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Attualità Slow Food e la sostenibilità del mare

Slow Food e la sostenibilità del mare

«Tutelare il mare escludendo i pescatori artigianali è come tutelare la natura senza contadini». A Ugento il buon senso dei “giardinieri del mare” diventa legge regionale e nasce così in Puglia la prima Oasi Blu

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Tutelare il mare e le risorse che

custodisce. Sembra essere questo l’attuale imperativo dell’opinione pubblica internazionale in tema di sostenibilità. Lo testimoniano il recente clamore suscitato dal documentario Seaspiracy e iniziative di sensibilizzazione come la Giornata del mare, lo scorso 11 aprile, o l’istituzione del Decennio delle Scienze del Mare, indetto dalle Nazioni Unite per sottolineare l’urgenza di intervenire sull’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030.

Che signifi cato ha la parola sostenibilità in relazione al mare?

Davvero per tutelare il più importante serbatoio di biodiversità della terra, l’uomo deve interrompere l’attività di pesca, gli esseri umani smettere di consumare pesce, fonte primaria di proteine intorno alla quale si sono sviluppate nel corso dei millenni tecniche di pesca artigianali, economie costiere, culture e tradizioni gastronomiche? Secondo Slow Food è necessario fare una distinzione tra la pesca industriale, che risponde alle logiche dell’attuale sistema di produzione, distribuzione e consumo, e la pesca artigianale, che

necessariamente nasce e si sviluppa

intorno alle comunità locali con un approccio basato sulla conoscenza e il rispetto del mare. «Esistono diversi esempi in cui i pescatori, il settore pubblico, la società civile e la comunità scientifi ca si sono uniti per gestire collettivamente le risorse, ma sono modelli che hanno bisogno di essere riconosciuti legalmente e con il necessario supporto econo-

La posizione di Slow Food in merito alla co-gestione

In un contesto di forte preoccupazione per il degrado e la gestione delle risorse marine e di crescente complessità di aziende e mercati in competizione, la co-gestione, insieme a sistemi simili di gestione ecosistemica o basata sulle comunità, ha generato un grande interesse tra diversi stakeholder ed è un tema ormai ampiamente discusso quando si parla di pesca. Vanno evidenziati altri elementi contestuali importanti: la diffusa crisi economica, con la perdita di posti di lavoro e di risorse statali che questa implica, e la crisi della legittimità politica delle istituzioni. In termini più generali, potremmo parlare di un contesto di indebolimento del contratto sociale dello Stato. Per quanto riguarda la pesca nello specifi co, il settore è affl itto non solo dalla riduzione delle risorse, ma anche dalla concorrenza sleale generalizzata (tra settori e industrie), da confl itti sociali e dalla totale mancanza di fi ducia nei confronti delle istituzioni scientifi che e governative. Si tratta di forti ostacoli al raggiungimento dei risultati ecologici e socioeconomici a cui sono orientate le politiche europee e nazionali. Infi ne, l’attuale enfasi sulla “crescita blu”, che guarda agli oceani e alle loro risorse come motore del prossimo grande salto economico (generazione di energia, trasporto, estrazione di minerali, sviluppo ed estrazione di biorisorse per il settore sanitario) può facilmente avere la meglio sulle attività di pesca, su piccola e grande scala, allontanandole dai mari. Il concetto espresso dal temine co-gestione non è sempre chiaro e spesso signifi ca cose diverse per attori diversi. Esistono una serie di situazioni che possono essere considerate di co-gestione, in gradi diversi, e sono defi nite come tali a seconda del punto di vista dell’osservatore. Slow Food intende la co-gestione come un’istituzione di azione collettiva orientata alla gestione e al rafforzamento di una risorsa comune, incentrata sul sapere ecologico locale, che diventa la struttura portante della relazione tra le diverse parti coinvolte (tipicamente l’autorità statali e/o regionali, le comunità di pescatori, la comunità scientifi ca e la società civile) e in cui sia la comunità di pescatori sia lo Stato hanno una voce e un voto.

