Intervento psicologico per la scuola e metodi narrativi.Strategie per la costruzione dell'intervento

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Annamaria Improta

Intervento psicologico per la scuola e metodi narrativi Strategie per la costruzione dell’intervento

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A mio padre

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Prima Edizione: 2015

ISBN 9788898037599 © 2015 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Gennaio 2015 in Italia da Universal Book S.r.l. - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl) Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata


INDICE

Prefazione

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Presentazione

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Ringraziamenti

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Introduzione

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PARTE PRIMA - PARADIGMI TEORICI Capitolo 1 - Intervento psicologico per la scuola nella società complessa 1.1 Genesi della scuola italiana odierna 1.2 La scuola nella società complessa 1.3 La scuola come organizzazione 1.4 Il ruolo dello psicologo in una prospettiva di cambiamento 1.5 Lavorare nella scuola o per la scuola? 1.6 Analisi della domanda: un modello interpretativo per le richieste di intervento psicologico in ambito scolastico Capitolo 2 - Il metodo autobiografico 2.1 Motivi del bisogno di narrarsi 2.2 Autobiografia come strumento di formazione 2.3 Narrazione autobiografica e costruzione del sé 2.4 Ricerca qualitativa e narrativa autobiografica

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PARTE SECONDA - INTERVENTO PSICOLOGICO PER LA SCUOLA: L’AUTOBIOGRAFIA COME METODO FORMATIVO E IL RESOCONTO COME STRUMENTO DI ORIENTAMENTO DELL’INTERVENTO

Capitolo 3 - L’ intervento psicologico per la scuola 3.1 Il gruppo classe 3.2 Intervento psicologico per scuola e metodo autobiografico: gli strumenti 3.3 Strumento di riflessione clinica e metodologica: resoconto 3.4 Intervento psicologico per scuola e metodo autobiografico: i perché di una scelta

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PARTE TERZA - RICERCA - INTERVENTO IN UNA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

Capitolo 4 - La costruzione dell’intervento 4.1 La costruzione dell’intervento attraverso il metodo autobiografico 4.2 Fase ricognitiva: La mia vita fino ad oggi 4.3 Fase di co-costruzione: Io e gli altri 4.4 Fase della riflessione formativa: valorizzare se stessi tra passato, preente e futuro 4.5 Fase conclusiva di verifica e sintesi costruttiva

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Capitolo 5 - Riflessione sull’intervento 5.1 Il gruppo classe e i motivi dell’intervento 5.2 Istituzione del setting 5.3 Fase ricognitiva: La mia vita fino ad oggi 5.4 Fase di co-costruzione: Io e gli altri 5.5 Fase della riflessione formativa: Valorizzare se stessi tra passato, presente e futuro 5.6 Fase conclusiva di verifica e sintesi costruttiva

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Conclusioni

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Bibliografia ragionata di riferimento

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Allegati

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PREFAZIONE

Quasi Penelope telam retexens Si narra che in attesa del ritorno a casa del marito, Penelope, regina di Itaca, avesse escogitato un metodo semplice ed efficace per prendere tempo prima di dover rispondere alle pressanti richieste di coloro che aspiravano a prendere il posto di Ulisse nel talamo nuziale. Si dava infatti per scontato che egli non sarebbe mai più ritornato. Durante il giorno Penelope tesseva e durante la notte disfaceva quanto aveva tessuto. In tal modo, adducendo le proprie esigenze, Penelope lasciava che il tempo scorresse affrancandosi dall’obbligo della scelta. Ella sapeva di certo, in cuor suo, che lo sposo sarebbe tornato e che mai avrebbe potuto tradire la promessa che si erano scambiati. Dunque non restava che escogitare una dilazione temporale infinita per tenere testa ai Proci. Ma quale era il soggetto della tela? Sappiamo che essa sarebbe divenuta il lenzuolo funebre del suocero Laerte. A me piace pensare che il soggetto delle tessitura fosse la vita medesima di Laerte. Confido che a Penelope fosse ben chiaro che al termine della vita non resta che provare a narrare ad altri della propria perché non tutto vada perduto e che narrare di vite proprie ed altrui consolida il legame sociale. Narrare ad altri della propria vita rende una preziosa testimonianza alle future generazioni. Anche la psicoterapia indulge nella narrazione. Il paziente o i pazienti sono invitati a rievocare la propria biografia ed ogni volta che accade il racconto di sé viene ritessuto in una diversa versione

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come nella tela di Penelope. Ma in tal caso il farsi e disfarsi del racconto personale non è votato a prendere tempo, a dilazionare “sine die” una scelta personale. Al contrario promuove individuazione e consapevolezza, premesse necessarie per assumere responsabilità di se stessi e procedere nell’esistenza. Cosicché narrazione e significazione si costituiscono come trama e ordito di una biografia personale mai compiuta. Inoltre, nel corso della terapia, la narrazione del paziente diviene un fattore decisivo nel consolidarsi della alleanza terapeutica e delle dinamiche transferali fra terapeuta e paziente. Raccontare la propria storia genera legame. È singolare quanto spesso i ricordi di scuola siano oggetto della conversazione terapeutica. La propria esperienza di studente, dall’infanzia alla giovane età adulta, rimane impressa nella memoria di ciascuno di noi in maniera vivida. Molti avvenimenti, anche importanti della nostra vita, sono destinati all’oblio ma gli anni di scuola non vanno mai perduti, dunque c’è qualcosa di quella esperienza che sostiene il ricordo e che alimenta aspetti della nostra identità. Io credo che l’esperienza della scuola possieda una sua intrinseca struttura narrativa e che questa qualità sostenga il ricordo degli anni di scuola in ciascuno di noi. Sui banchi di scuola si ascoltano storie di eventi, descrizioni di luoghi e circostanze, sintesi di concetti con il tramite della parola dell’insegnante. Ma la parola costruisce una relazione con lo studente che è, al tempo stesso, dialogica e narrativa. Tanto le discipline umanistiche quanto quelle scientifiche sono trasmesse e vivificate da questa specifica forma del legame interpersonale fra docente e studente. Tuttavia ciò che rimane impresso nella memoria non è tanto il contenuto della narrazione quanto la relazione con l’insegnante-narratore. L’effetto è che, molti anni dopo, ricordiamo i nostri anni di scuola non per le nozioni che allora avevamo appreso, spesso del tutto dimenticate, ma per dei legami di allora con gli insegnanti ed i compagni di classe. Dunque raccontare genera legame duraturo fra narratore ed ascoltatori in 10

