioni necessarie al reale superamento degli ostacoli rilevati. Le criticità e le mancanze non sono il fine di un giudizio clinico, ma la base per un intervento educativo, quello sancito dalla funzione di pubblico ufficiale della quale è investito il C.T.U., che accoglie e restituisce nuovi significati per valorizzare e stimolare anzi le risorse proprie ad ogni specifico sistema, per attivare il cambiamento e motivare i suggerimenti richiesti dal quesito nella singolarità e soggettività di ogni caso. In un’ottica di dialettica e complementarietà tra psicologia e diritto il lavoro ripercorre, nelle sue tre parti, i momenti costituivi della consulenza, come elemento del processo e del giudizio, ed anche della interpretazione e della applicazione della gerarchia delle 14


STRUMENTI norme e della funzione propria della magistratura. La norma posta all’art.101 della Costituzione riferisce che “Il giudice è soggetto solo alla legge”, per quanto possa residuare il rischio che si ponga comunque sopra alla legge in nome di personali valutazioni nell’interesse del minore soggettivamente giudicato. Ciò parrebbe di inequivocabile significato e di indiscutibile interpretazione se, posto come è nel contesto della seconda parte della Carta Costituzionale (ordinamento della Repubblica) la si collochi nel sistema di equilibrata ripartizione dei poteri propria dello Stato di diritto. Si tratta cioè di una norma che, affermando il principio di esclusiva dipendenza del giudice alla legge, è diretta a tutelare il libero esercizio delle funzione giurisdizionali nelle relazioni esterne, di fronte alle possibili ingerenze di altri poteri, in specie, quello esecutivo del Governo (v. art. 104 della Cost.): una esclusività e libertà, dunque, che è la precondizione della imparzialità del giudizio e, con essa, la garanzia di veritiera e effettiva giustizia. La relazione tra il magistrato e la normativa che è chiamato ad applicare, appare ancor più doverosa in questa sede non solo per quanto ciò risulti estremamente complesso e difficile, ma anche per le inevitabili connessioni che il tema assume nella definizione di una deontologia relativa all’esercizio di altre professionalità che vi concorrono: qualunque funzione giudicante implica l’interpretazione della norma concernente la fattispecie, assunta nella previsione e disciplina giuridica generale ed astratta della legge, ed oggetto del giudizio stesso e della relativa motivazione. La pubblicazione intende, dunque, approfondire il percorso logico, sul piano scientifico ed etico, che il giudice e con lui chi, come il consulente, concorrendo al procedimento e al provvedimento giurisdizionale, deve compiere nel collegare il caso reale e specifico al dettato delle norma, fornendo a tale scopo, protocolli operativi relativi ad ogni fase del procedimento peritale. Si intende innanzitutto chiarire la differenza che intercorre tra giudizio di opportunità, quello che trae forza dalla valutazione di merito ricondotto a parametri personali e soggettivi del giudicante, 15


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE che umanamente, ma erroneamente, parrebbero sempre concorrere e giudizio di legalità che trae legittimazione solo dalla legge, dalla ratio del suo dispositivo e dalla lettera della sua formulazione. Ma la singola normativa ordinaria regolativa della fattispecie oggetto di giudizio, non è di per sé sufficiente a garantire la Giustizia. Nella sua interpretazione devono confluire e intervenire tutte le altre norme che costituiscono il sistema dell’ordinamento giuridico che, in base al diverso grado di cogenza gerarchicamente definito dal sistema delle fonti, concorrono a sostenere la loro interpretazione, compresi i principi generali (v. art. 12 delle c.d. Pre-leggi al codice civile). Intendiamo anche rilevare, in ogni indicazione metodologicoperitale, quanto il processo storico evolutivo del sistema sociale odierno, caratterizzato fortemente anche dal contributo della psicologia, sia penetrato lentamente e progressivamente attraverso la giurisprudenza nella interpretazione di ogni singola normativa da applicare, quindi, al caso concreto, assumendo una rilevanza non più solo di fatto, ma anche giuridica. Calare la complessità dell’ordinamento giuridico, costituzionale, internazionale ed ordinario, (Costituzione, Convenzione ONU, Convenzione Europea, Carta di Noto, Codice civile e penale, Codice di procedura civile e penale), con l’accennato sistema gerarchico delle fonti, significa anche considerare quanto agiscano le pressioni, che sul piano culturale sorgono nella dialettica conflittuale delle parti pur inconsapevolmente ed in buona fede, sulla interpretazione della norma e sul giudizio, compreso quello diagnostico, tali da rendere “relativa” l’assoluta oggettività postulata alla funzione giudicante. Riteniamo che, al fine di ridurre tale rischio, i valori espressi dalle norme primarie, di rilevanza costituzionale che tutelano i diritti della persona alla salute, debbano essere così profondamente assimilati e condivisi, da assumere, nell’intento valutativo del consulente, una inviolabilità “sacrale”, un necessario e costante filo conduttore alla metodologia e il fine ultimo della risposta al quesito: 16


