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Gaia Borghi

Il Castrato di Romagna

A Imola Il Campanaccio è una classica trattoria rustica, calda e accogliente. Nel suo menu immancabili sono la piadina con i salumi locali, le paste fatta in casa e, soprattutto, la carne alla brace, castrato in primis, il principe della tavola romagnola. Con un grigliatore d’eccezione che di questa specialità conosce ogni segreto

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di Gaia Borghi

La grigliata del Campanaccio. «I o non sono un cuoco ma un semplice grigliatore». LUCIANO MONGARDI è il patron e responsabile-unico-super esperto della grande griglia del ristorante Il Campanaccio di Imola. Un locale storico situato sulla via Emilia, in questo comune che è sì in provincia di Bologna ma ha storia, tradizioni gastronomiche, accento e “sangue” della parte romagnola della regione. Ed è proprio la griglia, la carne alla griglia, la specialità del Campanaccio, che Mongardi e famiglia gestiscono dal 1971, quasi cinquant’anni d’onorata attività insomma. Iniziarono il fratello e il cognato rilevando il locale dalla gestione precedente, quella di un pittore imolese, TONINO DAL RE, che lo aveva aperto nel 1960, e le cui “tracce” restano ancora oggi alle pareti grazie ad un grande murales che celebra lo spirito delle osterie e la magia di Bacco.

Il Campanaccio è una classica trattoria romagnola, rustica, calda e accogliente, nel menu come nello stile e nell’arredamento, archi in pietra a vista, pentole in rame.

Una settantina di coperti, dimezzati in era Covid, e un piccolo e grazioso spazio all’aperto, perfetto per mangiare sotto gli alberi nelle calde giornate estive. La cucina, come ho accennato, è quella tradizionale della zona, con la pasta fresca “fatta in casa” dalle esperte sfogline capaci di dar vita a capolavori a base di uova,

La carne di castrato alla brace.

farina e mattarello che si chiamano tagliatelle, tortelloni, ravioli, strozzapreti, garganelli. «L’unica cosa che non facciamo da soli è il riso» mi dice Luciano.

Tra le minestre sono sicuramente da assaggiare gli Strichetti con lo scalogno di Romagna e il Prosciutto di Parma e il Gramignone condito con salsiccia, panna e funghi; in stagione, i piatti a base di tartufo o il menu dedicato al carciofo.

Per iniziare, però, non può mancare la piadina, sempre home made, da affi ancare al ricco tagliere di salumi locali, la coppa di testa, il salame, la salsiccia passita… Luciano si affi da da anni al Salumifi cio Capelli di Castel Guelfo (BO), «un’azienda a conduzione famigliare, non proprio a km 0 ma quasi, più o meno a km 10/20» dice sorridendo. E da ottobre a marzo tra gli antipasti si possono gustare anche i mitici ciccioli verdi romagnoli, aromatizzati leggermente con le foglie d’alloro, da affettare come la coppa di testa. Una vera e propria tipicità norcina locale, nella quale è oramai molto raro imbattersi a tavola.

«La stagionalità dei prodotti, degli ortaggi che accompagnano le carni e che usiamo per le varie preparazioni, per noi è fondamen-

tale» sottolinea Luciano, tanto che accanto ai classici in menu c’è sempre qualcosa di nuovo legato al periodo.

Tra Emilia e Romagna c’è di mezzo il castrato

Ma è nei secondi piatti che Il Campanaccio vanta notorietà e adepti, che accorrono a Imola per assaggiare tutto quello che fi nisce sulla brace e nel forno a legna, pizza serale compresa. «Una volta sono riuscito a far stare sulla griglia una “porzione” per trenta persone» prosegue Luciano, con il quale entro nel vivo della conversazione in tema “carni”, parlando di un altro dei simboli della tavola romagnola, anzi, della tavola «da Bologna a Faenza» puntualizza: il castrato. Come si legge in “Porci e porcari nel Medioevo. Paesaggio economia alimentazione” (a cura di MARINA BARUZZI e MASSIMO MONTANARI, Bologna 1981), ed è riportato dal sito Strada della Romagna (www.stradadellaromagna.it), “Nonostante la diffusione del pascolo suinicolo nella Valle Padana, i Romani mantennero la tradizione mediterranea dell’allevamento ovino e la netta separazione tra usi alimentari dei Romani e delle popolazioni padane (Galli) si rese ancora più evidente

A sinistra: Luciano Mongardi e la moglie Maria Grazia. A destra: gli arrosticini di castrato.

in epoca Medievale, dopo l’arrivo dei Longobardi.

