Manuale per famiglie controcorrente. Capitolo VIII. Alcune storie di accoglienza per riflettere

Page 1


Punti di Vista


ALESSANDRO BRUNI

MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE

L’accoglienza familiare tra teoria e pratica


Prima Edizione: 2011 ISBN 9788889845431 © 2011 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Marzo 2011 in Italia da Arti Grafiche Picene Srl Maltignano (AP) per conto di Edizioni Psiconline (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)


ALCUNE STORIE DI ACCOGLIENZA PER RIFLETTERE

Le storie229 di accoglienza che qui vengono raccontate sono il completamento di quelle funzionali che ho inserito nei capitoli precedenti. Queste storie sono come fotografie di un album stropicciato da mille dita. Alcune sono belle, altre molto meno, ma tutte sono lo specchio di quel che può accadere nell’accoglienza familiare, in esperienze in cui è insito un rischio che si affronta per dare un senso alla vita altrui e alla propria. Nel raccontare ho cercato di svuotarle di retorica, ma non è stato facile perché ognuna mi ha ricordato amici, operatori, bambini.

1. Analisi degli esiti: i successi Parlare delle esperienze positive dell’accoglienza è la cosa più bella. Tuttavia, è sempre un raccontare sospetto per via del fatto che ci si fa prendere la mano in quanto tenacemente crediamo o ci siamo fatti persuasi. È indubitabile che questi racconti positivi mostrano da parte di chi li ha vissuti una capacità di guardarsi dentro e superare le difficoltà, esercitare la flessibilità, saper mutare il proprio pensiero in relazione all’altro. Si cresce insieme e questo fa crescere nella famiglia accogliente la quota di resilienza, di adattamento ad agire sempre sul collettivo, sul “noi”. a) Un neonato Era da un po’ di tempo che avevamo finito l’istruttoria e seguivamo le riunioni della famiglie affidatarie come uditori. Data la nostra età ed i figli adolescenti, eravamo in attesa di un abbinamento con un bimbetto delle scuole elementari, e invece, con nostra sorpresa, ci è stato chiesto un intervento a tempo breve con un neonato. L’idea di riprendere con poppate e pannolini aveva acceso di entusiasmo 229 Le storie sono state direttamente raccontate dai protagonisti o sono la rielaborazione personale di quanto le famiglie e gli operatori psicosociali hanno raccontato.

239


PUNTI DI VISTA tutta la famiglia. Sembravano non rendersi conto che il bambolotto avrebbe richiesto un sostanziale cambiamento dei ritmi di vita di tutti. Questi sconsiderati non tenevano nemmeno conto che sebbene non decrepita mi mancava una certa pratica e da un pezzo non guardavo le giovani mamme come mie pari. Tant’è che dopo un attimo di sgomento capii che tutto sommato mi sarebbe piaciuto. Non ero io che predicavo che ci si doveva mettere in gioco e fare qualcosa che fosse di più dal progettare le vacanze? Eccomi accontentata, e loro (padre e figli) a vedere come me la sarei cavata. Un mattino accettai la sfida e poi nel pomeriggio mi truccai come non facevo da tempo e mi misi il vestito più giovanile che avevo e .. via a pedalare nel parco, lasciando che l’aria sollevasse un po’ la gonna. Paolo è bellissimo e dolcissimo, resterà con noi sino a che la madre, tossicodipendente e momentaneamente ammalata, possa essere inserita con il figlio in una comunità di recupero. Paolo si va riprendendo da una sofferenza cardiaca, è abbastanza tranquillo, ma quando ha fame o è bagnato, sveglia anche i vicini (dovranno pur far qualcosa anche loro, oltre a fare giardinaggio!). Viviamo la sua presenza come una nascita. Lo scrutiamo, cerchiamo di conoscerne il carattere: come quando ti nasce un figlio con la stessa emozione. Gli incontri con la mamma sono positivi, la ragazza è dolce e ci chiede sempre di parlare del suo bambino. Dice che vuole conoscerlo anche attraverso noi, che abbiamo più esperienza. Con gli operatori siamo molto contenti di come la mamma reagisce: manda ottimi segni di voler interiorizzare la sua maternità. Queste mamme, così provate dalla vita, sono solite mettere in campo solo se stesse dando poco rilievo al loro bambino, quasi fosse un incidente di percorso. La mamma di Paolo ci sembra diversa, malgrado lo stato di prostrazione in cui si trova, per cui facciamo il tifo per lei. Dopo tre mesi ci separiamo da Paolo con una stretta la cuore. Lo affidiamo alla sua mamma con uno stato d’animo di gelosia e di paura. Ma il tempo ci rassicura; la mamma fa grandi progressi, di tanto in tanto ci manda le foto di Paolo che cresce vispo e ci racconta della sua vita in salita e del suo desiderio di uscirne. Non abbandoniamo le speranze. Ho ripreso ad andare in bicicletta, e aspetto che arrivi un po’ d’aria a sollevarmi la gonna: vorrei provarci ancora. b) Il pane Gli operatori del servizio psicosociale ci chiamano: è emergenza. Da un’altra regione hanno un caso da risolvere con delicatezza e segretezza. Extracomunitaria di quasi 13 anni, incinta, molto immatura ed introversa, da proteggere ed assistere sino al parto. I genitori di Magda, sorpresi e disperati, sono immigrati di recente, han-

240


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE no altra cultura, altra religione, altre norme morali. Gli operatori ci avvertono: la ragazzina è confusa e terrorizzata, chiusa in un ostinato mutismo, temono suoi gesti inconsulti e i comportamenti della loro comunità sia italiana sia del paese di origine. Il servizio, prima ancora di volere saper come è accaduto (lasciando tutte le ipotesi aperte dalla famiglia allargata sino al mondo esterno), ha scelto la strada del rispetto della immaturità della ragazzina e la necessità di proteggerla, così come chiedono gli stessi genitori. Magda ha un aspetto dolce e rassegnato di vittima sacrificale; un atteggiamento languido e sottomesso, un corpo esile, immaturo ma occhi vivaci, intelligenti. Nostra figlia ventenne fa ben capire da che parte sta. Il progetto: tenerla fino al parto, il più possibile appartata, cercare di capire i suoi stati d’animo senza curiosità, favorendo la sua serenità e l’equilibrio. Rispettare la decisione sua e dei genitori di dare il bambino in adozione, ma vigilare se vi fossero dei tentennamenti. Data la giovane età e data la sua immaturità per essere sempre stata segregata dagli altri, è bene non crearle traumi, fare scivolare tutto come fosse un evento “normale” senza caricarla eccessivamente di responsabilità che ora non riesce ad assumersi e che la sua famiglia non può sopportare. Dobbiamo misurare parole e gesti con una tecnica da equilibristi. Nel contempo la facciamo progredire nello studio con lezioni private in modo che non perda l’anno scolastico. Ci rendiamo sempre più conto della sua intelligenza, della sua arguzia, dell’amore per il suo paese e la sua cultura. L’esperienza, pur breve ed intensa, è splendida. I rapporti con i suoi genitori fanno cadere il muro di diffidenza. Scopriamo il loro dolore ed il loro affetto, una cultura diversa con le sue durezze e i suoi pregiudizi, ma anche la loro grande dignità. Ogni settimana, come segno di riconoscenza, la mamma ci porta un pane che ha fatto in casa. Intanto gli operatori ci fanno capire che la fine dell’affido segnerà anche la fine di qualsiasi rapporto, sempre nell’ottica del recupero da parte di Magda della sua serenità nella normalità del quotidiano. È bene che dimentichi al più presto, è bene che dimentichi anche noi. Siamo dispiaciuti, ma sappiamo che è giusto: il nostro affido è un tramite per il futuro di Magda nella sua comunità, un tramite di rispetto senza domande, senza voler dare spiegazioni o giudizi. Il bambino è bello e sano e andrà in adozione. Magda si riprende in fretta e presto torna tra la sua gente; la rivediamo dopo un certo tempo con i genitori e gli operatori: è trasformata, è una ragazza snella e allegra; la madre, con un abbraccio, ci lascia l’ultimo pane. La salutiamo dalla finestra e lei ci risponde con la mano. Tutti sappiamo che non ci vedremo più. c) Due sorelle Sono ormai passati dieci anni da quando Federica e Alessia sono venute nelle nostra famiglia. Allora avevano 9 e 5 anni, di loro ci aveva parlato

241


PUNTI DI VISTA l’assistente sociale, poi con lei avevamo fatto un lungo viaggio per andare a conoscerle. Erano con la loro mamma in una comunità dove risiedevano da qualche tempo, da quando il papà aveva dato segni di difficoltà di comportamento e di salute. La loro mamma era ovviamente turbata per i fatti che erano successi. Si sentiva, come spesso le era accaduto, incapace di reagire, lei che mai aveva lavorato e che mai aveva preso decisioni importanti e che sempre si era appoggiata alla comunità parrocchiale. L’affido era stato definito in attesa di una situazione migliore nella loro famiglia. Gli incontri con i genitori naturali erano stati fissati quindicinalmente con telefonate infrasettimanali per mantenere il forte legame che le bambine avevano con i loro genitori. Il progetto prevedeva anche un forte sostegno della famiglia naturale anche da parte nostra in appoggio a quanto già svolto dal servizio psicosociale. Federica aveva qualche difficoltà con la scuola e aveva tanta voglia di esprimere i suoi pensieri, ma i suoi racconti erano inespressivi per il ridotto numero di parole che conosceva. In compenso, sia lei che Alessia, disegnavano continuamente cercando di esprimere quello che con le parole era per loro più difficile. Alessia, al contrario della sorella, era molto silenziosa, osservava tutto con gli occhi sgranati e solo dopo un po’ faceva domande storpiando le parole fino a rendere il discorso incomprensibile. A parte questo, entrambe hanno dimostrato subito quello che sarebbero diventate: ragazze dolci, affettuose, sensibili, piene di attenzioni verso gli altri, ma anche timorose di lanciarsi in cose nuove, coscienti dei propri limiti. Gli anni sono trascorsi veloci, senza particolari problemi. Alla maggiore età Federica ha chiesto di rimanere ancora nella nostra famiglia in attesa di una decisione più meditata. Nel frattempo la loro mamma si è resa abbastanza autonoma, e ha preso a lavorare in un supermercato. Federica, conclusa la scuola (che non amava), ora lavora a tempo determinato e ha iniziato a frequentare la sua vecchia casa dove va ad aiutare la mamma. Il papà continua ad avere dei limiti comportamentali che non ha superato, ma ora le due sorelle sanno come tenerlo al suo posto. Alessia, concluse le scuole medie con qualche intoppo, ha ora scelto di fare una scuola professionale che le permetta di svolgere un lavoro artigiano. La nostra è stata una storia semplice, con una famiglia naturale tranquilla e consapevole, che ha progredito, senza peraltro raggiungere una piena sicurezza, e due ragazze, buone e care, che sono divenute nostre figlie d’anima. d) C’era una volta... Lidia racconta: C’era una volta una bambina di nome Lidia che viveva in una casa vicino al bosco. Il suo papà era un orco e la sua mamma era una scimmietta che

