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Il pesce in tavola Come sfi lettare il pesce Nunzia Manicardi

Come sfi lettare il pesce

La scelta del coltello è di fondamentale importanza. Poi occorrono pratica, pazienza e alcune nozioni di base anche sul numero di fi letti da ottenere

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di Nunzia Manicardi

La sfi lettatura è una tecnica che necessità di professionalità e giusti strumenti perché, se sbagliata, può compromettere l’estetica della preparazione e, cosa ancor più grave, farvi sprecare inutilmente dell’ottima carne (photo © sunorwind x unsplash). Sfi lettare il pesce signifi ca tagliare un pesce intero in modo da ricavare dei fi letti dalla polpa e renderlo pronto per la cottura, con le carni ben pulite e senza residui di pelle, perfetto per la consumazione. Si tratta certamente di un’operazione delicata, che richiede attenzione e dedizione, però non è assolutamente proibitiva. Chiunque può riuscirci, a patto che si osservino alcune indicazioni preliminari, dopo di che si potrà ottenere un risultato degno delle cucine dei migliori ristoranti.

Pesce grosso o pesce piccolo?

Innanzitutto bisogna sapere che sfi lettare è più facile quando si ha a disposizione un pesce di una certa dimensione, anche perché si riducono gli scarti e si può lavorare su una maggiore superfi cie di polpa. Vi conviene quindi decidere di servire ai vostri commensali un pesce grosso piuttosto che due piccoli.

Quanti fi letti?

Prima di cominciare ad incidere, spellare e tagliare bisogna che abbiate ben presente quale varietà di pesce avete sotto le mani per sapere se potete ricavarne 4 o solamente 2 fi letti. Prendendo in considerazione i pesci da noi più abitualmente consumati, dovremo sapere che quelli da cui si possono ricavare 4 fi letti sono ad esempio sogliola, platessa, passera, rombo, razza, mentre quelli da due fi letti sono acciuga, sardina, triglia, orata, branzino, dentice, nasello, merluzzo.

Non tutti devono essere sfi lettati! Altri pesci, quali ad esempio tonno, salmone e pesce spada, non vanno

Per ottenere dei risultati migliori nella sfi lettatura è preferibile usare sempre del pesce fresco: si potrà poi tranquillamente congelare ed usare così già pronto al bisogno (photo © Ulvi Safari x unsplash).

assolutamente sfi lettati ma ridotti in tranci ed eventualmente privati delle spine.

Desquamatore e pinza leva lische

State per cominciare? Bene! Avete però verifi cato di avere a disposizione tutti gli utensili necessari per portare a buon fi ne la vostra impresa? Converrebbe utilizzare il desquamatore (o leva squame), che è molto utile e pratico. È un attrezzo di metallo con un’impugnatura che impedisce alla mano di scivolare e una parte dentellata che permette di eliminare molto facilmente e senza nessuna fatica le squame del pesce. Se non ne disponete potete utilizzare un coltello purché, come vedremo di seguito, abbia determinate caratteristiche. Per sfi lettare un pesce in modo perfetto è necessario privarlo anche delle lische.

A questo scopo sono in commercio le pinze leva lische che servono ad estrarre con precisione le lische dai fi letti del pesce appena pulito o anche dopo la cottura. Nell’usarle fate molta attenzione a tirare nel senso della fi bra della carne per evitare di rovinare il fi letto del pesce.

Scegliere il coltello adatto

Il coltello da fi lettatura del pesce è un particolare coltello da cucina che consente di tagliare il pesce in orizzontale, creando delle fette suffi cientemente spesse e che, soprattutto, non si rompano. La carne del pesce è infatti molto tenera e tende a sfi lacciarsi subito per cui la scelta del coltello diventa di fondamentale importanza altrimenti non si può ottenere il risultato sperato.

Il coltello dovrà avere la lama lunga, sottile e ben affi lata. Meglio se il coltello sia di tipo professionale oppure, se si tratta di un semplice coltello da cucina, dovrà essere di qualità. Si dovrà avere cura di conservare la lama in perfette condizioni affi landola spesso. Essa è molto più affi lata rispetto a quella dei comuni coltelli ed è assai simile a quella dei coltelli da prosciutto. Spesso, infatti, servono ad entrambi gli usi, come evidenziato di solito anche nelle indicazioni fornite dal produttore.

La lama deve avere una lunghezza media, tra i 14 e i 22 cm (sono in vendita anche set composti da coltelli di varie lunghezze da usare a seconda delle dimensioni dei pesci da sfi lettare). Dovrà inoltre essere fl essibile per accompagnare il percorso della mano durante il taglio; percorso che sarà ondulatorio in quanto si dovrà evitare la spina dorsale del pesce per tutta la sua lunghezza.

Scegliere un prodotto fresco

Per ottenere dei risultati migliori usate sempre del pesce fresco. La polpa sarà elastica e inodore. Il pesce, una volta sfi lettato, può essere conservato tranquillamente in frigorifero fi no a due giorni oppure può essere congelato per conservarlo più a lungo.

Le fasi preliminari

La sfi lettatura è preceduta da alcune indispensabili fasi preliminari (spellatura, tolettatura, squamatura, eviscerazione) ed è seguita da una fase conclusiva (fi nitura). Con la spellatura farete sì che le carni siano perfettamente pulite, prive di pelle e senza nessun’altra scoria. Quest’operazione si applica ai pesci di forma tondeggiante quali branzini, orate e triglie.

La tolettatura consiste nel rimuove con l’aiuto delle forbici tutte le pinne del pesce. Si trovano sui fi anchi, sul dorso e nella pancia. Per effettuare al meglio la successiva squamatura è preferibile appoggiare il pesce sul piano di lavoro, tenerlo saldamente per la testa con una mano e con l’altra utilizzare il desquamatore o il coltello raschiando con movimenti rettilinei dalla coda alla testa.

Tocca ora all’eviscerazione. Con l’aiuto delle forbici praticherete un’incisione partendo dal foro dell’intestino fi no ad arrivare alla parte fi nale del ventre. Si eviscera il pesce con una mano rimuovendo anche le branchie poste nella testa e tagliando le estremità. Aiutatevi facendo leva col dito indice. Alla fi ne lavate accuratamente il pesce sotto l’acqua corrente per eliminare ogni eventuale residuo di parti sanguinanti.

I passaggi della sfi lettatura

Asciugate ben bene il pesce aiutandovi con carta assorbente e appoggiatelo sul tagliere per passare alla fase decisiva della sfi lettatura vera e propria. C’è chi lo avvolge in un canovaccio per evitare che scivoli. È meglio non usare i guanti per non perdere sensibilità oppure utilizzate quelli in lattice (da chirurgo). Posizionate il coltello subito dietro alle branchie, con un angolo leggermente inclinato verso la testa, e incidete fi no a raggiungere la lisca centrale. Con un colpo secco invertite la direzione del coltello e, rimanendo paralleli alla lisca, fatelo scivolare fi no alla coda.

Tenete sempre il coltello il più parallelo possibile, con la mano un po’ dietro alla lama. Rimuovete la polpa vicina alla lisca centrale, arrivando fi no alle lische della pancia, ed eseguite la stessa operazione sull’altro lato del pesce, in modo da ricavare due fi letti identici. Ora togliete la testa e mettetela da parte. Col coltello rimuovete dai due fi letti il grasso, soprattutto la parte fi nale dell’addome che però potrà essere utilizzata per preparare un brodo di pesce.

Fate altrettanto con le spine più grosse, comprese quelle della pancia, che estrarrete con le pinze o anche con le sole dita. Per individuare le spine fate scorrere le dita su tutta la superfi cie dalla coda alla testa così le sentirete affi orare. Una volta estratte, sciacquate la pinza in una ciotolina d’acqua per far sì che si stacchino facilmente. Puntate con le unghie sulla parte estrema della coda, infi late il coltello con la lama un po’ inclinata verso il basso e, tenendo fortemente la pelle, staccate tutta la carne. La pelle può essere conservata. Dipende dalla preparazione culinaria prescelta. Se volete toglierla fatelo solo alla fi ne della sfi lettatura (con il lato della pelle rivolto verso il basso) perché è l’unica parte resistente del pesce e lo tiene assieme durante tutta l’operazione, evitando che la carne si sfaldi e che venga anche rimossa insieme con gli scarti. Eliminate la coda posizionando il coltello in cui essa interseca il corpo e praticando un taglio deciso tra la pelle e la lisca. Insieme alla testa potrà essere utilizzata per la preparazione di un ottimo brodo di pesce.

La fase fi nale

Ripassate i due fi letti con attenzione, rimuovendo le ultime lische ed eventuali cartilagini fi nché non saranno solo ed esclusivamente polpa, e lavateli ancora una volta. Non vi resta che cucinarli.

Nunzia Manicardi

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La Tielle à la sétoise

La cittadina portuale francese di Sète, patria di Paul Valérie e del cantautore Georges Brassens, sita nella splendida regione della Languedoc-Roussillon, vanta una specialità gastronomica con ripieno a base di polpo o piccole seppie in umido che ha origine dalla tradizionale Tiella di Gaeta

di Josette Baverez Blanco

Gli Italiani hanno seminato da sempre cultura attraverso il mondo, a cominciare dalla Francia, Paese limitrofo sia via terra che via mare. Nel 1860, un gruppo di oriundi di Gaeta si stabilì a Sète, affascinato dalla particolare posizione geografi ca di questo porticciolo sito tra la laguna e il Mediterraneo. Ci troviamo ad una cinquantina di chilometri dalla Camargue, direzione Spagna, sull’orlo dell’Étang de Thau, là dove fi nisce il Canal du Midi che collega Atlantico e Mediterraneo. Gli Italiani furono accolti calorosamente sia dagli autoctoni che dai connazionali napoletani arrivati qui dal 1843 ed installatisi nel quartiere Petit Naples. Là i nuovi arrivati “piantarono le tende”. Sembra addirittura che i primissimi migranti siano arrivati subito dopo la Rivoluzione francese. Un censimento del Novecento parla di 500 Italiani, popolazione che crebbe nei decenni successivi in maniera molto naturale senza nessun problema di integrazione, anzi!

