Delirio. Composizione e scomposizione del pensiero delirante

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Punti di Vista

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Enrico Magni Simon Pietro Scaccabarozzi

Delirio

Composizione e scomposizione del pensiero delirante

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Prima Edizione: 2016 ISBN 9788898037902 © 2016 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di giugno 2016 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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INDICE

Presentazione Primo contributo Secondo contributo

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Introduzione

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PRIMA PARTE 1. Il delirio 1.1 De-lirare 1.2 Storia del delirio 1.3 Nosografia attuale 1.4 Le allucinazioni 1.5 La Bi-logica di Matte Blanco 1.6 Le logiche del delirio di Remo Bodei

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2. Psicologia e logica 2.1 Il conflitto 2.2 Il ragionamento 2.3 Il contributo di Piaget 2.4 Il narrato delirante

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3. Le tipologie del pensiero 3.1 Il pensiero magico

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3.2 L’egocentrismo intellettuale 3.3 Il pensiero iperinclusivo 3.4 Il pensiero ipoinclusivo 3.5 Il pensiero asimmetrico 3.6 Il pensiero simmetrico

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SECONDA PARTE Analisi del materiale clinico

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4. Narrato I - Delirio di persecuzione 4.1 Contenuti tematici 4.2 Tematiche allucinatorie 4.3 Tipologie del pensiero 4.4 Analisi delle inferenze

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5. Narrato II - Delirio somatico 5.1 Contenuti tematici 5.2 Tematiche allucinatorie 5.3 Tipologie di pensiero 5.4 Analisi delle inferenze

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6. Narrato III - Delirio mistico religioso 6.1 Contenuti tematici del pensiero 6.2 Tematiche allucinatorie 6.3 Tipologia del pensiero 6.4 Analisi delle inferenze

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7. Narrato IV - Deliro di riferimento 7.1 Contenuti tematici 7.2 Tipologie del pensiero

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DELIRIO. COMPOSIZIONE E SCOMPOSIZIONE DEL PENSIERO DELIRANTE

7.3 Analisi delle inferenze

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8. Conclusione

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Appendice Tabella di rilevazione delle proposizioni

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Glossario di logica

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Bibliografia

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Grazie a tutti i pazienti che ci hanno fatto conoscere l’infinito mondo del delirio L’«uomo pazzo» e il suo delirio Non avete mai sentito parlare di quell’uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza posa: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. Trovandosi sulla piazza molti uomini non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: “L’hai forse perduto?”, e altri: “S’è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?”. Così gridavano, ridendo fra di loro... L’uomo pazzo corse in mezzo a loro e fulminandoli con lo sguardo gridò: “Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l’abbiamo ucciso – io e voi! Noi siamo i suoi assassini! Ma come potemmo farlo? Come potemmo bere il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare l’intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C’è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sempre notte, e sempre più notte? Non occorrono lanterne in pieno giorno? Non sentiamo nulla del rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo l’odore della putrefazione di Dio? Eppure gli Dei stanno decomponendosi! Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino? Ciò che vi era di più sacro e di più potente, il padrone del mondo, ha perso tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà di questo sangue? Con quale acqua potremo rendercene puri? Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo istituire? La grandezza di questa cosa non è forse troppo grande per noi? Non dovremmo divenire Dei noi stessi per esserne all’altezza? Mai ci fu fatto più grande, e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa”. Friedrich Wilhelm Nietzsche, La gaia scienza, Aforisma 125

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PRESENTAZIONE

Primo contributo Scrivere la presentazione di un libro quando si conosce bene l’autore, è un compito che rischia di scivolare facilmente nell’elogio obbligato e nella compiacenza. Dirò subito che non penso di inciampare in questo pericolo. Il libro in questione, rappresenta davvero un lavoro attento e scrupoloso in un campo difficile come quello della psicopatologia del delirio. Merita certamente stima ed apprezzamento l’aver affrontato, con un’analisi così precisa e accurata, una realtà tanto piena di angoscia, anche perché, tra le pieghe del lavoro scientifico, si percepisce una calda e profonda partecipazione alla sofferenza del paziente. Il primo punto è l’attenzione alla psicopatologia del delirio, dall’origine allo sviluppo, all’attenzione dettagliata, analitica ed a tratti spasmodica. Sembra di assistere, leggendo il libro, al lavoro di un orologiaio che smonta, rimonta meccanismi ed ingranaggi delicatissimi senza mai perdersi tra rotelle, congegni e senza smarrire il senso ultimo del lavoro: la comprensione del funzionamento dell’orologio. Cosa possiamo capire del delirio se lo confiniamo nella sua 11

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incomprensibilità e stranezza, o, per usare le parole degli autori, “nella sua non funzionalità”? Nulla, assolutamente nulla. Possiamo solo abbandonarlo alla nostra incapacità di capire che trasformiamo in incapacità di farsi capire, rinunciando a dare senso e ragione al delirio di un paziente. Non tenendo conto di come si genera e si costruisce una struttura delirante, senza una forte integrazione tra psicopatologia e pratica clinica, si scivola inevitabilmente in uno scontro sotterraneo e silenzioso che porta a decisioni e scelte discordanti: una contesa che mette in ombra i veri bisogni del paziente e porta ad un analfabetismo psichiatrico di ritorno. Il libro evidenza come il delirio costituisca il tentativo di risolvere un gravissimo conflitto psichico, mette in luce come il passaggio dal conflitto alla soluzione delirante sia un’operazione lenta e graduale, analizza ciò che precede il delirio, la logica con cui si sviluppa e le modalità con cui si declina. Tutto ciò rende il delirio qualcosa di meno oscuro e misterioso. Gli autori cercano - per usare una loro efficace definizione “di acquisire ulteriori strategie comunicative”, che tengano ben presente il rispetto del “diritto a delirare” ben lontani dal “furor sanandi”. Mi pare d’obbligo, a questo punto, chiedersi come tutto questo possa essere utile all’operatività clinica: se è vero che la comprensione dei meccanismi che formano il delirio non porta all’annullamento del delirio stesso, però è altrettanto vero - e questo è un altro aspetto del libro che mi preme sottolineare che una loro maggior conoscenza permette in chi lo ascolta la diminuzione della paura e dell’angoscia. È possibile una limitazione, in termini sociali, dello stigma legato alla malattia mentale se il delirio appare qualcosa di meno spaventoso ed oscuro. 12