242


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE non vedeva, non sentiva, non parlava. Di tanto in tanto, papà orco portava Lidia nel bosco e le insegnava nuovi giochi che non doveva riferire a nessuno, perché, come si sa, nelle favole i segreti possono essere riferiti solo alle fate. Lidia dapprima questi giochi non li capiva e le sembravano una cosa misteriosa, poi cominciò a capire e a 13 anni telefonò alle fate di telefono azzurro e rivelò il suo segreto. Era spaventata e non sapeva come fare, ma subito arrivarono due fate speciali, a loro sì che si potevano raccontare i segreti, anche perché loro sapevano sempre come la storia andava a finire e sapevano anche come difendere Lidia dagli orchi! Il giudice di tutte le fate decise che Lidia doveva avere un nuovo papà, che non andava per boschi, e una mamma che la doveva sentire, vedere e parlare. Lidia però non ne voleva più sapere, ormai era grande, bastavano le fate a tenere lontani gli orchi, al resto poteva pensare lei, e poi, diciamolo, lei pensava di non avere proprio bisogno di nessuno. Eppure era inquieta, sentiva ogni tanto il bisogno di scappare e si metteva a camminare lungo strade che non sapeva dove andavano, sentiva la rabbia dentro e la voglia di distruggere il mondo intero, sentiva nel suo cuore lo strappo di un peso tolto, ma che ancora sanguinava. La famiglia racconta: Quando Lidia arrivò, perlustrò la casa in 5 minuti e disse che aveva visto tutto e che la si riportasse al gruppo appartamento. Passarono alcuni mesi, poi tornò e rimase. Cominciò con lo studiare la situazione, le gerarchie, le competenze, le decisioni, le discussioni. La cosa più difficile era ricostruire la figura materna, un riferimento indispensabile per la crescita, un modello su cui confrontare se stessa. Ma anche farle capire cosa ci stavano a fare i padri non era facile senza cadere in possibili fraintendimenti. Doveva anche imparare a fare la sorella mediana, lei che era la maggiore, e questo le risultava un po’ difficile. I primi anni passarono con alti e bassi, affetti e litigi dati e resi, e sempre forte è stata la sua determinazione, la sua combattività che mascherava la sua insicurezza, e poi quel baule degli orchi che lei voleva chiuso a chiave, ma che ai processi doveva riaprire. Ora Lidia è una ragazza che tra un anno si laurea, già proiettata nel lavoro, responsabile, attiva, solidale, presente in tutte le cose della famiglia. Ancora le rimane quel baule, ma prima o poi lo riaprirà e noi speriamo trovi cenere da disperdere senza rimpianto, senza senso di colpa. In ogni fiaba il lieto fine arriva sempre con il principe azzurro. Qui non c’è, per ora, ma la caccia è aperta .... e) Un cambio di programma Due fratelli di 12 e 16 anni con i genitori in difficoltà per problemi psichiatrici hanno necessità di una famiglia per il tempo necessario a trovare una sistemazione in un gruppo appartamento o in una casa famiglia dove

243


PUNTI DI VISTA restare sino a che la madre si convinca a farsi curare. Questo è il progetto che ci viene proposto per un affido familiare a tempo determinato, progetto di piccolo impegno al quale aderiamo volentieri sentendoci impreparati a cose più impegnative. Renzo e Giovanni sono piuttosto frastornati, soprattutto Renzo il maggiore, che manifesta ansia, insicurezza per la nuova situazione. A scuola vanno male, anche se sono intelligenti e capaci. Comprendiamo che i servizi hanno lavorato nel modo giusto facendo scelte corrette e preparando bene i ragazzi alla nuova situazione. C’è subito intesa, si inseriscono con naturalezza nella famiglia, sono affettuosi, si dimostrano felici di avere “scoperto” la protezione e l’aiuto di una famiglia “normale”. Giovanni, il più piccolo, lo dice chiaramente molte volte “non sapevo come sono i genitori, io i miei li ho sempre visti così e pensavo che fosse normale”. A questo punto chiediamo ai servizi se fosse possibile farli restare con noi per tutto il tempo necessario, senza passare per il gruppo appartamento. In questo modo pensiamo di poterli agevolare in attesa dei miglioramenti che le cure alla mamma dovrebbero determinare. Ci rispondono che ci contavano. Così diventiamo una grande famiglia unita di sette persone. Renzo e Giovanni fanno di tutto per gratificarci, si impegnano nella scuola e nello sport, e sentendosi sostenuti acquistano più sicurezza. Fanno grandi progressi, si creano una cerchia di amici, e poi Renzo ottiene una qualifica professionale e Giovanni la terza media con il massimo dei voti. Dopo due anni la madre, che si è curata, è molto migliorata, mentre la situazione del padre rimane stazionaria, ma non negativa. Si sono determinati i presupposti per il loro ritorno, anche agevolati dai continui rapporti che abbiamo tenuto con loro. Renzo e Giovanni possono così gradatamente iniziare il percorso di rientro in famiglia. A sei anni dal termine dell’affido ci troviamo spesso a trascorrere domeniche assieme. I genitori hanno trovato in noi un appoggio alla loro fragilità e ci consultano per varie cose della vita. Renzo lavora quasi in modo continuativo e Giovanni è diventato geometra. Era partita come una cosa da niente ed un cambiamento di programma ha fatto nascere un sentimento duraturo. f) Gli piaceva il rischio

244

La psicologa lo presentò con semplicità. Era un padre affidatario giovane, medico, di cui non rivelava il nome, né la città di provenienza, per dovere alla privacy e alla tutela. Era di piccola statura, magro, nervoso, e gli occhi avevano una luce vivida. Ci disse solo che veniva da una città del Veneto e che con la moglie, avvocato, aveva fatto un affido speciale di un bambino di 6 anni, Fabio, che si andava ad aggiungere a Mattia di 9 anni, loro figlio naturale. Fabio era figlio di tossicodipendenti ed era sieropositivo. La madre fragile viveva la sua sieropositività in una linea di


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE confine che ne esaltava la fragilità, sempre in bilico tra un aggravamento e una flebile speranza. Il padre invece, stabilmente ricoverato, aveva ormai l’AIDS conclamato. Ci disse che la loro scelta era ben consapevole, ma che avevano ritenuto di non potersi tirare indietro quando vennero a conoscenza del caso. Avevano la speranza che la sieropositività si negativizzasse con le cure e con il crescere del bambino. Nel frattempo in attesa che il suo destino si compisse, Fabio doveva pur vivere, aveva pur il diritto di avere una famiglia e loro ritenevano che non fosse giusto che subisse, senza quell’affetto di cui tutti hanno bisogno, le terapie, l’ospedalizzazione, l’emarginazione, la vita. Ci spiegò, con parole semplici ed efficaci, la difficoltà di fare i genitori ad un bambino con un handicap che non si può rivelare, o si può rivelare solo in caso di stretta necessità. Di quanto fosse difficile mentire alle maestre per i suoi controlli, di come la semplice visita da un dentista ponesse problemi sanitari, etici e di tutela, di come la loro stessa vita fosse condizionata in casa da norme igieniche di tutela della loro salute e di quella di Mattia. Durante il suo racconto più volte io e mia moglie ci guardammo e così le altre coppie affidatarie nostre amiche. Ecco una coppia che ha fatto una scelta tra la santità e l’incoscienza, pensavamo, ma in verità, il dubbio non c’era, si pendeva dalla parte dell’incoscienza, pur essendo lui medico e lei avvocato e potendo quindi affrontare il problema da un punto di vista sanitario e dei diritti. Come potevano rendere normale una vita quotidiana tanto intrisa di eccezionalità e di tanti eventi così emotivamente intensi e totalizzanti. Fabio non poteva che essere un fulcro su cui tutta la famiglia ruotava. Era esattamente il contrario di quello che predichiamo nelle nostre riunioni: la famiglia è il centro e non il figlio affidato, altrimenti si crea uno scompenso nella coppia e nei propri figli! Concluse il suo intervento asciutto e deciso, lasciandoci a bocca aperta, incapaci di fare domande appropriate, tanto ci sembravano tutte banali rispetto ai problemi che stava affrontando. Un anno fa sono capitato in un motovelodromo, luogo di smanettoni domenicali, e tra sibili acuti di due tempi e gravi bassi di bicilindriche, c’era un matto che su una Buell bianca dava numeri a tutti. La moto non era da circuito, ma lui aveva manico e in curva, ad ogni curva, metteva più rischi di quanti ne fossero necessari. Quando si fermò e fu accolto dalla sua famiglia lo riconobbi, era lui, il medico affidatario! Fabio doveva ormai avere 11 anni e sembrava in salute. Rispettai la loro privacy, ma pensai che la provvidenza aiuta davvero gli audaci! g) Una assistente sociale racconta Il progetto è stato da noi ideato e perseguito con una certa apprensione per via della moltiplicazione esponenziale di problemi che portava. Dovevamo far funzionare tre situazioni che si sarebbero moltiplicate durante

245


PUNTI DI VISTA l’attuazione dell’affido. Il caso è questo. Si presenta la necessità di affido per tre fratelli di 15, 10 e 3 anni. Per la notevole differenza di età, per la condizione di deprivazione grave in cui si trovano, riteniamo opportuno affidarli singolarmente a famiglie diverse, perché ciascuno possa ricevere tutte le attenzioni e le cure che una famiglia può dare; ma nel contempo non si vuole rischiare di disperdere il positivo rapporto d’affetto e di solidarietà che li lega: è bene che i fratelli continuino a frequentarsi, che abbiano momenti di vita ed esperienze comuni, perciò si cercano tre famiglie unite da solidale amicizia, disposte a seguire i ragazzi tenendoli uniti e di accollarsi il contatto con la famiglia d’origine, alquanto sconnessa per l’alcolismo del padre e la incapacità della madre. Comincia così una avventura difficile, che vede tre famiglie diverse, per estrazione sociale e cultura, formare una grande famiglia allargata composta di sei figure genitoriali, dieci figli naturali e tre affidati. Si cercano occasioni di incontro: visite frequenti, inviti a pranzo, feste, compleanni, gite. Non è sempre un idillio: le difficoltà ci sono: ogni famiglia giudica e sceglie istintivamente guidata dall’affetto particolare verso il proprio affidato, le cui necessità le sono ben note e non sono ovviamente sempre sovrapponibili a quelle dei fratelli. Soprattutto, su comuni valori religiosi e sociali di fondo, ogni nucleo evidenzia comunque ottiche, priorità, regole proprie e non sempre coincidenti. Anche le differenze caratteriali e culturali hanno il loro peso ostacolando il dialogo aperto e franco. Tuttavia, tutti continuano a collaborare nell’interesse dei tre ragazzi. Ogni problema che si presenta in uno dei tre nuclei familiari è un problema per tutti e si cerca di risolverlo insieme. Insieme, si cerca anche di aiutare i loro genitori naturali. Specialmente la madre, fragile e a sua volta bisognosa di affetto, che è aiutata, accolta, consigliata, ospitata, coccolata: una quarta figlia comune per le famiglie, e la sua morte, anni dopo, sarà un lutto autentico e profondo per tutti. Ora i tre fratelli sono presi dalla vita fuori dalle famiglie: chi si è sposato e ha avuto a sua volta figli, chi vive decorosamente, chi è rimasto ai margini della società. Davanti agli eventi faticosi e dolorosi della vita, chi ha saputo reagire bene, chi molto meno. Le tre famiglie sono rimaste unite, pur nella comprensione delle diverse strade intraprese, come parenti lontani che si vedono di tanto in tanto volentieri a ricordare un passato comune. I loro figli naturali non hanno dimenticato un’esperienza che non potrà che essere significativa per il loro vivere, nel bene e nel male. h) Carteggio febbraio 2004 Cara Eleonora, …... Nella vita tutti abbiamo modo di fare molte cose, non mancano le

246


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE occasioni, ma il difficile è sapere porre le priorità e dividere le cose importanti da quelle che lo sono meno. Questo fa la differenza tra chi si perde nel bosco e chi conquista la sua bussola interiore. Sei sicura che il tuo avvenire passa tra incontri casuali e qualche band autoctona, invece di approfittare della via difficile, ma sostanziale della qualità? Stai dimostrando che se ti impegni raggiungi i risultati, ma il tuo limite è solo qualche buon voto in qualche esame? Puoi aspirare di più, basta osare l’ignoto mare piuttosto che un effimero stagno di qualcuno che ti usa illudendo il tuo bisogno edonistico. Trovo che il tuo sia un gioco sottile tra la tentazione dell’apparire, la volontà di essere considerata come un unicum, la tua paura di non farcela, la tua nascosta e non tanto dissimulata insicurezza e disistima che ancora hai di te stessa. Oh si lo so che dici che non è vero, ma sei alla continua ricerca di farti notare, di esserci, del desiderio che ti vedano, mentre ancora nel tuo cuore temi di non farcela, di non essere adatta a certi traguardi, di affrontare il confronto con quelli che giudichi superiori a te (in questi casi li allontani, li censuri, li ritieni antipatici: “non lo sopporto”). Un groviglio di persona grande e di persona piccola, di certezze e di paure: tutte nascoste e tutte palesate. Esempi? Eccoli: sei attaccata al cellulare come una adolescente, sei incapace di affrontare con serenità le cose che non ti piacciono, scegli il sicuro dove puoi primeggiare tra compagni di debole impianto e disdegni quelli che reputi superiori, sei attratta dai beni materiali, ma non dal fascino gratuito dell’utopia, del sogno leggero che muove i macigni della materialità. La tua dovrebbe essere l’età degli ideali (prova a scriverli in elenco, quelli veri non quelli stereotipati, l’elenco non sarà lungo...). In compenso sei responsabile, degna di fiducia, ardita nelle imprese cocciute, hai sicuramente carattere e tante belle qualità che non voglio enunciare per non titillare la tua vanità. Forse sbaglio, ma vorrei capire; e non voglio che tu ti perda per i sentieri melmosi del tuo lato oscuro, per il bene che ti voglio, per i tuoi palpiti leggeri che segnano la tua presenza nel mio cuore, per l’impresa che ho iniziato quando ti ho visto la prima volta (uccellino spaventato sotto la pioggia battente degli eventi), per il desiderio di vederti felice domani. Per me (per noi) la via più facile sarebbe quella di lasciarti fare, ma faremmo il tuo bene? Non abbiamo anche il dovere di avvertirti che nel bosco è nascosto il lupo del qualunquismo che divora i quarantenni dalla inconclusa realizzazione personale? Papà giugno 2006 Caro papà, Parole dure o no è tutto l’insieme che ferisce. Da quando mi sono laureata mi sento la pecora nera, sembra che io non faccia nulla, che butti i soldi dalla finestra, ecc.