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PSICOLOGICO PER LA SCUOLA E METODI NARRATIVI

funzione degli affetti che la narrazione elìcita, effetti reciproci per chi racconta e per chi ascolta. Ancora Omero ci viene in soccorso. Alla corte dei Feaci, Ulisse si commuove nell’ascolto di una storia di cui è stato protagonista, nasconde il volto e le lacrime ed il suo pianto privato commuove Alcinoo che gli chiede di rendere esplicita la propria identità e narrare le proprie gesta. Ascoltare storie ma anche leggere storie sollecita spesso il desiderio, talvolta la necessità, di raccontarne altre: ogni narrazione è potenzialmente idonea a generare altre narrazioni cosicché il dispositivo narrativo è ricorsivo fra narratore ed ascoltatore. Una buona esperienza pedagogica dovrebbe includere la disponibilità dell’insegnante all’ascolto attento e partecipe delle esperienze dei propri studenti. Il bel saggio di Annamaria Improta verte su una pedagogia governata da un principio narrativo ed ermeneutico che risente della formazione psicologica nonché della identità terapeutica dell’autrice. La complessità è il primo costrutto di riferimento per Annamaria Improta per leggere le dinamiche di apprendimento nella scuola. La autobiografia è il secondo. Complessità implica una indeterminazione degli esiti, dunque la disponibilità ad accettare che la funzione pedagogica non può arrogarsi la facoltà di prevedere gli esiti del processo formativo che è sotteso ad una pluralità di fattori. Dal punto di vista della teoria dei sistemi complessi una buona funzione pedagogica, dovrebbe affrancarsi da esiti ordinati o al contrario caotici. L’esito migliore dei processi formativi potrebbe essere un equilibrio dinamico, affine alla configurazione “sull’orlo del caos”. Resilienza, ridondanza e adattamento dovrebbero poter costituire i tratti qualificanti della scuola, intesa come sistema complesso in evoluzione. Il contesto del processo formativo dovrebbe includere un principio autobiografico soggettivante per ciascun alunno che sia attivamente sostenuto non solo dagli insegnanti ma da tutto il sistema-scuola. Il libro di Annamaria Improta descrive, con dovizia di riferimenti dottrinari e cogenti esemplificazioni, un esercizio di applicazione Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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di questi princìpi e si propone come un testo di riferimento per una vasta platea di lettori. Paolo Gritti Professore di Psichiatria Seconda Università degli Studi di Napoli

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PRESENTAZIONE

Presentare un libro non è cosa semplice. L’iniziale istinto che guida lo “scrittore di presentazione” è quello di fare una lista infinita degli aspetti particolarmente attrattivi del libro in questione tralasciando aspetti che non possono essere trovati nel volume in quanto afferenti alla sfera intima dell’autore. La mia idea, in tal senso, è abbastanza in controtendenza. Vorrei in questo luogo riuscire a mettere il lettore nell’ottica di conoscenza della “persona” che ha scritto il libro; vorrei, semplicemente, che in questa presentazione il lettore immaginasse la persona, la conoscesse e riconoscesse. Per essere in linea con il tema “cercherò di narrarla”. La prima cosa che il lettore dovrebbe sapere è che la dottoressa Improta è un’Insegnante, devota. La sua dedizione è guidata dal suo forte senso d’appartenenza all’istituzione scolastica che la illumina nei processi lavorativi; è un’insegnante di sostegno, per dirla con termini giuridici, il suo compito è attuare “forme di integrazione a favore degli alunni diversamente abili” e “realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni”. Mi soffermerei sulla seconda affermazione, perché per l’esperienza relazionale che mi lega alla dottoressa Improta, posso affermare a pieno titolo che ha fatto di questa affermazione il suo standard di lavoro. I suoi studi, integrati dalla laurea in Psicologia, e la sua esperienza, dinamicamente, si declinano nel suo impegno quotidiano al fine di rendere operativa la sua competenza in un gioco conti-

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nuo di emozioni e novità per l’alunno, per i gruppi di lavoro a cui e partecipa e per quelli che coordina. La parola che meglio descrive la sua attività è dinamismo. Stiamo parlando, infatti, di un’insegnante che applica i suoi schemi misurandoli sull’alunno, cercando di rendere unici i suoi aspetti e di potenziare le sue risorse. Un’insegnante che si allinea quotidianamente ad un sistema troppo spesso violato politicamente. La dottoressa Improta è una Psicologa Esperta. È una studiosa del genere umano e questa la rende ancor più sensibile alle problematiche degli utenti che al di lei lavoro si affidano. Siamo colleghe. Il lavoro che conduciamo sinergicamente ci ha portato ad una conoscenza ed un legame che raramente si creano tra i soggetti. Nel suo lavoro da Psicologa la dottoressa Improta (da ora in poi, Annamaria) riesce ad insegnare ai suoi colleghi un avvicinamento all’emotività e un coinvolgimento nel proprio mondo interiore, nell’ottica sia di aiutare il collega in apprendimento delle proprie dinamiche interne, sia di adattarsi dinamicamente alla relazione con il collega creando un legame profondo che rende il lavoro ancora più saldo e costante. La dottoressa Improta è una donna. E in quanto donna è portatrice di valori e sensibilità tipicamente femminili che si affrancano a quelli più propriamente slegati dalla sfera dell’identità di genere. È una donna che combatte e che vince. È ostinatamente impegnata a portare avanti “battaglie” in nome della concretezza e della metodologia. È una donna che studia, che applica, che ragiona, che legge e che scrive, che lavora pienamente consapevole che lo studio arricchisce e rende liberi, valori troppo spesso dimenticati nell’epoca che viviamo. È una donna concreta, una donna “del fare”, una donna che realizza le cose in cui crede. Il suo libro è un’occasione. Leggerlo per il lettore sarà apprendere una metodologia di intervento assolutamente innovativa, che ha dimostrato essere efficace e che può entrare a far parte di contesti scolastici altri, al fine di rendere l’alunno e l’insegnante sempre più responsabili nei processi di costruzione e ricostruzio14

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ne delle identità. Leggere il libro sarà un’occasione per riflettere sulla necessità di valorizzare la capacità degli alunni di riflettere in solitudine ma anche di confrontarsi con l’altro in un rapporto di estraneità che valorizzi le diversità come “valore aggiunto”. Leggere il libro rappresenterà l’occasione per il lettore di ripensare alle proprie esperienze e le proprie azioni ricostruendone il senso ed indicando le possibili prospettive di sviluppo, scoprendo le intenzioni, le motivazioni, le scelte morali e valoriali in esse implicate. Non posso che augurare a tutti una buona lettura sperando che della mia amica Annamaria e del suo lavoro si siano ben compresi le attitudini e gli intenti. E non posso non ringraziarla per avermi chiesto di fare questa presentazione perché così ho potuto “narrare” a voi e a lei, indirettamente tutta la stima e il bene che sento per lei. Linda Scognamiglio Psicologa - Dottore di Ricerca in Scienze della mente Centro di Psicologia Clinica Territoriale di San Giorgio a Cremano Essebi