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Il reinserimento dei pazienti non resti un termine vuoto ma si traduca in una concreta operatività! La diminuzione dei timori, che da sempre accompagnano la patologia psichiatrica, è una premessa indispensabile per ridurre i rischi di deriva sociale che hanno caratterizzato il passato della psichiatria. Un territorio bonificato, meno spaventato e meno intimorito, offre una maggiore disponibilità nei confronti dei pazienti da reinserire. Il lavoro dimostra, ancora una volta, che la diatriba tra teoria e pratica clinica è una speculazione astratta, intellettuale, quando i due aspetti si integrano, ne escono reciprocamente arricchiti, più forti nell’affrontare le difficoltà, gli ostacoli che le cure psichiatriche comportano. Può accadere che uno studio teorico, come quello che il libro mette in campo, un apparente esprit de géométrie, si riveli un vero esprit de finesse con reali e concrete ricadute sull’operatività quotidiana. Potrei continuare a parlare di questi aspetti a lungo, forse un po’ sconsideratamente, ma qui mi fermo, agli autori e al libro... auguri. Vittorio Rigamonti Responsabile Struttura Semplice di Psicologia Azienda Ospedaliera di Lecco

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Secondo contributo Presentare un libro sul delirio è difficile, lanciare l’idea di un libro su logica e delirio richiede un sano funambolismo, descrivere il presente lavoro sulla Psico-logica del deliro è... delirante perché gli autori ci intrigano prima con tante acrobatiche escursioni nei campi di logica e bi-logica, matematica e psicoanalisi, filosofia e linguistica, senza dimenticare il cognitivismo piagetiano e la fenomenologia, per poi saltare il fosso e trascinarci in una lunga e laboriosa ricerca empirica. Qual è il gioco a cui Magni ci vuole far partecipi? Negli incontri che facevamo presso il Polo Didattico dell’Ospedale di Lecco, dopo le supervisioni con i tirocinanti sia post-laurea che di specializzazione, il tema del rapporto tra scienza dura/pura e le nostre elaborazioni interpretative, diagnostico o terapeutico che fossero, evidenziavano spesso questo gap tra teorie fisico-matematiche e teorie psico-filosofiche. Ognuna di queste teorie era ed è ben accomodata nel proprio campo di azione, ed i modesti tentativi di dare una base teorica a ricerche empiriche su vari aspetti della realtà clinica in cui eravamo coinvolti, in primis la psicoterapia psico-dinamica che, per la sua specifica ricorsività spazio-temporale meglio si adattava ad un approccio tipico delle ricerche empiriche non lineari, erano un fallimento annunciato. È stato Bion il primo a cercare di costruire un ponte tra le scienze psicologiche e quelle della natura indicando, in Cogitations (Karnak Books, 1993), quali potessero essere le strutture teoriche capaci di predisporre uno schema operativo di ricerca empirica, nella fattispecie le matematiche non-lineari, che avevano preso il via con Cantor e Poincarè e che contenevano gli elementi costituenti di un possibile schema interpretativo; in un secondo momento propose in Taming Wild Toughts (idem) la 14

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sua griglia attuativa di quei presupposti. Il tentativo di Bion è stato molto coraggioso, ma conoscendo i suoi colleghi, non pubblica tutte queste sue ipotesi: vengono pubblicate postume solo nel 1993, ben 14 anni dopo la sua morte. Bion conosceva bene queste problematiche essendo stato un frequentatore della casa di Frances Tustin, luogo di incontro di matematici, scienziati e psicoanalisti. I concetti di Bion, purtroppo, sono stati presi più come metafore dagli psicoanalisti e dagli psicoterapeuti che come basi per costruire una ricerca empirica; nei lavori apparsi alla fine degli anni ’80 e agli inizi degli anni ’90, pur descrivendo in modo anche più organizzato i presupposti elencati da Bion, nessuno autore è andato oltre una esposizione ripetitiva di concetti trasferiti dalle scienze moderne. Se usiamo i concetti della complessità e non-linearità, il delirio si presenta come un sistema chiuso, altamente dissipativo, ordinato e prevedibile; il delirio serve infatti al paziente per tenere a bada lo stato confusionale, causale ed altamente irregolare dei propri pensieri. Il paziente nel delirio dà al suo sistema mente – che possiamo identificare come l'interazione tra i processi mentali relativi alla razionalità, alle emozioni proprie delle relazioni interpersonali e alla percezione degli eventi del contesto/ambiente in cui vive – una configurazione/evoluzione rigida e regolare che però gli permette di organizzare tutti gli oggetti mentali del proprio mondo interno, siano essi percepiti o sentiti come flusso dal corpo alla mente o come realtà esterne pronte ad aggredire e soffocare ogni sua parte criticamente attiva. Questo compito di controllore è assolto dal delirio che, oggetto mentale carico di significati molto potenti, elimina o quantomeno attenua ogni forma di complessità della mente. Per complessità intendiamo la capacita del sistema mente di lasciare 15

