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Punti di Vista
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Vincenza Sollazzo
Il Sentiero del Viaggio Interiore Conosciti, Amati, Guarisciti
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Prima Edizione: 2013 Prima ristampa: Aprile 2014 ISBN 9788898037049 © 2013 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Aprile 2014 in Italia da Universal Book srl di Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)
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Dedica ad Aldo Carotenuto “Io, che lo conobbi da lui imparai, ma ciò che sono è il prodotto di aver imparato a vivere”.
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INDICE
Premessa al lettore
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Presentazione (Robert Michael Mercurio)
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Capitolo 1 Lo stendardo del viaggio psicoterapeutico. L’albero della conoscenza. Dalla mentalizzazione all’immaginazione attiva, dal suono della parola, ai colori dell’immagine. Eros e Logos
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Capitolo 2 Caratteristiche del viaggio terapeutico. Rinascita psicologica e linguaggio dei segni. Paradigma della sincronicità: le relativizzazioni del caso.
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Capitolo 3 Sulle soglie del regno della psicoterapia: la dinamica dell’accoglimento nel viaggio individuativo, attraverso il codice della sofferenza, verso la profondità del Sé.
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Capitolo 4 Funzioni e competenze dello psicologo del profondo in una società in cui il processo tecnologico assume rilievi portanti per il “destino” dell’uomo.
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Capitolo 5 Le inconsce motivazioni per cui si diventa psicologi del profondo e di esse l’ascendenza nella relazioni clinica.
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Capitolo 6 Dal contenimento\accoglimento alla trasfigurazione: i passi incipiens del viaggio terapeutico.
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Capitolo 7 Nel luogo dei sentimenti, l’opus trasformativo del terapeuta. Lo psicologo del profondo visita le terre di Eros, figlio di Poros e Penia e quelle di Shiva e Kali.
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Capitolo 8 Il paradigma della sincronicità in riferimento al rapporto terapeutico e al processo di conoscenza dell’inconscio. Il tema delle coincidenze e dei segnali nell’esistenza.
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Capitolo 9 La psicoterapia e l’accesso all’anima ancestrale; dall’ombra alla luce: l’illuminazione ed il numinoso nella psiche redenta. Quale sarebbe il destino dell’individuo se non ci fosse il trauma a determinarlo?
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Capitolo 10 La peculiarità e specificità del lavoro profondo sull’anima.
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Capitolo 11 Il processo di individuazione. Dalla dimensione collettiva a quella individuale. Dall’Io, tramite il Super Io e l’Es, al Sé.
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Capitolo 12 Le coincidenze significative e\o la sincronicità. Il linguaggio dei segni e la sfida del caso.
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Capitolo 13 La chiamata del “destino” lungo la traiettoria dall’Io al Sé. La ricerca dell’unicità e la Rinascita psicologica.
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Capitolo 14 Archetipo morte-rinascita. La chiamata ed il processo della trasformazione della personalità, attraverso la tappa della solitudine.
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Capitolo 15 La realtà psichica tra illusioni sane dell’apparato psichico infantile ed ancestrale ed illusioni difensive, sottese alla psicopatologia.
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Capitolo 16 Meta della psicoterapia: l’archetipo morte-rinascita. La rinascita psicologica mediante la forza interiore e la solitudine creativa. Dal collettivo, all’individuo ed alla sua unicità.
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Capitolo 17 La chiamata: “vox dei” dal profondo dell’anima. L’archetipo dell’eroe tra morte e rinascita, alla luce della conoscenza consapevole. Stati psichici di innamoramento ed elevazione epistemofilica.
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Capitolo 18 Dalla nascita biologica a quella psicologica (M. Mahler): la chiamata attraverso l’introspezione psicologica ed il lavoro artistico.
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Capitolo 19 La via dell’individuazione, tramite la comunicazione profonda ed empatica e l’accesso all’inconscio tramite la dimensione onirica: “chiudete gli occhi e vedrete”.
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Capitolo 20 La terapia del profondo e la trasgressione
177
Capitolo 21 La chiamata: partenza, percorso, ostacoli interni e collettivo. La conquista del Sé, tra identità ed individuazione.
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Capitolo 22 La chiamata, la psicoterapia ed il mito dell’androgino platonico.
211
Capitolo 23 Il transfert: antidoto alle energie vitali, sopite dai traumi infantili ed arcaici.
227
Capitolo 24 Setting e primo colloquio. Dal modello lineare-uroborico dell’infanzia, “all’irragionevole silenzio del mondo” della dimensione dell’assurdo. L’individuo alla conquista del suo destino nelle trame analitiche.
239
Capitolo 25 Il setting analitico: parametri contrattuali del percorso terapeutico. La vita come conquista attraverso l’archetipo dell’eroe, con le prove, l’interazione con il mondo esterno, nella dimensione dell’anima mundi. Il mitologema dell’Asino d’Oro.
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Capitolo 26 La capacità d’amare ed il mitologema dell’androgino.
267
Capitolo 27 Transfert e controtransfert.
273
Capitolo 28 Il destino dell’uomo.
285
Capitolo 29 Cenni sugli aspetti meta psicologici.
289
Capitolo 30 La comunicazione attraverso le dinamiche transferali. Dall’uomo sapiens all’uomo dei primordi.
295
Capitolo 31 La fedeltà a se stessi.
307
Capitolo 32 La “capacità negativa” del terapeuta.
315
Capitolo 33 I modelli inconsci e gli “arnesi” del lavoro terapeutico tra Eros e Logos.
327
Capitolo 34 La forza del desiderio di Eros, come voce profonda dell’anima, tra solitudine e ricerca.