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RINGRAZIAMENTI

Ci sono persone che con la loro presenza favoriscono la crescita umana e professionale di altre persone e alle quali bisogna semplicemente dire grazie. Grazie quindi alle professoresse Elvira Miele, Maria Carmela Raiola, Maria Filippis, Caterina Ascione, Alba Perretta, Maria Filippelli, Elisa Di Palma che dopo avermi richiesto l’intervento si sono interrogate sul proprio modo di fare scuola, avviando una riflessione che ha reso possibile la realizzazione di questo lavoro. Grazie agli alunni delle classi 3 A e 3 E, senza i quali tale intervento semplicemente non ci sarebbe stato. Il loro porre i docenti in crisi di decisionalità ha dato l’avvio ad un processo che si è realizzato grazie al loro contributo e alla loro unicità. Con altri studenti il prodotto sarebbe stato necessariamente diverso perché la flessibilità sta nell’intercambiabilità dei protagonisti. Grazie alla Dirigente scolastica Prof..ssa Lucia Vigorito, che ha creduto in noi e nella nostra proposta, rendendola realizzabile. Grazie alla Prof.ssa Maria Francesca Freda dell’Università Federico II di Napoli che ha supervisionato il lavoro e, applicando con me il modello dell’analisi della domanda, ha consentito la realizzazione di una mia crescita professionale. Grazie a mio marito Gigi per il costante appoggio e la grande pazienza nel sopportare e rispettare i miei ritmi serrati e i miei innumerevoli impegni. Grazie ai miei figli Mario e Daniele che nonostante il mio tempo trascorso “altrove” continuano a incoraggiarmi e sostener-

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mi. Grazie ancora che con il loro essere adolescenti mi aiutano a sentirmi sempre al passo con i tempi. Grazie ai miei genitori Enzo e Maria per aver sempre creduto in me, sostenendomi e incoraggiandomi fin da quando ero bambina. Grazie ai miei fratelli Ciro e Rita e alle loro famiglie, che mi aiutano a “staccare la spinaâ€? per rigenerarmi, con i bellissimi momenti passati insieme. Grazie alla mia amica Perla Maria Fiumani, validissima psicologa e psicoterapeuta con cui confrontarsi, che mi ha sempre sostenuta nelle scelte professionali, e che riesce con la sua ironia a sdrammatizzare e a ridefinire le diverse situazioni. Grazie a mia cugina Carmela, che mi ama e mi sostiene da sempre, anche quando non condivide le mie scelte. Grazie al mio alter ego storico Anna Maria Salzano, che mi apprezza e sostiene a distanza‌ ma che quando ci incontriamo il tempo e lo spazio assumono un significato relativo. Grazie al Prof. Paolo Gritti e alla Dott.ssa Linda Scognamiglio, che hanno creduto in me e nel mio lavoro. Grazie infine alle mie amiche-colleghe storiche, che mi sollecitano e mi sostengono ad andare oltre, in una ricerca di senso infinita. Tali relazioni sono preziose, mi fanno sentire bene e amata, nonostante tutto...

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INTRODUZIONE

Il sistema scolastico italiano è a lungo rimasto ingessato nelle rigidità costruite da un quadro normativo contraddistinto da tratti di tipo gerarchico e centralistico. Il compito della scuola consisteva nella trasmissione di conoscenze, dispositivi simbolici e modelli culturali alle nuove generazioni. Docenti e allievi avevano un modello culturale condiviso fondato sull’appartenenza data, per cui gli alunni arrivavano scuola già con questa competenza sociale simbolica. Nel corso degli anni il mutare della situazione politica, culturale ed economica ha prodotto una delegittimazione delle istituzioni centralistiche per cui c’è stata una spinta verso una maggiore distribuzione dei poteri e una progressiva “autonomizzazione”, che ha influenzato anche il mondo scolastico. Ogni istituzione scolastica è stata quindi dotata di una propria autonomia gestionale, organizzativa e didattica, che andava a spezzare le rigidità del sistema centralistico. Le direttrici introdotte dall’autonomia hanno tuttavia portato ad una serie di implicazioni che non riguardano solo la dimensione “amministrativogestionale” dell’istituzione scolastica, ma ad un rinnovamento culturale che ha investito il modo di concepire la progettazione, gli obiettivi, le pratiche, la valutazione (continua e dinamica) degli esiti di tale realizzazione. Chiedendo alla scuola di gestirsi in proprio, di contestualizzare la propria azione, di orientarsi all’utenza, di raccordarsi con il territorio e con il mondo del lavoro, l’autonomia ha messo in crisi il precedente modello organizzati-

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vo e culturale scolastico fondato sulla trasmissione unidirezionale, autoreferente, acontestuale del sapere, in direzione di un’attenzione alle domande, diverse e diversificate, poste dal cliente interno e dal contesto locale in cui la scuola si inscrive; domande da conoscere, da esplorare, sulle quali l’offerta si formalizza. La scuola dell’autonomia promuove risorse piuttosto che assistenza e ciò si traduce in una spinta verso lo sviluppo, a patto che ci siano alcune condizioni fondamentali: 1. passaggio dalla concezione di utente a quella di cliente, con un autonomo progetto di sviluppo; 2. passaggio dalla concezione di istituzione a quella di servizio, per cui il cliente diviene partecipe del processo di produzione/costruzione dell’intervento; 3. passaggio dalla concezione di risultato a quella di prodotto, raggiungibile solo attraverso l’acquisizione, da parte del tecnico, delle competenze ad analizzare la domanda (Carli, R., Paniccia, R.M., 2003)1, per cui l’intervento non è volto a dare risposte immediate a specifiche richieste, quanto a sviluppare la competenza della committenzacliente e a riorganizzare la domanda. In questa prospettiva si aprono nuovi spazi d’azione dello psicologo nella scuola, che propone interventi volti a rendere consapevoli i clienti delle modalità organizzative del contesto a partire dalle dinamiche emozionali, recuperando quelle dimensioni affettive che si consideravano estranee alla scuola. Nell’impostazione proposta dal seguente lavoro, infatti, le emozioni non rappresentano una deviazione dalla norma, bensì una modalità organizzativa del contesto. Un qualsiasi intervento che voglia porsi in una prospettiva di sviluppo, pertanto, non può che partire, da una conoscenza del contesto che richiede una conoscenza di specifici temi scolastici che hanno implicazioni per l’intervento di consulenza psicologica. Solo in questo modo lo psicologo può impostare per la scuola (Salvatore, S., Scotto di Carlo, M., 1 Carli, R., Paniccia, R.M. (2003). Analisi della Domanda. Bologna: Il Mulino.

