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L’acquacoltura è più sostenibile se integrata
L’acquacoltura è più sostenibile se integrata
Il progetto REMEDIAlife apre nuovi orizzonti per la Crescita Blu. Pesci, molluschi ed invertebrati: biorisanamento e IMTA per l’acquacoltura del Mediterraneo… E funziona davvero!
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di Michela Cariglia
Il 22 marzo è stata celebrata la Giornata mondiale dell’Acqua in questo 2021, Anno 2 dell’Era Covid-19, con un’attenzione particolarissima al recupero delle acque ed alla biorimediazione. IL PESCE ha approfondito il tema con un focus sull’acquacoltura ed il biorisanamento attraverso le pratiche di acquacoltura multitrofica integrata del progetto REMEDIAlife destinato a mutare l’acquacoltura del Terzo Millennio. L’essenzialità dell’acqua è così ovvia da passare, quasi, inosservata. A meno che…
Metti il Mar Grande di Taranto sullo Ionio, uno dei più sfruttati del Mediterraneo; metti una piccola impresa di acquacoltura tradizionale, pesci e molluschi, che decide di innovare; metti insieme due Università ed un polo CNR; individua l’obiettivo: migliorare l’ambiente dove si pratica l’acquacoltura e la qualità del mare. Applica il metodo di biorisanamento con gli invertebrati e i policheti intorno alle gabbie. Ed è produzione + sostenibile per imprese, ambiente, territorio, mare, diversificazione delle attività nuova occupazione e aumento della redditività.
Il problema della sostenibilità ambientale degli allevamenti e il biorisanamento con REMEDIAlife Gli impianti di maricoltura possono costituire un grande problema per l’ambiente. I pesci vengono allevati in modo intensivo in gabbie sommergibili localizzate in mare e i loro rifiuti, le deiezioni, non possono essere convogliati verso impianti di riciclaggio ed abbattimento come accade per quelli a terra. REME- DIAlife, acrononimo di “REmediation of Marine Environment and Development of Innovative Aquaculture”, è un progetto nato per sviluppare un metodo di riduzione degli impatti ambientali degli impianti di maricoltura con l’utilizzo di un nuovo set di organismi biorisanatori. L’innovazione consiste nel combinare policheti, alghe e spugne all’uso dei soli molluschi, creando contemporaneamente nuovo valore ambientale e economico.
Il progetto REMEDIAlife, coordinato dalla PROF.SSA ADRIANA GIANGRANDE, docente di Zoologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali (DISTEBA) dell’Università del Salento, in collaborazione con la sede di Taranto dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero CNR, il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e l’impresa Maricoltura Mar Grande s.c.a.r.l. — finanziato nell’ambito del programma LIFE Environment dalla Commissione europea per 2,48 milioni di euro per 54 mesi di attività, in corso dal luglio 2017 e terminante a dicembre 2022 —, traccia un modello replicabile e sostenibile di attuazione dell’acquacoltura multitrofica integrata (IMTA) tra specie eduli e non edibili attraverso l’integrazione di impianti di biorisanamento negli allevamenti a mare.
Partendo dal Mediterraneo, il metodo REMEDIAlife può declinare l’esigenza di sviluppo sostenibile dell’intero comparto perché, spiega a IL PESCE la prof.ssa Giangrande, «il progetto REMEDIAlife è nato per rispondere all’esigenza propria della maricoltura ed al rischio insito in quasi tutti gli impianti legato all’allevamento del pesce ed al ciclo dei rifiuti da loro stessi prodotti che con i residui del mangime vengono riversati nell’ambiente. L’accumulo dei rifiuti può causare eutrofizzazione, con un aumento anche della carica batterica e la possibilità di infezione per le specie allevate.
Il trattamento delle gabbie di allevamento poste direttamente in mare risulta molto difficile. Una soluzione potrebbe essere il passaggio dalla monocoltura alla policoltura di qui alla diffusione della pratica IMTA, che combina la coltivazione/allevamento di specie alimentate (pesci) con specie che si nutrono dei rifiuti di questi ultimi, sostanze organiche e inorganiche, per creare sistemi ecologicamente equilibrati».