247


PUNTI DI VISTA Il giorno della mia laurea per me era importante, come per tutti quelli che si sono laureati eppure non ho una foto che lo ricordi; mi ha ferito questo eppure non ho detto nulla come 1000 altre volte. Il problema è questo! Voi vorreste che io fossi una persona diversa, ma non lo sono, sono così e certe cose di una persona non si possono cambiare. Non ho avuto la fortuna di avere una famiglia prima, e forse non imparerò mai quello che voi volete da me perché non fa parte di me. Ma potete immaginare quante cose diverse vorrei da voi? Ma non fanno parte di voi e non posso, non devo, chiedervele perché non è giusto. Anche se voi dite di no, io sono cambiata tanto da quando sono arrivata e se sono dove sono ora e faccio il lavoro che adoro è anche grazie a voi. Ma io più di così non posso fare, ho cercato di adattarmi il più possibile ma certe cose fanno parte del mio carattere e non posso cambiarle. Sinceramente ho il cuore stanco di queste litigate sempre per le stesse cose, ok per colpa mia, perché ho bisogno di cure, dite quello che pensate io però così non riesco ad andare avanti. Il primo posto decente che trovo tolgo il disturbo. È stato un anno importante con tante cose belle per me eppure ogni gioia mi è stata spenta perché non bastava. La ricerca del primo alloggio dovrebbe essere bellissima, invece mi sento il fiato sul collo perché se non trovo entro fine anno sono guai. Eleonora dicembre 2008 Caro papà, hai visto che ora sono proprio tecnologizzata! Ho addirittura internet! Non ti scrivo, anzi non vi scrivo per dirvi che ho internet perché questo già lo sapete, ma per dirvi grazie. Grazie perché con voi ho iniziato passi incerti (che poi sono diventati certissimi anche se ogni tanto inciampavo) su una nuova strada ripartendo da zero affrontando montagne forse più alte dell’Everest. Grazie perché sono diventata quella che sono ora, una quasi donna che affronta la vita con grinta, a volte con paura ma con la certezza che ho una famiglia che sarà sempre al mio fianco. Grazie per avermi fatto scoprire la vera famiglia, mamma e papà sono due parole che non esistono nel mio vocabolario le ho cancellate tanto tempo fa, ma con voi ne ho scoperto il significato e anche se non le uso per me siete la mia mamma e il mio papà. Grazie per aver capito scelte sbagliate o silenzi lunghi, pianti inspiegabili o chilometri sotto la neve per ballare o per correre da Remo in motorino. Grazie perché del mio grande amore per la danza ne ho fatto il mio lavoro grazie anche al vostro scetticismo che piano piano è diventato appoggio in questa mia professione non facile che amo. Grazie infine per tanti silenzi quando non eravate d’accordo con le mie

248


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE scelte, lo sapete che sono una zuccona orgogliosa e se voglio una cosa prima o poi la ottengo. Grazie perché anche se non condividete proprio tutto della mia storia con Remo so che ci siete e il giorno che ve lo farò conoscere sarà la mia felicità più grande perché lui mi rende davvero felice e con lui ho affrontato tante paure importanti come quella per esempio di fidarmi davvero di un uomo al punto tale di poter pensare di avere anche dei figli con lui. Grazie perché mi avete raccolta come un pulcino starnazzante e mi avete aiutata a diventare un cigno forte e sicuro. Grazie di essere la mia famiglia. Eleonora

2. Analisi degli esiti: le incertezze Nell’accoglienza esiste anche una zona che definisco di incertezza semplicemente perché il processo di formazione accogliente non si è ancora concluso sebbene sia giunta la maggiore età del minore, oppure perché la situazione si è evoluta. Non sono pochi i casi in cui il minore ha necessità che l’accoglienza si prolunghi ben oltre i 18 anni, d’altra parte non sono rare nemmeno le situazioni in cui i figli naturali prolungano la loro permanenza familiare oltre i 30 anni. Certamente in questi ragazzi dalle esperienze difficili e dai carichi familiari pesanti hanno certamente più bisogno dei figli naturali di essere accompagnati con un supplemento di affetto e di appoggio. L’incertezza nell’esito dell’accoglienza non deve essere considerato come un fatto certamente negativo, ma solo un’opera inconclusa e bisognosa ancora di attenzione. Le famiglie accoglienti non sfuggono alle situazioni di tutte le famiglie; hanno difficoltà a vedere compiuto il cammino alla formazione autonoma dei figli in una società che li lascia in una condizione di difficoltà di inserimento lavorativo e di sicurezze sociali. È chiaro che sono soprattutto questi figli accolti che comunque si porteranno appresso un bagaglio di sofferenza che trovano le maggiori difficoltà ad un inserimento pieno e maturo. Diciamo che per il contesto sociale italiano oggi tutto questo è considerato normale. a) Quant’è difficile con gli adolescenti ...... Roberta è con noi da quattro anni ed ora ha 18 anni e alle spalle una brutta storia di deprivazione e maltrattamenti. In questi quattro anni la sua sicurezza è aumentata, soprattutto verso l’esterno. Ora possiede buoni strumenti di relazione con i compagni di scuola e gli amici. Da quel che sappiamo e dal tono delle sue conversazioni telefoniche è spigliata e pronta alla battuta. A scuola i professori dicono che non si impegna, sebbene abbia il necessario di capacità per concludere onorevolmente gli studi. Roberta ha cura della sua persona ed il suo rapporto con il corpo ci pare normalmente conflittuale per la sua età. Ha acquistato molte capacità di espressione che in famiglia, però, si esprimono solo a prezzo di lunghi ed estenuanti tentativi di conversazione

249


PUNTI DI VISTA a cui inizialmente non dà risposta. Gli operatori dicono che siamo una famiglia ad alta comunicazione verbale, questo potrebbe essere un problema per Roberta che invece sembra preferire comunicazioni non verbali. La sua capacità di elaborazione di quel che le è accaduto ci pare buona, mentre l’elaborazione dei rapporti familiari ci sembra un po’ opportunistica: accetta vitto, alloggio e cure, ma non concede nulla di sé. A richiesta compie compiti semplici di vario tipo, ma non si offre mai, tuttavia nemmeno si rifiuta. Ci sentiamo usati e ci sentiamo colmi di un affetto struggente che non riusciamo a trasformare in empatia. Gli operatori dicono che è fatto normale nell’adolescenza e che dobbiamo considerare quel che a Roberta è accaduto. I punti che ci fanno soffrire sono: il mentire, le sue bugie sono tanto palesi da sconcertare; il non raccontare nulla di quel che fa, che dice, che le accade; il partecipare alla vita familiare solo in modo passivo; il non impegnarsi nello studio o in piccole attività lavorative o nel tenere ordinata la sua camera. Roberta ieri ha compiuto 18 anni e ha detto di voler continuare a studiare per diventare cuoca, ma non ha chiarito in che modo e di voler continuare a rimanere nella famiglia, ma non ha chiarito se intende mantenere la separazione tra il suo mondo e il nostro. Gli operatori dicono che il nostro problema è volere razionalizzare e capire. Dovremmo lasciar fare e sperare che Roberta raccolga per osmosi quanto può avere dalla nostra famiglia e dal nostro affetto. b) Anna, una biondina ancora attesa È arrivata. È una biondina di 14 anni. Dopo mesi di incontri ai servizi, a casa sua e a casa nostra, oggi siamo andati a prenderla. Il padre è morto da molto tempo, la sua mamma è da tempo malata. Vivono in due stanze dove lei, bambina, è stata dai parenti istruita ad accudire l’Alzheimer della madre. Nessuno si era accorto di nulla: né le maestre con una bimba silenziosa che non parlava, le avevano dato un angolo dove non disturbare; né i servizi sanitari che intenti alle cure della madre non avevano pensato alla bambina; né i nonni e gli zii, che presi dalle loro cose non potevano seguire una bambina e che comunque ritenevano giusto che fosse lei ad alimentare la madre, a cambiarle il pannolone, a tentare di comunicare, ad accudirla. Ma soprattutto che non facesse sapere cosa aveva la mamma e come vivevano perché altrimenti sarebbero successe cose terribili. La madre è stata ricoverata in una casa protetta, ormai chiusa nel suo mondo e Anna è venuta da noi. Avrà sorelle che non ha mai avuto, un padre che non ha mai avuto, una madre alla quale non dovrà fare nulla. Anna non sa leggere, ma disegna benissimo mostrando una fantasia e una profondità non comuni. Anna non ha il senso del tempo e dello spazio. Se esce di casa (anche la sua) non sa quando tornare e come tornare. È abituata a guardare

250


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE la televisione per tutta la notte per tenere buona la mamma che non ha più regole. Così anche lei non ha più regole. Facciamo un piano: primo il parlare, secondo il senso del tempo, terzo il leggere. Mia moglie passa un anno al suo fianco: Anna sa leggere, riesce ad andare a prendere il pane e a tornare a casa, dorme di notte. Parla poco, ascolta musica a ripetizione sino a stordirsi, sempre la stessa canzone. Scaviamo con i servizi nel suo passato e troviamo conferme e sospetti: un passerotto vissuto in un bosco in cui tutti volevano qualcosa da lei, e lei aveva trovato in se stessa, nel suo mondo chiuso, le difese per sopravvivere. Con la scuola recupera in parte quanto aveva perso, ma procede stentatamente con scarsi interessi. In seconda superiore decide che ne ha abbastanza. Inizia con l’aiuto dei servizi una attività lavorativa, ma permane la sua difficoltà a relazionarsi in termini più complessi rispetto al va bene, va male. Si innamora, ma non ha chiaro come ci si comporta. Il lecito si confonde con la sua parte oscura, con la sua assenza di educazione ai sentimenti. Si sposa con un ragazzo che come lei ha avuto un’infanzia difficile, poi lui la lascia e noi la accogliamo di nuovo in casa. È un momento molto bello in cui troviamo la figlia che avevamo cercato. Si innamora di nuovo e da subito non riesce a far convivere i sentimenti nuovi con quelli della famiglia. Sembra quasi che le due cose non possano coesistere in lei e che i sentimenti familiari non possano estendersi al nuovo venuto. Sono tre anni che Anna vive, apparentemente felice, con questo nuovo ragazzo operoso, in un equilibrio stabile. Ma sono tre anni che non la vediamo, che non le parliamo, che rifiuta ogni contatto con noi. Quasi ci fosse qualcosa da vergognarsi. I rari rapporti li teniamo con il suo ragazzo, che aperto e franco, non ci sa spiegare il perché del suo comportamento. Non abbiamo smesso di aspettarla. c) Volontariato tra cuore e cervello Bambina di 4 anni la cui madre tossicodipendente oscilla tra il farsi e il liberarsi. La madre viene collocata in una comunità di recupero e la bambina, in attesa della decisione che dovrebbe attuarsi entro 15 giorni, viene posta temporaneamente in una comunità religiosa di suore. La sua permanenza nella comunità religiosa dura 4 anni. In questo tempo la bambina ha avuto come persona di riferimento una giovane suora che assolve il suo compito con grande impegno, ma purtroppo con grande coinvolgimento. Dopo 4 anni il servizio prende la decisione di porre in affidamento preadottivo la bambina (i motivi del ritardo del servizio sono tutti legittimi sul piano gestionale, peccato che non lo siano in termini di diritto e giustizia per la bambina). La situazione è la seguente: la bambina chiama “vera mamma” la suora, “seconda mamma” quella naturale, “terza mamma” quella preadottiva; la bambina ha la fobia che le possano vedere le parti intime; la bambina ha necessità di dormire nel letto con la sola “terza mamma”