STRUMENTI valori che sostanziano quei diritti-doveri della persona che non sono solo la premessa, il punto di partenza del nostro processo logico, ma quello di arrivo, il risultato cioè che dà il sigillo di autentica e condivisa oggettività della decisione. Già la OMS definisce la salute quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità”, per cui “il mancato riconoscimento di mezzi di tutela per singoli aspetti specifici di protezione viola il valore costituzionale della persona”, che già la Costituzione, attraverso l’azione dello Stato, tutela con l’art.32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. La responsabilità di assicurare, quindi, le migliori condizioni di vita necessarie allo sviluppo del minore sono demandate in primo luogo alla famiglia nel suo compito di accudimento e protezione, come sancito dall’art. 30 della Costituzione. I diritti costituzionali alla salute si estrinsecano in quelli dichiarati anche dalla Convenzione ONU sul fanciullo, ratificata dall’Italia nel 1991, la quale nell’art. 27 afferma il “diritto del minore alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo fisico, intellettivo, spirituale, morale e sociale”, la cui garanzia è ricondotta alla responsabilità della famiglia di allevare e provvedere alla sua crescita, come è disposto dagli artt. 18 e 30 del medesimo testo. La Convenzione sui Diritti del Fanciullo nell’art. 24 stabilisce che: “gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di accedere ai servizi”; nell’art. 39: “gli Stati adottano ogni adeguato provvedimento per agevolarne il recupero fisico e psicologico e il reinserimento sociale del fanciullo vittima di ogni forma di negligenza, di sfruttamento e di maltrattamenti... tale recupero e reinserimento deve svolgersi in condizioni tali da favorire la salute, il rispetto della propria persona e la sua dignità”. Il diritto connesso, dunque, a non essere maltrattato è quello della 17


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE protezione stessa del minore, sancito dall’art. 19. A fronte dei diritti affermati e garantiti dalle norme primarie di grado superiore, Costituzionali e internazionali, appare, dunque, chiaro il compito della funzione giurisdizionale e, per essa, del consulente. Attraverso i capitoli che seguono dimostreremo come il postulato regolativo della relazione tra norma e giudicante e il processo logico interpretativo della norma, sostanziale e procedurale, aggiungano alla tecnicalità che vi è insita, quel valore costitutivo proprio della deontologia professionale del consulente tecnico che intende operare nella concorrente e complementare funzione della magistratura. L’udienza di nomina e il giuramento rilevano non solo per la investitura formale dell’incarico di C.T.U., ma anche per i significati etici, deontologici e giuridici connessi con la funzione di ausiliario del giudice e quella di pubblico ufficiale. Il quesito diventa lo strumento necessario al fine del giudizio, la cornice entro la quale il consulente deve orientare l’indagine, gli strumenti e le risposte: alla sua definizione, pensiamo, che il C.T.U. possa fornire il proprio contributo al fine di far convergere indicazioni, intenti e finalità specifici e complementari del diritto e della psicologia. L’esame degli atti, contenuti nei fascicoli di parte, dovrebbe essere finalizzato ed indirizzato non solo ad una generale ricostruzione e comprensione della vicenda in oggetto, ma a ricostruire un inquadramento processuale che tuteli il consulente dal rischio di uno schieramento insito nella dialettica tra le parti, per giungere ad una individuazione precoce di elementi di convergenza, di accordo possibile e di risorse insite allo specifico sistema. L’incontro con le parti, in una ottica di rispetto del diritto al contraddittorio e dei principi sanciti dalla gerarchia delle norme, implica competenze metodologiche e diagnostiche, sia giuridiche che psicologiche, per le quali si suggerisce un protocollo operativo. L’obiettivo è quello di un lavoro scientifico ed esaustivo, basato su un indirizzo educativo che parte dalla esplicitazione di metodi, 18