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INTERVENTO

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2005)2 un intervento costruito in base alle prospettive di sviluppo, ponendosi come contesto istituente, luogo di costruzione culturale, laboratorio intergenerazionale di senso e dei modi di significazione del contesto. Il metodo utilizzato nel presente lavoro è la narrativa autobiografica e nel corso del testo viene argomentata una riflessione sull’utilizzo di tali metodi in ambito scolastico. Nell’articolazione del testo si propone, infatti, la valorizzazione dell’esperienza personale degli allievi a partire dalle loro narrazioni e, attraverso l’istituzione di un setting di gruppo, ci si propone di portarli ad acquisire chiavi di lettura del contesto, finalizzate all’attribuzione di senso. L’utilizzo della narrazione come metodo d’indagine è legittimato da un’ampia letteratura (Demetrio, D., 19953, 20034; Formenti, L., 19985; Farello, P., Bianchi, F., 20016; Moroni, I., 2006)7, giacché, come suggerisce Bruner (19868; 19909; 199110), la narrazione si pone non come un semplice contenitore di eventi, ma come un principio organizzatore dell’esperienza. Essa diviene, pertanto, un modello di funzionamento della mente che media la relazione sociale e organizza i processi di significazione dell’ esperienza (Bruner, J.S., 199011; Freda, M.F., 2003)12. 2 Salvatore, S., Scotto di Carlo, M. (2005). L’intervento Psicologico Per la Scuola. Roma: Carlo Amore. 3 Demetrio, D. (1995). (a cura di) Per una didattica dell’intelligenza. Milano: Franco Angeli. 4 Demetrio, D. (2003). Ricordare a scuola – Fare memoria e didattica autobiografica. Bari: Laterza. 5 Formenti, L. (1998). La formazione autobiografica – Confronti tra modelli e riflessioni tra teoria e prassi. Milano: Edizioni Guerini e Associati. 6 Farello, P., Bianchi, F. (2001). Laboratorio dell’autobiografia Ricordi e progetto di sé. Trento: Erickson. 7 Moroni, I. (2006). Bambini e adulti si raccontano. Formazione e ricerca autobiografica a scuola. Milano: Franco Angeli. 8 Bruner, J.S. (1986). Actual minds, possible worlds. Cambridge-London: Harvard University Press. Trad. It. La mente a più dimensioni. Bari: Laterza. 1993. 9 Bruner, J.S. (1990). La ricerca del significato. Torino: Bollati Boringhieri. 1992. 10 Bruner, J.S. (1991). Costruzione del Sé e costruzione del mondo. Trad. It. In Liverta Sempio, O., Marchetti, A. (a cura di). Il pensiero dell’altro. Contesto, conoscenza e teorie della mente. Milano: Raffaello Cortina Editore. 1995. 11 Bruner, J.S. (1990). op.cit. 12 Freda, M.F. (2003). Formazione degli insegnanti e metodo narrativo: una proposta metodolo-

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Attraverso il metodo narrativo-autobiografico gli studenti vengono invitati a raccontarsi allo scopo di avviare una riflessione volta a ricostruire e, dunque, riconoscere come apprendono, attribuendo senso a tale processo. Studenti e psicologo sono cosi entrambi impegnati a far emergere momenti nodali e conflittuali, aspetti e associazioni inedite o dimenticate, insomma quanto di sé che spesso blocca il riconoscimento di essere – da parte dello studente – il protagonista, quindi il responsabile, colui che costruisce e non semplicemente subisce quel processo formativo che pur gli appartiene. (Gamelli, I., 2000)13 Occorre sottolineare, volendo entrare nel merito delle strategie, che non sono comunque le tecniche in sé a costituire il metodo autobiografico, bensì la definizione del contesto e, in particolare, la cura delle relazioni fra il consulente e gli alunni. Questo dato della relazione assume poi un ruolo determinante con soggetti giovani, com’è appunto il caso della scuola, infatti è proprio la capacità di gestire la relazione comunicativa ed emotiva con l’altro, a consentire al consulente di scegliere le modalità procedurali più adeguate. Nella prospettiva autobiografica l’attenzione per il setting assume una valenza preponderante, in quanto le possibilità narrative sono fortemente influenzate dalle processualità messe in atto: compiti individuali valorizzano la componente introspettiva, mentre le attività portate avanti in coppia favoriscono la mutua interrogazione, l’empatia e la riflessione; nelle esercitazioni in cui è coinvolto tutto il gruppo emergono con maggiore evidenza le differenze, la reciprocità del controllo e la moltiplicazione delle attribuzioni di significato. La classe scolastica diviene quindi vincolo e risorsa di un intervento che è risultante da un intreccio di linguaggi, culture, emozioni, simboli che agiscono nel là e allora delle situazioni problematiche e che si attualizzano nel qui ed ora della narrazione che si realizza nelgica. In Psicologia dell’Educazione e della Formazione n° -1/2003. Trento: Erickson. 13 Gamelli, I. (2000). La promozione della persona come conoscenza di sé: l’educatore autobiografo. In Atti del Convegno del Comune di Roveredo in Piano L’educazione extrascolastica. Promozione della persona. Pordenone: Libreria Al Segno Editrice.

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INTERVENTO

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la relazione con lo psicologo. Di fronte a situazioni conflittuali, che pongono tanto gli allievi quanto i docenti di fronte ad uno smarrimento del senso e del significato delle proprie azioni viene quindi suggerita una sospensione dell’azione, una negoziazione volta ad individuare nuove matrici categoriali di lettura del contesto ed un’applicazione di questa nuova competenza organizzativa. Queste, che sono le tre funzioni fondamentali del setting d’intervento, rappresentano il medium che permette allo psicologo di intervenire con gli strumenti metodologici che definiscono la propria competenza professionale. Accanto a ciò lo psicologo ha un altro dispositivo fondamentale che gli consente di riflettere sulla propria azione professionale: il resoconto. Come sottolineato da Lancia (1990)14, infatti le relazioni tra prassi psicologicoclinica e resoconto sono tali che l’una non può essere analizzata indipendentemente dall’altro, e viceversa; ovvero, in ambito clinico, la competenza ad operare e la competenza a resocontare sono in relazione di implicazione reciproca. E il resoconto è stato utilizzato nel presente lavoro proprio come strumento riflessivo di costruzione dell’intervento, nella sua doppia valenza suggerita da Lancia (1990)15: • elaborazione di una specifica esperienza di lavoro16; • comunicazione del proprio lavoro alla luce dei modelli che ha utilizzato per lavorare sul caso. A ben vedere, come suggerisce Carli (1987)17, nel primo caso 14 Lancia, F. (1990). Prassi e resoconto in psicologia clinica. In Rivista di Psicologia Clinica. Vol. 1. 15 ibidem 16 Improta, A., Miele, E., Raiola, M. C., Filippelli, M., Perretta, A., Filippis, M., Di Palma, E. (2007). Il mio Io in un’immagine – Percorso psicologico - narrativo di valorizzazione delle diversità. In VI Convegno Internazionale La qualità dell’integrazione scolastica – Sezione Buone Prassi. Rimini. In Ianes, D. Canevaro, A. (2008). (a cura di). Facciamo il punto su… L’integrazione scolastica . Tendenze, strategie operative e 100 buone prassi. (libro + DVD + CD-ROM). Trento: Erickson. Improta, A., Fiumani, P.M. (2008). Laboratorio dell’autobiografia: Il mio Io in un’immagine - Percorso psicologico - narrativo volto alla conoscenza di sé. In Convegno Internazionale Nuove Frontiere della Ricerca Clinica in Adolescenza nella sezione Strumenti di valutazione. Roma. Improta, A., Miele, E., Raiola, M. C., Filippelli, M., Perretta, A., Filippis, M., Di Palma, E. (2008). La conoscenza di sé nella prospettiva dell’orientamento e dello sviluppo. In VIII Congresso Nazionale della SIPSa (Società Italiana di Psicologia della Salute) nell’ambito del Simposio Promotrici di benessere: Azioni di sviluppo in diversi ambiti di intervento. Rovigo. 17 Carli, R. (1987). Psicologia clinica. Introduzione alla teoria e alla tecnica. Torino: UTET.

