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Export 2020: in piedi nonostante tutto
Export 2020: in piedi nonostante tutto
Il Covid-19 ha inciso in maniera significativa su import ed export, ma il comparto agroalimentare tiene, molto meglio di altri settori: lo dice l’analisi sull’andamento degli scambi nei primi nove mesi del 2020 effettuata dal CREA, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura
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di Sebastiano Corona
La pandemia e le relative restrizioni non hanno avuto un impatto solo sul mercato interno del comparto, ma hanno generato ripercussioni importanti anche nei rapporti commerciali con gli altri Paesi, sia per ciò che concerne le merci in ingresso, sia in uscita. Al fine di comprendere ed analizzare questo fenomeno, il CREA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ha analizzato l’andamento degli scambi nei primi nove mesi del 2020.
Le restrizioni dovute al Covid-19 si sono presentate in un momento favorevole per il comparto, interrompendo un trend di crescita importante. Nel 2019, infatti, si confermava l’andamento positivo delle esportazioni che avevano raggiunto i 44,4 mld di euro. Anche l’import era però aumentato, dell’1,4%, dopo il calo del 2018. Alla vigilia dell’arrivo della pandemia, il peso dell’agroalimentare sul commercio totale di merci tornava a crescere sia per l’import (10,5%), sia per l’export (9,2%). Negli ultimi anni la crescita dell’export era superiore a quella dell’import, con un netto calo del deficit e una bilancia agroalimentare prossima al pareggio.
Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il primo semestre ha fatto registrare un calo del 4,6% del valore delle importazioni, l’export è cresciuto di oltre il 2%, mentre nello stesso periodo gli scambi complessivi di merci dell’Italia si sono ridotti del 16% circa.
Il settore agroalimentare ha mostrato, dunque, una maggiore tenuta rispetto agli altri comparti, evidentemente più sensibili alle restrizioni e alla crisi economica che ne è derivata.
Un fenomeno similare si era verificato negli anni 2008-09, durante i quali l’impatto della recessione era stato, sia per import che per export nazionale, meno rilevante rispetto agli altri comparti produttivi e si era attestato su cifre rispettivamente dell’8 e del 6%, a fronte di un crollo degli scambi complessivi di merci del nostro Paese superiore al 20%.
Nel complesso, nei primi 9 mesi del 2020 si è registrato un calo tendenziale dell’import a fronte di una crescita dell’export, ma è bene sottolineare che si tratta di un andamento diversificato.
Per ciò che concerne l’import: aprile e maggio sono infatti i mesi più colpiti, ma da giugno si nota un’attenuazione delle contrazioni. L’export ha un’ottima partenza nel I trimestre, un calo a maggio (–11,4%) e una ripresa da giugno, con un saldo positivo nel 2020.
Nel 2019, più del 60% delle importazioni agroalimentari era rappresentato da prodotti trasformati. Un terzo dell’import era di prodotti del settore primario, in parte per la nostra industria di trasformazione e, infine, delle bevande (marginale, ma in aumento, con oltre il 4%).
Il 2020 si presenta con un aumento già nelle prime settimane, alle quali seguono un aprile e un maggio in contrazione generalizzata per tutti e tre i settori (soprattutto per i trasformati). Da giugno si evidenzia una ripresa dei flussi in entrata per i tre settori, che si chiude, però, ad ottobre — ultimo dato disponibile del CREA —, con un netto calo generalizzato, da imputare principalmente ai prodotti trasformati dell’industria alimentare.
Nell’analisi dell’import per prodotti, nei primi 9 mesi del 2020 si rileva che l’85% concerne prodotti finiti per consumo diretto e questa quota si conferma anche nel 2020. Sebbene il calo sia generalizzato e riguardi tutti i principali prodotti, quelli ittici sono i più colpiti, in particolare crostacei e molluschi, soprattutto a causa dell’inoperatività del canale HO.RE.CA.
Il caffè greggio dal Brasile ha fatto registrare una minore disponibilità di prodotto, dovuta a difficoltà logistiche e a problemi nell’andamento dell’industria e i 3 principali comparti di importazione, quali carni, prodotti ittici e lattiero-caseari — che da soli rappresentano quasi il 30% dell’import agroalimentare dell’Italia — si sono mostrati in calo per una percentuale tra il 7 e il 12.
È interessante, tuttavia, osservare anche all’interno del semestre in analisi, in quali mesi e in concomitanza con quali misure restrittive si siano verificati alcuni fenomeni economici. Si rileva infatti che il calo semestrale dell’import agroalimentare sia imputabile esclusivamente all’andamento del secondo trimestre, con una contrazione in valore che annulla l’aumento del 3,2% dei primi tre mesi. In particolare, in quella fase, rispetto al primo trimestre 2019, a fronte di una stabilità dell’import di prodotti primari, si evidenzia un incremento di quasi il 3% dell’industria alimentare. Nello stesso periodo gli acquisti dall’estero di bevande, che pesano circa il 5%, crescono del 43%, grazie soprattutto alla birra. Un ulteriore dettaglio temporale evidenzia come il netto calo dell’import di prodotti trasformati sia legato quasi esclusivamente all’andamento di aprile e maggio, mentre a giugno è evidente una ripresa, con valori vicini a quelli del 2019. Sia per i prodotti primari che per le bevande, giugno mostra fortunatamente un ritorno dei valori ai livelli del 2019.
