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Punti di Vista
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ALESSANDRO BRUNI
MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE
L’accoglienza familiare tra teoria e pratica
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Prima Edizione: 2011 ISBN 9788889845431 © 2011 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Marzo 2011 in Italia da Arti Grafiche Picene Srl Maltignano (AP) per conto di Edizioni Psiconline (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)
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A Giovanna, per l’incanto di una vita vissuta assieme
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INDICE
Premessa 1. 2. 3. 4.
Lo scopo del lavoro Metodo di indagine Titolo e struttura del libro Ringraziamenti
I. Dalle idee ai modelli teorici e contestuali dell’accoglienza familiare
11 11 14 16 16
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Le ragioni interiori dell’accoglienza familiare Il ruolo e gli strumenti del servizio sociale La tutela dei minori L’affidamento consensuale e giudiziale L’adozione Le proposte e le sperimentazioni Le scienze dell’accoglienza familiare I supporti sociali all’accoglienza
19 24 26 30 36 41 46 47
II. Dal sapere al saper fare nell’accoglienza
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1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
1. 2. 3. 4. 5.
Lo sviluppo ecologico della famiglia Lo sviluppo cognitivo del bambino Lo sviluppo emotivo del bambino Le tappe evolutive del comportamento sociale del bambino I principali strumenti da usare nell’accoglienza • Primo strumento. Fare buon uso della psicologia • Secondo strumento. Fare buon uso degli psicologi • Terzo strumento. Fare buon uso degli assistenti sociali • Quarto strumento. Fare buon uso della psicometria • Quinto strumento. Fare buon uso della comunicazione visuale • Sesto strumento. Fare buon uso dei segnali inconsci
53 62 63 66 71 72 74 79 81 84 86
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PUNTI DI VISTA • • • •
Settimo strumento. Fare buon uso dell’educazione ai sentimenti Ottavo strumento. Fare buon uso dell’educazione al pensiero Nono strumento. Fare buon uso della meta-formazione familiare Decimo strumento. Fare buon uso del sostegno sociale
III. Aspetti psicosociali dell’accoglienza 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Il metodo L’agire individuale e l’agire collettivo L’agire autoritario e l’agire autorevole Esiste una filosofia dell’accoglienza? Essere genitori tra sociologia e psicologia La cultura e la pratica dell’accoglienza familiare La resilienza familiare
IV. Gli attori dell’accoglienza 1. 2. 3. 4. 5.
Primo attore: la famiglia naturale Secondo attore: il bambino Terzo attore: la famiglia affidataria Quarto attore: la famiglia adottiva Quinto attore: la coralità, le famiglie che aiutano famiglie
V. L’educazione socio-affettiva nel minore accolto 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Cronologia delle tappe evolutive del bambino Il disagio affettivo nell’adolescente Il crogiolo familiare La sofferenza del bambino Le relazioni dell’adolescente Come sviluppare l’intelligenza emotiva e connettiva Come progettare l’educazione affettiva dei bambini Come far funzionare una famiglia accogliente in modo efficace
VI. L’educazione al pensiero nell’accoglienza 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Come sviluppare nel figlio l’atteggiamento ad apprendere Conoscere il bambino accolto La pedagogia nell’accoglienza Educare alla felicità Educare alla qualità Educare all’attesa
VII. Le dinamiche pedagogiche nell’accoglienza 1. 2. 3.
8
La pedagogia per il minore accolto La programmazione educativa La pedagogia quotidiana familiare
88 91 94 96
99 102 107 107 109 111 116 120
125 128 131 133 143 148
153 154 162 167 173 176 178 182 184
191 194 203 203 205 206 208
213 215 218 224
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MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE 4. 5. 6.
La costruzione delle competenze e dei modelli mentali nel minore Qual’è il modo migliore per educare allo studio? Pedagogia della cognizione e della meta-cognizione