La pratica IMTA e le opportunità di sviluppo sostenibile per il Mar Mediterraneo
L’acquacoltura multitrofica integrata è un modello molto flessibile che varia in base alle latitudini e oggi, su scala mondiale, trova applicazione soprattutto in Asia, negli Stati Uniti e nell’Europa del Nord per l’allevamento dei salmoni. Si è registrato un fortissimo aumento dell’applicazione dell’IMTA in seguito alla pandemia per i salmonidi del 2007 in Cile.
La consapevolezza dell’interazione tra ambiente ed allevamento ha indirizzato le produzioni verso pratiche che coniugano ambiente, benessere animale e redditività. Nel Sud Europa, più in generale nel Mediterraneo, questo approccio ha difficoltà a decollare, soprattutto per la coltivazione di macroalghe, ma anche per problemi di gestione ambientale e per una generalizzata mancanza di approccio bottom up alle politiche di pianificazione del settore pesca ed acquacoltura come parte integrante del sistema produttivo. Infatti, l’acquacoltura mediterranea, nonostante gli sforzi di alcune associazioni di categoria, del FEAP e di iniziative europee come la CGPM (Conferenza Regioni Periferiche Mediterraneo) o la West Med iniziative è, infondatamente, considerata una sorta di sub-settore tagliato erroneamente fuori dai big player che determinano gli orientamenti mondiali. L’opportunità di invertire la tendenza potrebbe venire proprio dall’applicazione su larga scala di metodi come quello proposto da REMEDIAlife per l’acquacoltura multitrofica integrata tra specie edibili e non.
ISAAC NEWTON diceva “Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano”: non ce ne voglia, aveva indicato la via maestra anche per la Crescita Blu, in un certo senso preconizzando i tempi di quella che una tematica propria del Green Deal, della Blue Economy e delle esigenze di sviluppo sostenibile del Pianeta, ma anche di identificazione di soluzioni applicabili e scalabili che generino reddito, valore aggiunto e nuove opportunità occupazionali.
Il contesto mondiale dell’acquacoltura ed i trend post Covid-19: la biorimediazione come volano
Il Rapporto sullo Stato della Pesca e dell’Acquacoltura Mondiale (SO- FIA), pubblicato a giugno 2020, e l’appendice relativa al Covid-19 di ottobre c.a., indicano chiaramente che nel 2030 la produzione ittica totale è destinata ad arrivare a 204 milioni di tonnellate, un incremento del 15% rispetto al 2018, con la quota dell’acquacoltura in crescita rispetto all’attuale 46%. Il trend di crescita è pari a circa la metà dell’aumento registrato nei dieci anni precedenti, il che si traduce in un consumo annuo di pesce che si prevede raggiungerà i 21,5 kg pro capite entro il 2030. Entro il 2050, si stima che la popolazione mondiale da sfamare sarà composta da 9,7 miliardi di persone. Nel 2018, l’acquacoltura rappresentava un mercato di 176 miliardi di dollari, maggiore del mercato delle carni bovine con una previsione di espansione del 4,5% annuo, raggiungendo i 220 miliardi di dollari nel 2022.
L’acquacoltura, in base al rapporto FAO, è il sottosettore alimentare in più rapida crescita e contribuisce a ben nove obiettivi del Sustainable Development Goal delle Nazioni Unite, in primis Fame Zero (Obiettivo 2) e Vita sottacqua (Obiettivo 14) ma anche Buona salute e benessere per le persone (Obiettivo 3), Energia pulita e accessibile (Obiettivo 7), Lavoro dignitoso e crescita economica (Obiettivo 8), Ridurre le disuguaglianze (Obiettivo 10), Consumo e produzione responsabile (Obiettivo 12), I cambiamenti del clima (Obiettivo 13).