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si tratta di trasformare verbalmente un’esperienza emotiva, nel secondo caso va esplicitato il modello teorico di riferimento che è in questo caso quello dell’Analisi della Domanda (Carli, R., Paniccia, R.M., 2003), che avendo funzioni diagnostiche organizzative e di intervento, consente l’interpretazione da parte del consulente del modello culturale che orienta la committenza del cliente. Il lavoro qui proposto rappresenta quindi la riflessione emozionale e teorica dell’autore. Esso consta di tre parti che simboleggiano la teoria, la prassi e la riflessione sulla prassi che orienta l’azione clinica. Nella Parte Prima: Paradigmi teorici vengono presentati i modelli portanti dell’Intervento psicologico per la scuola nella società complessa (capitolo 1) e del Metodo autobiografico (capitolo 2), utilizzato nel corso dell’intervento. La Parte Seconda: Intervento psicologico per la scuola: l’autobiografia come metodo formativo e il resoconto come strumento di orientamento dell’intervento rappresenta il medium di congiunzione, in ottica costruttivistica, tra la teoria e la pratica dell’intervento, con una riflessione sui perché di una scelta metodologica e professionale (capitolo 3). Nella Parte Terza: Intervento in una scuola secondaria inferiore viene articolata invece la fase progettuale della Costruzione dell’intervento (capitolo 4) e della Riflessione sull’Intervento (capitolo 5), avvenuta contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento stesso, in cui vengono sottolineati gli aspetti di circolarità che hanno reso possibile la costruzione dell’intervento stesso. Nelle Conclusioni, infine, viene presentato un bilancio sintetico dell’intera esperienza.

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PARTE PRIMA Paradigmi teorici

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CAPITOLO I

INTERVENTO PSICOLOGICO

PER LA SCUOLA NELLA SOCIETÀ COMPLESSA

1.1 Genesi della scuola italiana odierna Diritto allo studio per tutti e innalzamento del tasso di alfabetizzazione sono stati gli obiettivi del nostro sistema scolastico che hanno accompagnato lo sviluppo economico e sociale del paese. In una situazione caratterizzata da scarsità di risorse e gestione familistica entro le organizzazioni era quasi inevitabile che il sistema si strutturasse in maniera rigida e centralistica sul piano dell’organizzazione e indirizzasse l’attenzione dei docenti su obiettivi essenzialmente contenutistici piuttosto che su traguardi formativi. A ciò si andava ad aggiungere una struttura gerarchica del nostro sistema educativo che affidava al liceo classico e scientifico la formazione della cosiddetta classe dirigente, agli istituti tecnici la preparazione dei “quadri”, e all’istruzione professionale la qualificazione dei lavoratori. L’esigenza generale della partecipazione dei cittadini alle scelte sociali e culturali del Paese trovò una chiara espressione in Italia con la Lotta di liberazione e la nascita della democrazia. Perciò gli anni del primo dopoguerra videro il sorgere di un gran numero di scuole con caratteri profondamente innovativi, spinte a cercare un nuovo collegamento con il territorio e con le Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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comunità esterne alla scuola medesima. Nel periodo del boom economico, l’aspirazione alla partecipazione venne sopita, tuttavia a tale tendenza reazionaria, corrisposero numerosi e disparati segnali di malcontento e di malessere e si avviò un processo che sarebbe sfociato nella grande crisi del terrorismo, e, su tutt’altro versante, la decisa e solida riflessione di Don Milani18 sullo stato della scuola italiana che scriveva: «…sono venuti da noi solo perché noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età... Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione. Una perfezione che è assurda perché il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce. Le cose restano le stesse, ma cambia lui. Gli diventano puerili tra le mani». (Milani, L. 1967). In queste parole è evidenziata l’autoreferenzialità di un sistema che tratta con un utente senza attribuirgli le competenze di cui è portatore, e non come un cliente con cui realizzare un percorso educativo co-costruito, in base anche alle sue esigenze. Il movimento del ‘68 raccolse e fece suo il malessere del tempo, e costrinse la società civile e politica a porsi il problema della trasformazione. Così la partecipazione tornò ad essere una parola chiave. Si dovette però arrivare al 1974 perché la partecipazione trovasse forma istituzionale nei cosiddetti decreti delegati, che tuttavia si limitarono ad aprire le porte della scuola a esigue rappresentanze dei genitori ma non al territorio e alle sue istituzioni. Essi non si dimostrarono, dunque, uno strumento di sufficiente e fattiva partecipazione. I rappresentanti dei genitori vennero per lo più chiamati a interessarsi di aspetti decisamente marginali della vita scolastica attraverso procedure che, ancora una volta, gonfiavano il potere della burocrazia. Tali rigidità, contribuirono a una “mortalità scolastica”, e anche a una evasione dell’obbligo davvero allarmanti se raffrontate con la media dei Paesi europei. Nasceva così l’esigenza di 18 Milani, I. (1967). Lettera ad una professoressa. Firenze: L.E.F.