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liberamente fluire ed interagire ogni sua componente, facendo in modo che ordine e disordine si alternino con andamento pressoché armonico in modo da ridurre al minimo l’energia dissipata. Nel delirio ogni elemento di disordine scompare, tutto acquista una sua compostezza che toglie ogni ombra di angoscia; ma, quando questa sacca di regolarità ordinata e ripetitiva è turbata da un qualsiasi elemento che introduce disordine e casualità, allora l’angoscia esplode incontrollata. La monotona quotidianità dello psicotico e la fissità dei suoi significati/significanti rappresentano la sua più consistente e robusta organizzazione difensiva contro ogni forma di apertura al mondo, all’io pensante, ad ogni tu che si vuole relazionare. Nell’ottica di pensare alla costruzione di una comprensione scientifica del delirio, la misurazione è l’ostacolo più appariscente e contestato; molti autori negano la necessità e l’utilità della misurazione applicata al processo terapeutico o la relegano alle forme derivate dalla statistica proprie dell’epidemiologia, ossia ad una dimensione statica; facendo così, senza rendersene conto, negano il concetto stesso di processo, praticamente si autoescludono da ciò che ingiustamente pretendono di chiamare “dinamica”. Ed è qui che nasce il gap, ossia la mancata corrispondenza tra modelli teorici e le loro applicazioni con l’attuazione empirica nella pratica clinica. Oggi se si vuole fare ricerca in psicoterapia bisogna fare un po’ come Galileo: costruire gli strumenti, vale a dire dei modelli, per fare delle osservazioni e misurazioni empiriche da cui trarre poi indicazioni che confermino o dis-confermino una teoria o ne facciano nascere delle nuove. Non c’è altra strada. Il pregio del lavoro qui presentato consiste nel fatto che Magni, nella prima parte, ci propone un excursus nelle più qualificate visioni teoriche del deliro - poi ne sceglie un paio senza 16

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trascurare possibili implicazioni presenti nelle altre - e nella seconda parte identifica uno strumento/modello con cui raccogliere le osservazioni che, coerentemente con il suo pensiero, ritiene siano in grado di offrirgli nuove conoscenze che ampliano la comprensione del lavoro psichico del delirante. Le osservazioni così raccolte sono inserite dentro uno schema grafico deterministico, vale a dire che passa con una serie di accorgimenti matematici, semplici e coerenti, da dati qualitativi a dati quantitativi visualizzabili e quindi analizzabili in termini di confronto con altri osservatori che usano lo stesso strumento. Se non ci fosse una griglia di misurazione che trasforma i dati qualitativi in quantitativi, vale a dire che misura i delicati cambiamenti di un sistema, tutto questo lavoro non avrebbe senso, o meglio non servirebbe a nulla. Perché si possa rilevare una corrispondenza tra i dati clinici che incontriamo in psicoterapia o nell’analisi di un protocollo interpretativo, come fa Magni, e una valutazione matematica dei diagrammi o dei grafici che sono visualizzati dall’applicazione del modello di raccolta delle osservazioni, è necessaria una griglia o matrice entro cui inserire i dati raccolti (griglia di riferimento posta in appendice).

Bisogna però fare molta attenzione, per non ripetere l’errore di Bion e di tanti suoi epigoni, al fatto che la griglia deve prima di tutto rispettare le elementari caratteristiche di un “metro”, vale a dire che i dati siano posti in una sequenza deterministica, siano essi ad intervalli continui o discreti, non importa. È chiaro che nella costruzione di un sistema di misurazione delle dinamiche umane gli intervalli sono di tipo discreto – vale a dire non sono identici – ma questo non toglie nulla al valore scientifico della misurazione in atto, cosa che i matematici ci insegnano da tempo. 17

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Per concludere: non ci sono in giro tanti lavori che combinano posizioni teoriche, classiche o no, e ricerca empirica. Bisogna dare atto agli autori di aver avuto il coraggio di fare quello che molti non osano fare: entrare dentro l’intricato nodo della trasformazione del qualitativo in quantitativo. Senza questo coraggio di legare teorie e prassi clinica, le ricerche sul senso e significato del delirio resteranno delle chimere e chi potrebbe trarre beneficio da una loro interazione costruttiva, ossia il paziente, continuerà a restare un oggetto-soggetto senza identità. La griglia di rilevazione è allegata al testo. Mario Pigazzini Psicologo, Psicoterapeuta e Psicoanalista Centro Sistemi Dinamici Complessi e Non-Lineari

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INTRODUZIONE

L’oggetto di questo testo assomiglia al dissolversi della nebbia quando avvolge la città e si dirada offrendo all’occhio la possibilità di vedere le cose che assumono una forma: case, strade, lampioni, passanti. È la storia di un lungo oblio produttivo che, in assoluto silenzio, si è manifestato, si è rivelato nell’ascoltare il disturbo psichico. È il risultato di una continua e permanente tensione esistenziale verso la scoperta e l’approfondimento dei difficili intrecci che intercorrono tra il prodotto pensato e il pensante. È il causato dell’ascolto quotidiano di persone che raccontano e costruiscono narrazioni personali, sociali, esistenziali di come sono nel mondo e di come lo vivono. Le narrazioni di queste realtà vissute, immaginate, presenti, passate o future costruiscono delle mappe descrittive di come il linguaggio si organizza, si compone, forma o de-forma la dimensione del reale. Le storie narrate descrivono dei neomondi tutti da conoscere, da decifrare. La curiosità è nel cercare di cogliere gli elementi o ’errori’ psico-logici che permettono di costruire e descrivere storie interessanti, misteriose, fantastiche, ma lontane a prima vista dal mondo. L’attenzione è rivolta a quel narrato che è definito come delirante. Il delirio è una narrazione che contiene una molteplicità di forme linguistiche, che scomposte e analizzate, permettono di cogliere quali siano gli elementi costitutivi e strutturanti di come si forma il ragionamento. L’ambiente in cui si è sviluppato questo lavoro è quello della 19