Da Gaeta, portarono il loro talento per la pesca e il loro stile di vita, in particolare in cucina con la famosa tiella. Identica a come si prepara nella città laziale, eccola diventata una specialità di Sète sia come spuntino che come secondo piatto, il preferito degli abitanti e dei turisti. Come tutte le torte salate, una base di pasta tirata a mano, preferibilmente, per foderare la tortiera dai bordi bassi e smerlati, un ragù saporito di morbidissimo polpo (o piccole seppie) e pomodoro per farcirla e un altro disco di pasta per chiuderla. Diventa una pizza chiusa terra-mare, sintesi allegra di tritoni e sirene che riproduce perfettamente il contesto geografi co locale.

Un’altra specialità locale, la macaronade, ci rammenta il nostro Meridione. Il ragù di questo piatto di pasta è fatto con almeno tre tipi di carne (spalla di manzo, costine di maiale e salsiccia) cotti a lungo, a fuoco basso, nella salsa di pomodoro. Questo è il piatto tradizionale della domenica in tutte le famiglie di Sète. Ancora di pasta si parla con gli Spaghetti serviti con le cozze ripiene di salsiccia e pomodoro. In effetti, sono pochi i posti costieri dove profumo di terra e sapore di mare vengono così esaltati in contemporanea.

Ricordiamo che Sète, piccola città caratteristica di pescatori, densa di storia e culla di personaggi famosi (il cantautore GEORGES BRASSENS, il poeta e scrittore PAUL VALÉRY, l’attore JEAN VILAR) è la capitale degli allevamenti di ostriche non atlantiche, senza dubbio le migliori del Mediterraneo, nonché di cozze e altri mitili.

Anche la pesca al tonno è molto importante in questa zona ed è veramente affascinante osservare alla sera il rientro dei pescherecci accompagnati dai gabbiani.

La tielle de Sète, torta salata ripiena di ragù a base di polpo o seppie, vera e propria istituzione della cittadina, ha origine dalla tradizionale tiella laziale.

Coltivazione di ostriche nello stagno di Thau (photo © www.thau-mediterranee.com).

Gli allevamenti di ostriche nei 75 km2 dello Stagno (o Bacino) di Thau producono annualmente circa 8.000 tonnellate di Ostrea edulis, di varietà triploide, e Crassostrea gigas giapponese. A loro sono dedicati 250 ettari suddivisi in 2.800 “tavole” ossia parchi per ostriche. Queste strutture, suddivise tra 450 produttori, permettono di mettere sul mercato 12.000 tonnellate di ostriche all’anno. Sono un po’ più sapide di quelle atlantiche, visto che il Mediterraneo, essendo un mare quasi chiuso, è più salato. In realtà nascono nell’Atlantico e vengono trasferite a 18 mesi sui fi lari sott’acqua della laguna. Là crescono e saranno pronte al consumo raggiunti i 10-12 mesi. Vengono controllate con molta attenzione per evitare che si possano ammalare o con batteri (come la malaïgue) o con una forma di herpes facendo perdere allora tutta la produzione.

In generale l’ostrica si mangia viva, cruda, con un goccio di limone o aceto e scalogno. A Sète è servita anche cotta al vapore, accompagnata da uno stufato di cipolla e vino bianco.

Anche la produzione di cozze che possono raggiungere notevoli dimensioni è concentrata nell’Étang de Thau e nel vicino mare là dove, però, rischiano di essere mangiate dalle orate. Le cozze sono allevate in 3.300 ettari di mare aperto e se ne raccolgono circa 6.000 tonnellate suddivise a metà tra Thau e il Mediterraneo.

Lo Stagno di Thau è conosciuto sin dall’antichità per i suoi frutti di mare (I sec. d.C.) ma la vera cultura intensiva risale all’inizio del secolo scorso. È la più grande zona di

molluschicoltura del Mediterraneo

con circa 600 produttori che si raggruppano in 550 aziende soprattutto a conduzione famigliare.

Non si può concludere un articolo su Sète senza accennare al godimento nell’assaporare il Vin De Sable, letteralmente “il vino delle sabbie”, che deve accompagnare qualsiasi degustazione. Ottenuto da vigne piantate vicino al mare, in terreno sabbioso, là dove ci furono delle saline, la produzione è essenzialmente di bianchi o rosé Gris de Gris. Dal profumo gradevole, va bevuto freschissimo per accompagnare pesce o frutti di mare.

Se avete l’occasione di recarvi in quella zona, non perdete la “ciliegina sulla torta” di questo territorio. Ad una trentina di chilometri da Sète, infatti, nell’entroterra immobile e suggestivo, campagna affascinante e quasi mistica, si innalza l’Abbazia di Valmagne dalle pietre rosate, fondata dai Benedettini nel 1138, legata ai Cistercensi nel 1159. I monaci vi coltivano la vite dal XII secolo e siamo nel cuore dei vigneti della Linguadoca. Dopo la Rivoluzione francese, la bellissima chiesa gotica fu sconsacrata e convertita in cantina ma rimane monumento storico. Le cappelle laterali ospitano le enormi botti tra i loro archi e anche il chiostro è incantevole. Chi vuole può soffermarsi per assaggiare i vini biologici, ottimi e da centellinare.

Soprannominata la Venezia francese per la sua luce, i suoi rifl essi e i suoi canali, Sète, il più grande porto di pesca del Mediterraneo francese ha saputo conservare la sua autenticità, i colori e il calore meridionale.

Josette Baverez Blanco

Amnesiac, Radiohead

Come sardine

di Giovanni Papalato

Non si deve stare comodi “ammassati come sardine in un barattolo di latta schiacciato”. Non deve esserlo nemmeno pressati da aspettative aumentate a dismisura quando hai pubblicato due dischi in tre anni che sono stati defi niti ogni volta come il tuo lavoro migliore.

“Ok Computer” e il successivo “Kid A”, così concettualmente e stilisticamente distanti tra loro, sono a distanza di più di vent’anni ancora visti come pietre di paragone per la musica a venire, in cima a sondaggi e classifi che per determinare il miglior disco della storia. Pressione?

I RADIOHEAD pubblicano un altro disco, “Amnesiac”, quando sono ancora nel pieno del tour mondiale e il primo brano è proprio “Packt like Sardines in a Crushd Tin Box”. Un riff percussivo sincopato, tribale, come pezzi di metallo battuti, prima che entrino basso e synth a defi nire il tema dominante del brano, comprimendo il suono mentre THOM YORKE sembra parlare a se stesso: “After years of waiting Nothing came As your life fl ashed before your eyes You realize”.

Poi entra come un ronzio sintetico di api che amplia lo spazio in cui si stava fi no ad ora: “I’m a reasonable man

Get off, get off, get off my case I’m a reasonable man Get off my case Get off my case”.

Un piano scordato, forse una marimba o una chitarra effettata per suonare tutto tranne che come una chitarra e la batteria elettronica sono un unico movimento che ad un certo punto perde coordinazione. Allora sembra di trovarsi nell’abitacolo di un’auto nell’ora di punta, tra suoni discordanti, che prima si avvicinano e poi si allontanano assieme a voci che si sovrappongono. Poi riemerge il riff percussivo che riprende assieme al beat, ma qualcosa è cambiato.

Le voci rimangono, il meccanismo ha una latenza, una sorta di claustrofobia ci accompagna fi no alla fi ne del brano. Oscura e intrigante è una canzone che non fa nulla per nascondere l’identità dell’album che apre. Un disco gemello, registrato nelle stesse sessioni di “Kid A”, ma eterozigote.

Amnesiac è come un puzzle di cui puoi vedere e pezzi che lo compongono, mentre il precedente è un’immagine omogenea e organica. Per quanto indipendenti tra loro, sono indissolubilmente legati e si completano. Sono album in cui convivono spasmi kraut, nervature elettroniche, jazz, ambient e un’ipersensibilità cronica al mondo esterno. Attraverso la fl uida astrazione di Pyramid Song, la sequenza I Might Be Wrong e Knives Out che sembra riportare a coordinate conosciute ma con una personalità completamente inedita, il riarrangiamento cosmico di Morning Bell (brano che era già presente nel predecessore) e le conclusive gemme Like Spinning Plate e Life In A Glasshouse, si ha coscienza di un album importante non solo limitandosi alla produzione del quintetto di Oxford. La sfi da di Radiohead ad un sistema di preconcetti stilistici e recinti espressivi era già cominciata con “Ok Computer”, quando invece di cavalcare l’onda Britpop avevano scelto di liberarsi da ogni immaginario prestabilito, sviluppando sonorità sperimentali. Passando attraverso la scomposizione e la reinvenzione del suono con la coppia composta appunto da “Kid A” e “Amnesiac” chiuderanno poi il contratto con la loro Major attraverso “Hail To The Thief”. Con “In Rainbows” nel 2007 arriveranno all’estremo di far decidere il prezzo dell’acquisto dell’album in digitale all’acquirente, anche con la possibilità di indicare zero come importo. Il disco poi uscirà anche in copie fi siche come cd, vinile e vinile in edizione limitata con un’etichetta e una distribuzione indipendente. La discografi a di Radiohead è una continua evoluzione, dove non c’è spazio per imposizioni e limiti, ma è fatta di tentavi di espressione e di indagine musicale che non cercano consensi ma empatia.