VIII. Alcune storie di accoglienza per riflettere 1. 2. 3.
Analisi degli esiti: i successi Analisi degli esiti: le incertezze Analisi degli esiti: le sconfitte
227 234 235
239 239 249 257
Epilogo
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Bibliografia
273
Sitografia
281
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PREMESSA
1. Lo scopo del lavoro Questo libro nasce nel tentativo di esplorare l’accoglienza familiare nelle diverse forme attuate nella società italiana contemporanea. Prende origine dal desiderio di dare restituzione ad una esperienza composita e complessa praticata da famiglie e operatori che assume più il significato di un cammino, di un percorso, che di un traguardo raggiunto. Nelle intenzioni questo libro non vuole essere un report psicosociale, o un resoconto scientifico, come quello condotto da Bramanti1, ma piuttosto una relazione esperienziale di vissuto interiore con una lettura dei fatti nell’ottica della famiglia che percorre un cammino di alterità partendo dalle sue motivazioni iniziali. Questo sta a significare che non mi voglio disporre come lo studioso che affronta il tema con un presupposto di neutralità (ammesso che sia possibile essere neutrali su questo argomento tanto ricco di riferimenti al proprio vissuto), ma come persona coinvolta nei fatti, nelle emozioni, nei sentimenti, negli affetti, nell’impegno sociale. Non voglio portare una testimonianza, ma una interpretazione di conoscenza emotiva e scientifica. Per questi presupposti cercherò di chiarire la dicotomia tra elemento osservativo e elemento teorico, tra elemento agito e elemento vissuto, nella consapevolezza che ogni esperienza di accoglienza familiare sia un divenire continuo dove il rimodellamento (anche personale) non risparmia nemmeno chi dovrebbe esserne il custode, cioè gli operatori psicosociali. La definizione di partenza di questo ragionare è la seguente: la famiglia accogliente si fonda su un rapporto di lealtà verso la società nella consapevolezza della sua rilevanza sociale nell’affrontare il disagio minorile e l’abbandono2. I cardini del processo 1 Bramanti D. (1991), Le famiglie accoglienti. Un’analisi socio-psicologica dell’affidamento familiare. Angeli. Milano. 2 È necessaria una precisazione. Nel testo si useranno i termini accoglienza e affido in modo generico poiché l’affido familiare è un particolare tipo di accoglienza di minore, ma al contempo nel linguaggio comune si parla di affido anche nel caso di appoggio diurno e di affido anche nel caso di accoglienza di minori in strutture di comunità familiari. Si lascerà alla situazione specifica la terminologia precisa di riferimento e per non appesantire il discorso si adotterà una terminologia generalista per affido e accoglienza di minori usando ora l’uno ora l’altro dei termini e attribuendo ad essi lo stesso significato, salvo specifica precisazione.
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PUNTI DI VISTA accogliente, nell’adozione (che coinvolge la famiglia e il minore per tutta la vita) come nell’affido (che coinvolge due famiglie, quella naturale e quella accogliente, per un tempo limitato), sono legati all’intreccio di fiducia e di rispetto che consentono, se vissuti in equilibrio, di offrire risposte formative ai minori in difficoltà o in abbandono. Tuttavia, voglio anche tentare di esplorare altre forme di accoglienza quali quelle espresse da famiglie che aiutano famiglie o quelle espresse da associazioni che operano verso famiglie in difficoltà nella formazione ed educazione dei figli. Dopo l’entusiasmo delle prime applicazioni della legge 184/1983, le posizioni di associazioni di famiglie accoglienti, assistenti sociali e psicologi sono oggi più caute, fondate su minore trasporto emotivo e maggiore senso della realtà sul piano sia dei coinvolgimenti personali degli operatori, sia dell’operatività professionale e gestionale che l’adozione e l’affido etero-familiare comporta. Sul piano comunicativo e psicosociale la definizione dell’accoglienza etero-familiare ha seguito il processo consueto di qualsiasi avvenimento di rilevanza sociale nella nostra società. La comunicazione informata ha preso la via della massificazione lasciando spesso per strada i cardini delle motivazioni interiori e della gestione enfatizzando solo l’aspetto più empatico dell’accoglienza di minori. Le diverse iniziative mediatiche basate su interviste o testimonianze hanno spesso banalizzano, in un prospetto zuccheroso, un cammino che è sempre irto di difficoltà, di impegno, di continua revisione e soprattutto di grande disponibilità mentale e di tempo (oggi merce rara). Un altro punto cruciale che approfondirò è la volontà di sradicare l’opinione che le famiglie adottive e affidatarie siano “famiglie speciali”3 oppure che siano “super famiglie”4, oppure che siano famiglie “da prendere come esempio”5. In un’epoca consumistica di omologazione sociale parlare di valori gratuiti della famiglia assume un’aura utopica che fa sembrare speciale ciò che è solo una scelta di vita, come lo è andar per montagne o correre la maratona6. Non è quel che si fa che è significativo, ma come lo si fa, con piena coerenza di relazione tra se stessi e gli altri e con piena accettazione dell’ambiguità che ogni nostro fare comporta. Anche la scelta dell’accoglienza ha la sua buona dose di ambiguità che non va taciuta, ma esplorata nell’accettazione dei determinanti più umani della gratificazione personale o sociale7.