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‘malattia mentale’, in un ambito preposto alla cura. Il materiale su cui si è operato è il prodotto scritto da persone che da anni comunicano con questa modalità. Lo scopo prevalente è quello di capire meglio come si forma e si organizza il ragionamento del delirio per comunicare con il narrante. Scoprire quali siano le modalità psico-logiciche del narrato permette di acquisire ulteriori strategie comunicative. È un modo, inoltre, di dare dignità ad una narrazione che è percepita come pericolosa e portatrice di confusività, distruttività e aggressività. La narrazione del delirante per molti è sinonimo d’alienità e quindi non funzionale per la società; questo modo di ragionare determina una rimozione culturale. Il delirio è una parte che si include, si iscrive all’interno del processo del ragionare o del pensare, relegarla o rimuoverla in un angolo è perdere una parte importante dello spazio mentale individuale e sociale.

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Prima Parte

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1. IL DELIRIO

1.1 De-lirare “È l'uomo che ha creato la distanza”, “ed essa non ha senso che in uno spazio umano... separa Maratona da Atene ma non un sasso da un altro sasso” J. P. Sartre, La Nausée

Il termine delirio trae la sua origine da una metafora contadina: l’atto del “de-lirare”, vale a dire oltrepassare la lira, il confine del terreno. Delirium, in latino, significa letteralmente uscire dal seminato; analogamente paranoide dal greco (para nous noos) significa pensiero che non tiene conto dell’esperienza comune; in tedesco, Wahn, indica un’aspirazione, un desiderio e richiama il carattere fantastico ed onnipotente di alcuni temi deliranti. Il termine Wahnsinn, che significa insensatezza, demenza, deriva dalla radice wahn che significa mancante, vuoto; infine l’inglese delusion rinvia al latino deludere, vale a dire rappresentare, dare l’illusione richiamando l’irrealtà, talora anche verosimile, dei temi deliranti. Deviazione dalla realtà, illusione, soddisfacimento di un desiderio, riempimento di un vuoto sono indubbiamente tutti caratteri rintracciabili nelle esperienze deliranti. Delirare vuol dire anche andare oltre il confine, verso l'ignoto, verso l'estraneità. Delirare è andare al di là del solco 23

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tracciato dall’aratro (lira). Il delirio è un errore ed un errare (de-lira-ire) del giudizio; la struttura logica e critica del pensiero delirante resta, di regola, corretta. Il delirio narra l’inverosimiglianza e l’impossibilità dei contenuti, è un pensiero sragionevole e come tale apparentemente ininfluente sulla realtà, è un tentativo di mediazione con una realtà ostile ed inaccettabile. Platone nel Fedro afferma: «essere il delirio tutt’altro che un male: essere un dei più gran doni dei numi; nel delirio le profetesse di Delfi e di Dodone resero ai cittadini di Grecia mille servigi; mentre a sangue freddo esse fecero assai poco di bene, anzi nulla del tutto. Qualche volta accadde che quando gli dèi affliggevano i popoli con gravi epidemie, un santo delirio impadronendosi di qualche mortale, lo rendesse profeta e gli facesse trovare un rimedio a quei mali. Un’altra specie di delirio, quello ispirato dalle Muse, quando eccita un’anima semplice e pura a riabbellire dei vezzi della poesia le gesta degli eroi, giova all’istruzione delle età future».1 Il delirio è per Platone anche una fonte inconsueta ed emergenziale di un sapere che permette di affrontare nuove e inaspettate situazioni. È frutto di una dimensione che trascende gli umani e si affida agli oracoli che ascoltano la voce degli dei. Più centrato sull’ascolto intrasoggettivo del delirio è S. Agostino che lo recupera come un messaggio depositato nella memoria profonda: «Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta 1

Platone, Fedro, Laterza, Bari, 1998.

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di cose introdotte dalle percezioni; dove pure sono depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora inghiottito o sepolto. Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all’istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti. Alcune si precipitano a ondate, e mentre ne cerco e ne desidero altre, ballano in mezzo, con l’aria di dire: “non siamo noi per caso?”. E io le scaccio con la mano dello spirito dal volto del ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza dalle segrete al mio sguardo».2 Agostino scaccia con la mano dello spirito quelle immagini che gli appaiono cariche di angoscia e turbamento. Spinoza nella Proposizione 3, sull’“Origine e natura degli affetti”, svolge per primo una ricerca razionale, distinguendo i pensieri adeguati da quelli inadeguati. I pensieri adeguati sono quelli normali che permettono e favoriscono l’intenzione dell’agire, i pensieri inadeguati sono il prodotto delle passioni e divergono e sconvolgono l’intenzione. Afferma: «le azioni della mente sorgono dalle sole idee adeguate; le passioni dipendono invece dalle sole inadeguate, Dimostrazione. La prima cosa che costituisce l’essenza della mente non è altro che l’idea di un corpo esistente in atto (...) la quale (...) si compone di molte altre, di cui alcune (...) sono adeguate e altre inadeguate (...) Quindi tutto ciò che segue dalla natura della mente, e di cui la mente è la causa prossima, attraverso la quale ciò deve essere inteso, deve necessariamente seguire o da un’idea adeguata o da un’idea inadeguata. Ma in quanto la mente (...) ha idee inadeguate, necessariamente patisce, perciò 2