L’attuale territorio emiliano, fi no a Bologna, fu inglobato nell’area dominata dai Longobardi, mentre la ‘Romagna’, che proprio in quel periodo fu identifi cata con questo nome a causa del persistere della tradizione romana, rimase all’interno dei territori bizantini. Alla frattura politica si accompagnò anche una diversifi cazione economica e degli usi alimentari che si è mantenuta fi no ai giorni nostri: l’Emilia è l’area suinicola per eccellenza, mentre in Romagna le carni di maiale si accompagnano a quelle di pecora, e di ‘castrato’ in particolare, che oltre Bologna sono praticamente sconosciute”.

Col termine “castrato”, castrè o castron in dialetto romagnolo, si designano sia l’agnello appartenente ad una delle razze specializzate da carne presenti sul territorio, come la Bergamasca o la Biellese, che ha subito il processo di castrazione in giovane età, sia il tipo di carne che da esso si ricava. La castrazione nel maschio si effettua prima della maturazione sessuale, “colpevole” della successiva durezza delle carni e del loro odore “forte”, mentre la femmina non deve avere ancora partorito. La macellazione avviene a circa due anni di vita, «quando l’animale è diventato molto grasso e quindi molto buono» commenta Luciano. Il “Castrato di Romagna” fi gura nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali.

Pranzo o cena a tutto castrato

«Io uso di solito busti ovini interi, di circa 45/50 kg di peso (80 kg circa peso vivo). Un animale grande così è il massimo della tenerezza e del gusto: in cucina ne consumiamo uno/uno e mezzo a settimana» prosegue Luciano Mongardi. «Sono un autodidatta, la carne la seziono e la preparo da me e della pecora non butto via nulla. Coi ritagli grassi ad esempio preparo gli arrosticini, a mano, più grossi di quelli che si mangiano di solito, oppure il ragù, un sugo “rosa”, con pochissimo pomodoro, da mangiare con gli strozzapreti, mai con la pasta all’uovo».

Il resto va tutto sulla griglia, dalla coscia di castrato, «molto magra, serve un fuoco veloce», alle costole, «belle grasse, vanno cotte bene, con attenzione», alla spalla, «un taglio da assaggiare, un po’ grassettino, che di solito si mangia in umido ma che alla brace risulta bello croccante e molto molto saporito». Il condimento per questa tipologia di carne è semplice: sale di Cervia, pepe, olio extravergine d’oliva e un pesto a base di erbe, alloro, rosmarino, salvia e aglio, messo sopra a crudo. Ad accompagnare il tutto verdure e patate sempre cotte nel forno a legna e, nella terra del Passatore, è d’obbligo un Sangiovese, meglio se di tipologia Superiore.

Chi non apprezza la carne ovina può optare per la grigliata con tutti i tagli del maiale, il galletto allevato a terra, spaccato a metà, marinato e speziato, il fi letto e la tagliata di manzo («uno dei nostri piatti forti») e la fi orentina. «Per il bovino scelgo carne di razza Piemontese o trentina che faccio frollare in un frigorifero per il dry age; la Romagnola non mi piace perché è troppo fi brosa» conclude Luciano.

E se di fi ne si parla, guai a dimenticare i dessert preparati da MARIA GRAZIA, moglie di Luciano, torte e dolci al cucchiaio, zuppa inglese, tiramisù. D’altronde si sa, non importa quanto tu abbia mangiato, c’è sempre spazio per il dolce.

Gaia Borghi

Ristorante Il Campanaccio

Via Emilia Ponente 40/1 40026 Imola (BO) Telefono: 335 6384918 Web: www.ilcampanaccioimola.it

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