8 minute read

Mediatori di bovini: l’Italia che resiste

Next Article
MEAT BOX

MEAT BOX

Un tempo erano diffusissimi, ora molto meno, ma gli spazi ci sono ancora, soprattutto per chi opera nella qualità

di Sebastiano Corona

Advertisement

Secondo gli esperti di Impresa 4.0, molte professioni del futuro al momento ancora non esistono e sono di diffi cile previsione. D’altra parte, ci sono mestieri in via di estinzione o che, essendo poco rispondenti alle esigenze attuali, si sono dovuti fortemente trasformare. Tra quelli che, nonostante la diffusione sempre più scarsa, sono ancora in essere, c’è il mediatore di bovini, una fi gura sempre più rara, ma ancora presente in alcuni ambienti legati alla nostra zootecnia. «Noi facciamo da intermediari tra gli allevatori e i grossisti o i macellai»: sentenzia DECIMO PILOTTO di Tombolo (PD). Il riferimento al comune non è casuale, poiché il piccolo paesino

veneto è considerato la capitale

dei mediatori di bovini. Un lavoro che qui si è tramandato di padre in fi glio, da almeno tre generazioni, certamente quello che nella storia recente ha dato i natali alla maggior parte dei professionisti del settore. Si tratta di una fi gura purtroppo sempre meno richiesta dal mercato, poiché le relazioni commerciali

Sul commercio di bovini, soprattutto francesi e dell’Est Europa, Tombolo, in provincia di Padova, ha costruito negli ultimi lustri la sua ricchezza e la sua fama, tanto da aver dedicato alla fi gura del mediatore un monumento dello scultore Romeo Sandrin e una piazza, la piazza dei Mediatori e del Commercio antistante il Municipio.

Scrive Fabiano Barbisan, consigliere regionale del Veneto, in un post sulla sua pagina Facebook: “Tombolo, già dall’800, era un paese di agricoltori che vivevano alla giornata. I Tombolani avevano la fama di ‘sapersi arrangiare’ e presto si arricchirono attraverso il commercio di bovini. Si racconta che a Tombolo si prestasse denaro, anche grosse somme, sulla parola e senza alcuna garanzia scritta. ‘Bati qua, che l’è toa’ è l’espressione tipica che rappresenta il rapporto fi duciario del tempo, per cui il commercio di vacche o maiali veniva regolarizzato attraverso una energica stretta di mano, spesso sostituita da un sonoro schiaff o a palmo aperto, per il quale qualcuno si dimostrava riluttante”.

attuali, in generale, tendono ad escludere l’intermediario, essendo i margini sempre più risicati.

«Il mediatore di bovini sopravvive però nei contesti in cui viene data alla qualità del prodotto fi nale un’importanza primaria, certamente superiore a quella del prezzo.

Il nostro è un lavoro tutt’altro che statico: giriamo infatti di stalla in stalla a visionare i capi, a parlare con gli acquirenti e con gli allevatori. Con questi ultimi collaboriamo sin dall’inizio nella scelta dei vitelli baliotti come dei broutards e per determinare le linee guida dell’alimentazione e del benessere in stalla, affi nché a fi ne periodo di ingrasso un certo risultato qualitativo sia garantito.

Dall’altra parte c’è l’acquirente che chiede una carne speciale e pregiata, un prodotto unico.

La rintracciabilità è fondamentale, ma i capi devono essere visio

nati per una scelta oculata. Anzi, è necessario seguirli sin dai primi giorni della loro esistenza, perché una carne eccellente è il frutto di un percorso che si costruisce nel tempo», precisa Pilotto, che aggiunge: «per questo non ho mai voluto abbandonare il mio lavoro.

Ho fatto anche altre esperienze soddisfacenti, sempre nel campo dell’intermediazione nella commercializzazione delle carni, ma mi mancava la quotidianità con l’allevatore. E alla fi ne ho preferito tornare a quello che facevo un tempo.