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mettere in sintonia la scuola italiana con le esigenze formative e con la stessa nuova configurazione della società (Bertonelli, E., Rodano, G. 1999)19. A partire dagli anni Settanta vi è stata, pertanto, una ricca attività di sperimentazione, tuttavia è solo negli anni Novanta che una serie di interventi normativi hanno, per lo meno sulla carta, rinnovato la scuola italiana. In questa prospettiva si è cominciato a guardare al successo formativo come la vera scommessa che il sistema scolastico dell’autonomia è chiamato a vincere. Non si tratta infatti solo di garantire il diritto allo studio per tutti ma quello di ciascuno a sviluppare le proprie capacità e potenzialità personali. Le scuole devono, come ha affermato Jacques Delors (1999)20, “offrire simultaneamente le mappe di un mondo complesso in perenne agitazione e la bussola che consenta agli individui di trovarvi la propria rotta”. Le scuole sono state così chiamate a farsi carico del successo reale degli studenti, attraverso gli interventi didattico educativi integrativi, volti al sostegno dell’apprendimento, al recupero dei cosiddetti debiti formativi e contemporaneamente alla valorizzazione delle eccellenze con azioni di approfondimento. La riforma degli esami di Stato, poi, l’elevamento dell’obbligo scolastico, l’istituzione dell’obbligo formativo, l’affidamento agli enti locali di nuovi compiti nel campo dell’orientamento scolastico e professionale, hanno delineato, negli ultimi tre anni, un imponente complesso normativo che cerca di modificare in profondità l’ordinamento scolastico (Domenici, F., 1998)21. L’Autonomia rappresenta perciò una grande occasione, che può realmente affermarsi se riesce a garantire una nuova, effettiva partecipazione alle scelte, la mediazione tra diverse posizioni per giungere a definire una direzione condivisa e una matura 19 Cfr.: Bertonelli, E., Rodano, G. (1999). (a cura di) Autonomia, competenze e curricoli. Dossier n. 1 degli Annali della Pubblica Istruzione. Firenze: Le Monnier. 20 Delors, J. (1999). Nell’educazione un tesoro. Roma: Armando Editore. 21 Cfr.: Domenici, F. (1998). Manuale dell’orientamento e della didattica modulare. Bari: Laterza.

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assunzione di responsabilità verso le scelte fatte (Borselli, G., Mazzocchi, L., Crispiani, P., Lippi, G., Maviglia, M., Melucci, A., Serio, N., 2000)22. Tali interventi sono le premesse perché la scuola possa oggi passare dall’idea-chiave del diritto allo studio a quella del diritto alla formazione. Al centro del sistema si pone lo studente, detentore del diritto a una prestazione didattica aggiornata e attenta ai suoi bisogni formativi, non più oggetto dell’azione dell’insegnamento ma soggetto di apprendimento libero. E anzi costruttore egli stesso della propria formazione con la scuola chiamata a svolgere un’opera di promozione e mediazione culturale (Ministero della Pubblica Istruzione, 2000)23. Si tratta quindi di un nuovo modello formativo che implica una metodologia didattica capace di sviluppare interessi, vocazioni, scelte e di sostenere gli studenti nel processo di formazione dell’identità personale e di acquisizione della capacità di autodirezione. Tale processo ha richiesto di liberare la scuola da vincoli di percorsi e di orari e di arricchire l’offerta formativa in relazione alle esigenze territoriali. Il punto diviene ora quello della riorganizzazione dei percorsi didattico-educativi. Negli ultimi decenni, infatti, è emersa con forza, nella scuola, la necessità di superare l’uniformità di procedure e di puntare all’uniformità dei risultati, attraverso l’uso della flessibilità sia nell’organizzazione, sia nella didattica. Ciò è avvenuto per una vera e propria crisi di crescita, dopo che la riforma della scuola media (entrata in vigore nel 1963), facendo approdare ai gradini alti dell’istruzione fasce sempre più larghe di alunni, ha reso pressante l’esigenza di rispondere a ritmi di apprendimento molto diversificati e attenti ai bisogni educativi degli studenti24, e dopo che lo sviluppo socio-economico ha ri22 Cfr.: Borselli, G., Mazzocchi, L., Crispiani, P., Lippi, G., Maviglia, M., Melucci, A., Serio, N., (2000). Autonomia? Bergamo: Junior. 23 Cfr.: Ministero della Pubblica Istruzione. (2000). (a cura di) Il progetto qualità nella scuola. Quaderno n. 31/1 della Dir.Classica. Como. 24 Cfr.: Ministero della Pubblica Istruzione dell’Università e della Ricerca. (2012-2013). (a cura di): • D. M. 27/12/2012 Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica.

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chiesto una sempre più spiccata capacità di “imparare a imparare” (Cornoldi et alii, 2003)25.

1.2 La scuola italiana nella società complessa La legge che istituisce l’autonomia è la legge 59/1997 (art. 21). La riforma rappresenta il punto di arrivo di un percorso politico istituzionale che ha, come suddetto, preso avvio nei primi anni ‘90. La questione della necessità di un potenziamento delle funzioni gestionali delle scuole va fatta risalire ai decreti delegati del 1974. Si può dunque dire che il regolamento emanato nel 1999 sia un risultato raggiunto al secondo tentativo: in esso viene attribuita personalità giuridica alle singole istituzioni scolastiche e successivamente vengono trasferite alcune competenze dell’Amministrazione dello Stato, come la funzione progettuale di definizione dell’offerta formativa, in un rapporto a: • bisogni formativi del territorio alla luce dell’analisi delle linee di sviluppo culturale del contesto; • domanda delle famiglie e dell’utenza; • caratteristiche degli studenti nell’ottica dell’individualizzazione del processo di apprendimento; • miglioramento dell’efficacia del processo formativo. Gli obiettivi nazionali sono, dunque, criteri di indirizzo, posti a garanzia dell’unitarietà del sistema. Il Piano dell’offerta formativa è la carta d’identità della scuola: in esso vengono illustrate le linee distintive dell’istituto, l’ispirazione culturale-pedagogica che lo muove, la progettazione curricolare, extracurricolare, didattica ed organizzativa delle sue attività. La recente normativa, attenta anche ai bisogni educativi spe• • •

C. M. n° 8 del 6/3/2013. Indicazioni operative. N. M. n° 1551 del 27/6/2013. N. M. n° 2563 del 22/11/2013.

25 Cornoldi, C., De Beni, R. – Gruppo MT (Università di Padova). (1993). Imparare a studiare. Strategie, stili cognitivi, metacognizione e atteggiamenti nello studio. Trento: Erickson.

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ciali degli alunni in difficoltà, offre alla scuola un altro strumento: il Piano annuale per l’Inclusività (P.A.I.) che è parte integrante del POF e non va inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come uno strumento che contribuisce ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati” educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola “per tutti e per ciascuno” (Ianes, D., Cramerotti, S., 2013)26. Esso, pertanto, si pone come un atto interno della scuola autonoma, finalizzato all’auto-conoscenza e alla pianificazione, da sviluppare in un processo responsabile e attivo di crescita e partecipazione. L’autonomia delle scuole si esprime nel POF attraverso la descrizione: • delle discipline e delle attività liberamente scelte della quota di curricolo loro riservata; • delle possibilità di opzione offerte agli studenti e alle famiglie; • delle discipline e attività aggiuntive nella quota facoltativa del curricolo; • delle azioni di continuità, orientamento, sostegno e recupero corrispondenti alle esigenze degli alunni concretamente rilevate; • dell’articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività; • dell’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi; • delle modalità e dei criteri per la valutazione degli alunni e per il riconoscimento dei crediti; • dell’organizzazione adottata per la realizzazione degli obiettivi generali e specifici dell’azione didattica; • dei progetti di ricerca e sperimentazione. 26 Cfr.: Ianes, D., Cramerotti, S. (2013). (a cura di). Alunni con BES - Bisogni Educativi Speciali -Indicazioni operative per promuovere l’inclusione scolastica sulla base della DM 27.12.2012 e della Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013. Trento: Erickson.