Giovanni Papalato

Nota

A pag. 134, photo © Lucio Pellacani.

Sardinhas, souvenir de Portugal da mangiare e collezionare

Dici sardina, dici Portogallo. Al pari del più nobile Bacalhau, le “umili” sardine sono le protagoniste indiscusse della gastronomia portoghese e in particolare di quella sua magnifi ca capitale Lisbona di cui nel tempo sono diventate un simbolo, accanto ai tram gialli e alla Torre di Belém. Un simbolo da acquistare sotto forma di portachiavi, calamite, piatti e utensili per la cucina, stampato su magliette, spille, foulards... “La sardina è così ben inserita nella cultura portoghese da apparire in libri e testi di numerose canzoni e persino nella genealogia, come cognome di alcune famiglie” si legge nel sito lisbona.italiani.it. “I Portoghesi la consumano tradizionalmente grigliata, accompagnata da patate lesse e insalata, o ‘a solo’, adagiata su una spessa fetta di pane”. La stagione migliore per mangiarle fresche è tra la fi ne della primavera e l’inizio dell’estate, quando il pesce è bello grasso e il suo sapore migliore e infatti proprio in questo periodo impazzano le popolari Festas, di cui le sardine sono l’emblema culinario e l’icona a livello di comunicazione. E a proposito di comunicazione, cosa dire delle scatole che le contengono? Sappiamo infatti che l’industria conserviera portoghese è una dei capisaldi dell’economia nazionale, esportando migliaia di tonnellate di scatole in latta fuori del Paese. Un classico della dispensa, apprezzato un po’ dappertutto in Europa e nel mondo, con un fascino senza tempo. E sulle scatole di sardine, divenute anch’esse un souvenir irrinunciabile del Portogallo, da tempo si sono scatenati l’estro e la creatività di designer e produttori, che hanno ingaggiato una vera e propria gara fatta di originalità, colori, innovazione e ironia, arrivando a creare dei piccoli capolavori, da esporre quasi come oggetto d’arte (dopo aver mangiato il contenuto naturalmente). Se oggi abbiamo imparato che la food experience parte dal packaging, dal contenitore esterno per arrivare al contenuto, le scatolette di sardine hanno tanto da insegnarci (in basso, alcune scatole fi rmate A Banca da Sardinha: una più bella dell’altra; photo © www.sardinha.pt).

Schede di specie ittiche da pesca nazionale

Composizione e valore nutrizionale delle più importanti specie ittiche (pesci, molluschi e crostacei) da attività di pesca nazionale

a cura di Elena Orban e Gabriella Di Lena, Teresina Nevigato, Maurizio Masci, Irene Casini, Roberto Caproni

Vongola (Tapes decussatus)

Habitat: vive in acque costiere e soprattutto all’interno delle lagune Lunghezza massima: 8 cm Provenienza delle vongole analizzate: pesca in zona lagunare Lazio Parte delle vongole analizzate: polpa interamente omogeneizzata

Tabella 1 – Biometrie di vongole Tapes decussatus analizzate

Min Max

Peso (g) 6,80 11,44

Lunghezza (cm) 3,40 4,78

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di vongole Tapes decussatus di differenti taglie (g/100 g parte edibile)

Media Dev.std Min Max

Parte edibile (% peso) 32,70 2,64 28,33 35,45 kcal / kJ 55/230 6/27 45/190 62/260

Umidità 81,76 1,59 80,13 84,51

Proteine 10,91 0,97 10,27 12,00

Lipidi totali 1,25 0,37 1,01 2,00

Glicogeno 2,20 0,74 1,57 3,49

Sale (Nax2,5) mg 1.191,69 215,08 760,00 1.445,00

Ceneri 2,69 0,26 2,44 3,10

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponifi cabile di vongole Tapes decussatus

di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media ds Min Max

Colesterolo 49,14 9,58 39,56 60,28 α-tocoferolo (vit. E) 1,05 0,05 0,97 1,13 Desmosterolo – – – –Fuco+Brassicasterolo 3,39 1,01 2,02 4,41 Stigma+Campesterolo 9,53 2,04 7,10 12,18 ßSitosterolo 2,94 1,82 1,12 6,33 α-Carotene (μg) 0,53 0,30 0,25 0,78 ß-Carotene (μg) 5,53 2,32 3,29 7,63

Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in vongole Tapes decussatus di differenti taglie (g/100 g parte edibile)

Media ds Min Max

Acidi grassi saturi 0,32 0,11 0,22 0,55

Acidi grassi monoinsaturi 0,17 0,07 0,14 0,28

Acidi grassi polinsaturi 0,34 0,09 0,23 0,50

Acidi grassi Omega-3 0,29 0,08 0,20 0,43

Acidi grassi Omega-6 0,06 0,02 0,04 0,09

EPA 0,09 0,04 0,05 0,20

DHA 0,16 0,05 0,11 0,24

EPA+DHA 0,25 0,07 0,15 0,36

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in vongole Tapes decussatus di differenti taglie

(in 100 g di parte edibile)

Min Max

Cu (μg) 46,00 66,00 Fe (mg) 1,42 2,45 Se (μg) 18,00 27,00 Zn (mg) 1,08 1,22 Na (mg) 304,00 564,00 K (mg) 212,00 272,00

Stagione riproduttiva, pesca ed allevamento.

La vongola Tapes decussatus si riproduce principalmente tra giugno ed agosto (sporadicamente in settembre). Viene pescata con rastrelli da barca e a mano e turbosoffi anti.

Valore nutrizionale

La vongola verace autoctona mediterranea (Tapes decussatus) è un mollusco bivalve della famiglia dei Veneridae, molto simile alla vongola verace asiatica, Ruditapes philippinarum, dalla quale si distingue per forma e disposizione dei sifoni, che nella specie autoctona sono ben separati, mentre nella fi lippina sono fusi alla base e divisi solo all’estremità. In Italia è particolarmente comune nell’Adriatico, ma anche nel basso e medio Tirreno. Dal punto di vista nutrizionale si evidenzia un contenuto proteico non molto elevato, un basso tenore lipidico, ed un contenuto in glicogeno variabili stagionalmente. L’apporto calorico per 100 g è molto basso. Buono il contenuto in acidi grassi polinsaturi, in particolare gli Omega-3 a lunga catena EPA e DHA, basso il tenore colesterolo. Elevato apporto di minerali; il tenore in sodio è piuttosto elevato.

Note

La vongola verace autoctona Tapes decussatus è diventata rara in quanto non si presta molto alle tecniche di allevamento come la vongola verace fi lippina, Tapes philippinarum o Tapes semidecussatus, che importata negli anni Ottanta ha progressivamente sostituito la classica vongola verace autoctona.

Venus (Chamelea) gallina

Habitat: vive su fondali sabbioso-fangosi, nella fascia costiera, fi no a 15 metri di profondità Lunghezza massima: 5 cm Provenienza delle vongole analizzate pesca in Adriatico Parte delle vongole Chamelea analizzate: polpa interamente omogeneizzata

Tabella 1 – Biometrie di Capesante analizzate

Min Max

Peso (g) 5,30 11,00 Lunghezza (cm) 2,42 3,06

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di vongole Chamelea di differenti taglie (g/100 g parte edibile)

Media Dev.std Min Max

Parte edibile (% peso) 18,65 1,84 16,39 20,14 kcal / kJ 50/207 7/30 41/171 57/240 Umidità 80,57 2,34 77,44 83,00 Proteine 9,76 0,93 8,55 10,75 Lipidi totali 1,17 0,39 0,73 1,60 Glicogeno 3,55 1,12 2,25 4,33 Sale (Nax2,5) mg 1.478,40 196,70 1.312,00 1.775,00 Ceneri 3,22 0,32 2,73 3,55

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponifi cabile di vongole Chamelea

di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media ds Min Max

Colesterolo 31,81 2,22 28,34 34,2 α-tocoferolo (vit. E) 0,90 0,26 0,48 1,16 Desmosterolo –Fuco+Brassicasterolo 4,45 2,60 1,25 8,3 Stigma+Campesterolo 3,94 1,12 2,70 5,24 ßSitosterolo 1,94 0,53 1,1 2,39 α-Carotene (μg) 2,60 2,76 0,42 6,15 ß-Carotene (μg) 14,01 13,83 3,92 26,80

Tabella 4 – Contenuto in acidi grassi di vongole Chamelea di differenti taglie

(g/100 g parte edibile)

Media ds Min Max

Acidi grassi saturi 0,26 0,07 0,20 0,35 Acidi grassi monoinsaturi 0,15 0,08 0,07 0,26 Acidi grassi polinsaturi 0,36 0,12 0,21 0,47 Acidi grassi Omega-3 0,32 0,11 0,17 0,43 Acidi grassi Omega-6 0,04 0,01 0,04 0,05 EPA 0,14 0,08 0,04 0,22 DHA 0,13 0,02 0,12 0,15 EPA+DHA 0,27 0,10 0,14 0,36

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in vongole Chamelea di differenti taglie

(in 100 g di parte edibile)

Min Max

Cu (μg) 35,00 65,00 Fe (mg) 6,31 8,20 Se (μg) 57,50 72,80 Zn (mg) 0,91 1,48 Na (mg) 525,00 710,00 K (mg) 182,30 257,00

Stagione riproduttiva e pesca

Si riproduce da aprile ad ottobre e viene pescata con la draga idraulica.

Valore nutrizionale

La vongola autoctona Chamelea gallina, conosciuta anche come “lupino”, è un prodotto esclusivamente di pesca su banco naturale che rappresenta una voce importante dell’economia ittica soprattutto nel Medio e Alto Adriatico. La Chamelea ha dimensioni più ridotte rispetto alle vongole veraci, mentre la composizione nutrizionale non differisce in maniera sostanziale.