Focus sull’export Per l’export la contrazione nel secondo trimestre è nettamente più contenuta rispetto a quella dell’import e, nell’andamento complessivo semestrale, non annulla la netta crescita registrata nei primi tre mesi. Come per le importazioni, anche le esportazioni nel primo trimestre aumentano per i tre settori, soprattutto per le bevande, e per i prodotti trasformati, dove l’incremento in valore supera il 10%. Il calo del 3,6% del secondo trimestre è invece imputabile quasi esclusivamente alle minori esportazioni di bevande, con un –14,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Per l’industria alimentare la riduzione in valore è molto contenuta (–0,3%), mentre per i prodotti primari si evidenzia un segno addirittura positivo anche nel secondo trimestre, sebbene molto limitato (+0,3%). Per il settore primario, l’analisi mensile delle esportazioni conferma una sostanziale stabilità. Per i prodotti trasformati, invece, dopo un’ottima performance nei primi tre mesi del 2020, si registra un netto calo ad aprile e maggio e una ripresa solo a giugno, con un indice che torna a crescere rispetto al 2019. Anche per le bevande, dopo un andamento nei primi tre mesi sostanzialmente in linea con il 2019, segue una riduzione ad aprile e maggio, mentre a giugno il valore dell’export torna in linea con l’anno precedente.
Nel complesso, quindi, sia per i flussi in uscita che in entrata, dopo un andamento sostanzialmente stabile o in crescita nei primi tre mesi del 2020, si rileva un calo ad aprile e maggio fino a una diffusa ripresa a giugno, con valori in linea o quasi con quelli di giugno 2019.
Facendo invece un’analisi per aree di riferimento, si assiste alla frenata del mercato asiatico e della Cina. Nei primi 9 mesi del 2020 si osserva comunque la tenuta dei principali clienti: i primi 6 assorbono più della metà delle nostre esportazioni, tutti stabili o in crescita rispetto al 2019. È buono l’andamento delle vendite in Germania, che si conferma un importante mercato per i trasformati come pasta, conserva di pomodoro, ma anche vino, così come per il settore primario. Si registra una crescita anche del Nord America, sia USA che Canada. Verso la Spagna e United Kingdom, invece, calano molti dei principali prodotti.
Analisi per regioni
Nel fare un’analisi regionale sui primi 9 mesi, si nota che l’impatto maggiore l’ha accusato il Nord.
Nel II trimestre le prime 4 regioni (peso superiore al 60%) sono in calo di una percentuale tra il 5 e il 10. Incide la composizione del paniere: a Nord soffrono vino, lattiero-caseario e carne. Al Sud pasta, conserve di pomodoro e olio. La Sardegna, con Pecorino e Fiore Sardo, segna un clamoroso decremento verso tutti i principali mercati (dove il peso degli USA è maggiore dell’80%), mentre la Calabria accusa il colpo su oli essenziali e succhi di frutta, l’Umbria su tabacco e olio, il Friuli Venezia Giulia sul caffè torrefatto (in particolar modo verso gli USA).
Analisi merceologica
Passando all’analisi merceologica si nota che, ad incidere sulla riduzione delle importazioni del settore primario nel II trimestre, sono diversi i comparti — primi fra tutti i prodotti della pesca, della silvicoltura e i prodotti degli allevamenti — ad avere contrazioni in valore superiori al 30%. Come già evidenziato, è però bene ricordare che spesso l’andamento dei valori non rispecchia quello delle quantità scambiate.
Per i prodotti della pesca e della silvicoltura la contrazione delle quantità importate è rispettivamente più contenuta e più marcata del valore, mentre per i prodotti degli allevamenti si ha addirittura una crescita delle quantità importate. Altri due importati comparti del settore primario con flussi in entrata in netto calo sono “cacao, caffè, tè e spezie” (–15,9%) e animali vivi (–13,1%).
Ad attenuare l’andamento negativo generalizzato delle importazioni nel settore primario c’è la crescita dei flussi di altri importanti comparti. È il caso delle importazioni di cereali (oltre il 6%), come pure frutta fresca e semi e frutti oleosi.
Riguardo l’industria alimentare, per tre dei quattro principali comparti di importazione le riduzioni in valore nel secondo trimestre sono rilevanti: carni fresche e congelate (–21,2%), prodotti lattiero-caseari (–12,6%) e prodotti ittici (–25,6%). Per il comparto lattiero-caseario l’andamento negativo in valore e quantità riguarda sostanzialmente tutti i principali prodotti di importazione.
Generalizzato è anche il calo all’interno del comparto ittico, dove i crostacei e molluschi congelati siano i prodotti più colpiti nel secondo trimestre, con riduzioni superiori al 50% in valore e quantità.
All’interno del comparto carni, le prime quattro voci, riferite a carni bovine e suine semilavorate e disossate, mostrano contrazioni superiori al 20% in valore e al 10% in quantità. In generale, per quasi tutti i comparti dell’industria alimentare la riduzione in volume, sebbene rilevante, è più contenuta di quella in valore.
Si è trattato dunque di un periodo nel complesso difficile e imprevedibile, da ogni punto di vista, con un andamento schizofrenico condizionato dall’incertezza, che ha generato problemi sul piano commerciale e della programmazione.
Sarà interessante osservare ed analizzare i dati degli ultimi mesi del 2020 e dei primi del 2021, per comprendere quale sia stato l’effettivo impatto della pandemia sui mercati. Nella speranza che questa brutta pagina si possa considerare del tutto superata o quasi.
Sebastiano Corona