STRUMENTI modelli e finalità capaci di reindirizzare il conflitto e sostenere la cogenitorialità. L’ipotesi dell’elaborato tende a realizzare, nella diagnosi tecnica, una correlazione tra la genitorialità, definita dalla dottrina scientifica quale insieme di specifiche e complesse competenze e funzioni nella relazione tra genitore-figlio, con ciò che sancisce la norma, trovando, così, nel suo parallelismo una sequenzialità logica da permettere e indirizzare il giudizio tecnico: le funzioni del genitore si connettono con i diritti del minore; il concetto di Sé, le difese attivate, la sana e funzionale crescita psicofisica del bambino in relazione alla età, rappresentano il suo diritto costituzionalmente sancito alla salute ed al benessere, che è quindi garantita dalla relazione equilibrata con entrambi i genitori, se pur separati. La capacità di garantire l’accesso del figlio all’altro genitore, così come recita il principio dell’istituto dell’affidamento condiviso, rappresenta la cornice di riferimento del giudizio di idoneità genitoriale, nonché il fine dell’intervento di sostengo, l’obiettivo di cui alla risposta al quesito. La diagnosi psicologica di “quel padre” e di “quella madre”, rispetto alla dicotomia tra sano e patologico, trovano un senso connettendosi ancora al dato giuridico, “il diritto del minore al legame naturale, che può essere reciso solo in casi di grave e irreversibile pregiudizio”, (art.1 legge 4 maggio 1983, testo novellato L.149/01): la patologia, le mancanze devono essere esaminate non in senso assoluto, né nel tentativo di restituire al minore un “genitore perfetto”, ma nella loro connessione con le funzioni genitoriali che, possono, comunque, rimanere sufficientemente idonee per “quel minore”che deve essere tutelato nel rapporto con i suoi genitori attraverso i necessari interventi di sostegno. Il genitore adeguato è, a nostro avviso, colui che è capace di garantire e attuare i suoi diritti e doveri. Gli strumenti tecnici, quali il colloquio clinico e la psicodiagnosi, sono orientati non al giudizio diagnostico-personologico, ma a quello descrittivo; non tanto e solo, quindi, la diagnosi della even19


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE tuale patologia e dei relativi sintomi, ma la descrizione delle caratteristiche della personalità del soggetto in esame, delle sue risposte comportamentali, del suo funzionamento, in seno allo specifico della indagine e ai riferimenti normativi, cioè lo stile e le competenze genitoriali in una relazione funzionale di diritto-dovere con il figlio. Il pregiudizio genitoriale nei confronti del minore deve essere definito attraverso una indagine che coerentemente rintracci elementi di diagnosi psicologica connessi con la norma. Si forniscono, dunque, indicazioni relative a quelle forme di maltrattamento e abuso genitoriale ai danni del minore in termini di indicatori, sintomi, effetti e stili genitoriali correlati, per fornire al consulente elementi di rilevazione che rintraccino comportamenti sanzionati dalla norma e definiti, in termini certi, quali elementi di pregiudizio. La parte relativa al minore tenta di sgombrare il campo da quei tanti interrogativi che si pongono al consulente su cosa fare, ma soprattutto, su come fare in relazione ai bisogni del bambino, alle sue caratteristiche specifiche, alle competenze, alle conoscenze e anche relativamente agli effetti che l’intervento peritale può avere sul suo equilibrio psichico, già provato dalla sofferenza derivata dalla esperienza precoce della separazione dei genitori e dalla perdita della unità familiare. Questa parte, nel ripercorrere le fasi dell’accertamento peritale, fornisce indicazioni metodologiche e deontologiche che, attenendosi alle indicazioni normative specifiche, tutelano il consulente da errori e da prassi che non solo possono ledere i diritti del bambino/a, ma anche compromettere i risultati della indagine, mancando in quel ruolo educativo che intendiamo realizzare anche attraverso questo incontro. Sovente il consulente vive la sensazione di confusione trasmessa dalle parti, di dicotomia tra giusto e sbagliato, tra ragione e torto, tra versioni che si contraddicono ed esprimono una verità opposta all’altra, ma parzialmente vere: nell’incontro con il bambino il con20


STRUMENTI sulente ha la possibilità di fare chiarezza rilevando indici di una verità che, se anche non corrispondente a quella degli adulti, è comunque quella elaborata dal minore. La verità del bambino è quella del suo mondo interno, delle rappresentazioni che ha costruito con le proprie risorse, sulla base comunque delle informazioni verbali ed emotive trasmesse dai genitori. Il suo disagio, le sue sofferenze, sono relative al sistema genitoriale che lo ha coinvolto e travolto nella specificità di quella separazione e di quel conflitto. Se, dunque, gli adulti hanno fornito al consulente omissioni o distorsioni della realtà, nella diagnosi del bambino se ne evincono le incongruenze. L’ascolto del minore, diverso e distinto dall’audizione, è quindi orientato alla comprensione di una realtà che deve essere aiutata e sostenuta attraverso azioni indirizzate, soprattutto, ai suoi genitori. Nella sua ultima parte il libro cerca di sostenere il consulente nel difficile compito di massima sintesi dei contenuti che risultano dalla indagine peritale al fine di definire un quadro probatorio diagnostico-descrittivo dei singoli e del sistema che ne legittimi le istanze del quesito in termini di genitorialità, affidamento, regolamentazione dei tempi e dei compiti, percorsi di sostegno e di recupero necessari. Le conclusioni peritali dovrebbero contenere una breve sintesi della dinamica genitoriale e del conflitto in atto che determinano le difficoltà della coppia a definire elementi di accordo e a realizzare una genitorialità condivisa e funzionale alla garanzia di benessere e di accesso del figlio all’altro genitore, connesse sia con le caratteristiche specifiche della personalità dei soggetti ed eventuali patologie o disfunzioni e con la storia individuale pregressa, sia con le competenze genitoriali espresse; gli effetti delle dinamiche sul minore e sui suoi bisogni, sia con le risorse del sistema e gli eventuali accordi condivisi. In questa parte riteniamo necessario orientare il consulente nella 21


