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Pesce d’acqua dolce Carpe diem: Tincae semper! Chiara Papotti
Photo © www.informacibo.it
Le Tinche di Ceresole d’Alba e le Gobbe Dorate del Pianalto di Poirino
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Carpe diem: Tincae semper!
di Chiara Papotti
Nella storia gastronomica del Pianalto di Poirino, un’ampia zona del Piemonte che conta 24 comuni, primeggia un pesce autoctono estremamente pregiato: la tinca. Della famiglia di carpa, barbo, cavedano e alborella, la tinca che si trova da queste parti (anche detta “gobba dorata” per il colore della livrea) è allevata da sempre negli stagni storicamente presenti su questo territorio. Qui si contano circa trecento stagni; di questi, poco più di un centinaio sono rimasti in attività per la pesca di questa specialità, che avviene nei mesi più caldi, quelli che vanno da aprile ad ottobre.
La tinca ha un corpo di forma ovale e tozza, con la superfi cie resa viscida dalla presenza di muco, che nasconde le squame di piccole dimensioni.
È specie tipica di acque ferme o a corso lento, con fondali fangosi e con temperature estive elevate, quali stagni, paludi, fossati, laghi e fi umi. Si ciba esclusivamente sul fondo, con dieta onnivora che comprende alghe, macrofite acquatiche, crostacei, molluschi, larve di insetti acquatici ed altre sostanze di origine vegetale. La particolare colorazione dorata, determinata da fattori ambientali e genetici, la caratteristica più nota della Tinca di Ceresole, comune del Pianalto sotto la provincia di Cuneo che si trova a circa 300 metri sul livello del mare.
La storia di questo pesce negli stagni del Pianalto di Poirino molto antica: in alcuni documenti del XIII secolo, nell’area compresa tra le province di Torino, Cuneo e Asti, si parla di un arenale chiamato “pianalto” dedicato all’allevamento delle tinche e altri pesci di piccola taglia. Un documento dell’epoca cita la consegna di alcuni quantitativi di tinche tra le tasse in natura che dovevano versare gli abitanti di Ceresole d’Alba.
L’acqua dolce degli stagni, noti come peschiere (tampa nel dialetto piemontese), ha rappresentato per secoli una preziosa riserva d’acqua piovana per irrigare i campi, abbeverare il bestiame e fare il bucato. Un tempo ogni famiglia contadina possedeva una peschiera e vi allevava tinche per il proprio fabbisogno.
Negli anni ‘60, però, l’allevamento delle tinche è entrato in crisi per l’abbandono delle attività agricole e zootecniche, oltre che per le trivellazioni dei pozzi.
Principalmente per questa ragione la gobba dorata è scomparsa
Tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino in carpione (photo © www.typi.it).
per alcuni decenni dalle tavole dei Ceresolesi e dei paesi vicini. È soprattutto grazie all’impegno di GIACOMO MOSSO, proprietario di Cascina Italia (www.cascina-italia.it) e pioniere nel recupero dell’allevamento di tinche di piccola taglia, che si è potuta recuperare parte della memoria gastronomica delle Terre Rosse (si legga in proposito di Lagorio R., La tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino va in vaschetta, in IL PESCE n. 1/2021, pag. 100).
Nel 1994, per evitare l’apertura di una grande discarica che avrebbe potuto inquinare le falde acquifere sottostanti, Mosso pensò alle numerose tampe disseminate sul territorio, nate un tempo a servizio e non a danno dell’agricoltura e del territorio stesso. Fu così che decise di riprendere e potenziare l’allevamento delle tinche.
La lunga storia che lega questo prodotto al territorio e il lavoro di alcuni imprenditori agricoli hanno permesso alla “tinca di Ceresole d’Alba” di diventare presidio Slow Food nel 2000 e alla “tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino” di ottenere dalla Commissione Europea il riconoscimento come prodotto DOP (Denominazione di Origine Protetta) nel 2008.
La produzione maggiore di questa specialità lacustre è concentrata a Ceresole. Qui le tinche del presidio delineano una piccolissima produzione, in tutto si arriva a circa 60 quintali all’anno: una cifra irrisoria rispetto, ad esempio, alle 50.000 tonnellate annue di trote che si allevano in Italia. Il presidio ha, inoltre, avviato una collaborazione con il Dipartimento di Scienze zootecniche dell’Università di Torino per offrire assistenza agli allevatori di tinche e ha messo a punto un disciplinare di allevamento.
La pesca è effettuata prevalentemente con lo strascico: i pesci che rimangono impigliati nelle reti vengono selezionati manualmente e, quelli che non rispondono ai requisiti di pezzatura richiesti (circa 80-120 grammi) vengono rilasciati in acqua.
La tinca presenta un grande interesse commerciale, ha carni piuttosto tenere, grasse e gustose e la si può trovare in commercio sia fresca che trasformata. Tantissime sono le ricette che le vedono protagoniste, due le versioni più tradizionali: fritte o in carpione. Una volta pulite e salate all’interno, vengono gettate nell’olio bollente per circa quattro minuti e girate una sola volta per non rovinare la sottilissima pelle che le caratterizza. Vengono quindi adagiate su carta assorbente e servite caldissime. Nelle serate estive, invece, il carpione di tinche invita alla convivialità: in questa preparazione il pesce viene fritto e poi marinato in un’emulsione di aceto, vino bianco ed erbe aromatiche. Il sapore è fresco, leggero e delicato.
La tinca dorata è un prodotto agricolo di grande valore culturale e gastronomico. Tutelarla e valoriz-
zarla a dovere attraverso il presidio rafforza il legame tra i giovani agricoltori che hanno scommesso
su questa specialità e la loro terra.
L’obiettivo è quello di ricostruire e rafforzare la dignità culturale di piccoli produttori, come incentivo per la continuazione delle loro attività, al fi ne di rivitalizzare le piccole economie locali. A Pianalto di Poirino questo si traduce nella salvaguardia della tradizione e del patrimonio ambientale e culturale, indispensabili per conservare le identità territoriali e il piacere alimentare.