335
Capitolo 35 Funzioni e competenze dello psicologo del profondo in una società protesa verso un inesorabile progresso tecnologico.
347
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Capitolo 36 La propria vita come opera d’arte e la sofferenza come pungolo per l’iniziazione individuativa.
355
Capitolo 37 Epilogo psicodinamico sull’amore universale, come conoscenza straordinaria della personale equazione, quale premessa per amarsi ed amare.
377
Postfazione (Vincenza Sollazzo e Gianfranco Bernes)
383
Bibliografia Generale
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PREMESSA AL LETTORE
Il saggio si rivolge a tutti coloro che presentano il desiderio di conoscere se stessi ed essendo questo un bisogno archetipico riguarda tutti. Tale bisogno nasce con l’uomo. Si rivolge anche agli studenti di Psicologia, in quanto semplifica ma non banalizza, né devitalizza concetti-chiave della psicologia del profondo. Rivolto anche ai colleghi con cui condivido la “chiamata” ad occuparci della sofferenza umana, senza apriorismi e nel rispetto della dignità di colui che soffre. Un libro costituisce un incontro di sincronicità tra l’autore ed il lettore, in cui l’editore è come il dio greco Mercurio, ossia colui che “collega” i due. In questa dimensione si è tutti inconsapevolmente connessi con l’inconscio collettivo. L’autore si rivolge al suo interlocutore-lettore, con impegno partecipe, pur se invisibile, (“L’essenziale è invisibile agli occhi...” dal Piccolo principe) mentre compone la sua opera, al pari di una madre in stato di gravidanza. Il lettore mentre “legge” l’opera, a sua volta immagina e pensa al suo autore, che ha scelto per motivi profondi, ma che sembrano casuali. Mentre scrivevo non potevo non immaginare un lettore e forse nello scrivere in qualche modo si rinviene una motivazione così profonda di collegamento con i propri simili, che rimane in parte misteriosa. Chi decide di scrivere avverte dentro di sé una chiamata od appello del suo Sé e non disattende. Ha un senso ciò, anche se razionalmente si comprende in parte. Il lettore a volte necessita del libro, allo stesso modo di un bambino che porta con sé sempre il suo peluche preferito, allo stesso modo di un religioso che porta con sé il rosario ed allo stesso modo di un ansioso che porta con sé sempre il telefonino. Libro, gio-
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cattolo, rosario, cellulare sono oggetti speciali, “transizionali”, che aiutano a calmare l’ansia ed accedere a nuove fasi evolutive o stagioni dell’anima. Nella mia professione di psicoterapeuta ho constatato come alcuni miei pazienti, in ritiro dalla vita per cocenti traumi, per brevi periodi hanno tratto giovamento straordinario dal mio invito ad immergersi nella lettura di un libro. Così facendo hanno tratto beneficio non solo per il “succo” della lettura, ma anche dal transfert con l’autore invisibile. Tutto ciò costituisce e facilita la transizione di passaggi dell’esistenza critici. Un libro, quale “compagno” invisibile e “saggio”, aiuta nel silenzio e nella solitudine, l’anima angustiata; perchè esso oltretutto rilassa. Perchè i bambini amano la lettura delle fiabe prima di addormentarsi? Avrà tutto ciò un significato profondo congiunto ad un effetto psicosomatico. Un libro interessante a volte calma e rasserena molto di più di un sedativo. Io stessa, all’età di 14 anni, mentre frequentavo il quarto ginnasio, attratta dall’immagine della copertina, scelsi e lessi in modo appassionato un libro intitolato Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, di C.G. Jung e da lì sentii dentro di me affacciarsi la chiamata per lo studio dell’anima. Ebbe un effetto straordinario, un impatto intenso. L’anima è complessa ed affascinante. Un libro a volte presenta una ascendenza straordinaria nella vita; ha il suo “peso” in un destino umano e l’autore che scrive si sente fortemente ispirato e responsabilizzato per tale profondo e nobile compito. Trasmette certamente la ricchezza del suo mondo, qualora il lettore sia disposto a cogliere l’essenza di particolari fragranze e la filigrana tra le parole.