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE definizione dei suggerimenti da adottare rispetto ad una casistica che, se pur complessa e caratterizzata dalla specificità relativa ad ogni singolo caso, può tuttavia, rintracciare linee guida adeguate alla sua risoluzione, attraverso il principio indicato dalle norme, ed in particolar modo dalla legge n. 54 del 2006. La legge, che prevede l’applicazione prevalente dell’istituto dell’affido condiviso, nonostante le tante resistenze ancora oggi presenti nella prassi giudiziale ed anche peritale, permette di definire lo strumento concreto e reale di tutela dei diritti del minore e dei suoi genitori, garantendo il bambino rispetto al suo bisogno di relazionarsi con entrambi e, quindi, ad un sano sviluppo psicofisico, a quel diritto al benessere-salute sancito in primis dalla Costituzione e garantendo anche i suoi genitori, in egual misura, nell’accesso con il figlio e nella esplicazione della genitorialità, rispetto alle sue tante funzioni in termini psicologico-relazionali e giuridiche. Salvo casi di grave pregiudizio per il minore da parte di un genitore o di entrambi, l’affidamento condiviso deve essere suggerito, se l’argomento rientra nel quesito, soprattutto in casi di alta conflittualità e quando vi sia in atto una dinamica che tende ad escludere un genitore, o che determini un rapporto difficile tra questi ed il figlio: l’equa ripartizione di funzioni, tempi e responsabilità tra gli ex coniugi, permette di interrompere o rendere difficoltose dinamiche di strumentalizzazione, esclusione o recisione della relazione genitore-figlio. Sebbene la complessità della casistica non possa essere esaurita da indicazioni operative, comunque limitate, il tentativo ultimo è quello di delineare i possibili percorsi di intervento che il consulente può suggerire in relazione a quanto maggiormente attiva oggi l’interesse della magistratura, contemplando, peraltro, la varietà dei servizi pubblici e privati, che possono essere attivati al raggiungimento dell’obiettivo preposto. Il tentativo è quello di definire protocolli di intervento atti a superare difficoltà specifiche, quali: rapporti interrotti tra un genitore ed il figlio; relazioni genitoriali caratterizzate da gravi carenze; diffi22


STRUMENTI coltà perduranti di comunicazione e di bigenitorialità tra coniugi; carenze e criticità dei dispositivi giudiziali. Nonostante che l’ordinamento giuridico, come sistema complesso di norme generali ed astratte volto alla tutela della persona e al ripristino dei suoi diritti lesi, debba rispecchiare e rispondere alla infinita e mutevole casistica della realtà di riferimento, esso può efficacemente raggiungere le sue finalità se applicato con scrupolo e spirito critico. Riteniamo, quindi, che il contributo della psicologia sia fondamentale proprio per la comprensione della complessità e del processo dinamico che caratterizza le persone nella situazione specifica, nel tentativo di fornire risposte adatte e funzionali che connettano il dato scientifico a quello normativo. Non potrà esserci un prontuario che l’interprete della norma, sia il giudice sia il consulente, possa applicare meccanicamente, per risolvere cioè tutte le problematiche poste dalla molteplice diversità dei casi concreti, bensì una metodologia, quella che abbiamo cercato di individuare nella convergenza tra i due mondi, che possa fungere da linea guida, da cornice che l’interprete potrà usare, sapendo che in certi casi o in una certa residua misura, dovrà essere anche “creativo” in senso di interpretazione responsabile. Solo il formalismo e la paura di chi pensa di dover garantire il rigoroso rispetto di una verità o principio assoluto può pensare di ottenere un “prontuario” ove tutto sia previsto e facilmente applicabile.

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PARTE PRIMA:

FASI DEL PROCESSO DI CONSULENZA E LA VALUTAZIONE DELLE PARTI

La consulenza in materia di separazione, divorzio e affidamento dei figli minori è un incarico tecnico, conferito dall’organo della magistratura ordinaria e minorile all’esperto nell’ambito di un contesto specifico che è il processo al quale le parti hanno diritto di partecipare ed essere in egual misura garantite da ciò che si chiama diritto al contraddittorio e al rispetto dei diritti sanciti dalla gerarchia delle norme. La funzione dell’esperto si definisce in tal senso ed il C.T.U. è chiamato a rispondere, attraverso gli strumenti tecnici specifici della propria disciplina, concorrendo a motivare e a definire meglio la decisione del magistrato in ordine ai diritti del minore nella sua relazione con i genitori ancorchè separati o divorziati. La prima parte del presente elaborato intende ripercorrere le fasi del processo dall’affidamento dell’incarico, gli incontri con gli adulti, fornendo indicazioni deontologiche, metodologiche e protocolli peritali ad orientamento psicodinamico all’interno della cornice giuridica di riferimento. Si intende anche fornire alcuni contributi relativi alla casistica, modificati in alcuni passaggi al solo scopo di non violare il diritto alla privacy degli attori ed il segreto professionale, per consentire una maggiore comprensione al lettore. 25