Due esempi

1. L’area di pesca protetta di Os Miñarzos è un buon esempio di co-gestione moderna. Avviata con una piccola riserva pilota di 4.000 ettari, è cresciuta arrivando a coinvolgere oltre 160 pescatori, università locali e ONG, autorità locali e nazionali nella gestione di un’area di 100.000 ettari. 2. L’istituzione della Prud’homie del Mediterraneo francese, ispirata alle gilde medievali, è un esempio parziale di co-gestione. Le prerogative delle comunità di pesca nella gestione di aree specifi che sono riconosciute dalla legislazione francese. Tuttavia, lo Stato non partecipa alla defi nizione delle regole di gestione in evoluzione e non è pertanto in grado di verifi carne l’effi cienza né di sostenerla. Al contrario, la erode con la creazione di amministrazioni parallele, e sovrapponendo regole senza comprendere l’impatto che potrebbero avere sul sistema esistente, minandolo. La Prud’homie di Sanary-sur-Mer e la Prud’homie di La Seyne-sur-Mer sono un

Presidio Slow Food (photo © www.fondazioneslowfood.com).

«Esistono diversi esempi in cui i pescatori, il settore pubblico, la società civile e la comunità scientifi ca si sono uniti per gestire collettivamente le risorse, ma sono modelli che hanno bisogno di essere riconosciuti legalmente e con il necessario supporto economico, per non rimanere iniziative meritevoli quanto estemporanee» sottolinea Paula Barbeito, responsabile di Slow Fish, campagna di Slow Food che da 16 anni sensibilizza i cittadini a scegliere di consumare i prodotti ittici in maniera sostenibile e omonima rete di pescatori che in tutto il mondo lavorano come custodi del mare.

mico, per non rimanere iniziative meritevoli quanto estemporanee» sottolinea PAULA BARBEITO, responsabile di Slow Fish, campagna di Slow Food che da 16 anni sensibilizza i cittadini a scegliere di consumare i prodotti ittici in maniera sostenibile e omonima rete di pescatori che in tutto il mondo lavorano come custodi del mare.

La chiave secondo Slow Food è quindi la co-gestione: alcune forme sono attive da oltre mille anni, altre sono nate solo nell’ultimo decennio. Le Prud’homies del Mediterraneo in Francia sono riconosciute dalla legislazione nazionale (due di esse sono anche un Presidio Slow Food), ma generalmente esiste un vuoto normativo in merito a queste iniziative, a livello sia nazionale sia europeo.

Un esempio perfetto di cogestione moderna è l’area di pesca protetta di Os Miñarzos, in Spagna, che coinvolge oltre 190 pescatori, università e Ong, autorità locali e nazionali nella gestione di un’area di 2.000 ettari.

L’Oasi Blu nel mare di Ugento

In Italia va in questa direzione l’istituzione della prima Oasi Blu nel mare di Ugento, in Puglia, uno specchio di mare noto ai ricercatori per via delle importanti aree di riproduzione anche a diverse miglia dalla costa e per le praterie di posidonia. Qui la pianifi cazione delle attività di pesca e i sistemi adottati mirano a favorire la conservazione e la gestione razionale delle risorse biologiche del mare.

La storia dell’Oasi Blu di Ugento nasce oltre 10 anni fa, quando i pescatori, tra cui VINCENZO BRUNO, attuale presidente della coope rativa, hanno cominciato a mobilitarsi per difendere la loro area di pesca dall’attività aggressiva delle marinerie più grandi, che praticano lo strascico, e dai pescatori di ricci e datteri di mare. «Faccio il pescatore da una vita e sono alla terza generazione della mia famiglia. Un tempo solo la piccola pesca sfruttava le risorse del mare e si pescava per vivere. Oggi, con le nuove tecniche di pesca e lo sviluppo della società in senso consumistico il pescatore è diventato predatore del mare.

Noi a Ugento invece siamo giardinieri del mare: sappiamo esat tamente cosa pescare, dove e quando, e questo approccio è ancora più importante oggi perché con i cam biamenti climatici in atto non può essere un regolamento calato dall’alto la nostra guida. Pensare di tutelare il mare escludendo i pe scatori come noi è come voler tute lare la natura escludendo i contadini».