Le acque e i rifiuti degli impianti di maricoltura costituiscono un problema per l’ecosistema circostante in quanto, trattandosi di gabbie localizzate in mare, non possono essere convogliati verso impianti di riciclaggio ed abbattimento come per quelli a terra. Il progetto REMADIAlife prevede che, intorno alle gabbie di allevamento, vengano posti dei particolari collettori per l’allevamento di mitili, policheti, spugne e macroalghe. E allora, come una sorta di catena di montaggio, l’ambiente resta pulito perché i mitili mangiano il plancton e la sostanza organica di rifiuto, i policheti assorbono anche le pseudofeci dei mitili, le spugne filtrano i batteri e le alghe utilizzano le sostanze inorganiche di rifiuto (sali di azoto e fosforo) e così via.
L’Unione Europea rappresenta solo il 9% della produzione globale, mentre la regione dell’Asia-Pacifico il 74%, contro il 10% per l’America Latina, il 5% per il Nord America e l’1% per il Medio Oriente e l’Africa.
I ricercatori stimano che 13 milioni di km² di oceani potrebbero essere utilizzati dall’acquacoltura e questa superficie potrebbe consentire la produzione di 15 miliardi di tonnellate di pesce, ovvero 100 volte il consumo mondiale attuale.
Il settore è stato attenzionato dal 2014 da alcuni grandi attori economici. Il gruppo giapponese MITSUBISHI ha acquisito la norvegese CERMAQ, uno dei maggiori allevatori di salmoni del mondo, che fino ad allora era impresa pubblica.
Nel luglio 2017 CARGILL, il colosso agroalimentare statunitense, ha costituito una joint venture con Carisa, il secondo produttore di gamberetti dell’Ecuador, in un contesto di forte crescita dell’acquacoltura. Nell’agosto 2018, il gruppo si è ulteriormente ampliato con l’acquisizione per 1,3 miliardi di euro della norvegese EWOS, leader mondiale nel settore dei mangimi per salmoni.
La tendenza di sviluppo dell’acquacoltura è chiaramente in crescita, ma per evitare i danni collaterali e il rischio ambientale è necessario che lo sviluppo sia inclusivo e sostenibile. «In altri termini, le pratiche di acquacoltura devono innovarsi e diventare circolari, cioè — spiega ancora Giangrande — gli scarti provenienti da un comparto produttivo ne alimentano un altro per essere convertiti in biomassa, creando sottoprodotti che possono essere a loro volta utilizzati, realizzando le basi di un’economia circolare del mare».
Da un punto di vista economico, i sistemi IMTA, producendo più di un prodotto, cioè il pesce più le specie “co-coltivate” — queste ultime a prezzi molto bassi —, possono creare benefici marginali per unità di pesce prodotto, diventando economicamente vantaggiosi per i produttori. «Quindi per promuovere un’economia circolare — registra Giangrande col suo team — è necessario pianificare gli interventi con il Blue Thinking, perché attualmente l’approccio IMTA si basa solo su specie “economicamente” vantaggiose nell’immediato e commestibili come i molluschi».
La pandemia Covid-19 ha leggermente rallentato il trend per i prossimi dieci anni, ma ha consentito il focus sulle criticità del settore da superare: sostenibilità ambientale, innovazione e riqualificazione occupazionale, sviluppo della shelf-life e dei metodi di produzione e trasformazione in chiave Water e Carbon Footprint. Gli sforzi di pianificazione e programmazione trovano in provvedimenti legislativi e finanziari la via tracciata per la realizzazione degli obiettivi di crescita sostenibile e di maggiore integrazione dell’acquacoltura nel sistema produttivo sostenibile, se opportunamente declinati.
REMEDIAlife: la biorimediazione in maricoltura, una soluzione per ambiente e imprese
La novità del sistema proposto nel progetto REMEDIAlife consiste nell’utilizzo di nuovi invertebrati estrattori che vengono anche indicati come organismi biorisanatori, oggetto di studio da oltre vent’anni da parte del team scientifico. In particolare, sono stati individuati due tipi di biorisanatori: gli invertebrati marini e le macroalghe.
Gli invertebrati comunemente vivono attaccati al substrato duro (sessili), facendo passare tra le loro strutture filtranti enormi quantità di acqua e raccogliendo particelle di cibo fanno cioè parte del cosiddetto fouling e per aumentarne la biomassa bisogna solo aumentare la superficie delle strutture su cui possano fissarsi. Sono animali e quindi si nutrono di piccoli organismi e sostanza organica. Le macroalghe, invece, hanno bisogno di luce e si sviluppano più in superficie, essendo vegetali e quindi si nutrono di sostanze inorganiche. Per allevarle/coltivarle non bisogna aggiungere alcun alimento.