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La legge 28 marzo 2003 n.53 e, particolarmente, il decreto legislativo n. 59 del 19 febbraio 2004 attuativo, conferiscono nuovi strumenti di flessibilità alle scuole autonome: l’elaborazione annuale del Piano dell’Offerta Formativa è oggi l’occasione per le istituzioni scolastiche di dotarsi di percorsi formativi individualizzati e caratterizzanti (i piani di studio personalizzati) che, pur aderendo agli obiettivi generali ed educativi definiti a livello nazionale, raccolgono e rispondono alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico in cui le scuole operano. Il Dlgs n. 59, prescrive, inoltre, che l’orario annuale delle lezioni sia comprensivo della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento della religione cattolica. Attraverso il Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.) la scuola rende esplicita la propria progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa e la propone all’utenza. Nella delineazione del P.O.F viene ripresa la necessità per la scuola di orientare la sua azione al contesto locale. Questa insistenza sulla domanda del territorio è un altro degli elementi innovativi introdotti dal regolamento. Nel suo percorso di elaborazione il P.O.F. è risultato di una doppia negoziazione, [Tavola 1] tra l’identità culturale della scuola e la cooperazione con gli altri attori che intervengono nei processi. P.O.F. Processo di doppia negoziazione nel quale scaturisce l’offerta formativa, viene definita risultante dall’interlocuzione/ l’identità culturale della scuola: cooperazione è in gioco un processo interno con tutti gli attori del alla scuola di costruzione condicontesto visa di senso (enti locali, famiglie, alunni della scuola superiore). [Tavola 1] Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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Il regolamento parla, in particolare, di autonomia didattica e organizzativa e di ricerca e sperimentazione: • AUTONOMIA DIDATTICA: ciascuna scuola può allargare e arricchire l’offerta formativa, integrando il curricolo obbligatorio con attività facoltative, programmabili in accordo con gli enti locali. La novità più incisiva consentita dagli strumenti della flessibilità didattica è, tuttavia, quella per cui la formazione delle classi si coniuga con la formazione e la gestione di gruppi di apprendimento diversi dalle classi medesime. L’autonomia didattica consente, infatti di suddividere temporaneamente la classe, l’insieme degli alunni di più classi o più sezioni in sottogruppi diversi. Va sottolineato che non ci si trova di fronte al dissolvimento della classe che resta, comunque, il gruppo fondamentale di riferimento della attività didattica. La flessibilità didattica dei gruppi nasce, pertanto, nella prospettiva dell’integrazione delle diversità. Essa ha lo scopo di promuovere le potenzialità di ciascuno al fine di realizzarne il successo formativo. La scuola ha, inoltre, la possibilità di allargare la propria base di utenza, predisponendo offerte rivolte ad altre tipologie di fruitori (es.: educazione degli adulti), proponendosi, così come agente di promozione culturale sul territorio. • AUTONOMIA ORGANIZZATIVA. L’attribuzione alle scuole di competenze gestionali relative all’organizzazione costituisce un’innovazione culturale di portata radicale. L’autonomia organizzativa porta nelle istituzioni scolastiche una nuova dimensione, che richiede nuovi modelli interpretativi e culturali. La Legge 15 marzo 1997, n. 59 all’Art. 21, comma 8 cita, testualmente: «L’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa 34

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si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un’apposita programmazione plurisettimanale». In particolare offre la possibilità di un’utilizzazione più flessibile del personale, in special modo del personale docente, favorendo reti di aggregazione e di collaborazione con altre istituzioni e agenzie del territorio. In questa prospettiva anche la Valutazione [Tavola 2] acquisisce caratteristiche che sottolineano la bidimensionalità del processo formativo: a) valutazione dei risultati di apprendimento raggiunti dagli allievi - valutazione in itinere e sommativa - anche in ragione del valore legale dei titoli di studio. b) valutazione degli standard di qualità del servizio. VALUTAZIONE COME PROCESSO BIDIMENSIONALE

processo educativo

processo organizzativo di erogazione del servizio

[Tavola 2]

AUTONOMIA DI RICERCA, SPERIMENTAZIONE E SVILUPPO:

L’autonomia di ricerca e sperimentazione sintetizza la scommessa didattica del nuovo sistema educativo italiano. Se la singola scuola vuole essere autonoma deve progettare, tenendo conto dei bisogni degli allievi, degli obiettiEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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vi nazionali, del contesto culturale, sociale ed economico del territorio. L’identità di ogni istituto viene data dalla sua capacità di elaborare ipotesi, provarle e se necessario modificarle. Si tratta dunque di fare della scuola un soggetto di ricerca didattica permanente partendo da alcune scelte fondamentali. Occorre anzitutto riconoscere che la sede della ricerca sta proprio nei luoghi dove essa si esercita, cioè nella scuola, e che è indispensabile una dimensione collegiale del lavoro docente, nell’ambito della quale il collega, lo studente, il genitore, deve essere visto come compagno della propria avventura. Si deve tener conto, poi, che le esperienze di ricerca e sperimentazione hanno bisogno di essere documentate a tutti i livelli. Infine bisogna scegliere sul territorio i partner e le strutture di supporto, assumendosi la responsabilità di essere soggetto ricercatore (Mantovani, G., Spagnoli, A., 2003)27. Questo implica il cambiamento del rapporto con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione (già CEDE), gli Istituti Regionali di Ricerca Educativa (IRRE ex IRRSAE), la Biblioteca di documentazione pedagogica (Indire), l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo e di Istruzione e di formazione (INVALSI). Infatti il rapporto di dipendenza della scuola nei confronti degli altri soggetti istituzionali è destinato a scomparire per essere sostituito da una relazione di partnership. Alla trasformazione delle singole istituzioni scolastiche corrisponde una speculare trasformazione degli organismi amministrativi centrali e territoriali - Ministero, ex Provveditorati (ora Centri per i Servizi Amministrativi) - ma non si tratta solo di cambiamenti quantitativi nella distribuzione dei poteri ma di una nuova missione del centro e del modello del rapporto centrolocale. 27 Mantovani, G., Spagnoli, A. (2003). (a cura di) Metodi qualitativi in psicologia. Bologna: Il Mulino.