Per me il rapporto umano è fondamentale. Mi mancava la visita quotidiana alle stalle e ai macellai e così ho ripreso il mestiere alla vecchia maniera, come ormai facciamo in pochissimi in Italia».

Quella professione talmente basata sulla fi ducia che si chiude senza accordi scritti, né sulle condizioni, né sul prezzo. Una fi ducia suggellata dalla sola stretta di mano, che a Tombolo e dintorni vale più di un contratto nero su bianco. “Bati qua, fatto, dai fatto, che a l’è toa” è l’espressione tipica che nel ridente comune veneto vale più di ogni altra cosa.

Non è il solo in cui esistono mediatori di bovini, sia chiaro, ma è certamente quello che ha fatto la storia di questo mestiere. Già dall’Ottocento, essendo un paese di agricoltori e allevatori, i Tombolani che vivevano nell’ambiente, pur non essendo né commercianti di bestiame, né allevatori, si sono ingegnati per ritagliarsi un ruolo che sfruttasse la vocazione locale, inizialmente nella compravendita delle sementi, poi in quella degli animali.

La storia vuole che il mercato di Oderzo, in provincia di Treviso — uno dei più vecchi d’Italia, chiuso nel 2019 — fosse teatro di un incontro che si rivelò determinante per la vita di Tombolo. Un giovane caparbio e capace fu infatti notato in quel contesto da due commercianti veneziani di origine ebrea, che lo incaricarono di acquistare per loro conto diversi bovini. In breve conquistò la loro fi ducia e il lavoro aumentò notevolmente, al punto che il tombolano decise di chie

Due strumenti che hanno fatto parte del lavoro di “sensaro” (mediatore) tombolano: la forbice, dalla forma allungata e dalla punta all’insù utilizzata dal mediatore per “segnare” l’animale, e la bagulina (o baguina, bagoiina, bagolina).

dere l’aiuto di altri compaesani, formando così una folta squadra di mediatori. Fu solo l’inizio di una tradizione professionale che dopo qualche decennio riguardava la stragrande maggioranza della popolazione maschile locale.

Non a caso, dopo qualche tempo, i mediatori tombolani iniziarono a varcare il confi ne, alla ricerca di nuovi mercati: prima nei Paesi dell’Est Europa, Ungheria, Polonia, Iugoslavia, poi più a ovest, in Austria, Germania, Francia. È così che il nome di Tombolo è diventato importante nel mondo della compravendita di bovini.

A questo proposito, lo scrittore G IOVANNI COMISSO sosteneva: “era comune, a quei tempi, trovare uomini tombolani nei mercati di bestiame, intenti a darsi forti pacche sulle mani a sancire contratti anche di milioni, assistiti magari da un mediatore che, per poche lire, faceva da procacciatore di affari, notaio, avvocato e da giudice”.

Questa professione si diffuse in maniera talmente importante a Tombolo che nacquero numerose attività legate all’indotto della commercializzazione di carni, in par ticolare dei trasporti. Quel bestiame che un tempo veniva spostato a piedi, talvolta per decine di chilometri, venne in un se condo momento trasportato con i carretti e carrettoni trainati da ca valli da tiro, per poi arrivare ai camion. Non a caso Tombolo contava una decina di ditte di trasporto animali vivi e più tardi anche camion frigo.

Altre attività di trasporto persone nacquero conseguentemente, perché molti mediatori non avevano né mezzi, né patente di guida, ma era impellente la necessità di spostarsi nei dintorni per lavoro.

Il vecchio torpedone, per esempio, caricava sino a otto persone e questo permetteva di raggiungere i mercati di tutta la zona. Molti di loro lavoravano infatti in tutto il Nord Italia, da Modena a Ferrara, Vicenza, Oderzo, Padova, Montichiari, Cuneo, solo per citarne alcune città interessate.

Lo scopo era quello di far comprare vacche, torelli da vita, manzi e ogni altro tipo di bovino a piccoli o grandi commercianti e macellatori di tutta Italia.