S. Agostino, Confessioni, Einaudi, Torino, Libro X, p. 81.

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le azioni della mente seguono dalle sole idee adeguate, e la mente soltanto patisce, in quanto ha idee inadeguate».3 L’azione della mente, quindi il comportamento umano è il prodotto di come la mente si muove nell’estrapolare i processi del pensiero. Questa visione razionalistica evidenzia l’esistenza di comportamenti che sono sottoposti ad idee inadeguate che causano delle azioni che debordano l’adeguato. L’azione della mente non sempre è così lineare e distinguibile tra pensieri adeguati e inadeguati; l’azione della mente è collusiva e le passioni umane sono intrinseche nell’azione, nell’agito, nel comportamento. Lo stesso S. Agostino, con il suo gesto, evidenzia come sia difficoltoso separare la luce dalle ombre, l’adeguato dall’inadeguato. Locke nel 1690 afferma che: «Il nostro spirito assomiglia a quelle tombe dove le iscrizioni sono cancellate dal tempo e le immagini cadono in polvere, anche se rimangono il bronzo e il marmo».4 È possibile cercare di cancellare le ombre, spostare le nebbie ma i segni restano incisi sul bronzo e sul marmo anche se riposano silenti dietro la polvere. Il de-lirare si esprime secondo modalità identiche di generazione in generazione indipendentemente dai contenuti, che variano col variare del contesto socio-tecno-culturale. S. Freud accantona il pensiero adeguato di Spinoza per approfondire il pensiero inadeguato dominato dalle passioni. Cerca così di svelare le cose scritte che stanno sul marmo, sul bronzo per leggere il pensiero inadeguato, cerca di scoprire ciò che è meglio cacciare con il gesto della mano. In Gradi3

Spinoza B., Etica, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p.102.

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Locke J., Saggio sull’Intelletto Umano, Libro II, Laterza, Bari, (10,5).

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va di Jensen5, Freud fa notare che il delirio del giovane Norbert Hanold si è sviluppato ulteriormente mediante un sogno, ma già nell’Interpretazione dei Sogni, puntualizza: «...al rapido volgersi delle rappresentazioni nel sogno corrisponde la fuga delle idee nella psicosi. In entrambi i casi manca qualsiasi misura del tempo. La scissione onirica della personalità, che distribuisce per esempio il proprio sapere su due persone diverse, delle quali nel sogno una, quella estranea, corregge l’Io, equivale veramente alla nota scissione della paranoia allucinatoria; anche chi sogna ode i propri pensieri esposti da voci estranee. Esiste un’analogia perfino per le idee deliranti fisse: i sogni patologici che si ripetono in modo stereotipato (rêve obsédant). Non è raro che una volta guariti di un delirio, gli ammalati dicano che tutto il periodo della malattia appare loro come un sogno, spesso non sgradevole, e che anzi ci raccontino come qualche volta, mentre ancora durava la malattia, abbiano avuto l’impressione di essere solamente prigionieri di un sogno, come spesso accade nel sogno vero.»6 Per S. Freud il delirio è un meccanismo di difesa di tipo proiettivo e i suoi segni possono essere letti attraverso l’interpretazione simbolica del narrato del sogno; per Adler è una supercompensazione necessaria all'individuo per mantenere integro il proprio sentimento di superiorità; per G. Jung una fonte di conoscenza estrema. Per lo psicoanalista Gaetano Benedetti il delirio è una difesa dalla dispersione psicotica, perché il delirio raccoglie le valenze di riferimento che giacciono sparse come 5 Freud S., Il delirio e i sogni nella “Gradiva” di Wilhelm Jensen, Opere, Vol. 5, Bollati Boringhieri, Torino, (1905-1908). 6 Freud S., L’interpretazione dei sogni, Bollati Boringhieri, Torino, Opere, Vol. 3, 1899.

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una polvere maligna su tutte le cose circostanti. L’ermeneutica considera il delirio un sistema di idee rigido e fragile, come il cristallo che manifesta delle sfumature che danno plasticità e conducono verso l’accettazione dell’ambiguità dell’esistere. L’ambiguità, la contraddizione, il conflitto tra ciò che è adeguato e inadeguato non permettono di cogliere quello che Spinoza sottolinea come inadeguato. È importante giungere a cogliere quali siano i processi, come si struttura e si forma il pensiero inadeguato, dando per scontato che le passioni svolgono una funzione strutturante del formarsi del pensiero. È importante seguire l’indicazione di Spinoza e rivisitarla per cogliere quali siano gli ‘errori’ formali che costituiscono il narrato di chi parla o narra con un altro codice. Decifrare il codice è fondamentale per conoscere il suo formarsi. È indispensabile, non solo conoscere come si struttura il pensiero adeguato, ma anche quello inadeguato per cogliere la globalità infinita dell’essere umano. L’interpretazione simbolica del sogno o delle fantasie permette di cogliere la dimensione polimorfa del simbolo, ma non spiega il come si strutturi il narrato del delirante. Analizzare il narrato del pensiero delirante è utile per conoscere come si struttura il logos. È importante superare il solco. Solo così è possibile uscire da quella dicotomia che impedisce di conoscere e comunicare con questo altro narrato e narrabile.