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE La parte che segue si articola nelle seguenti sezioni: 1. L’udienza di incarico e il giuramento 2. Il quesito del Giudice 3. Potestà genitoriale e affidamento del minore: riferimenti normativi e procedurali. 4. Esame degli atti e procedimento giudiziario 5. Il primo incontro con le parti 6. L’indagine sui genitori: - esame clinico area individuale, - ricostruzione della vicenda familiare, - dinamiche del conflitto, - il colloquio “sul figlio” 7. La valutazione psicodiagnostica

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L’UDIENZA

DI INCARICO E IL GIURAMENTO

L’art. 61 del C.P.C. recita: “il giudice ha la possibilità di farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica” L’art. 191 C.P.C. recita “il giudice istruttore nomina il consulente, fissa l’udienza in cui il C.T. Deve comparire”. L’udienza di conferimento di incarico rappresenta un momento importante per il C.T.U. in quanto non solo viene investito formalmente della sua funzione, ma è anche un’occasione dinamica nella quale il consulente può già svolgere un ruolo attivo. Nell’attesa del giuramento il consulente, spesso, viene fatto oggetto di una prima interazione con gli avvocati difensori che espongono le ragioni degli assistiti. Il clima di conflittualità può essere avvertito in questa prima interazione e il C.T.U. può comprendere ed anche chiedere quale sia la capacità della coppia a sostenere gli incontri congiunti sin dalla prima convocazione. Si possono evincere informazioni su eventuali figure già coinvolte nella dinamica e nella valutazione, che dunque possono essere attivate attraverso una richiesta specifica al Giudice. Al giuramento sono presenti il Giudice Istruttore, o il Collegio se l’udienza è collegiale, composta cioè dal Presidente e due Giudici, il C.T.U. e gli avvocati difensori, ed infine, non sempre, le parti. All’Udienza si chiede al C.T.U. di prestare giuramento attra27


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE verso la esplicitazione della formula di rito, (art 193 C.P.C.): “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali”, (si dovrà rispondere “lo giuro”). Il giudice chiede poi al C.T.U. di fissare la data d’inizio delle operazioni peritali che coincidono con la lettura dei fascicoli di parte prodotti dai difensori e quella della prima convocazione delle parti o dei C.T.P., (consulenti di parte). Le operazioni peritali devono iniziare sempre con un momento di incontro preliminare tra il C.T.U. e i C.T.P. al fine di concordare il calendario ed esplicitare la metodologia e gli strumenti che si intendono utilizzare. Si consiglia di convocare separatamente le parti al primo colloquio qualora, anche su parere degli avvocati, gli ex coniugi non siano in grado di affrontarlo congiuntamente. Il C.T.U. chiede un anticipo delle spese che le parti converranno al primo incontro. Il C.T.U. indica i giorni per il deposito della propria consulenza. Si fissa l’udienza prossima, alla quale il Giudice disporrà o meno la comparizione del consulente. Le parti, attraverso i loro rappresentanti legali, nominano i propri consulenti o C.T.P. I consulenti di parte dovrebbero essere scelti per le competenze tecniche specifiche all’oggetto della valutazione, per una sincera inclinazione alla difesa e all’interesse del minore, preferibilmente se ciò attiene ad una scelta di entrambe le parti per garantire un equilibrato processo peritale. La revoca dei C.T.P. o la loro sostituzione può essere fatta solo su accoglimento della richiesta motivata dal giudice. I consulenti di parte hanno la possibilità di sollevare eccezioni, ad esempio di 28


STRUMENTI ordine legale, sull’operato del C.T.U. già nel corso delle operazioni peritali. Il C.T.U., verificata l’adeguatezza del quesito richiesto dal G.I. in relazione alla complessità e tipicità del caso, può porre al giudice ulteriori domande, quali : • aree ulteriori da investigare; • soggetti esterni da attivare nell’indagine, quali maestre, servizi sociali, medici di base, specialisti, ecc.; • nominare un ausiliario tecnico per la somministrazione dei test, o l’esame del minore; • altro. Si consiglia, in tal sede, di chiedere al giudice di indicare in quale data i consulenti di parte debbano far percepire al C.T.U. le loro controdeduzioni, cioè la relazione tecnica di parte prodotta successivamente all’acquisizione della relazione del consulente. Solitamente il C.T.U. dovrà far pervenire ai C.T.P. il proprio elaborato almeno 20 giorni prima della data di deposito in cancelleria e rispondere alle controdeduzioni. L’elaborato del C.T.U. dovrà dunque contenere le controdeduzioni dei C.T.P. e la relativa risposta. Terminata l’udienza, il C.T.U. ritira i fascicoli di parte, a carico dei difensori, ed anche la copia del verbale dell’udienza di conferimento di incarico con il quesito posto, prodotta dalla cancelleria. Il principio conduttore della udienza, come delle operazioni peritali, è quello normativo del contraddittorio tra le parti, per il quale gli ex coniugi dovranno essere in egual modo garantiti dal consulente e difesi dai loro rappresentanti, sia i consulenti tecnici di parte, sia anche i legali che hanno diritto di partecipare in egual misura, (ciò, anche se previsto, accade raramente, dato l’evidente difformità di competenze tecniche). 29