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PRESENTAZIONE
C. G. Jung ci offre questa apparentemente semplice definizione di quel processo che è al centro della sua visione della psicoterapia e che egli chiama Individuazione: “diventare ciò che si è”. Naturalmente la questione è ben più complicata di quanto possa sembrare a prima vista. Si tratterebbe, in sostanza, di ristabilire un contatto con l’autenticità e la genuinità che non sentiamo più dentro di noi. Tutta la nostra sofferenza, le ferite inflitte nell’infanzia, i compromessi e le strategie adottate per sopravvivere ci allontanano da quella “faccia originale” di cui parla lo Zen. Jung ipotizza una prima fase del procedimento psicoterapeutico chiamata fase analitica durante la quale le ferite e le difese che hanno contribuito a distorcere la personalità e ad allontanarci da ciò che siamo veramente, vengono esaminate, analizzate, smontate. Si tratta di una fase fondamentale, in grado di alleviare e contenere i gravi sintomi che interferiscono con il tranquillo funzionamento dell’individuo nella vita, e il risultato di questa prima fase è una forma di buon adattamento. Ma Jung avverte che il terapeuta, il quale rimane per troppo tempo nella fase riduttiva, paragonabile ad una forma di chemioterapia che distrugge ciò che è malato nella personalità, ferendo allo stesso tempo tutto ciò che è sano, commetterebbe un grave errore. Arriva il momento in cui l’accento del lavoro analitico si sposterà verso una questione più profonda e ben più difficile, la questione del senso della propria esistenza e il problema di uno stile di vita fedele a questo senso. In questa fase sintetica si tratta di riprendere in mano i pezzi smantellati durante la prima fase del trattamento, di raccogliere i fili liberati dai vecchi nodi malati che bloccavano il flusso dell’e-
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nergia vitale, e insieme al paziente e insieme all’inconscio, di cominciare a tessere un nuovo tessuto. Sarebbe davvero ingenuo pensare di poter scoprire e poi ripristinare l’ipotetica autenticità del bambino appena nato. La matrice attiva e creativa dell’inconscio continua a proporre, tramite le sue immagini, prospettive e dimensioni di vita che ci aiutano ad entrare in un processo che potremmo chiamare la continua creazione della nostra stessa autenticità. La partecipazione a questo processo, che è guidato dal centro sovraordinato di tutta la personalità, il Sé, richiede una grande vigilanza, un’attenzione amorevole ai sogni e alle fantasie che emergono dall’inconscio. L’Individuazione è un processo continuo che coinvolge paziente e terapeuta, il conscio e l’inconscio. Il setting analitico a questo punto assomiglia a un telaio, sul quale i fili si intrecciano, producendo nuove trame e disegni. L’autenticità non è una realtà perduta che dobbiamo in qualche modo recuperare; è piuttosto un modo di vivere, una dinamica vitale che ci permette di condurre le nostre esistenze temporali e spaziali, in equilibrio con l’immensità dell’inconscio. La collega Vincenza Sollazzo mette a frutto, in questo suo libro, anni di studio, di riflessione, di lavoro analitico (sia come analizzanda sia come analista); spiega con ammirevole chiarezza come la fase analitica e la fase sintetica del lavoro psicoterapeutico si susseguono, ma anche come, paradossalmente, si intrecciano. Come due modelli di lavoro, dovrebbero essere sempre entrambi presenti nella mente dell’analista che applicherà l’uno o l’altro, secondo una serie di fattori clinici ma soprattutto, in base alle indicazioni che arrivano dall’inconscio tramite i sogni. Questo volume mette chiaramente in evidenza quanto la psicologia junghiana sia profondamente relazionale. Vari autori si sono interrogati sulla vera natura della psicologia analitica junghiana e della sua dinamica: è intrapsichica, in quanto incoraggia il paziente a volgere lo sguardo verso la propria interiorità e la propria soggettività? O è interpersonale, perché invita il paziente a riflettere sui propri rapporti con gli altri e con il mondo nelle 16
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speranze di poterli vivere in modo più fluido e consapevole? La domanda sembra essere mal posta; è possibile mai che una persona, senza nessuna consapevolezza dei propri contenuti interiori, possa stabilire rapporti equilibrati con gli altri? Jung stesso, nel suo saggio sulla Funzione Trascendente illustra il legame inscindibile tra prendere sul serio l’altro dentro di noi e prendere sul serio l’altro fuori da noi. Il termine relazionale descrive l’approccio junghiano sia verso la vita interiore e i contenuti dell’inconscio, sia verso l’altro che incontriamo nella vita e con il quale ci troviamo ad interagire. Vincenza Sollazzo dedica passaggi importanti di questo suo libro all’Eros, la qualità della relazione per eccellenza. Si tratta di una qualità indispensabile per poter entrare in sintonia con il mondo misterioso dell’inconscio, una qualità che sia il paziente che il terapeuta dovranno trovare dentro di loro, e poi coltivare. Il dialogo paziente-terapeuta sarà un contenitore vuoto se il terapeuta non avrà coltivato uno spirito di dialogo con le manifestazioni del proprio inconscio; è questa l’unica qualità in grado di donare genuinità e autenticità a ciò che succede in analisi. L’autrice di questo volume, pur essendo una profonda conoscitrice delle tecniche terapeutiche proposte dalle varie scuole di psicoterapia, sa bene che in fondo non esiste nessuna tecnica che non sia basata su di uno spirito di dedizione nei confronti dell’inconscio e un dialogo vivo con esso: lo spirito di Eros. E per inverso, se il terapeuta è motivato da questo spirito di dedizione e di dialogo, la tecnica che utilizzerà sarà del tutto secondaria. Jung amava dire che con alcuni pazienti, tendeva ad intervenire come un freudiano mentre con altri, adottava un approccio più simile a quello di Adler. Dietro le tecniche e i vari approcci alla psicoterapia, Jung manteneva una