Note

L’Unione Europea, con l’entrata in vigore del Regolamento delegato (UE) 2020/2237 della Commissione del 13 agosto 2020, autorizza i pescherecci italiani a pescare e commercializzare vongole più piccole (22 millimetri) di quanto previsto dagli standard UE, che fi ssano genericamente la taglia minima in 25 millimetri.

Vongola (Tapes semidecussatus o philippinarum)

Habitat: vive infossata in fondali lagunari a tessitura variabile dal fango alla sabbia grossolana Lunghezza massima: 8 cm Provenienza delle vongole analizzate pesca in zona lagunare (Sacca di Goro) Parte delle vongole analizzate: polpa interamente omogeneizzata

Tabella 1 – Biometrie di vongole Tapes semidecussatus analizzate

Min Max

Peso (g) 11,00 17,00 Lunghezza (cm) 3,69 4,20

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di vongole Tapes semidecussatus di differenti taglie

(g/100 g parte edibile)

Media Dev.std Min Max

Parte edibile (% peso) 29,21 3,81 23,30 32,40 kcal / kJ 43/179 6/25 35/146 50/210 Umidità 85,35 2,42 81,70 88,00 Proteine 8,42 1,05 7,04 9,47 Lipidi totali 1,00 0,23 0,84 1,36 Glicogeno 2,02 1,60 0,65 4,09 Sale (Nax2,5) mg 1.416,50 341,53 1175,00 1.658,00 Ceneri 2,01 0,43 1,72 2,76

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponifi cabile di vongole Tapes

semidecussatus di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media ds Min Max

Colesterolo 37,14 7,97 29,59 48,66 α-tocoferolo (vit. E) 0,56 0,21 0,34 0,84 Desmosterolo 1,34 0,53 0,74 1,77 Fuco+Brassicasterolo 5,36 1,20 3,66 6,67 Stigma+Campesterolo 8,56 3,58 5,11 13,50 ßSitosterolo 2,64 0,42 1,98 3,15 α-Carotene (μg) 1,39 0,47 0,68 1,92 ß-Carotene (μg) 15,77 11,64 4,35 34,38

Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in vongole Tapes semidecussatus di differenti taglie

(g/100 g parte edibile)

Media ds Min Max

Acidi grassi saturi 0,22 0,05 0,15 0,28 Acidi grassi monoinsaturi 0,16 0,05 0,10 0,22 Acidi grassi polinsaturi 0,28 0,07 0,24 0,40 Acidi grassi Omega-3 0,24 0,07 0,20 0,37 Acidi grassi Omega-6 0,04 0,01 0,03 0,05 EPA 0,11 0,07 0,06 0,24 DHA 0,10 0,01 0,08 0,11 EPA+DHA 0,21 0,07 0,16 0,33

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in vongole Tapes semidecussatus di differenti taglie

(in 100 g di parte edibile)

Min Max

Cu (μg) 45,00 53,00 Fe (mg) 3,50 4,80 Se (μg) 29,00 44,00 Zn (mg) 1,80 2,50 Na (mg) 470,00 663,00 K (mg) 202,00 230,00

Stagione riproduttiva e pesca

La vongolaTapes semidecussatus si riproduce principalmente tra maggio e settembre. Nelle lagune viene pescata mediante rasca a mano, rasca a pompa, rasca a pompa modifi cata(trainata). Oltre l’80% della produzione Italiana proviene da allevamento nel Nord Adriatico.

Valore nutrizionale

L’Italia e il primo produttore europeo e il secondo a livello mondiale di vongole veraci, rappresentate quasi esclusivamente della verace fi lippina. La specie è stata introdotta ai fi ni dell’acquacoltura nel 1983 nella Laguna di Venezia. Le buone capacità di adattamento, l’accrescimento rapido e l’alta capacità riproduttiva ne hanno favorito una veloce diffusione soprattutto in Alto Adriatico. Ha carni ottime e molto apprezzate, con una composizione nutrizionale molto simile alle altre specie di vongole con basso tenore lipidico, calorico ed in colesterolo. Discreto contenuto in acidi grassi Omega-3 e steroli ma, come gli altri bivalvi, un tenore in sodio un po’ elevato.

Note

Il consumo interno è rivolto quasi esclusivamente al prodotto fresco ma negli ultimi anni l’offerta è sempre più diversifi cata. Si stanno proponendo, infatti, ad esempio, vongole veraci vive, pulite e confezionate sottovuoto o in atmosfera protettiva, pronte per il consumo dopo breve cottura al microonde o in pentola; vongole precotte nel loro liquido naturale e già pronte all’uso. Questa e le schede prima riportate fanno parte di una serie di 56 schede che mostrano i risultati di un progetto di ricerca, svolto con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Al progetto hanno collaborato le Cooperative: Mare di Cattolica e AGEI (Agricoltura-Gestione Ittica) di Roma.

Non sono le orche le responsabili della diminuzione degli squali bianchi in Sudafrica

di Alessandro De Maddalena

Le acque del Sudafrica sono da sempre popolate dagli squali bianchi (Carcharodon carcharias), che, specialmente nella regione del Western Cape, trovano un’area a loro congeniale, per temperatura delle acque e abbondanza di prede. Ben quattro centri di abbondanza di tale specie sono infatti presenti in questo tratto di costa: False Bay, Gansbaai, Mossel Bay e Plettenberg Bay. Questi siti sono divenuti noti come luoghi eccezionali per l’osservazione di tali predatori, attirando ricercatori, documentaristi e turisti da tutto il mondo. Tuttavia, negli anni recenti abbiamo assistito ad una massiccia diminuzione della presenza degli squali bianchi in quest’area. Avendo lavorato lungo questo tratto di costa a partire dal 2010, ho potuto

Uomo a parte, l’orca è l’unico predatore noto dello squalo bianco; tuttavia, quest’ultimo non può essere considerato un elemento usuale nelle dieta del cetaceo.

Sebbene la dieta dello squalo bianco sia incredibilmente ampia ed includa anche alcune specie di delfi ni, non comprende il più grande dei delfi ni, l’orca.

osservare con i miei occhi il numero degli squali decrescere rapidamente ed inesorabilmente con il passare degli anni. Alcuni hanno attribuito la responsabilità di tale fenomeno alle orche (Orcinus orca).

I media non hanno atteso a lungo prima di divulgare la notizia tanto clamorosa quanto inesatta, secondo la quale le orche avrebbero spazzato via gli squali bianchi dalle acque sudafricane. Malgrado sia noto che le orche possano cacciare gli squali bianchi, tale spiegazione non può essere ritenuta plausibile. Vediamo in dettaglio per quali ragioni.

L’orca è indiscutibilmente superiore allo squalo bianco in uno

scontro tra le due specie. L’orca è il delfi no di maggiori dimensioni e ha una lunghezza massima di 9,8 metri e media di circa 6 metri, mentre lo squalo bianco ha una lunghezza massima di 6,6 metri e media di 3,5 metri. Inoltre, l’orca è dotata di un massiccio scheletro osseo, mentre lo squalo bianco ha un leggero scheletro cartilagineo, quindi il peso massimo di un’orca è pari a 10 tonnellate e quello medio è circa 4 tonnellate, mentre il peso massimo di uno squalo bianco è di 3,6 tonnellate e quello medio si aggira intorno ai 700 kg.

A questa notevole differenza di lunghezza e peso si aggiunge un altro fattore a vantaggio del cetaceo, ossia il suo notevole livello di interazione sociale, che lo porta a sviluppare raffinate e formidabili strategie di caccia di gruppo. Malgrado gli squali bianchi abbiano una speciale predilezione per i mammiferi marini e possano cacciare anche varie specie di delfi ni, non sono noti casi nei quali abbiano attaccato delle orche. Evidentemente le orche sono predatori troppo temibili per essere considerate potenziali prede dagli squali bianchi. Al contrario, appare evidente che per uno squalo bianco che venga attaccato da due o più orche contemporaneamente le probabilità di sopravvivere siano verosimilmente limitate. Nei pochissimi casi nei quali le orche sono state effettivamente osservate attaccare degli squali bianchi, i cetacei hanno avuto la meglio sui pesci cartilaginei.

Va anche detto che, avendo potuto osservare personalmente uno squalo bianco di circa 3,5 metri di lunghezza nelle acque della False Bay in Sudafrica, il quale recava sul corpo i segni di quelli che apparivano essere i denti di un’orca, sembra che almeno in alcuni casi gli squali bianchi riescano a sopravvivere a scontri del genere. Il fatto che le orche possano avere la meglio sugli squali bianchi non signifi ca che questi ultimi siano un elemento usuale nella loro dieta. I dati che abbiamo a disposizione dimostrano l’esatto contrario.

Le orche uccidono gli squali bianchi e si alimentano di questi ultimi solo in casi straordinariamente

rari. Ciò appare particolarmente interessante quando si consideri che le due specie sono frequentemente presenti nelle stesse aree geografi che in diverse aree del mondo. In sostanza, se le orche volessero alimentarsi regolarmente degli squali bianchi avrebbero tutte le occasioni per farlo, ma evidentemente di norma scelgono di non farlo.

La maggior parte delle popolazioni di orche non è mai stata osservata attaccare degli squali bianchi. Sebbene esistano delle popolazioni di orche che cacciano regolarmente differenti specie di squali, nemmeno queste annoverano lo squalo bianco tra le loro prede abituali. Probabilmente sono ben consapevoli del potenziale pericolo rappresentato dalla forza del morso di uno squalo bianco e, di norma, preferiscono selezionare prede meno pericolose, inclusi squali di specie differenti e nella maggior parte dei casi di taglia inferiore.