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE

Il consulente d’ufficio dovrà cioè strutturare l’indagine peritale garantendo ad entrambe le parti una equità di tempi, metodi, strumenti, informazioni ed atteggiamenti. I rappresentanti legali potranno quindi essere presenti alle operazioni peritali, agli incontri tra il C.T.U. e le parti, così come i C.T.P., esperti psicologi o psichiatri. Questi avranno diritto a porre alle parti, attraverso il C.T.U., domande proprie. I colloqui, come le domande, dovranno essere verbalizzati e registrati ed il materiale deve essere accessibile alle parti. Gli unici incontri ai quali si ritiene che i consulenti di parte non debbano essere presenti sono quelli relativi alla somministrazione dei test sia agli adulti che ai minori, che devono pertanto essere video registrati, per garantire il contraddittorio e la prova. Il materiale di video registrazione deve essere dato alle parti in corso di perizia, non lo scoring dei test che il C.T.U. consegna nella stesura della relazione conclusiva. Nel rispetto del contraddittorio qualora il C.T.P. venga nominato in sede peritale, cioè successivamente all’udienza di giuramento, il nominativo dovrà essere stato depositato e autorizzato dal giudice prima della sua presenza agli incontri. L’autorizzazione dovrà essere mostrata al C.T.U. e alla controparte. In assenza del difensore, sia esso avvocato o C.T.P., il consulente dovrà essere legittimato dalla parte stessa a proseguire le operazioni peritali attraverso una liberatoria. Il C.T.U. dovrà consegnare la sua relazione ai C.T.P. o all’avvocato prima del suo deposito, per permettere una replica. Il rispetto dei tempi di consegna del materiale probatorio sia ai difensori, che al giudice, si ritiene di fondamentale importanza, in 30


STRUMENTI quanto non solo ciò costituisce un diritto della parte sanzionato dalla norma, quanto anche proprio dell’etica e della deontologia del consulente. Una carenza in tal senso può, per altro, inficiare il lavoro peritale sino al punto da essere ritenuto nullo e comportare sanzioni penali. SINTESI Possiamo così schematizzare la sequenza delle operazioni dell’udienza di conferimento di incarico: • il giudice dichiara la formula di rito al C.T.U. • il C.T.U. presta giuramento • Il C.T.U fissa la data di inizio delle operazioni peritali e quella della prima convocazione delle parti. • Il C.T.U. chiede un anticipo delle spese e indica i giorni necessari per il deposito della consulenza. • Il G:I: fissa l’udienza disponendo la comparizione del consulente. • le parti nominano i consulenti o C.T.P. • Il C.T.U. chiede al giudice l’eventuale estensione del quesito • il G.I. definisce i termini di consegna della relazione peritale • il C.T.U. ritira i fascicoli di parte.

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IL

QUESITO DEL

GIUDICE

I quesiti che vengono sottoposti dal G.I. al consulente, pur nell’unità d’intento, quello dell’esclusivo interesse dei minori, possono mostrare una diversità di contenuti e di complessità che il C.T.U. deve essere in grado di comprendere e uniformare ad un criterio metodologico scientifico unico e esaustivo. A tal fine in sede di giuramento il C.T.U. può chiedere al giudice i necessari approfondimenti, ovvero rispondere adeguatamente ad un’indagine che può far riferimento anche ad un quesito stringato ed incompleto. Si intende, in ogni caso, fornire al C.T.U. i contenuti del quesito attraverso una sua espressione che si ritiene essere completa ed esemplificativa. Si consiglia pertanto che, qualora il quesito posto non contenga tutti gli elementi descritti, il C.T.U. ponga al giudice l’opportuna estensione, come sovra descritto. Comunque il C.T.U. dovrebbe rispondere al quesito attraverso un’indagine peritale che tenga conto degli elementi sotto indicati, come linee guida. Il quesito del giudice chiede di valutare: a) le competenze genitoriali, b) la esclusione di comportamenti di pregiudizio per il minore ai fini soprattutto della bigenitorialità, c) la situazione psicoaffettiva dei minori, d) le migliori modalità di frequentazione tra il minore e i geni33