«Abbiamo sperimentato anche al di fuori del laboratorio l’utilizzo degli invertebrati come biorisanatori, ma il progetto REMEDIAlife è il primo in cui questi organismi vengono allevanti a scala preindustriale» precisa la prof.ssa CATERINA LONGO dell’Università di Bari, che insieme al prof. CATALDO PIERRI sta modellizzando il sistema per poterlo applicare in tutti gli impianti off shore. «Intorno alle gabbie di allevamento vengono posti dei particolari collettori per l’allevamento di mitili, policheti, spugne e macroalghe. E allora, come una sorta di catena di montaggio, l’ambiente resta pulito perché i mitili mangiano il plancton e la sostanza organica di rifiuto, i policheti assorbono anche le pseudofeci dei mitili, le spugne filtrano i batteri e le alghe utilizzano le sostanze inorganiche di rifiuto (sali di azoto e fosforo) e così via» spiega Longo.
«La biomassa prodotta in questo modo viene poi utilizzata per altri infiniti impieghi che collegano il mare alla terra: con le alghe si possono fare fertilizzanti e mangime insieme ai policheti, ma questi ultimi possono anche essere venduti come esche o utilizzati come animali ornamentali nell’acquariologia, oppure, come le spugne, possono essere utilizzati per l’estrazione di sostanze da sfruttare in farmaceutica e cosmetica».
La Maricoltura Mar Grande di Taranto, una cooperativa nata nel 2007 per l’allevamento di pesce e molluschi, è una delle tante piccole imprese che costellano il panorama dell’acquacoltura italiana e pugliese che ha avuto il coraggio di innovare per essere competitiva sposando il progetto di ricerca applicata proposto dal consorzio scientifico. L’impianto è composto da solo 15 gabbie galleggianti, sei delle quali sono a disposizione per il “trattamento” e altre sei fungono da controllo. Intorno alle vasche trattamento sono stati allocate tre longline contenenti collettori con anellidi policheti, spugne, mitili e alghe. L’inizio biologico del progetto risale a febbraio del 2018 — racconta la prof.ssa Giangrande — quando è partito il monitoraggio preliminare per conoscere la situazione ambientale ex-ante e il sito più adatto in cui collocare l’impianto di biorisanamento. Il progetto prevede tre cicli produttivi. Ad oggi, sta ufficialmente iniziando il terzo e ultimo ciclo di produzione. Lo scorso dicembre, in occasione della messa in loco dei nuovi collettori per il secondo ciclo, erano stati tirati a secco quelli dell’anno precedente, per la valutazione della produzione. Circa la metà dei collettori, tuttavia, è stata lasciata in loco per capire quale fosse il ciclo temporale più remunerativo».
Partendo da questi presupposti, sono state fatte alcune valutazioni sulle metodologie da applicare e replicare che possano far ottenere migliori risultati e che il team di ricerca ha così codificato in volume e performance di produzione e dati e parametri ambientali. Per quanto riguarda la produzione si individua in:
1. Macroalghe:
sono state utilizzate due specie (Chaetomprha linum e Gracilaria bursa-pastoris), con un ciclo che dura al massimo 6 mesi per consentire due raccolte all’anno;
2. Policheti:
la raccolta, dopo un anno e mezzo, offre migliori risultati, con una biomassa addirittura raddoppiata (nell’impianto di Maricoltura Mar Grande si possono produrre fino a 6 quintali di vermi con ciclo di 21 mesi);
3. Spugne autoctone:
biomassa raddoppiata in 20 mesi le tempistiche potrebbero essere parallele a quelle dei policheti;
4. Biomassa edibile:
qualità delle carni, benessere animale e riduzione dei tempi di accrescimento a 18 mesi per taglia commerciale. «La coltivazione delle alghe — spiega la DOTT.SSA STABILI del CNR di Taranto — non ha mai dato buoni risultati fino ad ora nelle acque oligotrofiche del Mediterraneo. Nel sito di studio abbiamo invece ottenuto delle crescite notevoli, anche se il sistema necessita di un ulteriore assestamento per quanto riguarda le metodologie».