251


PUNTI DI VISTA (rifiuta il contatto con il papà preadottivo essendo lui “maschio”) perché la sua “vera mamma” la faceva dormire con lei; la bambina non è abituata a mangiare a tavola perché la suora l’alimentava durante il gioco per cui confonde il gioco con il mangiare e viceversa (e fermiamoci qui...). Commento Nei confronti della bambina sono stati commessi tanti piccoli crimini, magari non voluti, ma sempre crimini. I servizi sociali non anno vigilato con oculatezza. Loro erano responsabili dei “servizi pesanti” legati ai tempi, alle relazioni istituzionali, alla regia della gestione. Loro erano anche responsabili dei controlli e del monitoraggio della situazione, che evidentemente o non hanno fatto o hanno fatto con superficialità. L’errore più grave è stato quello di non dare una famiglia temporanea entro pochi mesi dalla nascita alla bambina (non bastano le giustificazioni. Le giustificazioni si possono accettare per il ritardo di una pratica, ma una bambina non è una pratica, non può attendere, perché nel frattempo cresce). La suora ha agito come volontario puro tutto cuore e niente cervello. La suora era sola in un sistema chiuso senza possibilità oggettiva e concreta di confronto con altre madri. Lo comprova il coinvolgimento nella sua natura di donna nell’intimo confronto con la sua scelta volontaria di rinuncia alla maternità. Una situazione per lei molto difficile da gestire, che magari ha tentato di svolgere come meglio poteva, ma chiaramente non poteva farcela. Quello di madre non era il ruolo che si era scelta e non era il ruolo per cui era stata formata (immaginiamo la sofferenza di questa donna al momento del distacco dalla bambina!). Per i genitori preadottivi si prefigura un cammino difficile e la necessità di avere un forte coinvolgimento con altre famiglie proprio per evitare i rischi di una riflessione e di una rielaborazione in solitudine degli errori inevitabili che compiranno. d) Cosetta e Gianluca. Una sconfitta o una vittoria? Prima parte. Quando ci fu presentata come famiglia uditrice in attesa di abbinamento, non ci fecero una buona impressione. Cosetta e Gianluca erano senza figli, quasi cinquantenni, e si sentivano un po’ soli. Dimostravano una grande competenza di solidarietà e una grande volontà di accoglienza. Inoltre, mostravano una decisione e una forza notevole sostenuta soprattutto dal fatto che entrambi erano operatori in una associazione che sosteneva i migranti. Il servizio sociale ritenne che per alcuni aspetti potevano essere adatti a situazioni di affido particolare, data la loro competenza. Seconda parte. Dopo un anno fu loro proposto l’affido consensuale di un ragazzo di 16 anni con con alcuni problemi comportamentali. La sua famiglia naturale

252


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE era composta dal padre marocchino che viveva sempre ai limiti della giustizia e dalla madre italiana inaccudente, prostituta occasionale per necessità di arrotondamento del magro lavoro che svolgeva. Il progetto prevedeva un’azione di sostegno fino a che Marco non raggiungesse la maggiore età, nello stesso tempo si sarebbe lavorato sui genitori naturali perché nel corso di due anni potessero essere portati ad un sufficiente recupero. Marco fu accolto con grande disponibilità: fu subito amato e protetto da Cosetta e Gianluca. Poteva frequentemente vedere i genitori naturali al fine di mantenere con loro un raccordo sulla base dell’affetto che comunque provava per loro. Alle riunioni del gruppo di sostegno sentivamo solo parlare bene della situazione, senza mai un difetto o un problema: di quanto era bravo, dei suoi continui progressi a scuola, di quanto era affettuoso, di quanto era intelligente. Insomma un quadro sempre zuccheroso sul come tutto andava bene, di quanto lui fosse perfetto e loro idem. Li ascoltavamo rispettosi, ma poi piano piano cercammo di spingerli a farci un quadro più realistico. Questo nostro spingere verso una analisi più critica a loro con piacque a Cosetta e Gianluca e non vennero più alle riunioni: telefonavano per dire all’ultimo momento che avevano altri impegni. Lasciammo trascorrere un certo tempo e poi cominciammo a contattarli spingendoli a non rimanere soli. Terza parte. Ritornarono dopo un anno, senza preavviso e subito raccontarono i loro problemi. Marco alcune volte era strano, non voleva uscire di casa, non voleva farsi amici, a scuola era rissoso, ma loro erano sicuri del suo affetto e del suo inserimento. Negli incontri successivi descrissero un quadro in peggioramento aggiungendo come il suo comportamento fosse un’offesa all’affetto che loro gli dimostravano. La crisi familiare si faceva sempre più vicina dato che si accentuava l’insofferenza reciproca. Cosetta e Gianluca divennero sempre meno sicuri ed utilizzavano il nostro pronto soccorso di associazione sempre più spesso sino ad arrivare a frequenze giornaliere: Marco ha fatto così; io cosa devo fare, ecc..... Parlammo con gli operatori e ci dissero che le cose andavano male e che si erano messe in modo tale da non riuscire governarle come avrebbero voluto: tenevano la situazione a stretto controllo cercando di pilotare Marco verso la maggiore età che si stava avvicinando. Quarta parte. A pochi mesi dalla maggiore età Marco decise di fare ritorno nella sua famiglia naturale. Disse che voleva ritornare in famiglia per tentare di aiutare i suoi genitori con l’aiuto del servizio, chiedendo loro di trovare una situazione di lavoro o di stage che gli permettesse di avere un minimo di autonomia. Quando Cosetta e Gianluca ebbero la notizia ne furono molto amareggiati. Lo vissero come un tradimento e accusarono noi e il servizio sociale di non aver fatto abbastanza per trattenerlo nella loro famiglia.

253


PUNTI DI VISTA Commento Sembrava che tutti i discorsi che si erano fatti alle riunioni sulla temporaneità dell’affido e sull’importanza di condurre alla autonomia decisionale i minori fossero passati su di loro come acqua fresca. Ci rammaricammo soprattutto per non essere stati capaci di aiutare questa coppia nell’equilibrio tra ragione ed altruismo, soprattutto perché comprendemmo tardi quanto fosse in effetti poco il loro altruismo. I loro presupposti empatici erano molto alti, ma devianti e le loro risorse razionali molto deboli. Siamo certi che il passaggio attraverso la famiglia affidataria ha fatto bene a Marco che con questa esperienza ha raccolto un senso affettivo che prima non aveva. Inoltre interrompendo il filo con Cosetta e Gianluca aveva preso una decisione precisa non lasciandosi condurre dagli avvenimenti. Per la famiglia affidataria un’esperienza amara determinata da un presupposto sbagliato. e) Elena e Damiano, una coppia molto democratica Elena e Damiano sono una coppia con un figlio, Marco, adottato in tenera età che ora ha 16 anni. Da un anno seguono gli incontri di famiglie che aiutano famiglie e sono interessati alle forme di auto-aiuto. Hanno sempre avuto un comportamento abbastanza silenzioso e non hanno mai preso posizione negli argomenti che via via venivano proposti. Una sera hanno deciso di raccontare la loro storia e il loro problema. Riferiscono di aver educato Marco alla massima libertà senza particolari vincoli comuni e di essere una coppia “molto democratica” con ampi spazi personali e ridotti momenti concreti di vita assieme. Sia Elena che Damiano sono dell’opinione che il loro stare assieme non significa essere fisicamente vicini, ma significa avere affetti e comunque spazi di libertà per ciascuno dove poter sviluppare la propria personalità. Lui è affascinato dal mondo orientale e si dedica all’alpinismo in solitario. Lei ha grande passione per l’arte, segue corsi di arte pittorica e partecipa con assiduità ad viaggi culturali con la sua associazione di pittura. Dichiarano di non aver molti interessi comuni tranne, ciascuno con una sua visione, per Marco. Anche in casa hanno spazi divisi e comportamenti divisi. Mangiano separatamente ciascuno preparandosi il proprio cibo, dato che le tendenze dell’uno non sono apprezzate dall’altro. L’arrivo di Marco non ha portato sconvolgimenti particolari nella loro vita tranne il fatto che hanno ritagliato nel loro spazio una quota da dedicare a Marco. Tutto è avvenuto sempre con pacate discussioni e con frequenti cambiamenti di situazione nel rispetto dell’altro di mutare opinione in relazione all’evolversi delle situazioni. Dopo anni di vita tranquilla ora hanno un problema che per loro è sconvolgente: Marco è un ribelle. Sconvolge la loro vita inventandosi una dopo l’altra situazioni che li mette in una destabilizzazione totale. Chiedono alle famiglie accoglienti se hanno avuto situazioni simili alla loro e se hanno consigli da dare. La risposta è unanime. Hanno offerto un’immagine di li-

254


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE bertà individuale, ma anche di difficile lettura per Marco. I bambini hanno bisogno di letture comportamentali semplici quando sono piccoli e non si può offrire loro un modello adulto di difficile lettura. Unanimemente sottolineano quanto il loro rapporto sia elevato come coppia ma debole come genitorialità. Tutti consigliano a Elena e a Damiano di essere meno teorici e più concreti e di coinvolgere il figlio nella loro vita. La situazione rimane irrisolta e si spera che Elena e Damiano abbiano ancora tempo di intervento su Marco e abbiano la capacità di cambiare il loro comportamento. Entrambe soluzioni di difficile attuazione. Commento Tra i genitori e il figlio è nato un circolo vizioso: il figlio ha bene imparato dai genitori e applica la strategia del continuo cambiamento di visuale proponendosi con la stessa ambiguità amebica che i genitori gli hanno insegnato con il loro comportamento durante l’infanzia. Nell’affermazione della propria personalità classico dell’età dell’adolescenza attua i medesimi meccanismi che ha imparato da Elena e Damiano: libertà personale, autonomia individuale, rapporto fisico ridotto e empatia di affetto espansa e teorica. La cosa più positiva è la ribellione di Marco: vuol dire che ha una personalità. Ora Elena e Damiano devono cambiare marcia e cercare di instillare in Marco il senso della coerenza e della stabilità come elementi di valore. Non sarà facile. Dopo 4 anni di tormenti e di contrapposizioni Elena e Damiano raccontano di essere più sereni, anche se non tranquilli. Marco si è iscritto a matematica e dice di essere totalmente vocato alla razionalità. Anche Elena e Damiano però hanno una contentezza avendo scoperto a cinquant’anni che ci sono cose che possono fare assieme e che il responsabile di questo è stato Marco. f) La motivazione nel racconto di Alberto “Vi espongo il mio personale caso semplicemente perché è quello che ho maggiormente confrontato con quello di altri nel gruppo di famiglie accoglienti constatandone la sua non eccezionalità. Per quanto mi riguarda i miei imprinting significativi consci si riducono a due stili di vita: quello di mio padre e quello di mia moglie. A questa partenza si è aggiunto un rafforzamento, divenuto via via significativo, apportato dalle persone che ho incontrato (per caso? chissà...). Questo tuttavia non è bastato a portarmi dalla sensibilità d’animo al fare concretamente. Il momento di snodo tra il dire ed il fare è avvenuto con mio figlio adolescente che inconsciamente ha fatto cadere il velo dell’ipocrisia mettendomi alla prova e proponendomi di aiutare una sua professoressa disabile. Ero punto nel vivo tra quanto tante volte avevo detto, e quanto nella realtà potevo fare: era l’esame di realtà della mia coerenza. Decidemmo di provarci assieme impegnandoci in turni domenicali di

255


PUNTI DI VISTA assistenza. Fu un’esperienza faticosa, dapprima di grande impatto emotivo essendo a contatto fisicamente con un corpo martoriato e con le sue necessità, poi subentrò il peso delle piccole rinunce (la partita, gli amici, il tempo libero, la libertà). Fu una verifica importante per entrambi per capire la necessità del rinnovo delle motivazioni iniziali per la necessità di rimodellarci su quello che lentamente stavamo divenendo, sulla dipendenza che stavamo creando in noi e nella persona aiutata, sull’equilibrio sempre instabile tra bisogni reali delle parti sulla vita che comunque doveva svolgersi, mia come padre di famiglia, sua come persona in formazione, della persona aiutata come esigente di bisogni via via crescenti. Una realtà plurima, consapevole, in cui si scioglieva l’utopia, ma fortemente ancorata alla necessità di contesto delle responsabilità che tutti avevamo nei confronti delle persone che ci circondavano, per me della famiglia, per mio figlio del tempo per la relazione con amici e ragazze, dell’aiutata con una realtà di gestione che non poteva essere basata sul nostro sacrificio esclusivo. Questo percorso mi ha permesso di comprendere la necessità di porsi dei limiti, di reale consapevolezza di quanto eravamo in grado di dare, della nostra misura di vocazione all’altro perché fosse non il nostro annullamento nell’altro, ma elemento per continuare la nostra costruzione”. Commento In questo racconto potremmo banalmente sottolineare la casualità e l’incertezza degli esiti in relazione ad eventi esterni alla nostra vita. Senza appoggiarci ad enfasi pseudo-mistiche (destino, provvidenza, volere divino), cerchiamo di ragionare sul rimodellamento che gli eventi determinano in noi e quanto essi portino verso strade nuove: le strade dell’incertezza nell’equilibrio tra cambiamento e coerenza interiore. La coscienza è strutturata con una sovrapposizione di eventi significativi tra loro concatenati in termini di tempo (gli eventi del passato, ma anche gli eventi immaginati per se stessi nel futuro) e concatenati dai cambiamenti di ruolo e di significanza che si succedono nel ciclo della vita rimodellando entro certi limiti la personalità. Ciascun evento significativo viene legato in ogni fase della vita da una imbastitura olistica che determina una visione globale inconscia/conscia tra passato e futuro che si realizza solo nel momento in cui avviene la riflessione olistica. La spiegazione delle considerazioni familiari che hanno portato all’accoglienza di un minore, nell’analisi degli avvenimenti accaduti anche prima che la coppia si formasse, spetta alla psicologia e alla sociologia, mentre il campo della morale spetta a chi vuole analizzare non le cause, ma lo spazio di libertà in cui gli avvenimenti legati all’accoglienza accadranno nella sua persona. Il campo della morale viene prima, ma può essere rivisitato e compreso solo dopo l’avvenimento. Per fare questa operazione bisogna agire nello spazio della libertà di poter determinare gli avvenimenti e non di subirli. È come se viaggiassimo dando le spalle alla testa del treno: sappiamo

256


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE dove va il treno e le stazioni di fermata, ma non lo vediamo. Dal finestrino vediamo i luoghi che attraversiamo confusamente nell’attimo determinato dalla velocità, in compenso vediamo distintamente lontano e quanto abbiamo percorso. Il campo della morale nell’accoglienza corrisponde all’atto di libertà che ci ha fatto acquistare il biglietto. Senza senso morale saremmo saliti su un treno a caso, senza biglietto. La morale nell’accoglienza attiene quindi alla costruzione di libertà individuale nella famiglia. Comprendere le ragioni razionali dell’accoglienza, dell’attenzione agli altri, non è facile, mentre apparentemente è altra cosa darne una ragione religiosa. Questo argomento è stato molto studiato in tutti i tempi ed ha avuto sempre letture che hanno rispecchiato la mentalità del tempo, ora evolvendosi, ora regredendo e comunque senza mai giungere ad una espressione definitiva230. Le analisi più recenti si basano sostanzialmente su due approcci di metodo e di lettura: l’uno individuale e l’altro collettivo, approcci che non sono tra loro slegati riflettendosi sulla singola persona sulla base del suo personale vissuto e del contesto in cui ha vissuto e in cui vive. Nel momento in cui cerchiamo di affrontare il problema sul piano pratico, non possiamo lasciare questa analisi alla sociologia o alla psicologia dobbiamo affrontare l’esame di casi esperienziali concreti in modo diretto e analizzarli a posteriori. Appare chiaro che solo ora a molti anni di distanza Alberto riesce ad analizzare gli avvenimenti. Mentre accadevano era colto da altre considerazioni ed agiva sulla base delle necessità e delle emozioni che queste gli determinavano, ma anche sulla fatica fisica e mentale. Agiva su un presupposto formativo di base che non diceva cosa doveva fare, dato che l’esperienza era totalmente nuova, ma gli permetteva di orientare le azioni per quanto aveva assunto precedentemente. Il suo proiettarsi verso l’accoglienza era già concepito, preformato, ma non era ancora nato all’esperienza vissuta.

3. Analisi degli esiti: le sconfitte Nell’accoglienza bisogna mettere in conto la possibilità di insuccessi, di sconfitte che vengono solitamente vissute con grande sofferenza tanto da assumere il peso di veri e propri lutti. Le famiglie che subiscono questo avvenimento si arrovellano per cercare una motivazione. Solitamente pensano per il 40 percento di essere consciamente o inconsciamente colpevoli, mentre per il 60 percento pensano che le colpe siano del servizio psicosociale. Raramente pensano che la “colpa” sia da attribuire al minore. La ricerca della colpa è un processo naturale e solitamente dilaniante perché sempre e comunque ci si sente un po’ innocenti e un po’ colpevoli. Normalmente è così per tutti gli attori dell’accoglienza. 230 Alberoni, F., Veca, S. (1988), L’altruismo e la morale. Garzanti, Milano. Ambrosini M. (2005), Scelte solidali. L’impegno per gli altri in tempi di soggettivismo, Il Mulino, Bologna. Zoja, L. (2009), La morte del prossimo, Einaudi, Torino.

257


PUNTI DI VISTA Il ragionamento da fare in questi casi è invece diverso. Si dovrebbe comunque mettere in campo quanto si è dato indelebilmente e quanto si è raccolto. Il raccolto non è facilmente identificabile. Talora al raggiungimento della maggiore età non si è ancora concluso. La vera analisi dovrebbe essere fatta dopo i trent’anni. Solo allora l’adulto ex accolto riesce a costruire gli avvenimenti e gli affetti con sufficiente distacco. Solo allora comprende quanto il suo disprezzo o il suo non riconoscimento di affetti e di pensieri è stato corretto. Una analisi difficile da fare e che deve essere sorretta da una indagine sociologica rigorosa: uno studio che non è ancora stato fatto. La sconfitta è dunque parte dell’accoglienza, come lo è nel matrimonio malgrado la promessa di “per sempre”. Dobbiamo registrare queste queste situazioni come componenti della vita, di una vita “spericolata”, affrontata volendola giocare e non con un “speriamo che me la cavo”. Eccone alcune storie per fare qualche riflessione. Alcune sono amare e ho dubitato se inserirle o meno. Non perché potevano fare cattiva pubblicità all’istituto dell’accoglienza familiare, ma semplicemente perché comprendo che sono lapidarie nella loro essenza e non inserite in un contesto. Sono la punta di un iceberg, sono il risultato sempre di un grosso impegno da parte di famiglie e servizi psicosociali. Senz’altro rivivendole si potrebbero individuare gli errori compiuti, i punti di snodo in cui la rotta degli affetti è stata perduta, i punti di silenzio che non sono stati esplorati per superficialità, per vigliaccheria, per incapacità, per eccesso di amore e per voler sempre e comunque vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Poi alla fine ho ritenuto più corretto dire, raccontare, perché anche nelle sconfitte, nel non essere stati capaci di giungere alla meta, c’è onore, l’onore di aver vissuto. a) Sante, 22 anni, da una lettera scritta alla famiglia affidataria ….....Io adesso sono più felice che mai e non potrei essere più felice di così in quanto vivo con l’unica persona con cui voglio stare e in quanto sto bene solo con lei. Non mi interessa quello che pensate di me e di Luca, l’importante è che mi lasciate stare per sempre perché io non ho nessuna intenzione di avere un rapporto con delle persone che non hanno fatto altro che spararmi merda addosso. Fate tanto gli angeli quando invece non avete fatto altro che cercare di cambiare quello che sono....... b) Stefania, 20 anni, da una mail spedita alla famiglia affidataria ….......Per 10 anni sono stata costretta ad abitare con voi e non siamo mai andati d’accordo nemmeno sulle cose banali, ma che per me significavano tanto. In più avete sempre cercato di mettermi i bastoni fra le ruote specialmente con Luciano quando io invece vi avevo detto di non farlo. Non avete capito nulla di me né di come gira il mondo perché è inutile che facciate tanto le brave persone che non hanno mai fatto niente di male, quando invece avete fatto di tutto e di più per rendermi infelice...... c) Giuseppe, 22 anni, da una lettera spedita alla famiglia adottiva

258

…....Io non vi chiedo aiuto perché non lo voglio da voi in quanto non


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE vi considero proprio. Lavoro quindi sono indipendente, finalmente ora le cose sono molto diverse da come erano quando ero da voi. Non voglio più avere niente a che fare con voi e ve l’ho già detto più di una volta quindi piantatela di scrivermi mail. Ho 22 anni e sono responsabile di me stesso. L’unico motivo per il quale voi continuerete a pagare l’affitto fino a settembre è perché un anno fa avete voi preso l’impegno di farlo: ora fatelo senza rompermi i coglioni. Io non ho bisogno di voi e se mai dovessi aver bisogno di qualcuno, certo non verrei da voi ma andrei da persone che ritengo essere migliori di voi....... d) Aurelia, 23 anni, da una lettera spedita alla famiglia adottiva …...Io non sono nata da voi e quindi voi non siete i miei genitori. Il tribunale ha riconosciuto infatti che io non ho genitori. Quindi siete voi che vi illudete di esserlo stati, ma non è mai stato così. Siete solo state delle persone con cui io sono stata obbligata a stare perché non avevo scelta. Lasciatemi in pace non voglio più vedervi...... e) Paolo, 20 anni, da una lettera spedita alla famiglia adottiva …....Smettetela di cercarmi per voi non esisto più. Vi ho già detto il mio punto di vista ed è quindi totalmente inutile che facciate finta di non capire. Voi evidentemente non volete capire che non siete mai stati i miei genitori. Sono stato obbligato a vivere con voi perché mi ci ha messo quel demente del giudice e della psicologa e non perché io volevo venire ad abitare con voi. Io non ho mai voluto stare con voi. Ci sono dovuto stare per forza. Compiuti i 18 anni non ho nessun legame né riconoscenza, ma solo disprezzo. Voi siete solo stati un passaggio nella mia vita, un passaggio che voglio seppellire, dimenticare, un incubo durato 6 anni, di cui appena posso farò anche cancellare il vostro cognome e ritornare al mio che non riuscivate nemmeno a pronunciare..….... f) Non era destino Ho pensato anch’io di scrivere la mia storia, anche se a ben pensarci non ho molto da dire. Sono un impiegato e nel mio ufficio ordinato posso quasi sempre lavorare sui tabulati delle paghe in perfetta solitudine. Anche la mia casa è ordinata, o meglio, fino all’arrivo di Tiziana aveva il mio ordine, ora ha il suo. Tiziana ha aggiunto una ventata di colore al mio grigiume, o almeno lei dice così. A me sta bene, perché Tiziana ha portato davvero delle novità nella mia vita. Lei era reduce da una storia importante durata diversi anni (io non ne avevo avuta nessuna). Ha portato i suoi amati cagnolini (un po’ fetenti per i vicini malevoli) e tanta voglia di chiacchierare. È come se avessi sempre la radio accesa, quando lei è in casa: gli argomenti hanno poca rilevanza, ma alcuni sono il suo forte: i suoi cani che vezzeggia e la sua salute per la quale segue strane prescrizioni di medicina indiana.