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE tori relativamente al regime di affido, e) la ripartizione dei compiti di cura relativi alle diverse e migliori competenze di ciascuno. Successivamente tratteremo il tema dell’affidamento condiviso previsto dalla recente legge dell’8 febbraio 2006, n.54 e relative modifiche. Il quesito, generalmente, approfondisce le aree da indagare rispetto alle competenze genitoriali, facendo riferimento alla “indagine della personalità del genitore, alla attitudine e alle disponibilità materiali e psicologiche verso il figlio”. Si ritiene che un quesito espresso in tal senso indichi correttamente le linee guida per il lavoro di indagine peritale relativo all’area delle competenze genitoriali. Queste, come vedremo meglio, dovranno essere comprese nella loro globalità partendo da un’indagine della struttura della personalità al fine di verificare o escludere elementi di pregiudizio e incompatibilità rispetto alla funzione genitoriale, non esaurendone tuttavia la complessità. Il quesito pone in essere anche un’indagine delle competenze genitoriali che gli ex coniugi mostrano rispetto al quadro normativo di riferimento, che comprendono il soddisfacimento dei bisogni di accudimento e di mantenimento, nonché quelli affettivi e psicologici e di garanzia della bigenitorialità. La giurisprudenza italiana, infatti, definisce la genitorialità come “insieme di comportamenti volti all’accudimento fisico e psicologico del minore che presuppongono un profondo investimento emotivo nella relazione con lui”. Si indica, spesso, anche un accertamento della coerenza tra i requisiti richiesti e le esigenze effettive del minore, cioè tra quanto è espresso dalla norma e la realtà. 34


STRUMENTI

Come vedremo la valutazione delle competenze genitoriali non può prescindere dalle capacità, in senso di “potere” e dalla volontà di “disporre”anche delle risorse materiali, in quanto, come per quelle affettive, entrambi non sono solo necessarie, ma rappresentano anche elementi di pregiudizio per il minore qualora non siano ravvisate, sino a divenire presupposti giuridici di maltrattamento, abuso o danno. L’accertamento delle disponibilità materiali del/dei genitori rispetto alle esigenze del figlio minore è a carico del giudice. I servizi sociali sono deputati alla verifica della idoneità e adeguatezza della residenza e delle relazioni familiari. Il consulente può tuttavia accertare tali elementi attraverso la consulenza, su collaborazione delle parti, sino anche a prevedere una visita domiciliare presso le abitazioni degli ex coniugi finalizzata alla verifica del clima e delle dinamiche e tentare un percorso di conciliazione indirizzato al soddisfacimento dei bisogni e dei diritti del minore, anche di ordine economico. Il quesito pone in essere, dunque, la individuazione o la esclusione di comportamenti pregiudizievoli posti in essere da parte dei genitori ai danni dei figli minori. Tra i comportamenti pregiudizievoli di un genitore, come vedremo, si annovera anche il mancato accesso al figlio del genitore non “affidatario”o non “domiciliatario”e l’insorgere nel minore della “PAS”, sindrome di alienazione parentale. Il quesito consente al C.T.U., oltre all’accesso agli atti, di “esperire ogni altra opportuna indagine”che può essere specificata, (indicando terzi, servizi, scuola o nonni), o rimanere generica. Qualora il C.T.U., in sede di giuramento, non abbia fatto esplicita richiesta della tipologia di indagine non specificata nel quesito, ad es. attivare i servizi territoriali o le insegnanti, può comunque farne 35


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE richiesta al giudice, in corso di perizia ed esserne autorizzato. SINTESI Possiamo sintetizzare i contenuti del quesito rispetto alla valutazione di : • competenze genitoriali e coerenza • comportamenti o patologie pregiudizievoli • la situazione psicoaffettiva dei minori • modalità di frequentazione più idonea, domiciliazione, affidamento, ripartizione dei compiti di cura.

ESEMPI DI QUESITI Premessa: i quesiti che intendiamo proporre rappresentano una casistica, che se pur limitata, riferisce comunque un processo in evoluzione tra i tribunali italiani, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 54 dell’8 Febbraio 2006 e caratterizzato da tentativi di sintesi, di interpretazione sino anche a eccepire correttamente le prescrizioni previste. La disomogeneità dei provvedimenti adottati in materia dai tribunali corrisponde ancora oggi a quesiti dei giudici e a suggerimenti contenuti in consulenze tecniche che considerano ancora l’affidamento esclusivo quale formula da privilegiare rispetto a quello condiviso, a scapito della bigenitorialità. Riteniamo, pertanto, che solo il quesito D possa davvero rappresentare lo spirito e la applicazione della legge e guidare il lavoro del consulente. A) “Accerti il C.T.U., a norma dell’art. 155 C.C., avuto riguardo della maggiore idoneità dell’uno o dell’altro genitore, nell’ambito della necessaria comparazione tra i due coniugi, da valutarsi con un apprezzamento globale della personalità, della attitudine, della disponibilità materiale e psicologica in rapporto alle esigenze con36


STRUMENTI crete, morali ed affettive del figlio e quindi con esclusivo riferimento agli interessi di questi, se sia opportuno un affidamento condiviso delle figlie, o un affidamento esclusivo al padre o alla madre, indicando, in caso di affido condiviso la domiciliazione prevalente del minore, indicando le più congrue e opportune modalità con le quali il genitore non affidatario o non domiciliatario vedrà e sentirà e terrà con se il figlio. Valuti il C.T.U., nella individuazione del genitore più idoneo, anche l’esistenza di un comportamento pregiudizievole, addebitabile all’uno o all’altro genitore, in danno delle figlie minori, indicando, attraverso l’analisi del comportamento dei genitori e dei nonni materni e paterni, la soluzione più conveniente nell’interesse del figlio stesso”. B) “Dica il C.T.U., esaminati i minori x,y, esaminati altresì i genitori a, b e le altre persone che il C.T.U. riterrà utile interpellare, quale sia la capacità genitoriale di entrambi, per quanto occorra generalmente, ma soprattutto con riferimento ai figli e dica quale sia il miglior affidamento nell’esclusivo interesse dei figli minori, disciplinando i ruoli e i rapporti che ciascun genitore abbia opportunamente nei confronti dei figli stessi, sia singolarmente che in coppia. Autorizza il C.T.U. ad avvalersi di collaborazione ai fini della miglior risposta al quesito peritale”. C) “Il C.T.U. letti gli atti e i documenti di causa, sentite le parti e i loro eventuali consulenti, esperita ogni opportuna indagine anche presso terzi e pubbliche amministrazioni di settore, nel rispetto del principio del contraddittorio, accerti quale sia l’attuale situazione psicoaffettiva dei minori, quale l’atteggiamento degli stessi verso le figure parentali e precisi se l’attuale regime di affidamento possa o debba essere modificato, indicando in caso affermativo, gli opportuni suggerimenti nell’interesse esclusivo dei minori stessi. Indichi altresì quali siano le più opportune modalità di esercizio del c.d. diritto di visita da parte dell’eventuale genitore non affida37


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE tario o non domiciliatario”. D) “Voglia il consulente verificare l’idoneità genitoriale di ciascun genitore e le relazioni che il minore ha con ciascuno . Voglia il consulente verificare o escludere eventuali condizioni di pregiudizio operate da ciascun genitore nei confronti del figlio minore, in caso affermativo voglia segnalarlo alla autorità competente. Qualora il consulente verifichi l’idoneità di entrambi i genitori, voglia indicare le migliori modalità di assunzione dei compiti di cura e le modalità di frequentazione”.

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POTESTÀ

GENITORIALE E AFFIDAMENTO DEL MINORE: RIFERIMENTI NORMATIVI E PROCEDURALI

Il quesito pone in essere valutazioni circa la capacità genitoriale, il regime di affidamento, la regolamentazione dei rapporti tra il minore e i genitori e l’esercizio della potestà genitoriale. Cosa indicano questi termini giuridici, quali sono le differenze e le linee guida in materia? Tenteremo di fornire al lettore le dovute specificazioni, premettendo che l’orientamento di chi scrive sia quello adottato dal nuovo testo di legge dell’8 Febbraio 2006 n.54, ed anche dalle modifiche previste al codice civile e al codice di procedura civile dal disegno di legge del 29 Luglio 2008, che sancisce e regolamenta l’istituto dell’affido condiviso in via prioritaria, quale garanzia della bigenitorialità. L’art 150 e ss. C.P.C. regolamenta l’istituto della separazione e del divorzio. I diritti ed i doveri tra genitori e figli esulano dal rapporto tra coniugi ed hanno valore e natura diversa in quanto sorgono direttamente dal rapporto di filiazione tutelato anche a livello costituzionale, (art.29 e 30 Cost). L’art 315 e ss. Cc, recita: “si intende per potestà genitoriale quel complesso di facoltà, poteri, oneri e doveri attraverso i quali si realizza e si attua la funzione dei genitori di educare, istruire e mantenere la prole. Nell’esercizio della potestà sono attribuiti poteri a tutela degli 39


LO PSICOLOGO IN TRIBUNALE interessi personali del figlio, nonchè dei suoi interessi patrimoniali. Il figlio è soggetto alla potestà genitoriale fino al compimento dei 18 anni”. L’esercizio della potestà genitoriale è di entrambi i genitori durante il matrimonio o la convivenza. Successivamente alla separazione genitoriale l’esercizio della potestà genitoriale spetta dunque ad entrambi i genitori qualora il regime di affidamento sia condiviso. Nell’affidamento condiviso si devono comunque consigliare al Tribunale i tempi e le modalità della presenza del minore presso ciascun genitore. Nell’affidamento esclusivo il giudice può disporre tutti quei i limiti all’esercizio della potestà del genitore non affidatario, necessari alla tutela del minore,(art. 155.bis). SINTESI Successivamente alla separazione o al divorzio l’esercizio della potestà può essere: • di entrambi i genitori se il regime di affidamento è condiviso o esclusivo • ad un solo genitore in caso di decadenza dell’altro dalla potestà

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