Apparentemente i casi registrati a livello mondiale di squali bianchi

Le orche possono essere responsabili dell’uccisione di alcuni squali bianchi e in alcuni casi possono indurre questi animali ad abbandonare temporaneamente un’area nella quale sono solitamente presenti. Ma questo è tutto. La drammatica diminuzione degli squali bianchi alla quale si è assistito in questi ultimi anni è un fenomeno necessariamente causato dall’uomo

uccisi dalle orche sarebbero solo 8. Di questi, 6 casi sarebbero avvenuti di recente in Sudafrica. Fuori dal Sudafrica, gli unici casi confermati nei quali le orche hanno attaccato e ucciso degli squali bianchi sono infatti soltanto 2 sino ad oggi. Un caso è stato registrato in California, alle Farallon Islands, nell’ottobre 1997, ed uno è avvenuto in Australia Meridionale, alle Neptune Islands, nel febbraio 2015.

Il caso del Sudafrica appare quindi del tutto atipico e come tale deve avere ragioni particolari. A partire dal 2017, nelle acque del Western Cape, sembrerebbe che due orche abbiano ucciso alcuni squali bianchi, apparentemente un totale di sei esemplari. In nessuno di tali casi le orche sono state viste uccidere gli squali; tuttavia, biologi locali che hanno esaminato le carcasse hanno concluso che gli animali in questione sarebbero stati effettivamente uccisi dalle orche.

La responsabilità degli attacchi è stata attribuita a due orche in particolare, in quanto queste sono state osservate nell’area dell’uccisione degli squali a breve distanza temporale dal rinvenimento delle carcasse. Tali casi di predazione si sono verifi cati tutti nell’area di Gansbaai, nota per essere uno dei siti di maggior abbondanza della specie al mondo. Le orche in questione hanno dimostrato un particolare interesse per il fegato degli squali bianchi, organo di enormi dimensioni, che può raggiungere addirittura il 28% del peso corporeo, e dall’alto contenuto energetico. Questo è in linea con il comportamento alimentare dell’orca, che tende a selezionare con attenzione le prede e le parti del corpo di queste che predilige, come si osserva ad esempio nei casi nei quali le orche si alimentano selettivamente della lingua delle balene. D’altra parte gli squali bianchi erano già stati osservati cibarsi del fegato di uno squalo bianco nel caso registrato in California nel 1997.

Le altre orche che frequentano l’area del Western Cape, dove sono state rinvenute le carcasse degli squali, normalmente vi appaiono intorno ad aprile, e sono state osservate ripetutamente cacciare i delfi ni, mentre non sono mai state viste attaccare gli squali bianchi.

Le due orche che si reputa siano le responsabili dell’uccisione degli squali bianchi sono entrambe dei maschi di grossa taglia, vengono viste regolarmente nuotare insieme e apparentemente hanno scelto come residenza fi ssa l’area in questione per gran parte dell’anno. Stranamente entrambi questi maschi presentano la caratteristica di avere la pinna dorsale collassata: in un esemplare la dorsale pende a sinistra, mentre nell’altro pende a destra. Questa caratteristica ha fatto sì che le due orche siano state battezzate Port e Starboard, vale a dire “babordo” e “tribordo”, che in linguaggio nautico indicano il lato sinistro e quello destro di un’imbarcazione.

La pinna dorsale collassata si osserva tipicamente negli esemplari anziani, malati oppure in cattività, in breve è una caratteristica che consegue alla riduzione delle capacità motorie degli animali.

L’elevato livello di interazione che le orche mostrano durante la caccia, unitamente alla loro forza ed alle notevoli dimensioni, fanno sì che questi animali siano in grado di sopraff are anche gli animali marini di mole maggiore.

Questo squalo bianco di circa 3,5 metri di lunghezza, osservato nelle acque della False Bay in Sudafrica, reca sul corpo i segni di quelli che appaiono essere i denti di un’orca.

Non è attualmente noto ciò che abbia causato il collasso della pinna dorsale in tali due esemplari, ma è chiaro che si tratta di un caso anomalo. Le due orche non si limitano a cacciare gli squali bianchi, ma anche altre specie di squali, in particolare notidani maculati (Notorynchus cepedianus) e squali bronzei o ramati (Carcharhinus brachyurus).

Il motivo per cui tali due orche abbiano iniziato a cacciare gli squali delle acque costiere non è noto. Un’ipo tesi plausibile è che si tratti di un comportamento indotto dall’uomo.

Sappiamo che talora le orche si alimentano dei pesci catturati dai pescherecci ed in particolare di quelli pescati con i palangari pelagici. Nella zona si sono verifi cati casi nei quali apparentemente i pescatori avrebbero preso a colpi di arma da fuoco le otarie orsine del Capo (Arctocephalus pusillus), responsabili di alimentarsi dei pesci allamati. L’autore stesso ha avuto modo di esaminare carcasse di otarie spiaggiate che recavano segni di colpi di arma da fuoco.

Non si può quindi affatto escludere che le due orche in questione siano state colpite da proiettili sparati dall’equipaggio di un peschereccio, perché interferivano con le operazioni di pesca, e che a seguito delle ferite riportate non siano più state in grado di cacciare le loro prede abituali.

I delfini, ad esempio, sono estremamente agili e sono capaci di sostenere il nuoto ad alta velocità per lunghi tratti, cosicché lo sforzo richiesto affi nché le orche possano cibarsene è notevole.

In un caso del genere è possibile che le orche siano state costrette a rivolgere la loro attenzione verso delle prede non usuali, meno agili, incapaci di sostenere elevate velocità per lunghi tratti, e dotate di tessuti ad elevato contenuto energetico. Gli squali bianchi sarebbero stati quindi una scelta perfetta.

Siamo dunque a conoscenza del fatto che le orche possono essere responsabili dell’uccisione di alcuni squali bianchi e sappiamo che in alcuni casi possono indurre questi animali ad abbandonare temporaneamente un’area nella quale sono solitamente presenti per farvi ritorno in seguito. Ma questo è tutto.

Due orche non possono essere ritenute le responsabili della drammatica diminuzione degli squali bianchi alla quale si è assistito in questi ultimi anni: un fenomeno del

genere è necessariamente causato

dall’uomo. Nel 1991 il Sudafrica fu la prima nazione al mondo a dichiarare illegale l’uccisione degli squali bianchi. Il fatto che tale specie, grazie al cage diving, fosse oggetto di interesse per l’industria del turismo, e di conseguenza fonte di ricchezza per la nazione, è stato indubbiamente un elemento chiave in questa scelta. Tuttavia, nel corso del tempo è

apparso chiaro che dichiarare C. carcharias specie protetta non è suffi ciente a garantirne l’effettiva

sopravvivenza.

Le minacce che questo animale si trova a fronteggiare sono numerose e comprendono la pesca come cattura accessoria nel corso delle operazioni di pesca mirate ad altre specie, l’eccessiva pesca delle loro prede, l’uccisione per mezzo delle reti anti-squalo tutt’oggi utilizzate nella provincia del Natal a protezione delle spiagge balneabili, la pesca di frodo ed anche la ricerca invasiva operata da alcuni enti.

Vedendo come la situazione è andata deteriorandosi nel corso degli ultimi 10 anni, viene tristemente da chiedersi se tra altri 10 anni ci saranno ancora squali bianchi vivi nelle acque del Sudafrica.

Alessandro De Maddalena

Nota

Photo © Alessandro De Maddalena.

Eff etti dell’alginato e dei tannini nella conservazione delle specie ittiche a polpa colorata

di Alfonso Piscopo e Ilaria Domenica Piscopo

La conservazione del pesce è uno dei processi di fondamentale importanza a cui guarda con attenzione l’industria ittica. Lo scopo primario è quello di preservare l’edibilità e il valore nutritivo del pescato, proteggendone le alterazioni accidentali e limitandone l’entità delle trasformazioni inevitabili che lo stesso subisce col passare del tempo. Oltre ai metodi tradizionali storicamente conosciuti per conservare il pesce, quali il raffreddamento in primis, a supporto si affiancano, specie durante la produzione e immediatamente dopo la raccolta, processi più moderni e sofi sticati, che garantiscono il prodotto durante le fasi di trasporto e stoccaggio. È noto che il pesce fresco abbia un limite di conservazione abbastanza breve rispetto al prodotto surgelato. Il deterioramento è causato dall’ossidazione lipidica, dall’attività enzimatica e dalle attività metaboliche dei microrganismi che si sviluppano nelle carni (ARASHISARA et al., 2004). Le specie ittiche ricche di Omega-3, EPA e DHA sono più facilmente deteriorabili per effetto dell’ossidazione dei lipidi (SÁNCHEZ-ALONSO & BORDERIAS, 2008), che determina modifi che nelle caratteristiche organolettiche del prodotto e quindi una diminuzione del valore nutrizionale e conseguente perdita economica (AMANATIDOU et al., 2000; GRAMZA et al., 2006).