Tombolo divenne per anni un importante centro per la compravendita dei bovini, frequentata da commercianti del settore che giungevano da ogni parte d’Italia. Tutto il paese per anni ha vissuto da attività direttamente legate alla mediazione o nell’indotto. Avere

un mediatore di Tombolo era un vanto per qualunque allevatore o commerciante in Italia.

La crescita del mercato fu veloce e importante così che molti mediatori, per poter soddisfare le richieste di importanti aziende anche di regioni vicine, si aggregarono, formando delle società sulla parola, formate da due o tre persone. Anni dopo, su questi presupposti, venne costituita la S.C.I., Società Commerciale Internazionale, una delle principali imprese europee di import - export di bovini dell’epoca.

Poi è iniziata la parabola discendente: nuovi meccanismi di commercializzazione dei prodotti alimentari, la tendenza ad eliminare ogni livello di intermediazione tra produttore e consumatore, un nuovo approccio al prodotto “carne” e alla relativa fi liera, l’importazione sempre più serrata. E, ultimo ma non ultimo, lo scandalo della cosiddetta Mucca Pazza, che ha segnato una pietra miliare nel mondo del bovino e che ha fatto la vita e la morte di molti soggetti a quel mondo legati.

Seppur si tratta di una fi gura professionale relativamente recente, la storia ci racconta che fi n dai tempi dei Romani esisteva un mestiere simile: non a caso lungo le rive del Tevere si radunavano contadini che portavano ogni genere di mercanzia, tra cui anche i buoi. Da qui il nome di Foro Bovarium, poi Foro Boario, cioè mercato dei buoi. E siccome si trattava di un baratto, non era raro che un soggetto terzo intervenisse per mettere d’accordo i due interessati.

Il sensaro ebbe poi un maggior ruolo col diffondersi delle fi ere e dei grandi mercati che si svolgevano in prossimità delle principali città, alcune delle quali risalgono addirittura al 1100. Il termine sensaro fu usato fi no a quasi metà dell’Ottocento e nel 1866 un Regio Decreto stabilì un codice commerciale e prese il nome di mediatore.

Lo si vede ancora aggirarsi tra i capi, negli allevamenti: profi lo ordinato, discreto, pulito. Un tempo una divisa lo rendeva inconfondibile: el camisoto eo spolvarin, un camice con 4 tasche, due normali e due fi nte, che permettevano di far passare le mani all’interno del camice per prendere i soldi, la penna, il blocchetto o altro. Poi i calzari in gomma, che servivano a non far imbrattare le scarpe di terra e sterco di animale e che facevano felici mogli e mamme.

Al seguito un altro attrezzo, la “bagolina” o “bagoiina”: un bastone di colore giallo ocra, indistruttibile, fatto artigianalmente con il legno di una pianta, che serviva per proteggersi dai bovini e per guidarli. E ancora le caratteristiche forbici dalla forma allungata e con le punte all’insù. Servivano per “segnare” la bestia con le iniziali proprie o dell’acquirente o per conferirgli altri segni particolari di riconoscimento. Poi, per lo stesso motivo, c’era un gessetto, il boro, a formare una patina di colori diversi che non si confondesse sul manto dei bovini.

Oggi il mediatore è una fi gura che si muove prevalentemente ai margini, ma opera nell’ambito dei percorsi di fi liera controllata, delle razze più pregiate, svezzate, allevate e ingrassate con un processo alimentare fortemente controllato, nel rispetto dell’ambiente e del benessere animale.

Una fi liera totale, che comprende in un secondo momento la macellazione, le frollature altamente professionali e infi ne l’offerta al dettaglio.

Molte cose sono cambiate nel tempo, ma il mediatore è rimasto un professionista competente e informato e soprattutto onesto, perché, ora come allora, la fi ducia e la stima sono doti fondamentali per chi vuole operare in questo campo.

Sebastiano Corona

This article is from: