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Il pescato del giorno Squid & Chips, maybe? Giovanni Papalato

Bright Green Field, SQUID

Squid & Chips, maybe?

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di Giovanni Papalato

Ricordo che alzai il volume della radio in auto quando sentii discutere della prospettiva concreta che un piatto iconografi co quale il Fish & Chips, simbolo britannico tanto quanto il Double Decker Bus o il Tè ad ogni ora, potesse venire stravolto sostituendo il pesce bianco del Nord, tradizionalmente fritto in pastella e abbinato alle patatine fritte, coi calamari tipici di mari caldi. La ritengo ancora oggi un’ottima cartina tornasole di come i cambiamenti climatici condizionino e condizioneranno le nostre vite su molteplici livelli. Importato grazie ad immigrati ebrei da Spagna e Portogallo che nel corso del ‘500 preparavano il pesce sul motivo del pescado frito ricoprendo di farina prima di immergerlo nell’olio bollente, si è concretizzato defi nitivamente nella forma che conosciamo quando vennero aggiunte le patatine, sulla cui nascita della frittura litigano da sempre Francia e Belgio. A me piace credere a quest’ultimi per cui si narra che durante l’inverno, quando la Mosa gelava rendendo impossibile la pesca, le donne abbiano iniziato a tagliare le patate per lungo, cercando di modellarle a forma di pesci. Tutto poi è mutuato in quello che negli ultimi secoli è imprescindibile non solo nella cultura gastronomica del Regno Unito e se perfi no CHARLES DICKENS ne era ghiotto e lo mangiava frequentemente all’antico pub “The Grapes”, tanto da menzionare in OLIVER TWIST un “magazzino di pesce fritto”, è diffi cile pensare ad un cambiamento cosi estremo su qualcosa talmente radicato nella cultura britannica.

Sarebbe innanzitutto necessario distinguere calamari da totani, estremamente simili tra loro ma evidentemente diversi, a partire da quando, di notte, salgono a cacciare dai comuni fondali fangosi e sabbiosi: se i calamari vengono pescati tra settembre e dicembre, i totani invece lo sono tra aprile e luglio. Appartenenti allo stesso tipo di molluschi, i cefalopodi, hanno forma affusolata interamente coperta da un mantello, due lunghi tentacoli che servono a cacciare e altri otto corti con ventose peduncolate. Gli occhi sono posizionati ai lati della testa e la bocca è capace di triturare piccoli pesci, altri molluschi e crostacei. Ma se i calamari sono generalmente chiari, marroni tendenti all’arancio, con pinne a forma di rombo a metà del corpo, i totani hanno colori rosa e viola che sfumano verso il rosso, con le pinne laterali di forma triangolare e sul fondo del corpo. Il gusto, assaporandoli da crudi, evidenzia morbidezza nei primi e croccantezza negli altri. Entrambi sono perfetti con cotture lunghe e basse temperature o all’opposto rapide e alte come, appunto, le fritture.

Per capire se un calamaro è fresco serve controllare, oltre alla carne che non deve tendere al giallo, che i tentacoli siano sodi e il colore della sacca di consistenza oleosa sia metallico. Per capire se la band che porta lo stesso nome di questo

mollusco cefalopode sia fresca o meno, basta invece notare che sono pubblicati dalla WARP Records. Inglesi da Brighton, città balneare a Sud di Londra, gli SQUID giungono all’esordio di “Bright Green Field” nel 2021, dopo aver pubblicato da giovanissimi quattro EP in cinque anni. Nel mare magnum del nuovo post punk si agitano emulatori e derivativi che ripropongono stili e sonorità riconducibili, seppur in qualche caso con un contributo personale interessante, a quanto espresso tra la fi ne degli anni ‘70 e la prima metà degli anni ‘80.

È complicato innovare o, quantomeno, essere credibili in molti ambiti musicali, non solo in questo, specifi co per quanto eterogeneo, che ha montato una nuova onda bagnando diversi continenti con estrema facilità. Per questo quando gli SQUID emergono dalla profondità della provincia inglese è bello avvistarli dalla riva e andarli a pescare. Non è un caso che vengano prodotti da un’etichetta che ha in catalogo soprattutto musica elettronica nelle sue molteplici forme, ma che negli anni ha anche voluto con sé band (Broadcast, Maximo Park per esempio) che, non rientrando necessariamente in quella categoria, hanno comunque una ricerca espressiva riconducibile ad un’attitudine non omologabile in un circuito di convenzione.