La temperatura risulta essere uno dei parametri determinanti nella preservazione dei prodotti ittici. Tuttavia, la perdita della qualità anche durante lo stoccaggio refrigerato risulta inevitabile. Recentemente, l’impiego di antiossidanti e antimicrobici naturali ha mostrato una certa effi cacia nel conservare il pesce refrigerato, mantenendo inalterate le caratteristiche organolettiche dei prodotti. L’uso di antiossidanti è uno dei più effi caci mezzi per aumentare la shelf-life e preservare la qualità del pescato (SERDAROGLU & FELEKOGLU, 2005). Gli antiossidanti sono sostanze che possono ritardare o prevenire l’ossidazione causata da ossigeno atmosferico nei grassi e negli oli (BENJAKUL et al., 2005; SARKARDEI & HOWEL, 2008). Essi possono ral-

Filetti di trota iridea.

lentare l’ossidazione e l’insorgere dell’irrancidimento reagendo con radicali liberi e idroperossidi stabilizzanti (BENJAKUL et al., 2005). Tra questi, ad esempio, gli acidi organici come l’acido citrico e l’acido ascorbico sono ben noti per il loro ruolo di chelanti e acidifi canti (OKTAR et al., 2001; KIM et al., 2006) e per avere attività antimicrobica (THERON & LUE, 2007). Nel caso dell’acido citrico quest’ultima è dovuta alla sua forma non dissociata che può superare la membrana cellulare in modo semplice e acidifi care il citoplasma (BRUL & COOTE, 1999). Trattamenti con acido ascorbico hanno prodotto risultati migliori rispetto a quelli ottenuti esclusivamente con l’uso di acido citrico, mentre l’impiego di entrambi gli acidi combinanti ha dimostrato nella fase di pre-congelamento una maggiore efficacia nel prevenire l’ossidazione dei lipidi nel pesce una volta congelato e opportunamente confezionato sottovuoto (ROSTAMZAD et al., 2011).

Riferimenti normativi

Gli antiossidanti sono sostanze che prolungano il periodo di conservazione dei prodotti alimentari proteggendoli dal deterioramento provocato da reazioni chimiche che causano l’irrancidimento dei grassi e le variazioni di colore. Queste sostanze fanno parte degli additivi alimentari cioè: “qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé e non utilizzata come ingrediente caratteristico di alimenti, con o senza valore nutritivo, la cui aggiunta intenzionale ad alimenti per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel trattamento, nell’imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio degli stessi, abbia o possa presumibilmente avere per effetto che la sostanza o i suoi sottoprodotti diventino, direttamente o indirettamente, componenti di tali alimenti” (Reg. CE n. 1333/2008).

Sono da distinguersi dai coadiuvanti tecnologici defi niti come “qualsiasi sostanza non è consumata come un alimento in sé; è intenzionalmente utilizzata nella trasformazione di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica nella lavorazione o nella trasformazione; e può dar luogo alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto fi nito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto fi nito” (Reg. CE n. 1333/2008).

La differenza tra le due tipologie di sostanze utilizzate negli alimenti risulta essere soprattutto l’effetto funzionale sul prodotto, ovvero: • l’additivo continua a persistere anche nel prodotto fi nito, anche se non viene segnalata alcuna tossicità; • il coadiuvante tecnologico invece scompare al termine del processo produttivo o può rinvenirsi in tracce.

Sempre il Regolamento CE 1333/2008 relativo agli additivi alimentari dà la defi nizione di alimento non trasformato: “un alimento che non ha subito alcun trattamento che abbia determinato un mutamento sostanziale del suo stato iniziale; non sono determinanti a riguardo, le operazioni di divisione, separazione, scissione, disosso, tritatura, scuoiatura, sbucciatura, pelatura, frantumazione, taglio, pulitura, decorazione, surgelazione, congelazione, refrigerazione, macinatura, sgusciatura, imballaggio o disimballaggio”.

Il Regolamento 853/2004 del pacchetto igiene defi nisce: • prodotti della pesca freschi: prodotti della pesca non trasformati, interi o preparati, compresi prodotti imballati sottovuoto in atmosfera modifi cata che, ai fi ni della conservazione, non hanno subito alcun trattamento diverso dalla refrigerazione, inteso a garantire la conservazione; • prodotti della pesca preparati: prodotti della pesca non trasformati sottoposti ad una operazione che ne abbia modifi cato l’integrità anatomica, quali l’eviscerazione, la decapitazione,

Figura 1 – Lo studio della Universidad de Almería valuta il potenziale d’azione di due tannini, acido tannico (TAN) e tannico di quebracho (QUE), per preservare parametri oggettivi di qualità dei fi letti di trota iridea durante un periodo di conservazione a freddo di 15 giorni, applicati da soli o in combinazione con rivestimento di alginato. Sono stati inclusi anche fi letti non trattati (C) e una serie di fi letti trattati con acido ascorbico (ASC). Tutti gli additivi hanno ridotto la carica microbica e l’ossidazione lipidica dei fi letti, essendo gli effetti di TAN e QUE almeno paragonabili a quelli di ASC, l’antiossidante più utilizzato per il pesce fresco. I risultati indicano anche che l’alginato di per sé ha ridotto l’ossidazione dei lipidi nelle fasi fi nali del periodo di conservazione e ha anche aumentato la leggerezza del fi letto, ma ha causato scarsi effetti su altri parametri coinvolti nel deterioramento del fi letto. Tuttavia, alginato e additivi applicati insieme hanno migliorato gli effetti dei soli additivi, soprattutto per quanto riguarda i parametri ossidativi microbici e lipidici, consentendo una durata di conservazione prolungata dei fi letti. Queste preziose proprietà dei tannini commerciali, insieme alla loro origine naturale e alla disponibilità su larga scala, potrebbero consentire un’ulteriore applicabilità di queste sostanze alla conservazione dei fi letti di pesce, non da ultimo per quanto riguarda le specie colorate, come la trota iridea. In sintesi: • i tannini controllano effi cacemente la carica microbica e l’ossidazione lipidica dei fi letti; • l’alginato aumenta la leggerezza e previene l’ossidazione tardiva dei lipidi durante la conservazione; • gli effetti degli additivi sono stati prolungati quando inclusi nei rivestimenti di alginato; • i tannini sono particolarmente interessanti come additivi nelle specie ittiche a polpa colorata (credito infografi ca: Fundación Discover).

l’affettatura, la sfi lettatura e la tritatura.

Nei pesci, crostacei e molluschi non trasformati, anche congelati e surgelati è ammesso l’uso dei seguenti antiossidanti segnalati ognuno in codice: E300, E301, E302, E330, E331, E332, E333 (ascorbati e citrati). Prendiamo ad esempio l’acido L-ascorbico (E300), che risulta essere il più utilizzato dall’industria ittica, grazie alle proprietà antiossidanti Il pesce mantiene la caratteristica freschezza e viene prolungata la shelf-life. Tuttavia, questo antiossidante perde di effi cacia in pochissimi giorni. Da tempo i ricercatori e l’industria sono alla ricerca di un succedaneo di qualità superiore all’E300 che conservi meglio un alimento delicato e facilmente deperibile come il pesce fresco. A creare problemi in particolare sono gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena che si alterano facilmente nel pescato fresco post raccolta.

Estratto naturale di alginato e tannini per il prolungamento della shelf-life del pesce fresco

Una nuova sostanza derivante da estratti naturali si è rivelata molto utile come rivestimento per la conservabilità del pesce fresco: l’hanno messo a punto un gruppo di ricercatori spagnoli dell’Università di Almería [M.I. SÁEZ, M.D. SUÁREZ, T.F. MARTÍNEZ (2020), Effects of alginate coating enriched with tannins on shelf life of cultured rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) fi llets]. Si tratta di uno

strato protettivo che è una combinazione tra un agente ossidante e

uno antimicrobico che secondo gli stessi ricercatori potrebbe sostituir si all’E300 e preservare i parametri oggettivi di qualità del pesce fresco per un periodo più lungo. Per lo studio i ricercatori hanno utilizzato la trota iridea (Oncorhynchus mykiss), un pesce molto ricco di Omega-3. A causa dell’alto contenuto degli acidi grassi nel muscolo, la trota iridea è ideale nel testare sostanze antiossidanti. In natura la trota iridea si ciba di insetti, molluschi, uova di pesce, piccoli pesci e crostacei, tra i quali il gambero di fi ume. Quest’ultimo contiene un pigmento carotenoide responsabile della colorazione arancione-rosata della carne delle trote che vengono defi nite “salmonate”. Per questa caratteristica le trote e i salmonidi in generale sono molto graditi dal consumatore e nell’allevamento tale colorazione viene ottenuta aggiungendo nella dieta dei pesci due pigmenti di origine sintetica, l’astaxantina e la cantaxantina.

Trota iridea (Oncorhynchus mykiss) Per conservare questo pesce sono stati utilizzati agenti antiossidanti di origine naturale detti tannini, sostanze ricche di polifenoli che possono essere rinvenute in molte piante. I tannini da un lato hanno un effetto antiossidante paragonabile a quello dell’E300 e, dall’altro, si tratta di un prodotto naturale che potrebbe soddisfare le esigenze dell’industria e dei consumatori. Oltre ai tannini i ricercatori hanno usato anche uno rivestimento fatto di tannini, sfruttando l’ingegneria dei materiali, un

biopolimero che si trova nelle pareti cellulari delle alghe. Le trote sono state sfi lettate, lavate, essiccate e quindi refrigerate. Parte di esse è stata trattata con acido ascorbico, acido tannico e/o tannino proveniente dal quebracho, un albero del Sud America. Solo una metà è stata rivestita anche con alginato (Figura 1). Queste miscele venivano spruzzate sui fi letti. Nei giorni a seguire sono stati analizzati i campioni prelevati dai pesci, con risultati sorprendenti per quelli preservati con lo strato di alginato più i tannini. Questo trattamento consente una diminuzione del dosaggio delle sostanze antiossidanti e prolunga il loro effetto nel tempo.