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Il testo definitivo del regolamento, dopo anni di dibattito giuridico, individua le aree di competenza entro le quali si esercita l’autonomia organizzativa delle scuole, che a ben vedere si tratta di una maggiore flessibilità gestionale. Si è salutata, quindi, l’autonomia come foriera di rinnovamento tout court, non considerando che essa comporta «la costruzione di una identità come soggetto unitario; che questo richiede imprescindibilmente lo sviluppo e il consolidamento di prassi di azione collettiva; che l’azione collettiva non si esaurisce nella decisionalità collegiale, ma richiede il coordinamento della messa in opera delle decisioni collegialmente prese; che l’azione collettiva ha bisogno di una struttura organizzativa capace di sostenerla, fatta di gruppi formalizzati e di ruoli di coordinamento intermedio… Così, by default, si conferma il modello di assetto tradizionale, coerente con la cultura individualistica di sempre, che configura le scuole come spazi attrezzati in cui i singoli insegnanti tendono a recitare monologhi non coordinati in percorsi formativi caratterizzati da una sostanziale organicità progettuale» (Romei, P., 2004)28. Il conferimento di autonomia funzionale alle scuole italiane si iscrive nella più generale trasformazione dei servizi pubblici del nostro paese. (Salvatore, S., Scotto di Carlo, M., 2005)29. Nel dibattito tra storici e sociologi, ripreso dai mass media, emerge un quadro di arretratezza della società italiana, caratterizzata dall’assenza di una borghesia dotata di senso dello Stato. Se consideriamo il concetto di “società civile” esso può essere inteso come la rete di relazioni e prassi sociali della vita collettiva contraddistinta da un patrimonio di civismo e di coerenza sociale. Essa è espressione di quei contatti sociali intermedi (associazionismo, quartiere, luoghi di scambio tra utenti e erogatori di servizi) che collegano il rapporto tra pubblico e privato, tra stato e famiglia. All’interno di tali corpi intermedi si strutturano 28 Romei, P. (2004). La scuola dell’autonomia di fronte all’innovazione. Seminario Le ragioni della riforma. Bologna. 29 Salvatore S., Scotto di Carlo, M. (2005). op.cit.

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le appartenenze secondarie che consentono ai soggetti di riconoscersi come membri del contesto sociale allargato. Nella famiglia (e tra gli amici prossimi) l’individuo sperimenta relazioni che seguono la logica della negazione dell’estraneità (Paniccia, R.M., 2003)30. L’Altro non esiste come termine del rapporto: il conosciuto è amico, lo sconosciuto è negato, lasciato fuori. Fin quando un individuo rimane immerso nell’orizzonte semplificato dei rapporti primari non vede che i propri simili. È invece nelle relazioni secondarie che l’individuo fa l’esperienza costitutiva dell’estraneità: ha così modo di accedere a un nuovo mondo di scambi sociali, di confrontarsi con le regole del gioco del rapporto tra soggetti la cui cooperatività reciproca non è data e garantita, infatti nell’incontro con l’estraneo egli: • elabora e apprende il carattere collettivo dei beni comuni; • valorizza i meccanismi cooperativi che ne presidiano la produzione; • estende alle relazioni con i non-prossimi la possibilità di attribuire connotati di fiducia e di amicalità. In sintesi: acquista il senso e il valore della collettività e delle istituzioni che ne regolano la convivenza. In questa prospettiva l’identità collettiva si costruisce attraverso un apparato simbolico che consente di recuperare il senso di partecipazione alla comunità territoriale, per ricostruire un rapporto tra identità individuale e socialità. Tale bisogno è testimoniato anche dal fiorire di programmi televisivi e radiofonici centrati sull’esteriorizzazione degli ambiti della vita privata. Questo processo risponde ad una domanda di senso e di convivenza che viene raccolta e fatta oggetto dai mass-media (Carli, R., 1990)31. In una società complessa e globalizzata, qual è la nostra, i cambiamenti sociali rappresentano fattori di destabilizzazione 30 Paniccia, R.M., (2003). Il rapporto con l’estraneo. Un criterio psicologico per individuare il cliente della scuola. In Psicologia scolastica. Vol 1 n° 2. 31 Carli, R. (1990). Il processo di collusione nelle rappresentazioni sociali. In http://www.spsonline.it

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dei modelli di categorizzazione consolidati entro il sistema culturale, che hanno determinato un deficit di senso. Per Salvatore e Scotto di Carlo (2005)32 la crisi di senso è l’esperienza collettiva e soggettiva dell’obsolescenza dei codici/categorie di significati condivisi, della loro capacità di interpretare l’ambiente sociale, di comprenderlo nella sua nuova variabilità. Questo fallimento della capacità d’interpretazione del proprio contesto di vita si esprime in varie forme: come senso di disorientamento, di opacità dell’esperienza, di perdita di spessore dei vincoli di identità sociale, di difficoltà a riconoscere rapporto tra la propria azione e contesto, come ancoraggio al noto e al familiare. Tali trasformazioni sociali stanno portando a maturazione una nuova domanda rivolta alla scuola, che nasce come reazione all’esperienza di crisi di senso che investe i rapporti sociali, in particolar modo le relazioni tra le generazioni. Tale domanda vuole la scuola come luogo della ricomposizione della relazione intergenerazionale. In passato il paradigma fordista ha rappresentato la soluzione al problema fondamentale di ogni processo sociale: la definizione e il mantenimento tra la parte e il tutto, basato su un sistema di analisi e scomposizione lineare del lavoro, ridotto a unità di compito elementari, cumulabili, standardizzate, da riprodurre e invariabilmente nel tempo. Di fronte a tali cambiamenti, tuttavia, tale paradigma è entrato in crisi, in quanto l’azione organizzativa, non è più orientata da obiettivi, ma esercitata come adempimento di norme. La crisi del paradigma fordista presenta, pertanto, uno spostamento del problema dal piano dell’analisi, direzione e controllo del comportamento degli attori al piano dell’integrazione tra azione e struttura organizzativa [Tavola 3].

32 Salvatore S., Scotto di Carlo, M. (2005). op.cit.

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CRISI DEL PARADIGMA FORDISTA presenta uno spostamento dal piano dell’analisi, direzione e controllo del comportamento degli attori al piano dell’integrazione tra azione e struttura organizzativa Nel modello classico è l’organizzazione a possedere lo scopo

oggi invece

risulta sempre più rilevante la capacità delle singole azioni organizzative di oggi orientarsi a scopi condivisi Dal punto di vista dell’ATTORE c’è uno spostamento: dalla prestazione all’azione Dal punto di vista della ORGANIZZAZIONE il passaggio è da un modello di integrazione deduttivo a un modello di integrazione contingente. I modelli di competenza richiesti sono di tipo diverso tra quelli necessari per: ottenere risultati (di ordine tecnico) da quelli

per orientarsi allo scopo (capacità di costruire contesto della propria azione).

[Tavola 3]

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