sua specifica visione della psiche e della vita psichica. Si tratta di una visione atta a riconoscere come la psiche sia un sistema, con un centro relativo che chiamiamo l’Io, ma anche con un centro assoluto e sovraordinato che chiamiamo il Sé. La tensione tra queste due istanze è inevitabile. Dietro l’Io agisce l’archetipo dell’eroe che è spesso Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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pronto a sfoderare la propria spada e a combattere per uccidere qualche nemico o conquistare qualche nuova terra. Rischia continuamente l’inflazione, un rigonfiamento del senso della propria importanza, e rischia di credersi padrone della propria psiche; davanti al mistero dell’esistenza, a tutto ciò che è irrazionale e che richiederebbe apertura, umiltà e dialogo, l’Io eroico si ribella e entra in crisi. L’asse Io-Sé è il modello proposto tanti anni fa da Erich Neumann e a cui la nostra autrice fa riferimento nel suo testo. Nella misura in cui l’Io è allineato con l’istanza superiore, il Sé, le nostre vite seguiranno un andamento sano, equilibrato, pieno e gioioso; chi devia da questo allineamento, privilegiando le istanze egoiche e trascurando le manifestazioni del Sé, cadrà in uno stile di vita nevrotico, caratterizzato da meccanismi patologici e distruttivi. Vincenza Sollazzo, fin dai tempi dei suoi studi universitari, ha sempre cercato di tenere a mente anche un altro modello della realtà psichica, che contempla non soltanto l’allineamento di queste due grandi istanze della psiche, l’Io e il Sé, ma anche l’attimo misterioso in cui un aspetto di eternità (atemporalità, aspazialità) entra e coincide con un aspetto della nostra egoica temporalità/ spazialità. Si tratta del modello della sincronicità. Sembra a volte che gli autori New Age si siano impossessati di questo importante aspetto del pensiero junghiano; l’elenco dei testi che ne parlano in modo superficiale e impreciso è letteralmente sconfinato. La coincidenza acausale di un fatto psichico, interiore come, per esempio un sogno o una premonizione, con un fatto fisico e concreto ci riporta di nuovo a considerare la questione del senso. Davanti ad un fatto così importante siamo obbligati a chiederci perché l’atemporalità dell’inconscio sia entrata direttamente nelle categorie temporali e spaziali del nostro mondo fenomenico, in che cosa consista il nesso di senso tra un fatto psichico e un fatto fisico, così intimamente intrecciati. Se in effetti “nulla succede per caso”, come sostiene un autore citato più volte dalla nostra autrice, allora dovremmo stare sempre ben attenti a cogliere il modo in cui fatti interni e fatti esterni si intrecciano e coincidono, 18
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per tessere ed elaborare il senso delle nostre vite. L’uomo primitivo in noi, commentò una volta Marie-Louise von Franz, non ha difficoltà a cogliere e a riconoscere le sincronicità della vita; spiegare ed illustrare un concetto così complicato in termini accettabili alle moderne scienze naturali è invece un compito ben più arduo. Era questo ciò che Jung aveva cominciato a fare verso la fine della sua vita, affidando in seguito il progetto alla stessa von Franz. Jung credeva che la nostra epoca fosse un vero kairós, un momento opportuno per la trasformazione degli dei, o delle realtà archetipiche nel profondo della psiche, che cercano la loro espressione nel tempo e nello spazio delle nostre vite e della nostra cultura. La coscienza umana, lungi dall’essere padrona della vicenda, è piuttosto paragonabile alla mangiatoia in cui nasce un nuovo senso del divino e del nostro rapporto con esso. La flessibilità, l’umiltà, e la permeabilità sono le qualità di cui avrà bisogno se vorrà accogliere le nuove manifestazioni dell’inconscio e non scontrarsi con essi. Dovremmo affidarci a quella figura che è stata per secoli la guida e l’accompagnatore delle anime nei momenti più significativi della vita, Mercurius, psicopompo e spirito dell’inconscio stesso. Robert Michael Mercurio Analista didatta dell’ARPA
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CAPITOLO 1 Lo stendardo del viaggio psicoterapeutico. L’albero della Conoscenza: dalla mentalizzazione alla immaginazione “attiva”, dal suono della parola, ai colori dell’immagine. Eros e Logos.
L’Incubo che si forma mi fa paura. L’ho visto germogliare. Ho potuto decifrarlo come un calco. Non è più un mondo nel quale ho voglia di vivere. È un mondo di monomaniaci tormentati dall’idea di progresso, ma di un falso progresso che nausea Henry Miller L’autorealizzazione è il più grande servizio che si possa rendere al mondo Shri Ramakrishna Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir vertute e conoscenze Dante Alighieri Quale motivazione, profonda e significativa, alla luce dei suggerimenti insiti nelle citazioni, spinge un soggetto sofferente a chiedere l’aiuto dello psicologo del profondo o psicoterapeuta. I nuclei principali, rispondenti ad un doppio registro dell’anima egoico ed archetipico, soggiacenti a tale motivazione attengono ad una congiunzione intrecciata tra il malessere conEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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tingente ed oppressivo di cui il soggetto è colpito ed il bisogno archetipico di fondo di autoconoscenza, presente nella sua anima ed in ognuno di noi, le cui lontane radici bibliche, (come riferisce il Vangelo di San Luca “medice, cure te ipsum”), filosofiche (cfr. “conosci te stesso” di Socrate), letterarie-artistiche (ripiegamento interiore del poeta, quale via per l’ispirazione) e mitologiche, sono universalmente note. Sinteticamente, tale bisogno è di ordine traumatico ed archetipico. Il malessere del presente, in particolare, come un motore, diventa così implacabile, che il soggetto sente di “toccare il fondo”, con la sensazione di potersi smarrire in esso definitivamente ed in quel momento di estremo disagio scatta dentro di sé una spinta intensa ed irresistibile