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DELIRIO. COMPOSIZIONE E SCOMPOSIZIONE DEL PENSIERO DELIRANTE

1.2 Storia del delirio “Il principio degli esseri è l’infinito (àpeiron) da dove infatti gli esseri hanno l’origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano l’uno all'altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”. Anassimandro, Simplicio, De Phisica, 24,13

Ippocrate, nel V secolo A.C., è il primo a sostenere che le malattie fisiche o mentali non sono determinate dal volere degli dei ma da cause puramente naturali. Il cervello è l’organo della coscienza, dell’intelletto, delle emozioni; il pensiero e il comportamento sono il risultato di un substrato fisiologico. La somatogenesi è la teoria di base di Ippocrate. Il disturbo mentale è racchiuso in tre categorie: mania, melanconia e frenite (febbre cerebrale). Gli elementi fisiologici che causano la malattia mentale sono: sangue, bile nera, bile gialla e flemma. La malattia mentale è determinata da una qualche forma di squilibrio. Per sette secoli, fino a Galeno, ultimo medico dell’età classica, le dottrine ippocratiche sono il fulcro della medicina greca e dell’antica Roma. Con la morte di Galeno, nel 200 d.C., si apre il periodo dei secoli bui per la medicina e non solo, perché i monasteri cristiani sostituiscono i medici. Le cure per la malattia mentale consistono nel recitare preghiere, nel toccare con sacre reliquie e somministrare decotti d’erbe durante la luna calante. Nel 1484, Papa Innocenzo VIII inizia la caccia alle streghe. Due monaci domenicani pubblicano il Malleus Maleficarum. Le confessioni di persone che affermano di essersi incontrate con il diavolo (allucinazione-tematica delirante), convalidano la tesi della stregoneria e il rogo è l’unico modo per scacciare il demonio. Nello stesso periodo storico, parallelamente all’espansione 29

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delle città europee, si assiste ad un progressivo processo di secolarizzazione e alla metà del 1300 gli ospedali iniziano ad essere sottoposti alla giurisdizione dello Stato. Dal 1400 al 1500 i lebbrosari sono trasformati in manicomi. Il Convento St. Mary of Bethlehem nel 1547 è trasformato da Enrico VIII in un manicomio che diventa una delle maggiori attrazioni turistiche di Londra, così pure la Torre dei Pazzi di Vienna. Benjamin Rush, considerato il padre della psichiatria americana, ritiene che il disturbo mentale sia causato da un eccessivo afflusso di sangue nel cervello. Il trattamento consiste nel sottoporre il “pazzo” a dei salassi e a spaventi. Due sono i meccanismi principali di intervento: la terapia e l’annichilazione. La terapia assicura che i devianti, reali e potenziali, rimangano dentro le definizioni istituzionalizzate della realtà. L’annichilazione nega la realtà di qualunque fenomeno, o interpretazione di qualunque fenomeno. Nel 1793 Pinel, che è una figura di primo piano nell’ambito del movimento della Rivoluzione francese, propone il trattamento umanitario degli internati nei manicomi. Nel 1793 è nominato direttore del più grande manicomio di Parigi, la Bicetre dove libera i pazienti incatenati alle pareti e li tratta come esseri umani. Pinel è convinto della funzione della compassione/comprensione, della dignità ed è convinto che la malattia mentale sia prodotta da gravi problemi di ordine sociale e personale. Dalla fine del 1700 e per tutto il 1800, in Francia e in Austria si incomincia a pensare che la malattia mentale sia la risultante di una disfunzione organica e psicologica. Franz Anton Mesmer, medico austriaco, ritiene che i disturbi mentali siano causati dalla particolare distribuzione di un fluido magnetico universale presente nel corpo. Charcot sposa la tesi somatogenica di Ippocrate, ma quando alcuni suoi allievi gli mostrano che è pos30

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sibile provocare sintomi sperimentali tramite l’ipnosi, cambia opinione ed inizia ad interessarsi agli aspetti psicologici di certi sintomi. Lo psichiatra Emil Kraepelin, nel 1898, definisce la schizofrenia, per la prima volta, come dementia praecox. Il termine dementia praecox è composto da due sostantivi: praecox che sottolinea l’esordio e dementia che connota il deterioramento intellettivo. Kraepelin cataloga tra i sintomi principali della dementia praecox le allucinazioni, i deliri, il negativismo, la difficoltà a focalizzare l’attenzione, il comportamento stereotipato e le disfunzioni emozionali. Eugene Bleuler è il primo a usare il sostantivo schizofrenia, che deriva dal greco schìzein (diviso) e phrén (mente). Per Freud il delirio è il risultato di una mancata traduzione di una parte del materiale della storia individuale che provoca una rimozione che lascia un “vuoto” dentro il quale si depositano pezzi del passato non trascritti, non elaborati. Il vuoto si manifesta nel presente con la coazione a ripetere e col tentativo di controllare i conflitti passati non risolti: il delirio è il tentativo fallito di tradurre se stessi nel presente. Nel delirio si depositano preoccupazioni e interessi al di fuori del presente, alterando il normale scorrere del tempo. Il futuro è stravolto perché è un semplice prolungamento del presente inaccettabile, avvertito come permanente. Il passato, allo stesso tempo, non è storicizzato, dato che il rimosso è ancora carico della scarica energetica, non essendo elaborato continua a convivere col presente. Il delirio è costituito da un insieme di idee deliranti ed è più o meno sistematizzato e coerente. L'idea delirante è un errore di giudizio in cui è alterata la coscienza della realtà, è un’elaborazione psichica mostruosa che contamina diverse funzioni psichiche perché nasce da un turbamento dell'ideazione, del giudizio, 31

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dello stato d'animo, della percezione. Il delirio modifica la struttura psichica e la condotta del soggetto e si accompagna ad uno stato più o meno accentuato di autismo. Per Freud, la distinzione nevrosi/psicosi si attenua se si coglie in entrambe una collisione con la realtà effettiva ed un tentativo di sostituzione, con una distinzione: la nevrosi lavora ancora simbolicamente con i dati di realtà, la psicosi opera ad un livello nel quale le capacità simboliche sono abolite. Nel delirio J. Lacan denota la perdita di capacità simbolica e il predominio di automatismi significanti. La psicoanalisi lacaniana come, sotto altri aspetti, quella bioniana, porta alla luce la catastrofe consustanziale di struttura della soggettività e della simbolizzazione. Per Bion manca al delirante un “apparato per pensare”, per cui le sue affermazioni sulla realtà non sono conoscenze ma “pensieri senza un pensatore”. Per la fenomenologia il delirio, come fenomeno isolato, è un’astrazione artificiale perché il delirio è una modificazione globale dell’esperienza. Per Jaspers ripensare il delirio vuol dire rifarsi all’esperienza delirante, all’esperienza dischiusa e rivelata dall’esistenza dei deliri. Esperienza o Erlebnis (vissuto) è la parola chiave della fenomenologia, che è irriducibile al senso comune della psico-logia (logica narrabile della psiche). Per la fenomenologia, il passare dal concetto di errore di giudizio a quello di esperienza, significa spostare i fondamenti dalla questione verità/non verità e realtà/irrealtà: per la fenomenologia non è possibile una psicologia dei deliri, salvo cadere nell’errore di trattarli come qualcosa di reale e oggettivo. Per Tatossian la realtà, con la quale il delirante deve confrontarsi, è la “realtà” vissuta e pensata. La realtà pensata induce forti modificazioni affettive sulla sfera intersoggettiva, introducendo 32

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delle conoscenze con un effetto di ostacolo sull’attività pratica. Per il delirante la realtà è quella del delirio, mentre la realtà condivisa è qualcosa di falso. Lo stabilirsi di convinzioni deliranti, cioè di un sistema di idee che il soggetto condivide senza ombra di dubbio con se stesso, rappresenta una sorta di “guarigione”. La fenomenologia ricerca degli atti che costituiscono con la realtà l’esperienza di sé e l’esperienza di essere sé; a questo livello emerge un’ulteriore distinzione come sostiene Storch, quella tra apparenza e apparizione che è in effetti un “apparenza illusoria”. Storch afferma il carattere ontologico di apparenza del delirio. Tatossian è convinto che le psicosi siano degli stati mentali nei quali è più radicale la trasformazione dell’organizzazione della soggettività. Per Tatossian la coscienza umana (la mente umana) può accedere ad una costituzione della realtà oggettiva (comune), perciò è necessaria una “doppia vita del soggetto trascendentale”, vale a dire una distinzione tra coscienza costituente (la realtà) ed uno “spettatore fenomenologizzante” che la riconosca come tale. Il delirante è un soggetto non più identificabile empiricamente, ma è una soggettività senza soggetto, o un “soggetto senza Io (Moi)”. Il delirante “non corregge i suoi giudizi ma non può correggerli”. La coscienza delirante non solo si inganna sul mondo, ma anche su se stessa perché i contenuti del suo delirio sono in realtà dei temi neutri per quanto riguarda il loro valore di realtà, meri e contingenti effetti dell’“attraversamento” biografico dell’ego psicologico. Ciò che manca alla coscienza delirante è la capacità di capire che l’evidenza dei suoi oggetti non equivale alla loro realtà, né alla loro verità. Tatossian insiste a più riprese sull’“apragmatismo” dei deliranti che, quando passano all’atto sulla base dei loro vissuti 33

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lo fanno perché si sbagliano sulla natura dei propri oggetti, attribuendo loro valore di realtà e quindi di “motivi adeguati di azione”. Per la fenomenologia i deliri non sono altro che attività patologiche del pensiero e, come tali, veri e propri vasi di Pandora inerenti la vita psichica, concomitanti a vari gradi di assenza di insight. Per Rümke i deliri sono sempre fenomeni secondari, anche quando psicologicamente appaiono primari. La tematica delirante può essere preceduta da una modificazione più o meno rapida, di trasformazione dei modi usuali di percepire, decodificare la realtà. Per Salomon Resnik la fenomenologia del delirio permette di costruire un confronto tra la concezione delirante del mondo e il principio di realtà e permette di approfondire il significato del reale, della realtà e della irrealtà.

1.3 Nosografia attuale L’attuale nosografia costruisce una classificazione dei deliri in base al contenuto specifico: deliri di persecuzione, delirio di riferimento, delirio di gelosia o zeloptico, delirio mistico, deliri depressivi, deliri di grandezza, delirio somatico, deliri di trasformazione, delirio bizzarro, delirio di interpretazione. • Il delirio di persecuzione si fonda sulla convinzione del delirante che l’ambiente è ostile. Il delirante è convinto che lui o qualcuno a lui vicino è oggetto di minacce, aggressioni, molestie, inganni, persecuzioni da parte di singoli o di gruppi: colleghi di lavoro, organizzazioni politiche. Il delirio di persecuzione si divide in ulteriori sottoclassi: - nocumento, convinzione delirante di essere osteggiato o danneggiato da “tutti”; - veneficio, convinzione delirante di attentato alla pro34