L’analisi ambientale dopo l’azione dei biorisanatori è quella che ha dato i risultati più interessanti e le maggiori soddisfazioni rispetto alle premesse progettuali. Dopo solo un anno dal trattamento, l’ambiente sottostante le gabbie di allevamento ha mostrato un miglioramento oltre le più rosee aspettative: Le comunità bentoniche, cioè gli animali che vivono sia nel substrato fangoso che sul substrato roccioso nel sito più impattato hanno fatto registrare un notevole cambiamento positivo.
I collettori, inoltre, diventano dei veri e propri giardini verticali, l’immagine più significativa che evoca il rapporto REMEDIA. «Una sorta di habitat restoration che genera reddito migliorando l’ambiente» chiosa la prof.ssa Giangrande. «La presenza di strutture di allevamento aumenta infatti la biodiversità, modificando lo spazio e la struttura dei substrati originari con ricadute positive sulla composizione faunistica dei fondi rocciosi che di quelli incoerenti. I collettori inoltre possono agire anche da filtri meccanici intrappolando molta della sostanza organica che finirebbe sul fondo».
Se, tuttavia, aumentare la biomassa delle incrostazioni porta a un vantaggio nella rimozione della sostanza organica, è da rilevare che un accumulo di biomassa potrebbe avere effetti deleteri se non rimosso o se dovesse, addirittura, staccarsi. «Per evitare il rischio negativo — precisa — è necessario rimuovere periodicamente questa biomassa, per rimuovere definitivamente la sostanza organica. La biomassa prodotta poi deve essere indirizzata verso filiere commerciali e di lavorazione come mangimistica e fertilizzanti, ma stiamo individuando le nuove filiere: a titolo esemplificativo, e non esaustivo, l’acquariofilia, la farmaceutica, la nutraceutica e la pesca sportiva».
Il progetto REMEDIAlife prevede una serie di attività di disseminazione ed applicazione della metodologia della biorimendiazione per stabilire se il sistema funziona anche in altre aree. Nel 2019, è stato attivato nel Golfo di Manfredonia un impianto di acquacoltura multitrofica integrata con le spugne autoctone prelevate sotto le gabbie della Gargano Shell Fish Farm, nell’area del Parco Nazionale del Gargano, in pieno Mar Adriatico. «La sperimentazione di allevamento delle spugne, gemmato da REME- DIAlife — spiega la prof.ssa Longo dell’Università di Bari — punta a integrare specie commestibili e non, facendo convivere allevamenti ittici con quelli di spugne, ed è finalizzata a mostrare che attraverso l’acquacoltura integrata possono migliorare le condizioni delle acque in zone geografiche diverse».
Il progetto realizzato a Manfredonia dal gruppo dell’Università di Bari del progetto REMEDIAlife denominato “ASMar”, acronimo di “Assessment of Sponge Mariculture potential in polyculture system in the Manfredonia gulf” — è stato finanziato con un voucher di 10.000 euro nell’ambito del progetto Interreg ADRION “Blue Boost” dall’Agenzia Regionale per l’innovazione Tecnologica – ARTI della Regione Puglia. «Il metodo applicato a Manfredonia — aggiunge la prof.ssa Longo — è replicabile ovunque: abbiamo rilevato la presenza naturale di spugne autoctone — ma vale per qualsiasi invertebrato —, raccolte, classificate ed inserite su appositi collettori rilevando che sono utilizzabili anche le ceste Seapa, già in dotazione all’impianto per la molluschicoltura, e stiamo monitorando l’accrescimento, da comparare con quello ottenuto nell’impianto di Taranto dove si svolge il REMEDIAlife. Si tratta di svariate specie, che possono avere una destinazione commerciale soprattutto sia per l’estrazione di collagene e in farmaceutica».
Michela Cariglia
Nota
Tutte le informazioni sull’iniziativa sono disponibili sul sito www.remedialife.eu e sui social (Facebook: www.facebook.com/remedialife e Twitter @LifeRemedia).