a risalire-come la legge di Archimede ed a conferire alla propria esistenza un “giro di boa”. Questo desiderio comporta uno spartiacque significativo nella vita del soggetto, che in quel preciso momento decide irrevocabilmente di “prendere in mano le redini della propria vita”, anche se non è del tutto conscio delle psicodinamiche implicate in tale scelta, in quanto i meccanismi psichici che si mettono in moto di ordine conscio ed inconscio sono molteplici, complessi ed intrecciati e per di più imprevedibili in quanto necessitano di sperimentazione, attraverso il dinamismo della vita. È cosciente però, e fa un patto con se stesso, del desiderio di non voler soggiacere e né di essere governato dal malessere. Da tale desiderio scaturisce conseguentemente un bisogno di interrogarsi sul malessere, al fine di conoscere l’opprimente disagio, nel tentativo, comprendendolo, di esorcizzarlo, depotenziarlo, gestirlo e di assumersene la responsabilità, senza invece esserne governato o fagocitato, superando, grazie alla comprensione consapevole, la danza dei ruoli dicotomici ed ambivalenti che la sofferenza, non elaborata impone nella relazione interpersonale, relativi ai ruoli carnefice o vittima, ove il soggetto attacca l’altro e si espone ai medesimi attacchi, in una circolarità ove ora è masochista, poi è sadico. Padroneggiando tale oscillazione di ruoli sadico=carnefice, masochista=vittima, il soggetto sofferente si assume le responsabilità del malessere, chiedendo 22
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aiuto a colui che è dotato di specifica competenza, disponendo di una parziale consapevolezza intorno al malessere che percepisce non nei contorni precisi, ma vagamente, in modo indefinito come qualcosa che non va “dentro di sé”. La necessità di porsi delle domande è anche, come su accennato, da sempre funzionale alla autoconoscenza, congiuntamente alla sopravvivenza, laddove il malessere trabocca. Potrebbe essere definito un bisogno archetipico, presente pertanto nell’uomo da sempre ed in ogni luogo, come si può scorgere anche nei miti, che per lo psicologo del profondo diventano mitologemi, come una lente di ingrandimento per guardare nell’anima. Vi è correlazione, per la psicologia del profondo, tra patrimonio mitico dell’umanità e storia personale dell’individuo, come copiosamente e magistralmente evidenzia la psicologìa analitica. La psicologia del profondo, scienza di frontiera, accoglie, in seno alle sue procedure, il patrimonio di conoscenze derivate dall’arte, della mitologìa, in ragione di un incontestabile principio gnoseologico, ossia di comprendere il “perché” degli eventi umani. In tal senso il patrimonio simbolico della cultura greca antica mitologica a ciò agevolmente si presta, in quanto offre chiave idonea ad addentrarsi nei codici complessi dell’anima, dato che le spiegazioni degli eventi umani non si prestano a spiegazioni riduttive, semplificate, scheletriche e scarne. Infatti i racconti mitici riescono, per la loro peculiarità, a toccare l’essenza dell’uomo. Oltretutto il mito nasce con l’uomo e lo accompagna per tutto il percorso evolutivo ed esistenziale, fornendo la idonea risposta ad ogni umano e complesso quesito, facendo appello a leggi invisibili e mai scritte, che però regolano i rapporti umani. Quando il malessere dell’anima è esorbitante solleva consistenti interrogativi ed il soggetto sofferente non si accontenta di risposte “collettive”, precostituite, in quanto non lo risolvono, né placano l’angoscia ad esso connesso. La sofferenza psicologica turba tutte le sfere della vita dell’uomo, da quella cognitiva a quella affettiva, spirituale, relazionale, in un turbine di caos che avvita il soggetto. “Bisogna conoscere il caos che ci abita” Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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precisa C.G.Jung. Pertanto: a domanda soggettiva, si desidera risposta soggettiva o, meglio espressa, individuativa, che conduce gradualmente alla scoperta dell’unicità del soggetto, al processo di individuazione che parte dall’Io, cioè dalle parti consapevoli del proprio essere, che per definizione sono esigue, sino a raggiungere il Sé, l’essenza, il centro dell’anima, la dimensione più elevata dell’anima che coincide con il divino nell’uomo. Il Sé è Gesù, è Buddha. Il processo di individuazione non è da confondere con l’individualismo anarchico, ma allude ad un percorso che favorisce la tolleranza, attraverso la consapevole conoscenza delle vicissitudini dell’esistenza, compresi i persecutori interni ed esterni. Nei miti tale interrogazione, in merito all’autoconoscenza, mossa e promossa dalla intollerabile sofferenza dell’individuo, è espressa dal “ratto-rapimento”, che, trasponendo sul piano psicologico, corrisponde ad una rapidissima “attivazione inconscia” la quale sortisce in una fulminea intuizione, nonché decisione ad avviarsi in una certa direzione da cui ci si sente “chiamati”, che non è da intendere in modo solo geografico, ma è interiore e comporterà anche di riflesso percorsi esterni. In tale chiamata non sono noti a priori i percorsi, ma è intenso l’invito, irresistibile ed a cui non è facile sottrarsi, soprattutto se si dispone di un margine di consapevolezza sulla sofferenza psicologica. Per cui nell’anima di chi si interroga sulla sofferenza risuona l’eco del mito, ove l’eroe parte per terre interne ignote, esterne, sconosciute ed affronta le prove del viaggio. In questa eco eroica risuona al contempo l’anima religiosa (da “religo”, tengo insieme), per la quale si è in ascolto per captare segnali di potenze sconosciute inconsce che comunque guidano la esistenza. La mentalità religiosa dei primitivi e di chi è allenato al processo di introspezione attribuisce enorme importanza a tali segnali, che talvolta emergono con l’illuminazione e l’identificazione nel proprio albergo interiore delle componenti spirituali; dirà S. Paolo “non sono io che parlo, è Cristo che parla in me”. I temi relativi alla attivazione dell’inconscio e del corrispettivo 24
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mitologico del ratto, e di quello religioso della “illuminazione”, alludono a quelle funzioni dell’anima necessarie per inaugurare il viaggio in se stessi, e come sottolinea Marie-Louise von Franz in Alchimia, l’inconscio attivato dispone di funzioni soprarrazionali, di cui è salutare tener conto, ai fini della ricerca dei propri “tesori” interiori, a cui i sintomi della sofferenza implicitamente invitano ed esplicitamente precludono. Quanto esposto sarà più chiaro nelle pagine successive. La ricerca di se stessi comporta la conoscenza di Sé, come compimento della propria progettualità psicologica, che, beninteso, non è solo esterna, ma soprattutto interna e che i sintomi bloccano o inibiscono in vario modo, impedendo l’accesso al Vero Sé. La sofferenza è come la selva dantesca, disorienta e confonde il soggetto, al punto da allontanarlo dalle proprie coordinate interiori esistenziali e progettuali e relegarlo alla guida dei meccanismi difensivi, ripetitivi e coattivi del Falso Sé ed è come il soggetto che nelle fiabe, colpìto dal maleficio o sortilegio, si comporta in modo inopportuno e distruttivo. Il soggetto sofferente non dispone del libero arbitrio, ma dalle coazioni rigidamente fatalistiche dei sintomi… “mi ritrovai in una selva oscura, chè la dritta via era smarrita”... si noti l’impersonalità del verso, ove non è il soggetto che decide liberamente e responsabilmente di recarsi nella selva, ma il suo sintomo che agisce sulla psiche con una coercizione, non una ispirazione od una libera decisione, come chi è “chiamato”. Ciò però non va inteso come de-responsabilizzazione totale, in quanto è pur sempre il soggetto che agisce, anche se non del tutto consapevole, attraverso i suoi sintomi, di cui è salutare prendere coscienza. Sul piano religioso, la medesima attivazione psicologica, che nei miti è espressa dal ratto, è equivalente e corrisponde al “risveglio” od illuminazione, come San Paolo sulla via di Damasco, ma anche Buddha sotto l’albero. Quando l’anima si desta dal torpore, imposto dai sintomi della sofferenza, si attìva una diversa energia psicologica, imponente e, di riflesso, la psiche, attivata, rapita ed illuminata, tenta di comprendere lo straordinario accadimento e da questa “psicologica postazione” si interroga, Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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ponendosi infinite, ma peculiari domande intorno al malessere psicologico, apparentemente indomabile, e le risposte codificate da altri, e valide per chi le ha codificate, non allettano, nè acquietano gli arditi quesiti che dal dolore soggettivo scaturiscono, in quanto la psiche le rigetta, “sentendole” sterili, cristallizzate, non pertinenti, al pari del corpo che disconosce, con i meccanismi immunitari, gli agenti estranei, rigettandoli. La domanda che scaturisce dalla angusta sofferenza, non dalla mente razionale, è così peculiare, da potersi definire, per la sua portanza, “chiamata” del destino e che si erge e si compone dal magma di una sofferenza così imponente in un soggetto però con caratteristiche eroiche e religiose (da religo= tengo insieme) latenti della personalità, che pone tale soggetto ad un bivio decisivo tra la vita e la morte. Si tratta di fasi delicatissime per la vita del soggetto, così in bilico. Sul piano psicologico, tale bivio indica che si desidera abbandonare un modello di vita basato sui sintomi, che ripetono incessantemente un copione prevedibile e terribile, organizzato dalla coazione a ripetere, a comporre un “destino” meccanico e scontato che fa vivere come in un circolo vizioso, dove tutto è scontato, programmato, prevedibile. “Lasciate ogni speranza voi che entrate” è la scritta sull’Inferno dantesco, ma anche su quello della sofferenza non elaborata; mentre chi si interroga sulla sofferenza apre le porte al dubbio conoscitivo ed esplorativo e si pone in una condizione ove l’ignoto è fonte di speranza, oltre che di timore, quindi stimolante, pertanto si immette nella ricerca. Inaugura un percorso esistenziale ove il circolo è virtuoso, non vizioso, come quello che scaturisce dal dolore indiscusso. Il progetto esistenziale è scritto dal libero arbitrio interiore, con azioni più consapevoli, piuttosto che meccaniche, come quelle previste dal copione della sofferenza. Trattasi di un passaggio archetipo tra morte e rinascita, dall’Inferno al Paradiso, dalla nigredo all’albedo: l’abbandono del vecchio modo di vivere, come il serpente che muta la pelle. Il soggetto, che si interroga abilmente, intuisce e poi comprende, che la sua sofferenza non trova alcuna risposta esterna collettiva all’altezza dell’interrogativo postosi e nean26
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che interna, se proviene dalla parte convenzionale detta da Jung “persona” (dal latino “maschera”). Non trova pace neanche nelle ordinarie consolazioni che ognuno empiricamente ritrova per sopravvivere alle “tempeste” emotive, rispetto a quel momento che è definibile come “chiamata” e che è linea di demarcazione nella vita del soggetto tra morte e rinascita e contrassegna un passaggio da una modalità di vivere in cui si è governati dalla sofferenza distruttiva – coazione a ripetere, ad una modalità in cui si fa un “patto” con la sofferenza, e, si inaugura la stagione creativa dell’esistenza, “dialogando” con i propri sintomi, anziché esserne inconsapevole suddito, in modo psicologicamente via via più sofisticato e fecondo, sino a giungere a livelli elaborativi elevati, ove partendo dall’impiego stabile della mente, si passa ad integrare il dialogo con le immagini oniriche e con l’immaginazione attiva. L’interrogazione su se stessi pertanto prevede delle tappe. All’inizio i sintomi si mentalizzano, si colgono con la mente piuttosto che con gli agìti che essi impongono se la mente non è desta e consapevole. I precedenti porti di pace, le oasi allucinatorie, che leniscono temporaneamente il dolore, come la tettarella dei bambini, dal soggetto ideati, per attenuare l’inquieto patimento, sono infruttuosi nella “nuova vita”, inaugurata dalla interrogazione interiore ed introspezione. Si ha necessità di consolazioni che comportino una reale e significativa trasformazione degli assetti che producono il “male”, non il temporaneo lenimento del sintomo, ma la radicale trasformazione di ciò che lo determina. Non più “l’oasi” allucinatoria che allevia, ma le reali gratificazioni e le vere risposte, quelle che scaturiscono dal profondo ed insopportabile personale fardello, idonee a placare il turbamento ribelle e riottoso ai “sedativi” ed alle consolazioni ordinarie, sia individuali che collettivi. Come se si verificasse una rivoluzione ed una ribellione allo status quo, il cui stendardo è la conoscenza, intesa, in chiave psicologica, come processo di consapevolezza – “dove era l’Es ora è l’Io”(S. Freud) – infinito e di affinamento evolutivo, in quanto come succede nella realtà subatomica della materia, nella microfisica, così anche nell’inconscio, l’osservaEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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zione consapevole modifica e trasforma il fenomeno osservato. L’anima, al pari di un albero, cresce su stessa, attingendo dalle sue radici, date dalle risorse ancestrali, archetipiche e dal rapporto con l’Altro, del Tu, testimonianza che l’Io esiste. Se esiste l’Io, esiste anche il Tu. Si ha necessità dell’altro e della relazione interpersonale. Anche l’Autosufficiente per eccellenza -Narcisoha necessità dell’Altro; proprio per questo motivo scambia per l’Altro la propria immagine nell’acqua specchiata, invaghendosene. L’altro, con cui ci si relaziona, inevitabilmente diventa lo schermo delle proiezioni o la terra da conquistare o annettere o colonizzare. Ciò a sottolineare, a scanso di equivoci, che la ricerca di se stessi, l’individuazione cioè, non esclude l’Altro, ma lo include in modo però non convenzionale. Ciò vale sia per la vita individuale sia per la storia collettiva. La storia, come la scienza e la conoscenza, evolve perché qualche soggetto creativo si ribella allo statu quo e esce dal coro collettivo per ritrovare se stesso e condividere con quel collettivo ciò che ha cercato.
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CAPITOLO 2 Caratteristiche del viaggio terapeutico. Rinascita psicologica e linguaggio dei segni. Paradigma della sincronicità e relativizzazione del caso.
L’analisi è la sola ed unica occasione della vita in cui è consentito di esprimere apertamente i propri sentimenti al di là di qualsiasi strategia difensiva: nel momento in cui il lavoro analitico vince le resistenze più rigide, il sentimento sgorga come in un fiotto Aldo Carotenuto Nessuno incontro è veramente casuale, ma ogni rapporto tra due esseri umani risponde ad una misteriosa logica, a un profondo destino di cui senso e contenuto a volte si chiariscono dopo molto tempo, quando la turbolenza emotiva che l’ha caratterizzato è ormai cessata Aldo Carotenuto Il termine sincronicità allude ad una coincidenza o simultaneità e corrispondenza tra eventi che accadono nell’anima ed eventi esterni; senza che sia possibile stabilirne nesso di causalità, ma di contemporaneità, legata ai processi archetipici dell’inconscio attivato. Più concretamente le manifestazioni psichiche, come sogni, presentimenti, visioni trovano corrispondenza con eventi esterni. Tale modalità di accadimento, dei fenomeni dell’anima e del mondo esterno, stimola, di rimando, notevolmente i processi cognitivi ed attentivi, destando stupore e spirito epistemofilico. Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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Si esclama, al cospetto di tali accadimenti, la frase ricorrente “non è un caso che”, sebbene non sia rintracciabile una causa ben precisa dell’evento. Tuttavia è necessario, con un opportuno procedimento di ricerca, addentrarsi nel fenomeno, quando si verifica ed estrarne il senso, utile o necessario per l’assetto psicologico del protagonista cui accade. Alla luce di ciò si può agevolmente sottolineare come in taluni soggetti la sofferenza di ordine traumatico sembri preannunciatrice una sorta di vocazione, come accadde nella vita di S.Paolo, ove da persecutore dei cristiani, diventa cristiano e poi santo. Da persecutore attua meccanismi di intolleranza, in quanto governato da meccanismi psicopatologici tipici del persecutore. Attraverso il senso di colpa tenta una riparazione tramite decodifica conoscitiva, che, contempla anche eventi casuali; definibili, allorchè colti nel significato preciso, come “coincidenze significative”. Qui diventa estremamente stimolante il riferimento al modello della sincronicità, la quale include il linguaggio dei “segni”; ove con opportune decodifiche empiriche si coglie come negli stessi si celino e preannuncino disegni più ampi, di cui essi costituiscono una anticipazione. Tutti gli accadimenti, aventi una certa configurazione, suscitano una attenzione singolare e curiosa che quindi traduce prontamente un interrogativo esplorativo e conoscitivo, declinante ciò che è predefinito, inaugurando un procedimento di ricerca e comprensione dell’accadimento nella sua unicità di senso e significato. Con questo modello di indagine conoscitiva ogni situazione viene indagata e compresa per quella che è, non incastrata nel puzzle teorico od in schemi concettuali predefiniti e preordinati. Corrisponde ciò ai requisiti della psicologia analitica che tenta di cogliere il mistero di cui l’individuo è portatore, tramite la sofferenza psicologica che in taluni soggetti, oltre all’imponente patimento, suscita ardore e curiosità conoscitiva, come il bambino che, mentre apprende la deambulazione cade, piange momentaneamente per la frustrazione, ma poi si rialza, riprende il suo compito evolutivo e non si scoraggia, ma procede ancor più motivato. Così, come ogni astro si inserisce nella sua orbita ed 30
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allineato nel cosmo, la sofferenza umana ha un senso preciso che conduce, se correttamente colto, al riscatto dal trauma ed all’attivazione della creatività, all’armonia e benessere nell’individuo, ma anche nell’ambiente, prossimo e distante, che lo circonda. Carpire il senso non è solo opera teorica, meramente intellettuale, ma operazione i cui effetti sono eminentemente pragmatici, trasformativi, in quanto esso ispira le azioni e le condotte, che, modificate sulla scorta di questa acquisizione semantica, non saranno quindi coazioni imposte dai sintomi e l’individuo non sarà marionetta dei suoi disagi. Per addentrarsi nella sofferenza umana, con tale premessa, è necessario avviare procedimenti singolari di conoscenza: esplorare, ricercare, indagare in essa, sino a scorgere ed afferrare un senso, che nella sua ombra e nel suo paradosso, essa racchiude. Proseguendo con la metafora alchimistica, introdotta nella premessa del presente saggio, i sintomi dell’umano patire, sono generalmente avvolti dalla “nigredo”, cioè, come il termine lascia presagire, nell’ombra e nel caos, che comporta necessariamente confusione cognitiva oltre che disorientamento emotivo, quindi complessivamente disagio delle due sfere di Logos ed Eros, ossia le due polarità dell’anima congiuntamente operanti e denotanti le due qualità dell’energia psichica, che caratterizzano la conoscenza, psicologicamente eccepita: Eros con cui si “sente” la vita (amore) e Logos (cognizione) con cui si coglie la vita. Sul piano letterario bene esprime ciò, metaforicamente Dante Alighieri, nel suo verso denso di sapere psicologico: “tanto ero pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai”, traducibile come “ero così confuso in quella fase che dovetti deviare il vero percorso di vita”. Il complesso procedimento di decodifica dei sintomi comporta un passaggio dalla loro alchimistica “nerezza”, quale porta stretta ed angusta, sino a pervenire alla loro limpidezza ed ampiezza, all’“albedo”, ove la cromaticità dei significati si offre alla vista interiore, cogliendo così il senso della sofferenza, precedentemente asemantico ed oscuro, sia sul piano cognitivo che emotivo, quindi concreto e pragmatico. Si è pervasi di vitalità, Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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liddove comprendiamo il significato del nostro soffrire; in quanto ciò conferisce la forza di gestire il male e convertirlo. Pervenire al significato della sofferenza è pertanto operazione illuminante ed illuminata. Ecco perché le tradizioni religiose orientali designano con il termine “illuminazione” le elevate conoscenze cui l’uomo, non senza fatica e sacrificio, perviene. Il sintomo, espressione del dolore umano, distillato nell’alambicco della conoscenza, si trasforma in senso e segno che guida il personale percorso psicologico ed esistenziale e si è preannunciato sopra, come un segno preluda generalmente ad un disegno più ampio. Il modello conoscitivo impiegato per l’anima, Sigmund Freud lo definiva, quale peculiare operazione psicoterapeutica, “scavo archeologico”. In questo scavo alla volta dei fondali profondi dell’anima, ove giace un “sapere assoluto inconscio”, come sottolinea copiosamente Jung, nelle sue opere, risiede, in ultima analisi, il senso di cui si necessita per progredire nel proprio esistenziale cammino – bloccato e spinto dalla sofferenza nei propri abissi interiori inconsci – e che è avviluppato nella profondità dell’anima, ove coabitano gli opposti: i mostri che distruggono e gli dei che creano; oppure, diversamente espresso, il drago e la perla. Come i sommozzatori devono scendere nel profondo mare, per osservare i fondali, così è necessario scendere, attraverso l’ausilio delle immagini oniriche elettivamente, nelle nostre profondità inconsce, ossia nell’Ade interiore, per visionare i fondali e riemergere con immagini significative relative ai tesori del nostro essere. Quivi si incontra per prima l’Ombra, (così come Dante entra prima nell’Inferno, luogo buio e poi al Paradiso) la sede dei sintomi, l’oscurità dell’anima. Si parte quindi dell’Ombra, racchiusa nella sofferenza, per poi giungere, esplorando, attraverso un percorso spiraliforme dinamico, alla Luce, celata in essa. Attraverso tale percorso si attìva una ricerca di conoscenza esplorativa idonea a reperire un senso, celato nel sintomo, che non è predefinito, ma esito dell’interrogativo imponente sollevato dal superbo patimento e della conseguente ricerca. La psiche ricercatrice, attivata dal dolore, rigetta 32
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risposte convenzionali, in quanto non le riconosce come idonee e funzionali alla psiche individuale interrogante. È nettamente insufficiente la risposta predefinita e dicotomica, in relazione a qualsiasi sintomo, relativa a perdono\ condanna, giusto\sbagliato, bene\male. È insito nel procedimento di ricerca e conoscenza non già pervenire a qualcosa di predefinito e dicotomico, ma rinvenire un senso inatteso che è significativo per quell’individuo, in quel momento ed in quel luogo, quale esito della ricerca e che, per di più, può costituire stimolo o monito per gli altri. Difatti nella psicologia analitica tale procedimento viene denominato “individuazione” e designa appunto il ritrovamento dell’unicità di cui l’individuo è portatore ed appropriarsene. Tale equazione personale è smarrita a causa del processo educativo repressivo, massificante, come sottolinea Freud, che mortifica l’individualità, a favore dei processi omologanti e normativi collettivi. Quindi le risposte cui si perviene saranno necessariamente funzionali alla unicità di quell’individuo che le ha poste, stimolanti e da monito per altri individui, in vario modo, a seconda di come vengono percepite. La sofferenza psicologica è un fenomeno individuale, ma che estende i suoi effetti e conseguenze, in vario modo, sul sociale, sul mondo esterno.
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