259


PUNTI DI VISTA Per questo ogni tanto andava da un santone a Pisa che la sistemava per i suoi disturbi alle ovaie o all’utero o a qualcosa di simile. Tiziana un giorno mi disse che dovevamo avere un bambino e che aveva letto sull’affido un sacco di cose. Facemmo l’istruttoria dove le domande erano strane, anche sul nostro comportamento di coppia. Io non sapevo che dire, ma Tiziana era forte, aveva una risposta per tutto e con quello che aveva letto sull’argomento sembrava che ne sapesse più di quelle stravaganti donne che ci interrogavano. Poi arrivò Riccardo, un bimbetto bianco e rosso, taciturno. Mi guardò a lungo, lui che aveva già avuto un padre, e non disse nulla. Tiziana lo sommergeva di attenzioni, lo vestiva con i migliori vestiti, gli cucinava i suoi migliori piatti, lo accompagnava a scuola sin dentro all’aula, se lo portava sempre al supermercato dove lo presentava ad ogni paesano che le capitava di incontrare: “Ecco il mio nuovo figlio. Saluta Riccardo! Sa è ancora un po’ selvatico, ma tra qualche mese vedrete che fiore diventerà” Lui non diceva nulla, ma dopo qualche mese smise di mangiare le sue tagliatelle. Solo pane e latte voleva! Prendemmo l’abitudine di fare dei giri in bicicletta. Pedalavo e nessuno dei due parlava. Io non sapevo che dire; lui forse preferiva così, perché di tanto in tanto appoggiava la sua schiena sul mio stomaco. Lo sentivo caldo e mi piaceva, sembrava quasi che parlassimo. Poi un giorno Tiziana cominciò a sgridare Riccardo “non sei un bravo figlio, vai male a scuola, ti sei comportato male con il figlio del medico, non mi racconti mai nulla. Persino i miei cagnolini sono più affettuosi e riconoscenti di te”. Non so perché, ma a Tiziana vennero delle crisi di stitichezza e forse anche questo la mise di cattivo umore: il suo santone non era esperto nel ramo. Dopo qualche mese mi disse che non potevamo andare avanti così. Riccardo era davvero indisponente e lei non poteva vedere la sua vita rovinata da un essere non riconoscente dell’affetto che lei gli dava. Mi disse che dovevo fare qualcosa. Non sapevo che fare, ma poi mi risolsi a chiedere un appuntamento a quelle stravaganti donne che ce lo avevano dato. Ci ascoltarono in silenzio, annuendo ogni tanto, e poi fu deciso che Riccardo avrebbe fatto ritorno al gruppo appartamento da dove veniva. Tiziana ha ragione: non era destino. Giorni fa ho saputo che Riccardo è in un’altra famiglia affidataria, che sta bene e che è bravo a scuola. Sono contento per lui, da noi non era destino. Commento Una storia di disarmonia, di imbroglio, di superficialità e di dolore per Riccardo e per Ettore. Tra loro c’era empatia e probabilmente stava nascendo l’affetto. Ettore sentiva di fare una cosa grande che non aveva mai fatto nella sua vita grigia. Tiziana aveva però architettato tutto giocando solo sull’imbroglio ragionato, per avere un nuovo cagnolino da addomesticare. In Tiziana non vi era alcuna spinta altruistica, mentre probabilmente in Ettore era latente. Tiziana voleva un bambino ed agiva con ferreo in-

260


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE tendimento razionale, peccato che non avesse considerato che Ettore, da suo succube, diventasse importante per Riccardo e questo non lo poteva sopportare. La sua immagine era offuscata da un bimbetto che non mangiava le sue tagliatelle e da un marito che si permetteva di allontanarsi per andare a pescare! Tiziana aveva montato la trappola al servizio sociale e Ettore non ha avuto la forza di opporsi divenendo complice in un dramma che per fortuna si è concluso in poco tempo. Qui non siamo più nel campo dell’ambiguità, ma del ragionamento malevolo senza altruismo, dell’imbroglio verso Ettore, verso il servizio sociale e soprattutto verso Riccardo che si trovava ad essere inconsapevolmente nel posto sbagliato. Per fortuna che non era destino! g) La guerra persa di Adriano Isabella, figlia adottiva, rappresentava per i genitori un evento positivo, facile l’inserimento, senza problemi la sua crescita, risultati scolastici più che buoni, con forte predisposizione alla musica e alle materie letterarie in generale. Dopo 7 anni da questa adozione, ai genitori nasce un problema determinato dalla successione del patrimonio e dalla direzione dell’azienda di famiglia. Il papà si convince che sarebbe bello avere un maschio da avviare nell’attività di famiglia, come suo padre aveva fatto con lui. Di qui la decisione di rivolgersi nuovamente all’adozione per un maschietto. Adriano ha pochi mesi quando arriva e i genitori si attivano per una sua crescita bene orientata. Fino alla scuola primaria tutto fila liscio con grande affetto reciproco. Nella prima classe della Scuola primaria si manifestano dei problemi. Adriano partecipa poco alla vita della classe e se ne sta in disparte, sempre ai margini. I genitori sottopongono Adriano a tutte le visite possibili da medici a psicologi, ma non risulta nulla di particolare se non un suo atteggiamento individualista e un attaccamento dolce e sensibile alla madre adottiva che lo accoglie e lo cura con grande trasporto. Tra madre e figlio si instaura un rapporto di grande intensità che sembra incontri i bisogni di entrambi. Il padre dapprima lascia correre, poi non capisce questo protrarsi di bisogni affettivi, sino a che decide di prendere provvedimenti per “spezzare questo asse di mammismo” tra madre e bambino. Dapprima decide di assumere una educatrice perché lo segua nei compiti e gli faccia da tutore scolastico e poi visto che nemmeno con questa soluzione si hanno dei risultati, decide con atto autoritario, con la madre in grande crisi, di mettere il bambino in un collegio liceale di grande nome e reputazione di una città vicina. Il papà spera così di favorire la formazione volitiva del figlio per riuscire a farne un valente imprenditore. Il passaggio al collegio viene preso da Adriano per quello che è, ovvero una punizione per non corrispondere alle attese del padre e il segno evidente che il padre non lo stima, né stima la madre a cui lui è tanto affezionato e che lo capisce. Dopo alcuni risultati brillanti, Adriano smette di studiare anche al Liceo. I professori lo definiscono intelligente, ma svogliato, sempre distratto da

261


PUNTI DI VISTA altri interessi primo fra tutti la musica afro-americana. Per il padre Adriano è semplicemente un fannullone che gioca a fare il musicista senza studiare, per giunta lasciandosi crescere i capelli e infastidendo tutti con quel chiasso che fa con la batteria. I genitori venuti a conoscenza di una associazione di famiglie adottive vengono a farci visita e iniziano un percorso comune per cercare di comprendere cosa sta loro succedendo. Dopo i primi incontri decidono di non venire più perché nell’associazione “si dicono cose troppo vaghe e non si forniva loro la vera soluzione al loro problema” (cribbio non abbiamo bisogno di lezioni su come fare i genitori, guardate Isabella come cresce bene! È Adriano che è deviante, non noi!). A 16 anni Adriano non ritorna a casa per due giorni. Ricercato e trovato in una stazione ferroviaria si presenta con un guardare muto il padre negli occhi. A 18 anni lascia il collegio e se ne va a Berlino con un po’ di soldi che ha avuto dalla madre (e che comunque non gli sono mai mancati). Quando torna dopo i tre mesi estivi è cambiato: dice al padre che l’azienda non lo interessa, che la sua vita è la musica, che non intende iscriversi all’università e che ora per imparare bene a suonare vuole andare a Londra, così finalmente imparerà bene l’inglese e potrà visitare i musei con i quadri di Turner (altra sua passione). I genitori a fronte di un cambiamento tanto repentino (!?), spaventati e timorosi che si andasse a cacciare in un pasticcio (ovvero non fidandosi affatto di lui o per iperprotezione o per disistima), unanimi decidono di chiudere tutti i finanziamenti. I genitori ci vengono a trovare nell’associazione di famiglie adottive ci chiedono se stanno agendo correttamente. Noi in coro diciamo di no e li invitiamo a ripensarci. Invano, i genitori mettono Adriano “agli arresti domiciliari” e lui dopo una iniziale ribellione si chiude in una abulia, vive sperperando, senza interessi, senza amici (se non quelli attratti dal suo denaro), senza compagnia femminile (se non quella attratta dal suo denaro). Oggi Adriano è un uomo di 32 anni, solo, potenzialmente alcolista, con una vita a pezzi. Commento Alcuni membri dell’associazione hanno continuato ad avere rapporti di conoscenza e di amicizia con la famiglia di Adriano. I genitori oggi sono in grande crisi essendo ormai anziani rivedono il passato e sono sempre oscillanti tra il loro senso di colpa e le colpe che attribuiscono ad Adriano. Isabella ha preso la direzione dell’azienda, e lei che non ne aveva l’intenzione, ha messo a pieno frutto la sua laurea in economia. Per Isabella la strada è stata più facile perché essendo una donna il padre l’ha lasciata libera da pesi e da aspettative predeterminate. Per Adriano il modello imposto dal padre è stato un peso superiore alle sue forze. Per lui attualmente si prevede un difficile recupero essendo sempre sul depresso con una vita disordinata, senza veri interessi. Frequenta saltuariamente un gruppo di

262


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE alcolisti, ma ritiene che non sia il suo posto perché lui sa usare bene le sue tentazioni. Ha anche smesso di occuparsi di musica e frequenta pochi amici nella casa che ha preso a fianco di quella dei genitori. Attribuire colpe è difficile (colpe paterne per eccessivo dirigismo? Colpe di Adriano e della madre per non aver saputo ribellarsi alle pressioni del padre? Colpe degli psicologi consultati che si sono divisi in chi sosteneva per denaro la famiglia e in chi ha dato indicazioni corrette, ma rifiutate dalla famiglia?), rivendicare soluzioni è difficile (il ve lo avevo detto, è patetico e solo fonte di ulteriore disagio in questi casi), ma certo si poteva fare di più se si fosse imboccata una strada di umiltà e di condivisione agendo più da giardinieri che da scultori. h) Letizia e Piero, forse una occasione perduta Sono una coppia di 45 anni, vengono in visita esperienziale al gruppo di auto-aiuto dopo aver svolto il cammino di preparazione con l’equipe dei servizi sociali. Il servizio li segnala come una coppia sicura, affiatata e bene inserita nel contesto sociale della loro cittadina. Si presentano senza alcun imbarazzo apparente e sono subito a loro agio nel conversare che si usa per fare una prima conoscenza. Parlano dei loro amici, dei viaggi compiuti, della politica locale. Chiediamo qualche informazione sulla loro famiglia allargata, sui loro genitori sui loro fratelli avendone risposte cortesi ma un po’ vaghe. Piero, assicuratore, è alla seconda esperienza di coppia, ha una figlia ormai adulta che dice di vedere assai raramente, pratica molti sport conosce molte persone, è vestito in modo sportivo e esibisce una abbronzatura fuori stagione da campi di sci. Letizia, architetto, minuta dai modi garbati di chi sa usare la prudenza, inizia a parlare del suo lavoro di arredatrice di interni per poi scivolare sul suo desiderio di avere un bambino, sebbene a proposito si senta tanto inesperta e soprattutto delusa per non aver avuto la possibilità di diventare mamma. Spesso Piero interviene smussando le parole di Letizia, specie quando la conversazione assume aspetti più personali. Letizia racconta che, dopo aver lungamente provato a divenire mamma, ora spera sia possibile fare un affido poiché l’adozione richiede troppo tempo e non desiderano un bambino straniero, dato che una loro amica, giudice, li hanno informati che sono tutti ragazzi difficili. Si prova a rendere la conversazione meno controllata per sentire pensieri meno preparati, ma si sente che si lasciano andare poco a considerazioni personali rimanendo nel si dice altrui e poco nelle loro attese e nei loro dubbi. Anzi palesano una grande sicurezza e una rete di amicizie capaci di determinare l’aiuto che fosse necessario in caso di difficoltà. Raramente e fugacemente si riesce ad entrare nello specifico delle motivazioni e difficilmente si riesce a raggiungere un livello di reciproca confidenza rima-

263


PUNTI DI VISTA nendo tutto sul piano di “formalmente corretto”. Si decide per un secondo incontro. Quindici giorni dopo si presentano affabili come tra amici che si frequentano spesso, lui ha portato il suo cane, un setter irlandese di grande lignaggio, del quale tesse le lodi estetiche e di carattere. Lei è più disinvolta e meno prudente. La conversazione ha subito toni meno controllati e più rilassati. Dopo un inizio sul cosa avevano pensato, Letizia entra in argomento sottolineando come per lei sia importante avere un bambino, per riuscire finalmente a riparare quanto la natura maligna e ingiusta non le ha dato. Piero si lancia nel racconto dettagliato di tutte le tappe mediche che ha fatto Letizia, il cane abbaia e subito il suo parlare si volge al cane e alla sua capacità di percepire i cambi di umore, dell’affetto che prova per lui. Conclude, celiando, per noi è come se fosse un bambino! Chiediamo se hanno aspettative sul bambino: per il sesso concordano che è indifferente, ma sull’età si dividono lei lo vorrebbe piccoletto, mentre lui lo vorrebbe grandicello, spiegando che per lui è importante che abbia già un certo grado di autonomia con la possibilità di fare sport all’aperto con il cane. Concluso il colloquio riferiamo le impressioni al servizio; soprattutto si fa notare la situazione ancora acerba in cui le motivazioni personali individuali prevalgono sul senso di insieme e soprattutto per la visione dell’affido molto poco concreta. Consigliamo un più lungo percorso di avvicinamento, magari frequentando famiglie che già praticano l’accoglienza. Dopo tre mesi veniamo a sapere, casualmente, che è stato loro affidato un bambino di 10 anni con un vissuto travagliato dopo una lunga permanenza in struttura protetta. Ai nostri segni di sorpresa, l’assistente sociale dice che questo è stato fortemente voluto dalla psicologa che conosce da tempo la coppia e si lascia sfuggire “sapete talvolta bisogna anche tenere conto dei bisogni della coppia specie se proviene da un contesto qualificato della città”. Dopo un anno incontriamo al supermercato Piero che con fare molto determinato racconta che hanno rinunciato all’affido perché era un bambino impossibile, forse “mentalmente malato” perché richiedeva continua attenzione e la loro vita per questo era stata stravolta. Piero poi si lancia in una condanna dell’istituto dell’affido e dell’accoglienza che “sa dare solo illusioni”, ed esprime tutta la sua disistima verso il servizio sociale che non assiste concretamente e non “raddrizza” il bambino che sbaglia. Commento Una storia amara in cui si sono verificate molte condizioni sbagliate e in cui soprattutto non è stato lasciato il tempo della maturazione della consapevolezza alla coppia. Una storia che parte con una ambiguità di fondo della famiglia aspirante, ma questo all’inizio del cammino entro certi limiti è anche comprensibile, ma soprattutto mal valutata dalla psicologa e mal governata dall’assistente sociale per l’introduzione di elementi di ambi-

264


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE guità di ruolo dapprima e poi per condizionamento sociale. Sono molte le considerazioni a posteriori che si possono fare condannando quanti si ritengono responsabili di questo risultato: 1. Il non aver dato alcun peso all’opinione di chi aveva esperienza (psicologa e assistente sociale all’inizio della professione hanno ritenuto il passaggio esperienziale mero passaggio burocratico da inserire nel fascicolo); 2. Il non aver determinato il lavoro di intesa professionale tra operatori, per cui mentre l’una si è fatta probabilmente deviare da considerazioni di interesse sociale (una coppia amica e socialmente bene inserita nello stesso suo contesto), l’altra forse per acquiescenza di chi non vuole prendere posizione, l’aver lasciato fare. Probabilmente una occasione perduta, in tutti i sensi. i) Il pericolo dell’involuzione L’involuzione si verifica in Servizi sociali e associazioni quando vi è un salto di generazione e nel passaggio non viene trasmesso il significato, ma solo le modalità tecniche di gestione. In questi frangenti vengono meno le basi filosofiche del lavoro della cura a favore di un declinare, di un piegarsi, alle esigenze delle opportunità del quotidiano. Solo lo studio e l’esperienza accorata e intimamente vissuta mitigano il declino. Ma si sa, non è facile perché se vengono meno gli ideali della professione si prendono nella pratica delle scorciatoie che sembrano furbe e sono invece solo degenerazioni della prassi. Alcuni esempi. 1. Un anziano dirigente mi diceva, parlando delle sue colleghe psicologhe: “vede tutti i libri che sono in questa stanza? Sono a disposizione delle psicologhe, ma negli ultimi anni solo tre volte sono venute a chiederne uno! Ma nel frattempo hanno frequentato corsi di aggiornamento full time in luoghi assai ameni!”. 2. Gli operatori non hanno tempo per studiare e così un altro dirigente dice ad una mamma preoccupata per la dislessia della sua bambina: “Cosa vuole che le dica, è vero non facciamo i test più aggiornati, ma le psicologhe sono tutte oltre i 50 anni e non posso chiedere loro di tornare a studiare!”. 3. Poi ancora ad una riunione tra Servizi ed associazioni di famiglie accoglienti, una volontaria riferisce: “sono venute da noi alcune donne omosessuali e ci hanno chiesto se possono fare un appoggio ad un bambino”. A queste parole si alza un coro irato di alcune operatrici con dinieghi netti e frasi di scherno. Il solo responsabile legale del servizio con calma replica: “questi sono atteggiamenti di omofobia di genere che non sono ammissibili a priori. Il servizio deve attuare una valutazione di idoneità nel modo più giusto e corretto e non escludere delle persone a priori per il loro orientamento sessuale”. 4. Famiglia con una lunga storia di appoggi e di affidi brevi. I servizi sociali contano su di loro per brevi soggiorni di minori per la loro

265


PUNTI DI VISTA grande disponibilità. Lei non lavora a causa di un problema di salute che la tiene in sospeso emotivo, lui lascia il lavoro spontaneamente. Hanno deciso di aprire una casa famiglia. Frequentano un corso con una sola altra famiglia, anch’essa molto particolare. Appare chiaro che vogliono passare dal volontariato all’impresa familiare. Nell’ultimo anno hanno accettato diversi bambini con disabilità e, per evitare di doverli portare a scuola, hanno aperto una scuola primaria nella loro casa usufruendo di permessi di eccezionalità. La loro famiglia è divenuta via via sempre più chiusa al confronto con altre famiglie affidatarie e partecipano alle riunioni solo se ne intravvedono le opportunità. 5. Coppia di pensionati a cui viene dato in appoggio una bimba magrebina durante i periodi di assenza per lavoro della madre. La coppia accogliente è senza figli e con idee molto radicate in termini di immigrati. Dicono di farlo solo per la bambina e considerano la madre, come tutte le madri magrebine, delle poco di buono che facevano meglio a rimanere a casa loro. Hanno mentito al Servizio nella fase istruttoria e se ne vantano nelle riunioni. Dove si vantano inoltre, di dare carne di maiale alla bambina perché quelle della madre sono tutte stupidaggini. Esistono sconfitte nel processo di accoglienza in cui la quota del servizio è rilevante. Non bisogna nasconderlo, ma al contempo non bisogna criminalizzare. In linea generale i servizi operano bene e mediamente hanno avuto negli ultimi anni un miglioramento complessivo notevole. Tuttavia, non bisogna nascondere che anche tra loro ci sono persone malscelte e con ben poca passione per il proprio lavoro. Il loro numero è simile a quello di altre professioni, ma (come per i medici) finiscono rapidamente sulla bocca di tutti. Il malservizio a causa di pochi si riflette immediatamente su tutto il servizio psicosociale. l) Giuseppe, un imprenditore in crisi Imprenditore cinquantacinquenne, vedovo, con una figlia ormai adulta e indipendente, Giuseppe si rivolge alla associazione delle famiglie accoglienti per avere appoggio in un suo progetto. Viaggiando spesso in Brasile per affari ha notato come in alcune zone vi sia una moltitudine di bambini praticamente abbandonati a loro stessi. Ritenendo di poter dare aiuto in una qualche forma, prende contatto con persone del luogo per avere la segnalazione di una bambina da aiutare. Il portiere dell’albergo dove è alloggiato gli segnala una mamma venticinquenne che ha una bambina di 10 anni. Una volta conosciute si rende conto dello stato di povertà in cui gravano e per aiutarle le invita dapprima a cena in albergo e poi le alloggia nell’albergo stesso. Dopo quindici giorni senza alcun preavviso la madre si allontana lasciando la bambina nella

266


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE camera d’albergo. Dopo aver tentato inutilmente di rintracciarla, decide di rivolgersi ad un religioso che sa seguire la mamma. Al religioso spiega la situazione, chiede la possibilità di ospitare temporaneamente la bambina nelle strutture della missione (provvedendo personalmente alle spese) e che lui vorrebbe adottare la bambina, dato che la madre l’ha praticamente abbandonata. Chiede al religioso come si può fare. Dopo un diniego, il religioso si dichiara disponibile ma un ostacolo apparentemente insormontabile nasce per via delle sua età e per via dello stato di maschio single. Al contempo la sua idea di far adottare la bambina da sua figlia tramonta perché la figlia non ne vuole sapere e lo sberleffa per queste sue “sensibilità senili”. Il religioso tuttavia ha trovato una scappatoia, potrebbe, con i buoni uffici che ha con dirigenti del governo, adottare la bambina nella sua struttura e poi inviarla in Italia per farle compiere gli studi. Tornato in Italia l’imprenditore si rende conto di quanto questa vicenda lo abbia preso. Nella sua impresa hanno notato le sue assenze più lunghe del solito e, sebbene non debba rendere ragione a nessuno, si è trovato nella condizione di giustificare le sue assenze con l’intervento umanitario che stava per compiere. Questo aveva determinato una curiosità e una partecipazione tra i dipendenti e anche da parte di amici imprenditori. Racconta che questo suo giustificare i viaggi in Brasile per fini umanitari lo avevano posto all’attenzione con espressioni di ammirazione che lo avevano inorgoglito, ma anche di espressioni malevole che a fatica riesce a sopportare. Poiché ora ha difficoltà a comprendere cosa è meglio fare, chiede all’associazione se può venire in suo aiuto ospitando la bambina in una famiglia accogliente. Lui si sarebbe fatto carico di ospitarla a casa sua nel fine settimana e di portarla in vacanza oltre ovviamente a pagarle le spese per gli studi, per il vitto e l’alloggio. I referenti dell’associazione rimangono sbigottiti al racconto e rifiutano qualsiasi appoggio al progetto, consigliando di lasciare la bambina in Brasile e semmai di provvedere al suo sostentamento e agli studi nel suo paese. I referenti con tatto cercano di far capire quante situazioni ambigue e ingannevoli vi siano nel suo racconto e nel suo progetto, ma inutilmente, tanto che sbotta in un “non mi avete capito”. A quel punto la situazione si raffredda e i referenti dell’associazione ricordano a Giuseppe, nel caso in cui il progetto fosse attuato nei termini raccontati, il loro dovere di chiedere l’intervento dei servizi sociali per valutare se vi sono violazioni del diritto dei minori. Commento La storia raccontata è tanto assurda da non sembrare vera (ma è vera). Al di là dei dati giuridici del diritto del minore e dell’operazione a progetto, e non volendo essere malevoli a prescindere sulla frequentazione di madre e bambina, per il tema che stiamo trattando balza all’attenzione lo scivolamento da un principio solidale all’ambiguità dei comportamenti ed alla

267


PUNTI DI VISTA loro difficile lettura morale. Ciò che sorprende non sono tanto le iniziative maldestre dell’imprenditore quanto lo scivolamento verso posizioni ambigue da parte del portiere d’albergo e del religioso e dei dirigenti consultati tutti proiettati a raggiungere uno scopo che hanno più connotati personali che elementi di cura verso il minore. L’unica che ne viene fuori con coerenza è la figlia. Analizziamo il comportamento dell’imprenditore senza malignità. Compie diversi errori. Si atteggia a crocerossina senza averne le competenze, affronta un ambito da volontariato o da benefattore avendo la sola preparazione che gli viene dal denaro, come fa in azienda. Non prevede le chiacchiere malevole nei suoi confronti, ma soprattutto pensa di doversi giustificare pavoneggiandosi per quel che sta facendo ingenerando in chi ascolta una ammirazione falsa e una criticità mal celata. L’imprenditore per quanto abbia desiderio di fare un atto di solidarietà è sostanzialmente a digiuno di qualsiasi forma di solidarietà non pelosa e quindi annega nelle sue ambiguità personali più profonde talora sconosciute persino a lui stesso con un desiderio di apparire per quello che vorrebbe essere e che non è mai stato. Ci si chiede, quali erano le sue conoscenze di base dell’accoglienza? Quanto lui aveva bisogno di questa bambina e quanto la bambina aveva bisogno di lui? Cosa aveva capito della necessità di dare una famiglia ai minori che non l’hanno? Si rende conto che con il suo comportamento ha legittimato l’abbandono della bambina da parte della madre?

