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Il pescato del giorno Vampiri venuti a salvare il New England dagli Zombie Giovanni Papalato e a mangiare astici (ma non solo)

Vampire Weekend, Vampire Weekend

Vampiri venuti a salvare il New England dagli Zombie e a mangiare astici (ma non solo)

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di Giovanni Papalato

Photo © Lucio Pellacani Funziona così: riviste specializzate, blog e radio, ogni mese, ogni settimana e ogni giorno credono di aver trovato il nuovo “capolavoro pop”. Si creano delle correnti, si discute animatamente, si grida al miracolo per poi ridimensionare tutto col tempo. Fino a quando arriva un disco che mette tutti d’accordo. Quando succede lo capisci, perché tu sei uno di quelli che lo sta ascoltando senza sosta. Fu così anche nel 2008 quando uscì il primo omonimo album di VAMPIRE WEEKEND. Un nome che deriva da un fi lm amatoriale girato dal cantante EZRA KOENIG assieme a tre compagni di corso alle Columbia University di New York, con cui forma il gruppo nel 2006.

La trama narra il viaggio di WALCOTT, interpretato da Koenig, che deve recarsi presso la penisola di Cape Cod per comunicare al governatore che i vampiri stanno per arrivare. Una regione del Massachusetts, ambita meta estiva che racchiude cittadine pittoresche, fari tra i più antichi, baie e spiagge tra le più famose della confederazione e astici in ogni chiosco o ristorante.

L’astice americano (Homarus americanus) rappresenta quasi totalmente il prodotto della pesca del New England (oltre al Massachusetts, Connecticut, New Hampshire, Rhode Island, Vermont e Maine). Di conseguenza questo crostaceo non è uno status symbol, ma un alimento convenzionale da consumare soprattutto in locali dedicati. Tra questi uno è stato tra i capisaldi culinari della

Se c’è un “cibo” che possiamo defi nire identitario in Massachussets ed in buona parte del New England è certamente l’astice americano. La maggior parte degli abitanti di queste zone viene educata al suo consumo nella quotidianità (e non come piatto delle feste) già da bambini. Come? Servito durante le calde sere d’estate, a vapore, con una ciotola di burro fuso e una o più pannocchie di granturco accanto (photo © blog.buggydesigns.com).

penisola, The Lobster Claw, che ha chiuso nel settembre di due anni fa dopo 51 anni di storia, facendo però in tempo ad essere citato in una canzone del nostro quartetto newyorchese. È nell’unico brano dell’album che si sviluppa direttamente da quel lungometraggio che, raccontavamo, ha dato il nome alla band. Walcott, il protagonista di entrambe le opere, è alla fi ne del viaggio, la situazione è compromessa e nella sua testa risuonano domande che non gli danno pace. Ma il viaggio vero è attraverso la rivoluzione pop che arriva a partire da Mansard Roof e la sua ritmica Afro-Beat innestata di indolenza indie, dove una Casio circolare sostiene dispari fi no alla fi ammata di chitarra fatta di note acute che friggono. Un pop che sembra arrivare dall’Africa occidentale ma allo stesso tempo che senti suonato credibile e incredibile da un gruppo di ragazzini bianchi della intellighenzia newyorchese. La virgola seriale, in italiano, è l’uso della virgola prima della congiunzione (generalmente “e”), al fi ne di esprimere in modo più corretto il signifi cato della frase.

Oxford Comma è vanità, comunicazione, il fraintendimento, il linguaggio e le sue strutture in meno di quattro minuti, la chitarra pulita e amplifi cata che è la cifra di un Suono e questo modo di cantare rilassato, colloquiale e ironico in cui ogni tanto si inserisce un piccolo guaito.

“Chi se ne fotte di un Oxford Comma?” si chiede Koenig in risposta ad un anno passato a insegnare inglese in terza media a Brooklyn cercando di convincere i bambini a scrivere in inglese americano standard e trovando poi su Facebook un gruppo alla Columbia chiamato “Students for the Preservation of the Oxford Comma”.

A sterzare ci pensa A-Punk, mischiando in due minuti Ska e Indie, veloce, sonica e comunque piena di melodia, con un intermezzo dove i synth suonano come fl auti in inverno prima di ripartire con chitarre come vetro sotto il sole. Quando tre anni prima Koenig viaggiò da Londra verso l’India, rifl etté sul colonialismo e le connessioni estetiche tra la cultura Preppy e quelle native di luoghi come Africa e India, portandolo a scrivere un racconto “Cape Cod Kwassa Kwassa”, poi diventato il brano omonimo. Ancora una connotazione, non solo geografi ca appunto, al New England e l’Africa, Kwassa Kwassa è una danza ritmica delle Repubblica Democratica del Congo. Dentro, in apparente contrasto ma in realtà con perfetta armonia, c’è un falsetto luminoso che gioca e inventa.

M79, invece, spiazza di pop barocco ed epicità 60’s, prendendo il nome da un autobus di Manhattan che si muova da un estremo all’altro della penisola per il largo, attraversando anche Central Park. Incipit e richiami che sembrano uscire da un disco di Rondò Veneziano per chi come me è stato bambino negli anni ‘80 e che saranno citati in diversi lavori pop e dance negli anni a seguire, assieme a surf pop: un altro brano che aggiunge meraviglia chiudendo il lato A.

Giri facciata e Campus sembra un pezzo synth pop arrangiato acustico prima del ritornello che rimette tutto in linea. Bryn dedicata ad un’amica della band, una fashion designer, è uno dei primi brani composti dai ragazzi e risente per quanto prodotta magistralmente, di una scrittura acerba che denota un lieve ma evidente disomogeneità con il livello degli altri brani. Echi di certi TALKING HEAd ancora più concreti che in precedenza qui in One (Blakes got a new face) corrono il rischio di fare un passo falso con i fi nti cori africani, ma la cifra espressa fi n qui smarrisce il dubbio che potrebbe rimanere ad un ascolto isolato.

I stand Corrected è un brano dove il drumming cambia e con lui la faccia della scrittura. Sembra un brano degli STROKES,altra incredibile band newyorchese dei 2000 con caratteristiche completamente differenti ma con la stessa incredibile capacità pop, riuscendo a non suonare slegata dal resto.

Ed eccoci tornati a “Walcott”, alla chela di astice, tagliente come un coltello e luogo che può raccontare mille storie. È un pianoforte che corre verso una melodia da cantare, un assolo di violoncello che balla lento e bellissimo prima di mischiarsi ad una tastiera Casio e fi nire in un caos perfetto. “Vampire Weekend” ha in chiusura un brano Kids Don’t Stand A Chance che suona come un ideale To Be Continued, perché riesce a unire quanto raccontato fi nora, compresi gli archi e certi arrangiamenti dispari tra loro che convivono perfettamente e lasciano intravedere paesaggi sonori che arriveranno nei dischi successivi. È un disco che in meno di 35 minuti ha segnato non solo un momento, ma stagioni che devono ancora fi nire, perché i “Vampiri del Weekend” non smettono di affascinare ancora oggi.

Giovanni Papalato

Photo © www.felinewood.it

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