3 Sono solo famiglie non anonime con un proprio motore interno, come ne esistono tante per loro scelta esistenziale etica, religiosa o sociale. 4 Il che racchiude il tentativo di emarginazione: voi lo potete fare perché siete tanto bravi! Si dimentica, o si vuole dimenticare, che conducono solo un’esperienza particolare, come particolare è la famiglia che accudisce un parente o un amico disabile o ha una qualsiasi attività sociale, politica, associazionistica o parrocchiale. 5 Nuovo tentativo inconscio di ghettizzazione sociale, quasi che l’essere regolata da affetti e da impegni genitoriali costituisca de facto una eccezionalità. Di qui la domanda provocatoria che esploreremo: la famiglia affidataria è patologica? 6 Ho un amico che ha fatto del correre lo scopo della sua vita. Potrei “catalogarlo” come un maniaco, come un salutista illuso, come un egoista-edonista, o altro, mentre è solo una persona che ha scelto una via di dialogo interiore tra mente e corpo che in lui ha determinato la formazione di una persona sensibile ed equilibrata, tutto qui e niente più. In altri avrebbe potuto determinare una deriva maniacale, una ricerca spasmodica dell’eterna giovinezza o della smania di essere primo. 7 Nel senso che l’accoglienza non è solo agape e non è sempre basata sul puro altruismo: ecco un punto che si cercherà di approfondire.
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MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE Il presente lavoro è uno sforzo volto a integrare l’approfondimento delle scienze psicosociali con i metodi e le prassi di gestione di bambini, famiglie e servizi socio-psicologici coinvolti nelle esperienze di accoglienza di minori. Non si tratta, va detto, di voler dare lezioni o di formulare giudizi di efficienza operativa; né di essere tanto supponenti da pretendere di rinnovare la psicologia e la sociologia dell’accoglienza familiare incorporando in essa la propria visione esperienziale. Se, ad esempio, la gestione degli affidi familiari deve essere rinnovata, spetta a assistenti sociali e psicologi farlo, a loro rischio e a loro onore. Tuttavia, mi pare naturale contribuire con un vissuto di conoscenza ed approfondimento esperienziale (che non è solo testimonianza) da parte di quelle persone che hanno avuto un’esperienza umana tanto coinvolgente. L’ambizione è quella di contribuire al ripensamento di concetti e di prassi, rettificandone la comprensione con una informazione che nasca dall’interno procedendo controcorrente nell’analisi degli attori dell’accoglienza senza gerarchie di valore, ma con differenze di ruoli, senza i pregiudizi di esaminatori e di esaminati, ma con differenze di responsabilità condivise, e soprattutto senza fare della gestione la centralità dell’accoglienza perché la centralità dell’agire spetta al minore e al suo diritto umano. Se in alcune parti del lavoro si è posto il problema in una prospettiva psicologica, sociologica o pedagogica, è unicamente per motivi di maggiore chiarezza e di approfondimento interiore. La conoscenza anche specifica appartiene a chiunque la cerchi, sebbene sia professione solo di alcuni. Si tratta, quindi, di mettere a confronto le tesi della conoscenza teorica con quelle della conoscenza esperienziale in modo concreto e diretto, senza altri fini se non quelli di meglio conoscere la realtà dell’accoglienza familiare8. Negli ultimi dieci anni dall’applicazione della legge (L.328/2000, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, e precedenti leggi sull’adozione e sull’affido) abbiamo assistito ad uno sviluppo del volontariato dell’accoglienza, a metà tra aspetto individuale e collettivo, che ha raggiunto livelli di alta ambiguità. Le famiglie accoglienti sono uscite dal loro privato di sicurezze per aprirsi ai minori in disagio con risultati da un lato di notevole valore e dall’altro con risultati inferiori alle attese e talora con effetti contrari alle intenzioni. Governare l’accoglienza nel privato delle famiglie e nel pubblico delle istituzioni è cosa complessa, ma non impossibile. Sono necessari pochi strumenti, ma tutti indispensabili quali l’intima partecipazione etica e la vigile consapevolezza da parte sia della famiglia accogliente sia dei servizi sociali. Questo libro vuole essere uno strumento eminentemente pratico, ma scientificamente fondato, per offrire alle famiglie accoglienti, vecchie e nuove, e agli operatori sociali, vecchi e nuovi, motivi di riflessione sull’importante impegno sociale che hanno assunto.