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pria vita tramite avvelenamento; - delirio di influenzamento o di controllo, convinzione delirante che il proprio pensiero e/o il corpo siano “agiti” dall’esterno; - delirio di inserimento, il delirante è convinto che alcuni dei suoi pensieri gli siano imposti da una forza esterna; - querulomania, caratterizzata dall’instancabile coinvolgimento del delirante in controversie giudiziarie interminabili, che prendono spunto da un torto subito, reale o immaginario, ma che presto assumono un’importanza eccessiva rispetto all’offesa patita e assorbono interamente le energie del delirante che si dedica con accanimento e a qualunque costo (fino al crimine) alla difesa del suo onore, dei diritti e alla ricerca di una riparazione adeguata al danno che ritiene di aver subito; - delirio di trasmissione del pensiero, il delirante è convinto di esprimere inconsapevolmente i propri pensieri a voce alta, o comunque che gli altri possano percepirli; - sindrome di Capgras o illusione del sosia, il delirante è convinto che se stesso o familiari siano stati sostituiti da altre persone che, come impostori, ne assumono ruolo e comportamenti. Nel delirio di riferimento l’oggetto del delirio è la convinzione che situazioni, oggetti, persone, fatti o avvenimenti assumano un particolare insolito significato allusivo, riferito in genere alla propria persona. Il delirante si convince che gesti e commenti degli altri, passi di libri o giornali, testi di canzoni, trasmissioni televisive o radiofoniche gli 35

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siano rivolte direttamente. Il delirio di gelosia o zeloptico si fonda sulla convinzione e certezza che il proprio partner sia infedele. Il delirante tenta in ogni modo di strappare la confessione al partner e attua rimedi contro la sua supposta infedeltà restringendone l'autonomia o assoldando investigatori. È ossessionato dal ritrovamento di indizi che potrebbero provare l’infedeltà del partner e quindi può anche essere violento nei confronti del partner o del presunto amante. Nel delirio mistico l’oggetto riguarda il sacro e l'identificarsi con la divinità. Nel delirio depressivo l’oggetto riguarda le angosce esistenziali primordiali. Il delirio depressivo si divide ulteriormente in sottoclassi: delirio di colpa o autoaccusa, che implica la convinzione delirante di avere compiuto gesti riprovevoli e imperdonabili; delirio di rovina, convinzione delirante di essere economicamente rovinato; delirio di negazione, nichilistico o sindrome di Cotard, è la convinzione della non esistenza di sé, o di una parte di sé, di una parte del proprio corpo oppure degli elementi del mondo circostante. I deliri di grandezza sono basati sulla convinzione delirante di possedere doti particolari, in relazione ad un’esagerata autovalutazione: ricco, potente e al di sopra di tutti. Si suddividono in: erotomania o sindrome di Clérambault, è la convinzione delirante di essere in possesso di straordinarie attrattive sessuali oppure di essere amati, più o meno segretamente, da una persona di livello sociale o culturale superiore (spesso di una celebrità); delirio di potenza, il delirante si identifica in personaggi storici o contemporanei a cui è associato uno stereotipo di poten-

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za, influenza o ricchezza; delirio genealogico, dove il delirante è convinto di discendere da qualche personaggio illustre; delirio inventorio, con la convinzione di produrre invenzioni di notevole portata. Il delirio somatico riguarda aspetti corporei e si suddivide in: delirio ipocondriaco, il contenuto è rappresentato dalla convinzione di soffrire di una grave malattia fisica, in alcuni casi, di essere condannato a morte sicura; dismorfofobia delirante, è la convinzione delirante di avere parti del corpo deformi, estremamente malfunzionanti o di possedere un’alterazione morbosa del proprio corpo in assenza di qualsiasi lesione o alterazione somatica obiettivamente rilevabile; delirio di infestazione o zoopatico, è la convinzione di essere infestati da insetti o parassiti a livello cutaneo; delirio olfattorio, è la convinzione di emettere un cattivo odore dalla pelle, dalla bocca, dalla vagina o dall’ ano; sindrome di Koro, è la convinzione che il pene diminuisca progressivamente di dimensione fino a sparire nell'addome. Nei deliri di trasformazione l’oggetto delirante è la convinzione della modificazione del proprio corpo o dell’ ambiente esterno; delirio zooantropico, è rappresentato dalla convinzione di trasformarsi in un animale o che alcuni organi del corpo si stiano tramutando in quelli di animali; delirio di trasformazione cosmica, è la convinzione di trasformazione dell’ universo esterno. Nel delirio bizzarro il delirante aderisce ad un sistema di credenze considerate totalmente non plausibili all’ interno della propria cultura di riferimento. Il delirio di interpretazione (Serieux e Capgras) è una sorta di “follia ragionante” che porta ad attribuire, con 37

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apparente lucidità, un significato delirante, che può essere persecutorio, mistico o di altro tipo, ad ogni evento e ad ogni aspetto della realtà. L’attuale classificazione nosografica però non tiene in conto la dimensione del come si struttura il narrato del delirante e come questo atto del narrare si manifesti e interagisca. È possibile distinguere il narrato del delirante come un fenomeno caratterizzato da una componente cognitiva (temi-pensieri) e una psicofisiologica (allucinazioni). Il delirio può manifestarsi con il prevalere dell’una o dell’altra oppure di entrambe le parti. Il delirio, secondo i sistemi di classificazione diagnostica attuali, è un disturbo caratterizzato da costruzioni mentali che mancano di nesso con i fatti reali, non correggibili razionalmente dal delirante in base all'esperienza e alla critica. Il delirante non relaziona la rappresentazione della realtà con le sue rappresentazioni mentali.

Tematica delirante

Allucinazione psicofisiologica

Comportamento disfunzionale

Fig.1 – Dinamica dell’interazione tra tematiche deliranti e allucinazioni

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