Conclusioni

In commercio esistono prodotti utilizzati come additivanti/coadiuvanti legalmente consentiti per la conservazione del pesce fresco non trasformato. Tra i più richiesti dall’industria c’è l’acido ascorbico E300, usato con risultati soddisfacenti sulla conservabilità del pescato se non fosse che questo agente antiossidante comincia a perdere le sue caratteristiche di preservazione con il passare dei giorni. Un altro problema riguarda invece l’utilizzo di sostanze vietate simil additivanti/ coadiuvanti nei prodotti della pesca. Tra i più usati negli spacci di pesce all’ingrosso o nei punti di distribuzione abbiamo: • il cafodos, un additivo utilizzato illegalmente da solo o con acqua ossigenata per conservare i caratteri di freschezza del pesce; tale additivo risulta diffi cile da

reperire nel prodotto fresco e trattato, poiché a contatto con l’acqua e il ghiaccio, si fonde e si perde traccia (PISCOPO A., 2010); • l’acqua ossigenata o perossido di idrogeno, utilizzata come additivo e/o coadiuvante tecnologico. Il suo ruolo è quello di sbiancare, cioè di mettere a lucido o ravvivare il pesce in modo da renderlo fresco. Il perossido di idrogeno non è pericoloso sull’alimento in quanto tale, ma al pari del cafodos rappresenta una frode commerciale. In passato molti prodotti della pesca (totani, seppie e calamari) soggetti ad accertamenti e verifi che sono stati sequestrati perché trattati con acqua ossigenata. Ad esempio si è scoperto pesce di origine selvatica (provenienza Oceano Pacifi co) che, dopo lo scongelamento, veniva trattato con acqua ossigenata per conferirgli il classico aspetto vivo lucente e brillante. Successivamente veniva lavorato, ricongelato e messo in commercio nei punti vendita della grande distribuzione. Il pesce arrivava così al punto vendita e veniva acquistato dai consumatori con mislabelling ovvero “etichettatura errata”, riportante la dicitura “pesce trattato in aggiunta di coadiuvante tecnologico”. La frode commerciale riguarda i seguenti aspetti: viene mitigata la scarsa qualità del prodotto (camuffandone i caratteri di freschezza); il pesce di varia importazione viene prima scongelato, trattato con H2O2 (perossido di idrogeno), lavorato e poi ricongelato; viene specifi cato impropriamente in etichetta l’utilizzo come additivo e/o coadiuvante tecnologico allo scopo di eludere il consumatore.

A chiarimento il Ministero della salute ha emanato una nota sul divieto di utilizzo del perossido di idrogeno (Nota n. 13093 del 29 aprile 2010; PISCOPO A., 2010); • il cloro, illegale nei prodotti ittici anche se fi gura nell’elenco degli additivi consentiti (PISCOPO A., 2010).

La situazione si è ulteriormente complicata con la nascita degli “additivi di nuova generazione”, dei quali si ignorano spesso sia l’origine che il metodo di fabbricazione e che non sempre sono dichiarati o sono dichiarati erroneamente in etichetta poiché non sono consentiti per legge. Tutto ciò comporta oltre che un problema di salute pubblica certamente una frode commerciale con mislabelling – claim/disclaimer, lesiva dei diritti dei consumatori. Ben vengano dunque nuovi e interessanti studi, alla ricerca di nuovi ritrovati di ingegneria dei materiali per la conservazione del pesce fresco non trasformato, come l’alginato e i tannini estratti naturali. Ne gioveranno di certo l’industria ittica e gli stessi consumatori.

Dott. Alfonso Piscopo

Dirigente Veterinario Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento Veterinario del Servizio Sanitario Nazionale

Ilaria Domenica Piscopo

Studentessa di Medicina e Chirur gia

Università degli studi di Palermo

Effects of alginate coating enriched with tannins on shelf life of cultured rainbow trout (Onco-

rhynchus mykiss) fi llets – This study assesses the potential of two tannins, tannic acid (TAN) and quebracho tannin (QUE), to preserve objective quality parameters of rainbow trout fi llets throughout a 15-d cold storage period, applied either alone or combined with alginate coating. Untreated fi llets (C), and a set of fi llets treated with ascorbic acid (ASC) were also included. All the additives reduced microbial counts and lipid oxidation of fi llets, being the effects of TAN and QUE at least comparable to those of ASC, the most widely used antioxidant for fresh fi sh. The results also indicate that alginate by itself reduced lipid oxidation at late stages of the storage period, and increased fi llet lightness (L*) as well, but caused scarce effects on other parameters involved in fi llet deterioration. However, alginate and additives applied together enhanced the effects of the additives alone, especially regarding microbial and lipid oxidative parameters, this enabling prolonged shelf life of fi llets. These valuable properties of commercial tannins, together with their natural origin and large-scale availability, might well enable further applicability of these substances to fi sh fi llets preservation, not least with regard to coloured species, such as rainbow trout.

Normativa di riferimento

• Regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del

Consiglio del 16 Dicembre 2008 relativo agli additivi alimentari. • Decreto Ministeriale 27/2/96 n. 209, concernente la disciplina degli additivi alimentari consentiti nella preparazione delle sostanze alimentari in attuazione alle Direttive n. 94/34/CE, n. 94/35/CE, n. 94/36/CE, n. 95/2/

CE e n. 95/31/CE. • Decreto Ministeriale 27/2/2008, aggiornamento del

Decreto 27/2/1996 n. 209, concernete la disciplina degli additivi alimentari consentiti nella preparazione, e per la conservazione delle sostanze alimentari in attuazione della Direttiva n. 2006/52/CE. • Regolamento CE n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del

Consiglio del 16 dicembre 2008 relativo agli additivi alimentari. • Regolamento CE 853/2004 del

Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifi che in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.

Bibliografi a

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Il CSB-System ERP off re una soluzione già consolidata nella pratica

Cosa signifi cano i nuovi standard GDST per un’azienda e cosa deve fare il software gestionale?

Nell’aprile 2017 una ventina di aziende si è riunita per lanciare un dialogo globale sulla tracciabilità del pesce, il cosiddetto Global Dialogue on Seafood Traceability (GDST) e redigere nuovi standard per il settore. Obiettivo: consentire l’accesso

a tutte quelle informazioni che possano garantire l’origine legale

e responsabile dei prodotti ittici. Dopo quasi tre anni di lavoro, sono ora disponibili i primi standard e linee guida GDST per tracciare il pesce. La prima versione è stata resa pubblica il 16 marzo 2020.

Quali sono gli svantaggi delle soluzioni usate fi nora per tracciare il pesce?

La tracciabilità affi dabile del pesce e dei frutti di mare è diventata da tempo un must per qualsiasi azienda del settore ittico. Che si tratti di rispettare le linee guida sulla responsabilità sociale delle imprese o di affrontare questioni operative chiave come la trasparenza della catena di approvvigionamento e la gestione del rischio, le aziende hanno bisogno di un accesso rapido ad informazioni verifi cabili sui prodotti lungo l’intera fi liera. Le nuove tecnologie digitali rendono la tracciabilità non solo

CSB Traceability soddisfa tutte le esigenze del settore verso fornitori e clienti.

Il CSB-System gestisce etichette personalizzate in maniera fl essibile.

possibile, ma anche conveniente. Tuttavia, ci sono due problemi: 1. le richieste di informazioni incoerenti da parte dei governi, delle

ONG e dei rivenditori o di altre aziende a valle portano esse stesse a confusione, costi di conformità più alti e scoraggiamento tra gli attori della fi liera; 2. l’utilizzo da parte di questi ultimi di soluzioni per la tracciabilità non in grado di comunicare tra loro ostacola il fl usso di informazioni. Questo si traduce in rigidità nelle relazioni commerciali e in maggiore riluttanza da parte dell’azienda nell’inserimento di nuovi fornitori e clienti. Un software gestionale interno, che operi secondo i propri standard ma non è in grado di interfacciarsi con altre soluzioni di tracciabilità, non può condurre all’obiettivo.

Per aggirare questo problema, il CSB-System ERP, software gestionale specifi co per il settore ittico, offre una soluzione già consolidata nella pratica: il CSB Traceability, che già nella versione standard “chiavi in mano” soddisfa tutte le esigenze del settore, incluse le interfacce EDI verso fornitori e clienti. Perché altrimenti, senza interoperabilità dei sistemi, non si può mai essere sicuri che i dati reperiti siano validi.

Cosa signifi ca l’interoperabilità per un software?

L’interoperabilità dei sistemi, ovvero la capacità di due o più sistemi, applicazioni o componenti, di scambiare informazioni tra loro e di essere poi in grado di utilizzarle, è la conditio sine qua non per una tracciabilità senza lacune della fi liera: “dalle acque al piatto”. In altre parole, il software di tracciabilità dell’azienda di lavorazione deve parlare “la stessa lingua” del software di fornitori e clienti. Ciò implica la possibilità di ricercare e consultare dati unitari, denominati in modo coerente e condivisi in modo verifi cabile. Questo non signifi ca che ogni azienda debba usare la stessa soluzione software secondo il motto one size fi ts all o che dati, in parte confi denziali, siano apertamente disponibili a tutti, o che addirittura ci sia da temere una perdita di controllo.

La trasmissione dei dati

La trasmissione dei dati può avvenire in vari modi: in generale, i protocolli di comunicazione devono essere scambiati tra coloro che sono in possesso dei dati rilevanti per il tracciamento. GDST ha adottato

Il vantaggio off erto dal CSB-System ERP è quello di essere modulare: il cliente sceglie i moduli da implementare secondo le proprie esigenze e può ampliarli in step liberamente defi nibili successivamente. I maggiori vantaggi derivano però dalla totale integrazione dei moduli operativi base del CSB-System ERP: Acquisti, Magazzino, Produzione, Tracciabilità, Vendite, Contabilità

un approccio aperto allo scambio dei dati, con la consapevolezza che le relazioni commerciali assumono forme diverse.