8 Così come oggi si accetta che la storia della malattia non sia tracciata dalla sola medicina e dall’insieme dei malati “contenitori della malattia”, ma dai singoli individui affetti da quella patologia. Sono solo i medici più attenti alla loro vocazione professionale che esprimono aperture verso le esplorazioni interiori tra il normale e il patologico, come ha indagato Georges Canguilhem (Canguilhem G.(1998), Il normale e il patologico, Einaudi, Torino). Sono anche solo le associazioni dei malati che hanno posto questo problema affiancando allo studio medico anche l’esplorazione psicologica dell’esperienza individuale attraverso il cammino della malattia.
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2. Metodo di indagine a) Il problema del metodo Nelle scienze naturali, l’oggetto dell’osservazione è stabile, attendibile, e verificabile e questo consente di avere conoscenze scientifiche certe e dimostrabili. In sociologia e in psicologia l’habitus critico è differente e differente è il senso che si dà alla scienza attraverso i suoi metodi di indagine. Psicologi e sociologi sanno perfettamente che le indagini sull’uomo sono sempre parziali, provvisorie, problematiche: questa consapevolezza li porta spesso a rifiutare lo scientismo, ovvero la pretesa di offrire un sapere unico, completo, definitivo del comportamento umano. Questo approccio culturale ha sempre determinato nelle famiglie un certo imbarazzo soprattutto nel momento in cui uno psicologo di fronte ad una situazione dava una interpretazione dei fatti differente (talora molto differente) rispetto a quella fornita poco prima da un altro collega. Le famiglie accoglienti dovrebbero prima di tutto comprendere che la psicologia e la sociologia sul piano culturale “tentano” di offrire un quadro scientifico di riferimento, ma, proprio per l’impossibilità di “decifrare” tutti gli elementi che presiedono al comportamento umano, il quadro non è fatto di certezze, quanto piuttosto di probabilità. Questi assunti di partenza sono difficilmente opinabili sul piano della metodologia di ricerca sociologica o psicologica, ma trovano difficile comprensione nei non addetti ai lavori sul piano applicativo. Il mio personale habitus critico è naturalistico, proprio delle scienze esatte e prevedibili, dato che la mia formazione culturale è scientifica. Nell’affrontare questo impegno di analisi e di interpretazione delle esperienze di accoglienza “dall’interno” e quindi nell’affrontare la stesura di questo libro, ho dovuto affrontare in primis la scelta di un metodo di indagine che tenesse conto non solo della mia personale impostazione, ma soprattutto delle prerogative culturali espresse da sociologia, antropologia, pedagogia e psicologia nell’applicazione delle esperienze di accoglienza. Concludendo, il metodo di indagine ritenuto più adatto allo scopo di questo lavoro si basa per la parte esperienziale sull’osservazione partecipante sia nei gruppi di pari (famiglie accoglienti) sia nei gruppi misti (famiglie naturali ed operatori). Sul piano sociopsicologico l’indagine si basa soprattutto sull’osservazione e rilevamento dei fenomeni e sulla elaborazione teorica degli stessi avendo come riferimento il metodo dell’osservazione partecipante connesso con il metodo longitudinale. Il primo è risultato utile per elaborare i dati emotivi e comportamentali, il secondo per valutare il mutamento delle situazioni nei minori, nelle famiglie naturali ed affidatarie, nella famiglia adottive e nel servizio sociale nel periodo di oltre 25 anni di osservazione.