268


EPILOGO

Il futuro della nostra società dipende dagli investimenti a lungo termine che farà per prevenire le difficoltà delle nuove generazioni, per promuoverne la partecipazione attiva e le capacità critiche. I bambini hanno dei diritti e la famiglia (in primis la loro famiglia e in secundis le famiglie accoglienti) è il luogo ove questa costruzione avviene giorno per giorno con tutti i limiti e con tutti i pregi che questa istituzione sociale ha. Questo libro non ha nulla di originale. Di originale e personale sono le citazioni, come anche le esclusioni. Le idee espresse sono state pensate e formulate da molti altri autori e da molte famiglie accoglienti: non sono mie idee, ma sono diventate parte del mio essere almeno quanto le idee di mia moglie sono diventate mia personale guida nell’esistere. Se queste idee hanno messo radici in me è perché esprimono qualcosa di originale per me, indipendentemente dall’importanza della persona che le ha dette. Anzi sono state proprio le persone più semplici ad accendermi il piacere dell’aver capito una verità che mi riguardava e che prima non avevo compreso. Questo libro non ha una conclusione perché l’accoglienza e le sue forme si rinnovano continuamente nella società e negli individui, né ha la pretesa di dire alle famiglie accoglienti e agli operatori psicosociali come loro dovrebbero fare. È un manuale per genitoricapomastri che costruiscono edifici che non abiteranno. Non esiste una verità unica ma un insieme di verità, di tappe, che passano attraverso la costruzione della propria essenza etica, del proprio ruolo, della propria competenza e della propria professionalità. Quindi non offre un modello, ma tanti modelli più o meno imitativi, che spero possano essere almeno ispiratori o strumenti critici di lettura personale. La mia testimonianza non è quindi “esperienziale” in termini tecnici, ma esistenziale in relazione alle esperienze e ai rimodellamenti che la mia vita ha avuto con la pratica dell’accoglienza. Quanto mi è accaduto ha chiaramente interesse solo per me e per i miei cari essendo ogni esperienza di vita irripetibile. Dopo 25 anni la mia condizione interiore è quella di chi guardando a ritroso vede il bagaglio di gioie e di errori, le cose che non ho saputo

269


PUNTI DI VISTA fare, le occasioni che non ho colto. Sento un delicato desiderio che non è malinconia, né depressione, ma vigile consapevolezza del cammino compiuto tra il ricordo di mio padre e i vagiti dell’ultima nipotina. Rispetto a quel che fece mio padre e mio nonno e mio bisnonno, sempre uguali sono rimaste alcune cose: il ruolo, la cura, le necessità formative dei figli. Quello che è profondamente cambiato è fare i genitori e ancor più i nonni: è divenuto più difficile perché la società è divenuta più complessa e il salto generazionale tra genitori e figli più grande e più profondo. Paradossalmente i genitori oggi si trovano privi o scarsamente dotati dell’esperienza dei loro genitori e di essere a loro volta stati figli. Ma si badi bene non perché il passato è radioso e il presente nefando, ma solo perché la genitorialità veniva insegnata per via imitativa in modo semplice e diretto senza distorsioni di contesto (se non quelle dovute alle necessità di sostentamento)231. La differenza tra oggi e passato è determinata dalla rapidità dei cambiamenti a cui è sottoposta la società attuale. I genitori, oggi più che mai, sembrano socialmente abbandonati al loro destino seppur seguiti e “cannibalizzati” dal mercato rivolto ai bambini come soggetto di consumo. Sicuramente nella complessione e insicurezza sociale sono più soli di quanto non lo fossero i nostri genitori e i nostri nonni. Di qui l’aumento delle incapacità ad essere genitori, di dedicarsi in modo formativo all’allevamento dei figli. Vivere l’abbondanza è difficile perché impone scelte (quando c’è poco ci si accontenta). La troppa possibilità di scelta finisce con disorientare tra modelli proposti dai media, possibilità sociali e formative differenti a diverso livello qualitativo, pressione di marketing che orienta (o impone) le scelte. Alla fine potremmo dire paradossalmente che i genitori d’oggi hanno una sola scelta: cavarsela da soli, in un equilibrismo di sovrabbondanza teorica (di chi ti suggerisce come dovresti fare) e come giorno dopo giorno sei costretto a fare (ovvero quando le scelte teoriche pensate cozzano con il ritmo quotidiano e di fatto sei costretto a fare sempre scelte di opportunità più che di valore). Ha ancora senso l’accoglienza come segno personale e sociale? Ritengo che in futuro avrà sempre più senso man mano che la percezione di dipendere dagli altri nel sistema economico e sociale renderà inevitabile condividere piuttosto che separare. Ma non sarà un cammino facile perché le spinte estreme diverranno sempre più marcate ed il loro temperamento sempre più difficile. Persino avere dei bambini è divenuto un affare, una necessità sociale di apparenza, un diritto di comparazione, uno status symbol (sia averlo che non averlo). Molti dicono che generare un bambino e allevarlo è una cosa naturale che chiunque può fare, ma non è vero! Essere genitori di un bambino non è la stessa cosa che prendersene cura, generare non è allevare e soprattutto non è vero che chiunque può allevare un bambino, una nonna, una zia, una coppia accogliente. L’atto generativo di un bambino in senso biologico è quello più scontato, meno scontato è l’amore che genera l’atto e ancora meno scontata è oggi la capacità di allevare i figli. In questo senso l’essere genitori al di là dell’atto generativo è altra cosa, insieme semplice e misteriosa, ma nessuna famiglia 231 Basterà andarsi a rivedere “L’albero degli zoccoli” (2001) di Ermanno Olmi per capire quanto ricca era la cultura familiare e genitoriale nelle cascine lombarde di fine ‘800, pur in una condizione di miseria materiale e di ignoranza scolastica. Nulla andava perduto: tutto poteva essere utile al corpo e all’anima.

270


MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE accogliente può rubare il mistero fisico delle origini. La migliore famiglia per un bambino rimane quella che si forma nel mistero dell’amore e della passione corporale232. Ogni altra azione encomiabile di coppie accoglienti che si occupano di bambini abbandonati o sfruttati rimane un surrogato necessario, una risposta individuale e sociale che risponde al diritto negato di un bambino di vivere e formarsi nella sua famiglia di origine. La vita, in una grande famiglia come quella accogliente, è complessa soprattutto in relazione al fatto che i bambini hanno tutti una forte esigenza di individualità. Bisogna governare il collettivo tenendo sempre in conto l’individuo e la sua unicità. Nella nostra società è via via cresciuta l’esigenza dell’individualità. Di questo il mondo contemporaneo è ricco almeno quanto lo era il mondo passato. La differenza è la soglia tra il dentro e il fuori che si è fatta più sottile, più impalpabile. Si vive nell’illusione di poter valicare la soglia senza pagare un prezzo alla mancata responsabilità, alla mancata coerenza, ritenendo di avere sempre il biglietto valido per perdonarsi o farsi perdonare. Nella famiglia accogliente il prezzo del biglietto da pagare per varcare la soglia tra il dentro e il fuori è alto: lo stare dentro determina un impegno al fare quotidiano tanto coinvolgente da guardare al partner in modo più forte essendo specchio del nostro personale essere. Certo che la famiglia accogliente non è garanzia di duratura relazione di coppia, ma ha il vantaggio di basarsi più fortemente su “tutto quello che la tua mano trova da fare”233 e sulla necessità comunque di vedere la vita in comune non come una fusione, ma come una amplificazione nell’altro della tua stessa individualità. In questo si vive una nuova dimensione dove le pulsioni, gli egoismi si trasformano in una forza, e i piccoli tradimenti sono anche il toccare con mano quanto rischi di perdere di te stesso. Una delle maggiori difficoltà è riuscire a tenere tutto insieme. Questo problema è stato affrontato da Rostan234, senza farne una filosofia, ma ponendosi chiare ed antiche domande: Può l’esistenza essere vissuta come un costante mandato senza che ne venga distrutta la vitalità individuale? Possono la relazione con gli altri e l’impegno in un progetto collettivo essere così intensi da fondare il senso di una vita e nello stesso tempo contenere gli elementi di autodistruzione? Sono interrogativi questi di cui bisogna tenere conto nella costruzione della ragionevole e vigile consapevolezza di tenere assieme le sfaccettature di un viaggio personale e assieme collettivo. Si deve ricordare che la saggezza genitoriale non viene automaticamente infusa all’atto della nascita del bambino, non dipende da cosa abbiamo letto o dalle esperienze che abbiamo vissuto, ma da come abbiamo appreso e da come abbiamo interiorizzato precedenti esperienze familiari in una consapevolezza percettiva. Questo atteggiamento sposta l’asse dalla quantità e dalla specializzazione alla qualità ed alla riflessione e meditazione interiore del proprio vissuto con l’occhio del disincanto e del distacco materiale ma con l’atteggiamento del senso di appartenenza in quel cammino che si sta iniziando. Il ruolo dei genitori non è a termine, ma dura tutta la vita e non importa quanti anni possono avere i nostri figli perché la genitorialità evolve in relazione alla loro età. 232 Savater F. (1996), Dizionario filosofico, Laterza, Roma-Bari, pp. 160-169. 233 La frase è tratta dall’Ecclesiaste 9,10. “Tutto quello che la tua mano trova da fare / Fallo con tutte le tue forze; / Poiché nel soggiorno dei morti dove vai / Non c’è più lavoro, né pensiero / Né scienza, né sapienza. 234 Rostan M. (2008),“Tutto quello che la tua mano trova da fare”, Claudiana, Torino.

271


PUNTI DI VISTA Il discorso sull’accoglienza altruistica nel concetto religioso assume aspetti più semplici e meno barocchi rispetto alle espressioni comunemente laiche. In definitiva per la gente comune è più facile capire l’altruismo se questo è compreso in una sfera di appartenenza religiosa. Comprendere l’altruismo di matrice laica è invece più difficile o quanto meno esige un argomentare meno immediato235. Ragionare sull’altruismo associato all’accoglienza, alla cura dei minori abbandonati e proporlo come stile di vita non può che partire da uno slancio che non ha etichetta culturale o ideologica o di fede, ma moto d’animo (tralasciando per un attimo ogni architettura laica o religiosa). Con l’età e con la maggiore percezione di finitezza della persona, si comprende che il senso della vita è disegnato dalla goccia d’acqua che cade nello stagno: i cerchi si allontanano divenendo sempre più grandi e leggeri sino a scomparire nel nulla, o nel tutto. Solo allora la goccia sarà tutt’uno con l’acqua dello stagno e non potrà più essere separata. Vivere con intensità la genitorialità può divenire una esperienza mistica ovvero l’elevazione della realtà pratica del fare ad una dimensione di ideale spirituale personale nella ricerca del chiunque come parte di se stesso. Non voglio dire che la genitorialità sia l’unico mezzo per raggiungere alti ideali, tutt’altro, a volte la genitorialità è vissuta in modo tanto problematico da divenire un peso e una esperienza negativa se non si è preparati. Molte persone danno giudizi di valore all’accoglienza senza averla praticata, come altri l’approvano a priori senza conoscerne i meandri, i sottili cedimenti dell’anima, la malinconia degli insuccessi, la presunzione di onnipotenza. Vedere nell’accoglienza uno stereotipo è vizio di superficialità corrente236, basato sulla comodità di asserire altro da sé e quindi sulla incapacità di comprendere che l’esercizio dell’accoglienza riguarda tutti, chiunque. Nella relazione tra epistemologia e mistica dell’accoglienza si trovano i sottili fili del tentare una via di ricerca interiore di qualità. Per il genitore, persona mistica per eccellenza, non è importante il risultato, ma come esso si consegue, così come per lo spirito non è importante la meta, ma il cammino che quotidianamente si compie.

235 Nella società contemporanea vi è la forte presenza del sacro, non necessariamente religioso in termini classici, ma del sacro laico. Per una sintesi percettiva di queste considerazioni si veda il film di Ferzan Ozpetec, Cuore sacro, 2004. 236 Ovvero di scorciatoia benpensante verso un agire idealizzato, ma imprudente, falsamente ammirato, ma di fatto rifiutato. Una partita sempre rinviata per presunta “impraticabilità” del campo.

272



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.