Quella dell’Oasi Blu di Ugento è un’esperienza unica ma facilmente replicabile in altrettante zone ad alta valenza naturalistica in cui sia presente una marineria della piccola pesca costiera. «A Ugento siamo partiti da un’iniziativa di autoregolamentazione volontaria dei pescatori che oggi è diventata una legge regionale: un percorso esemplare reso possibile dalla collaborazione con istituzioni locali, ricercatori universitari e il locale gruppo di Slow Food. Un passaggio intermedio infatti è stato il riconoscimento della pesca tradizionale delle secche di Ugento come Presidio Slow Food. In pratica a Ugento abbiamo invertito il paradigma: si tutelano i pescatori per tutelare il mare» sottolinea MARCO DADAMO, direttore del Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento” e responsabile dei Presìdi del mare di Slow Food Puglia.

Il modello di co-gestione di Ugento è diventato un esempio da seguire per altre marinerie della piccola pesca pugliesi, che hanno già preso contatto con i soggetti pubblici e privati coinvolti nell’Oasi Blu.

C’è ancora un ultimo passaggio affi nché il mare di Ugento sia davvero un luogo di tutela. «Adesso la legge regionale deve diventare ordinanza della Capitaneria di porto di Gallipoli; in questo modo anche le marinerie più grandi e i pescatori di datteri e ricci di mare devono rispettare le regole dell’Oasi Blu se non vogliono incorrere in sanzioni» conclude Dadamo.

>> Link: fondazioneslowfood.com

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PescAgri-CIA: al via l’Osservatorio socioeconomico per il Mezzogiorno

Parte dal Mezzogiorno e dalla nascita di PescAgri-CIA Campania — “non un semplice sportello per intercettare i bisogni e le necessità dei pescatori e degli imprenditori del comparto, ma un punto di riferimento per le politiche di valorizzazione e crescita, a tutela di oltre 600 unità produttive censite su base regionale e di una fl otta tonniera, quella campana, che è la più grande d’Italia” — la sfi da per rilanciare il comparto della pesca e dell’acquacoltura sul fi lone della transizione green UE. Ad Ischia è stata infatti presentata la prima associazione regionale dedicata, che annuncia la creazione dell’Osservatorio socioeconomico del settore per il Mezzogiorno. «La sfi da per il Mezzogiorno — ha spiegato ALESSANDRO MASTROCINQUE, presidente di CIA Campania — guarda allo sviluppo della fi liera da una parte, portando nuova attenzione sull’industria della trasformazione di tutto il pescato per conquistare fette importanti di mercato, e, dall’altra, costruendo un Osservatorio socioeconomico della pesca e dell’acquacoltura per il Mezzogiorno come requisito urgente e necessario al recupero di un ruolo di primo piano sul Mediterraneo, capace di generare inclusività e opportunità per le future generazioni, per i giovani e le donne».

L’istituzione di un riferimento scientifi co come l’Osservatorio è fondamentale alla costruzione di un nuovo dialogo con gli addetti ai lavori e, soprattutto, col mondo accademico, con le associazioni e la società civile, per supportare con dati, studi e ricerche, l’incremento produttivo e sostenibile delle imprese. Al tempo stesso, fa da base allo sviluppo di progetti sul territorio, con il Museo del Mare o il Parco Sommerso di Aenaria, di iniziative per la promozione del pesce nella Dieta Mediterranea, di sensibilizzazione sulla sicurezza alimentare e di valorizzazione delle tipicità e del turismo, guardando a Procida capitale della cultura 2022. «Ischia e le altre isole minori sono come le aree interne d’Italia» è intervenuto il presidente nazionale di CIA-Agricoltori Italiani, DINO SCANAVINO. «Il nostro impegno perché gli vengano riconosciuti diritti è, dunque, per noi lo stesso che ci vede a lavoro, già da tempo, per portare il cambiamento nelle aree rurali del Paese. Signifi cativa è, in questo senso, l’azione di CIA Campania per tutto il Mezzogiorno e il ruolo di PescAgri-CIA si rafforza con la nascita di declinazioni regionali dove le marinerie sono concreto volano di crescita. Diamo voce alle istanze di chi crede e investe nella diversifi cazione e nella multifunzionalità. Facciamo appello alle istituzioni perché le risorse importanti, anche per il settore della pesca e dell’acquacoltura, vengano incanalate sulle reali esigenze delle imprese, degli allevatori e dei pescatori» (in basso, l’isola di Procida, photo © Laurent Gence x unsplash).

>> Link: www.cia.it

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