b) Il problema della raccolta delle esperienze Il mio presupposto di partenza è l’analisi di esperienze vissute sulle quali basare le riflessioni. La raccolta delle esperienze è avvenuta in situazioni differenti e in contesti regionali differenti. Per la massima parte si riferiscono ai contatti con famiglie accoglienti e con operatori dell’area padana orientale, ma buona fonte sono state esperienze del basso Piemonte, dell’area marchigiana, della Calabria e della Sicilia orientale. Una
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MANUALE PER FAMIGLIE CONTROCORRENTE base geografica che ha espresso metodologie e interpretazioni del lavoro di tutela assai diverse, ma diverse sono state anche le reazioni e i convincimenti espressi dalle famiglie accoglienti sia sulla base della loro formazione sia sulla base del contesto sociale in cui vivevano. Su questo vissuto si innesta l’esperienza di condivisione con i numerosi psicologi ed assistenti sociali conosciuti, nonché la frequentazione di convegni e di corsi di aggiornamento per operatori. Questi ultimi soprattutto mi hanno permesso di essere osservatore esterno e di mettere a confronto il comportamento dell’operatore nella sfera professionale di lavoro e il suo comportamento nel riferire le situazioni nel confronto con i colleghi a livello regionale o nazionale. Questi dati nell’insieme mi hanno portato a svolgere uno studio “a ritroso” delle ricerche teoriche e pratiche proprie della letteratura psicologica e sociologica in materia9. Le storie, i fatti o i riferimenti che vengono riportati sono tutti veri, ma ovviamente sono stati svuotati di qualsiasi possibilità di identificazione. Nel riferire ho cercato di riportare le storie nel loro contesto per evitare di trasmetterle in modo riduttivo o semplicistico. Mi sono, in definitiva, attenuto a presentare la complessità in cui si deve agire e non ad estrapolarla dal contesto per mettere meglio in evidenza le coerenze con quanto teoricamente ipotizzato. Il lettore avrà cosi la possibilità di valutare ed esercitare il suo spirito critico e la sua capacità di analisi non necessariamente riconoscendo la mia come univoca.
c) Il problema delle scelte Il lettore attento noterà una certa prevalenza di esperienze di affidamento familiare rispetto alle adozioni. Non è dovuto ad una scelta di metodo, ma semplicemente ad una oggettiva quantità minore di storie concluse in cui si potesse vedere un inizio ed una fine. Infatti, le famiglie che si rivolgono all’adozione sono numerose ed attive nella parte iniziale del loro cammino, ma poi completato l’iter dell’adozione ed avuto nella propria casa il minore tendono a chiudere i rapporti sia con il servizio sociale (che spesso non incentiva il collegamento a lungo termine) sia con le altre famiglie accoglienti. Anche i casi di accoglienze “speciali”, da quelle di bambini con disabilità a quelle di mamme con bambini o a quelle di famiglie che aiutano famiglie, sono numericamente poco elevati, ma essendo estremamente significativi sul piano simbolico e forieri di riflessioni più profonde ho indugiato nell’analisi. Una scelta è stata anche fatta sulla terminologia. L’adulto accogliente e il minore accolto sono stati riferiti come “genitore” e “figlio” anche se geneticamente e legalmente i genitori sono altri. Questa scelta è stata determinata dalla convinzione che nell’accoglienza (definitiva o temporanea) tra accogliente ed accolto si instaurano legami affettivi che sono di fatto paterni/materni e filiali. I “figli accolti”, anche se non hanno discendenza di sangue o di cognome, sono di fatto “figli d’anima” e come tali li ho descritti. Con gli affetti non si possono fare distinzioni sottili o forzose, a meno che questo non porti difficoltà ad una delle parti. Ritengo che in virtù dei sentimenti che l’accoglienza genera 9 Definisco questo uno studio a ritroso perché non parte dalla teoria per arrivare alla pratica, ma parte dalla pratica per arrivare alla teoria. È il classico percorso di chi vuole conoscere che differisce da quello seguito da chi vuole imparare.
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PUNTI DI VISTA ognuno abbia il diritto di chiamare l’altro come vuole, e ritengo che in cuor suo ognuno possa considerare l’altro come vuole.
3. Titolo e struttura del libro Il titolo può sembrare dovuto ad una distorsione accademica, ma in effetti ha tutt’altra ispirazione, come anche la struttura stessa del libro. Il libro di riferimento come titolo e struttura è il “Manuale completo del capomastro assistente edile” della Hoepli della fine degli anni ‘50, che ancora custodisco gelosamente e che sapientemente mescolava la conoscenza della teoria edilizia con le modalità dell’esperienza dell’arte muratoria10. Un genitore è un po’ capomastro: costruisce una casa per consegnarla ad un futuro che non gli appartiene, deve provvedere a mattoni e malta ogni giorno avendo la possibilità di influire limitatamente sul progetto e sull’utilizzo futuro della casa. Sa solo che deve costruirla solida per resistere alle intemperie e che il suo focolare deve provvedere al giusto calore dell’armonia e degli affetti.
4. Ringraziamenti Sono profondamente grato alle famiglie accoglienti dell’associazione Dammi la mano e agli operatori del servizio psicosociale di Ferrara per lo stimolo, la competenza e per avermi sempre dato motivi di riflessione e di revisione.
10 Astrua G. (1995), Manuale completo del capomastro assistente edile, Hoepli, Torino. Opera che nel 1995 era giunta alla 17a edizione.
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