Tra gli spigoli di geometrie che danno struttura ai brani si fa spazio una disposizione jazz dentro cui si delineano immagini e contesto distopici grazie a testi e interpretazione vocale. È lo straniante intro di Resolution Square che dà inizio a Green Field, due luoghi ideali che nello svolgimento dei brani risultano lontani dall’essere raggiunti. Campane deformate e parole incomprensibili, un paradosso che si mostra sarcastico e si defi nisce nel terminare per dare spazio a G.S.K., acronimo del colosso Big Pharma GlaxoSmithKline.

Per qualche secondo spaesati dalle note che ricordano il bridge di Joker della Steve Miller Band, ci si ritrova in sospensione richiamati dalla voce del batterista OLLIE JUDGE che declama con piglio attoriale la vita postmoderna alienante e disumanizzata sull’Isola di cemento raccontata per primo da J.G. BOLLARD.

È una progressione di realtà, memoria e sogno la narrazione di se stesso che diventa disperazione in Narrator anche grazie alla voce di MARTHA SKYE MURPHY, già corista 17enne nel 2013 in Push the Sky Away di NICK CAVE. Un drumming prima funky che si interseca a chitarre e synth portando una tensione visionaria sempre maggiore fi no a defl agrare vorticosa tra urla e distorsioni.

Ed ecco che, mano a mano che la sequenza si svolge con Boy Racers e Paddling, si defi nisce ancor di più il segno di una musica distopica. Nella prima la batteria motorik, le chitarre che tessono tele sottili ma forti si ferma in un crollo spettrale aperto da una frase, sarei dovuto rimanere a casa, che si concretizza in una distesa di synth acida e ossessiva. Poi la seconda prende la prima parte del brano precedente e la estremizza, nervosa e sfrenata in una miscela muscolare di punk-funk-kraut.

È invece fi glia del minimalismo di Steve Reich Documentary Filmmaker, suite di corde e fi ati acustici nel mezzo dei quali si agita irrequieta l’agonia di dover guardare il mondo da un alloggio sterile. Un arpeggio in perfetto stile Radiohead e defl agrazioni Unwound, 2010 riesce anche a prendere da Stranglers nel finale nell’intreccio che durante tutto il brano si colora di irriverente decadenza. Ma, attenzione, sono solo richiami e non derivazioni: se non c’è nulla da inventare non vuol dire che si possa solo assemblare senza apportare nulla di personale. Ancora fi ati ma per un intermezzo atonale, in The Flovyer prima della irresistibile Peel St.

Meccanica e funk, elettronica e sintetica, spinta ancora di più dalla ieratica interpretazione vocale di Judge, allude ad “Ice” la novella post apocalittica di ANNA KAVAN. Il titolo del brano è un riferimento alla strada in cui abitò la tormentata e geniale autrice dopo il suo ritorno in UK dalla fi ne degli anni ‘40 e fi no alla sua morte nel 1968.

Arriva dritta allo stomaco travestita da accattivante brano di ispirazione jazz Global Groove, serenata tesa, oscura e minacciosa che approfondisce il nostro realismo deformato dai media televisivi. Un fi ltro che ci rende insensibili ai terrori della guerra, ma ci fa commuovere per le serie di fi nzione su distributori digitali.

Ultimo singolo del disco e anche brano conclusivo dell’album di debutto di questi cinque ragazzi di Brigthon è Pampleths, un treno sonoro lanciato in corsa destinato ad esplodere ballando e urlando. Scevra da ogni sperimentazione, rumorosa di ritmo, fi sica, contagiosa, sferraglia sui binari stridendo di energia. Ma se ci sono macerie alla fi ne del viaggio, non sono da contemplare rassegnati, al contrario sono stimoli sonori e concettuali da seguire.

Racconti lucidi, freschi di esperienze del reale espressi attraverso la musica contemporanea nata dal post punk ed evoluta nella scrittura libera da preconcetti stilistici. Un vocabolario sonoro che nell’intenzione sperimentale e nella identità noise li affi anca ad altre giovani band britanniche come Black Midi e Black Country, New Road, una “gioventù sonica” che non ha paura di mostrare paure e consapevolezza per andare oltre e guardare al futuro con convinzione.

Giovanni Papalato

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