Tuttavia, il GDST stabilisce condizioni fi sse per lo scambio di dati: i dati rilevanti devono essere scambiati in formati specifi ci, che contengono informazioni aggiuntive sul mittente, l’autenticità e la possibilità di ricevere una conferma sulla ricezione e lo stato dei dati. E sono proprio queste condizioni che il software aziendale deve rispettare per implementare gli standard del GDST. Le interfacce del CSB Traceability, per esempio, hanno formati basati su standard globalizzati.

Come può il software implementare gli standard di tracciabilità?

Fondamentalmente, i sistemi digitali di controllo della fi liera sono il futuro, soprattutto nel settore della pesca. I sistemi basati sulla carta sono destinati a scomparire. È importante notare che il GDST non impone una soluzione “unica per tutti”. GDST

1.0 fornisce standard tecnologici che possono essere implementati

in modo fl essibile, comprese le tecnologie all’avanguardia come la blockchain. Naturalmente, l’implementazione di questi standard richiederà del tempo e avverrà solo gradualmente.

Il passo verso una completa digitalizzazione di tutti i processi rappresenta una vera e propria sfi da per molte aziende, soprattutto per quelle di piccole dimensioni. Fortunatamente, però, il GDST non richiede una completa digitalizzazione dei processi interni dell’azienda, ma si concentra solo sulla trasmissione digitale dei dati tra i partner all’interno della catena di approvvigionamento.

Il vantaggio offerto dal CSBSystem ERP è proprio quello di essere modulare: il cliente sceglie i moduli da implementare secondo le proprie esigenze e può ampliarli successivamente in step liberamente defi nibili. Anche se, va detto, i maggiori vantaggi derivano dalla totale integrazione dei moduli operativi base del CSB-System ERP: Acquisti, Magazzino, Produzione, Tracciabilità, Vendite e Contabilità.

Affi nché lo scambio di protocolli di comunicazione sia sempre assicurato anche tra aziende con diversi livelli di digitalizzazione, si rimanda a raccomandazioni più dettagliate descritte in “Standards and Guidelines for Interoperable Seafood Traceability Systems – Technical Implementation Guidance” (traceability-dialogue.org).

Quanto sono affi dabili gli standard del GDST?

Gli standard GDST sono già stati sottoposti a test concreti. Diversi esperti e parti interessate sono stati coinvolti in queste attività, compresi i fornitori di software intenzionati a sviluppare soluzioni conformi. Con l’aumento dei requisiti commerciali e normativi per la tracciabilità, gli standard GDST probabilmente non solo permetteranno l’interoperabilità, ma miglioreranno anche i tempi di reazione e creeranno un campo di azione più unitario.

Gli esperti CSB conoscono nel dettaglio il settore ittico e i suoi processi specifi ci e sono quindi in grado di supportare le aziende nella realizzazione di una soluzione personalizzata per la rintracciabilità: il CSB Traceability consente il rispetto degli standard GDST e supporta le aziende a soddisfare gli obblighi di approvvigionamento responsabile. Investire nel CSB ERP signifi ca garantirsi un gestionale al passo con le tendenze del settore e gli sviluppi tecnologici.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

Fast Blade: affi lacoltelli made in Italy sempre perfetto

Brevettato e prodotto dalla vicentina Menegon Ennio Sas, questo affi lacoltelli professionale è veloce, pratico, sicuro e, soprattutto, non necessita di alcuna manutenzione. Accessibile anche a chi non è di settore

I professionisti del settore ittico, così come quelli della carne e della ristorazione, si ritrovano quotidianamente a lavorare con coltelli non taglienti, che compromettono non solo la qualità ma anche il servizio stesso. La soluzione al problema c’è e si chiama Fast Blade, un prodotto 100% made in Italy brevettato e realizzato dall’azienda metalmeccanica veneta MENEGON ENNIO SAS. Fast Blade è un affi lacoltelli che vanta una serie di caratteristiche che lo differenziano sul mercato: pratico, semplice, solido, di facile utilizzo ma, soprattutto, alla portata di tutti.

Veloce, effi cace e semplice

«La praticità e velocità di utilizzo è uno dei punti di forza del Fast Blade, che sorprende chiunque lo utilizzi: in un solo passaggio, infatti, si ottiene un’affi latura professionale senza la minima imperfezione o

Fast Blade è un affi lacoltelli professionale di nuova generazione. Le caratteristiche di questo affi latore professionale sono praticità, semplicità e velocità d’esecuzione, sicurezza ed effi cacia.

Con questo affi lacoltelli si possono lavorare lame in metallo o ceramica, con angolo di fi lo a punta o a botte. E, grazie alla diversa granulosità dei nastri abrasivi, è possibile realizzare innumerevoli fi niture di lame senza la minima imperfezione o sbavatura

sbavatura in entrambi i lati della lama» ci raccontano i responsabili dell’azienda. «Se si utilizzano lame in acciaio o in ceramica poco conta: Fast Blade le lavora entrambe producendo un’affi latura eccezionale che sfrutta la lama in tutta la sua lunghezza, fi no all’attacco dell’impugnatura».

Affi latura personalizzabile: con cinque marce in più

Una ghiera centrale permette di selezionare 5 diversi angoli d’affi latura ed è stata creata appositamente per

facilitare l’affi latura anche a tutti coloro che non sono qualifi cati o

specifi ci nel settore (arrotini). La diversa angolatura permette inoltre di ottenere un angolo più o meno acuto del profi lo della lama, quindi da una lama col profi lo a rasoio fi no alla lama dal profi lo a botte.

Solido

Tutta la struttura e i vari componenti sono prodotti con i migliori materiali

italiani per ottenere un’eccezionale

durata d’esercizio. Il cuore della macchina è composto dai dischi e

rotori che sostengono i tre nastri abrasivi, a garanzia della perfezio-

A sinistra: che usiate lame in metallo o ceramica, per Fast Blade non fa alcuna diff erenza. A destra: Fast Blade garantisce un’affi latura su tutta la lama. ne d’affi latura. Sostituirli è molto semplice: in pochi secondi si accede alla zona dove sono sistemati e con pochi passaggi si provvede alla loro sostituzione. I nastri abrasivi sono disponibili in varie granulosità; da quelli classici per la lucidatura e affi latura degli utensili in metallo a quelli diamantati per ottenere la lucidatura e affi latura degli utensili in ceramica.

Sicuro

Fast Blade rispecchia tutti i canoni di sicurezza previsti dalle vigenti normative in materia, ogni componente viene lavorato e testato a tutela dell’operatore.

Dimostrazioni e prove gratuite presso l’azienda

L’azienda si rende disponibile a far provare senza impegno Fast Blade, come garanzia non solo dei vantaggi sopraelencati ma, soprattutto, per dimostrare all’utilizzatore la maggior durata del “fi lo” sui propri coltelli.

Menegon Ennio Sas

Via G. Barbarigo 30 36060 S. Cuore di Romano d’Ezzelino (VI) Telefono: 0424 570880 E-mail: info@fastblade.it Web: www.fastblade.it

Gestire il pesce in sicurezza

di Giovanni Ballarini

La sicurezza è il pre-requisito di ogni alimento e ancora oggi pone dei problemi ai consumatori, specialmente in un periodo di rapida, grande mondializzazione come è quello che riguarda i prodotti ittici, quando sui banchi di vendita si trovano pesci, crostacei e altri animali marini fi no a poco tempo fa sconosciuti e che arrivano da mari lontani. Quanto mai opportuna, per questo, la recente pubblicazione del libro Come gestire il pesce in sicurezza scritto da due veterinari, AGOSTINO MACRÌ

e GIANLUIGI VALSECCHI.

Agostino Macrì per quarantacinque anni ha lavorato presso l’Istituto Superiore di Sanità, avendo anche attività didattiche universitarie; ha una grande esperienza sulla sicurezza degli alimenti e da tempo svolge un’intensa opera di divulgazione trasferendo ai cittadini la propria esperienza in materia di prevenzione dei rischi alimentari. Gianluigi Valsecchi è specializzato in Ispezione degli Alimenti di Origine Animale all’Università degli studi di Torino, ha una lunga carriera di dirigenza sanitaria ed è veterinario uffi ciale dirigente del Servizio igiene allevamenti e produzione zootecniche.

Dalla collaborazione dei due autori è scaturito un libro che ha lo scopo di informare il consumatore sulle

modalità da seguire dal momento in cui acquista i prodotti ittici sino al consumo, affi nché tutto avvenga

nella massima sicurezza.

Come gestire il pesce in sicurezza si apprezza per la semplicità con cui sono affrontati e descritti argomenti di una certa complessità e per una costante ricerca di obiettività, rifuggendo da espressioni sensazionalistiche che possono aprire la porta ad allarmismi del tutto ingiustifi cati. Altro pregio è che gli autori non nascondono che possono esserci dei problemi, ma spiegano come questi possono essere facilmente superati se si pone una ragionevole attenzione alla gestione del cibo.

Un’accattivante scrittura agevola la lettura e la consultazione del testo, facilitata da frequenti richiami nell’interno di box in cui si affrontano argomenti specifi ci, tutti di grande interesse. In questo modo il consumatore è quasi preso per mano e condotto effi cacemente ad esplorare i notevoli benefi ci che può ricavare dalla corretta alimentazione con una vivanda importante quale è il pesce.

Per le sue caratteristiche si auspica la lettura di questo libro non soltanto ai cittadini, ma anche agli studenti di scuole alberghiere e, in generale, a tutti coloro che operano con passione nella ristorazione, perché tutti possono trarre utili spunti per rendere sempre migliori i servizi offerti ai propri clienti. Il testo svolge infatti un importante compito educativo che non è svolto dalla scuola né tanto meno dalla comunicazione commerciale.

A. MACRÌ, G. VALSECCHI (a cura di)

Come gestire il pesce in sicurezza

Ed. Point Vétérinaire Italie, 2020 126 pp. – € 14,00

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