Il contagio dell'amore di Lucrezia Lerro - estratto

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LUCREZIA LERRO

IL CONTAGIO DELL’AMORE Etty Hillesum e Julius Spier

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© 2016 EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) © 2016 PERIODICI SAN PAOLO s.r.l. Via Giotto, 36 - 20145 Milano www.famigliacristiana.it Allegato a Famiglia Cristiana di questa settimana Direttore responsabile: Antonio Sciortino Settimanale registrato presso il Tribunale di Alba il 7/9/1949 n. 5 P.I. SPA - S.A.P. - D.L. 353/2003 L. 27/02/04 N. 46 - a.1 c.1 DCB/CN Progetto grafico e realizzazione editoriale: studio pym / Milano Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume potrà essere pubblicata, riprodotta, archiviata su supporto elettronico, né trasmessa con alcuna forma o alcun mezzo meccanico o elettronico, né fotocopiata o registrata, o in altro modo divulgata, senza il permesso scritto della casa editrice. ISBN 978-88-215-9837-1

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«I fatti esterni non bastano per capire la vita di una persona: bisogna conoscerne i sogni, il rapporto con la famiglia, gli stati d’animo, le delusioni, la malattia e la morte». Etty Hillesum, Diario

«Ho pensato che era comunque un’altra domenica passata, adesso mamma era al cimitero, avrei ripreso il mio lavoro e, tutto sommato, non c’era niente di diverso». Albert Camus, Lo straniero

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A Enzo, perché l’ha riconosciuta al 6 di Gabriël Metsustraat. A Clara, ancora una volta.

Questo romanzo prende spunto solo in parte da ciò che è realmente accaduto nella vita di Etty Hillesum. Le pagine che nel testo alludono ai suoi scritti – il diario, le lettere, il taccuino – sono ispirate alle opere della protagonista.

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23 novembre 1928 Etty Hillesum era poco più di una bambina quando si rese conto per la prima volta che l’amore tra i suoi era vero, non era affatto un’invenzione come aveva sperato in preda alla gelosia per sua madre sin dall’età di cinque anni. Col tempo Etty raccontò a se stessa la verità: l’amore dei suoi era reale e vivo più che mai, giorno dopo giorno, prendeva forma nel suo sguardo. A lungo aveva creduto che Levi, suo padre, fosse ostaggio di Rebecca, che fosse suo prigioniero, e che lei lo ricattasse per non farsi lasciare. Etty non capiva come sua madre fosse riuscita a catturarlo, a farlo suo per sempre. Però, nonostante non sapesse formulare delle ipotesi soddisfacenti sull’amore che, come sapeva perché l’aveva imparato dalle parole di Levi, «il più delle volte complica 9

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la vita degli adulti», aveva intuito come in certi casi la parola “litigio” poteva corrispondere a “passione”, un’esplosione di sentimenti che nello svolgersi di una lite tra coniugi lì per lì spegne l’eros ma subito dopo, una volta usciti dalla cucina o dal salotto, dal luogo deputato all’esternazione del malessere, li induce a trovare pace tra le lenzuola. Gli amanti si placano al buio della loro stanza, tra quelle mura domestiche dove rischiano di tanto in tanto di separarsi una volta per sempre. Etty aveva le prove di come ogni giorno mutasse il clima familiare: una ciabatta di sua madre lanciata a suo padre nel tentativo di colpirlo nel bel mezzo di una discussione; le lacrime di lei che puntualmente durante un litigio le correvano sul mento; i piatti sporchi nell’acquaio al mattino e gli avanzi della cena sul tavolo. Altro che preparare con cura la prima colazione per tutta la famiglia! Rebecca, quando litigava con suo marito, spargeva in giro il malumore, le tracce del dissenso e del disamore erano sotto gli occhi di chiunque la conoscesse, lei di solito così precisa e attenta ai dettagli. Quando era contenta preparava piatti succulenti di ogni genere, le piaceva improvvisare ricette, inventarsi un centrotavola; se invece era triste smetteva di parlare di 10

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cibo e provvedeva a svuotare la “sua” dispensa. Già, la sua dispensa, perché soltanto lei poteva riempirla come meglio credeva, soltanto lei aveva accesso a quel posto della casa ricco di conserve e scatolame. Per Rebecca la dispensa era necessaria per sentirsi al riparo dalla fame che aveva patito un tempo. Più il deposito era colmo di vivande, più si sentiva in grado di gestire i suoi repentini cambi d’umore e gli insaziabili appetiti celati nel sacco della farina, nei vasetti di marmellata cotta a fuoco lento, nel sacchetto della pasta o delle spezie, nei barattoli di pesche sciroppate, nelle bottiglie di succo d’acero. Etty adesso, nella sua camera da letto, ripensava a quando aveva assistito a una lite furibonda tra i suoi genitori, loro erano l’orgoglio del suo cuore ma forse non lo capivano. Sarebbero mai riusciti a decifrare il suo pudore affettivo? Etty non sapeva mostrare l’affetto che provava per loro, come in fondo le sarebbe piaciuto. I suoi malanni fisici la tenevano lontana da dimostrazioni improvvise d’amore poco consone al suo carattere, che con il passare del tempo diventava sempre più forte. Una volta, dopo una lite furibonda tra mamma e papà Hillesum, Etty li aveva seguiti nella penombra della loro stanza. Sdraiati l’uno 11

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accanto all’altra continuavano a insultarsi fino a quando Levi, esausto, aveva sussurrato a sua moglie: – Tregua? Che ne dici cara? E lei aveva risposto: – No, nessuna tregua, sono furiosa con te. Ma lui non aveva mollato la presa e siccome aveva intenzione di portarla nel mondo puro dei sentimenti, aveva continuato a sussurrarle: – Dài Rebecca, facciamo la pace per questa notte, ne riparleremo domani! Sono stanchissimo. A quel punto lei gli aveva dato le spalle e in lacrime si era rannicchiata in un angolo del letto. – Vedi, – aveva detto, – noi due non siamo dei ragazzini. Sono preoccupata per i nostri figli, per il cibo che dovrò procurarmi ogni giorno. A cosa serve discutere? Io non capisco perché ci comportiamo così. A volte ho la sensazione che con il tuo modo di fare tu riesca ad allontanarmi dai miei figli. La vita insieme è difficile, quando mi sento così triste preferirei non essermi sposata. E lui, sfiorandole le spalle: – Il nostro matrimonio è stata l’esperienza più felice della mia vita, di che cosa ti preoccupi? Nonostante i tempi duri a noi non manca nulla, con il mio lavoro riesco a far fronte alle nostre necessità. Prima vivevamo in una casa che non era il massimo, ma guardaci ora: 12

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trecento metri di casa, siamo in una delle zone più eleganti della città. Le mie preoccupazioni sono altre, Rebecca mia. Etty mi preoccupa, noi resistiamo, ma lei è fragile… è cagionevole, oggi l’ho vista più pallida del solito. E lei: – Perdonami, Levi. Abbracciami, abbracciami forte. Etty rimase per un po’ dietro la porta a osservarli, e quando capì che la situazione tra i due diventava più intensa e concreta, si allontanò e raggiunse in fretta la sua stanza. Nel buio della sua camera, una volta distesa sul letto, le ritornò in mente la frase di suo padre: «Etty mi preoccupa… lei è fragile… è cagionevole, oggi l’ho vista più pallida del solito». Si alzò e si avvicinò alla libreria. Prese il vocabolario e lo consultò come suo padre le aveva insegnato. Sottolineò con la matita la parola “cagionevole”, lesse a voce alta: «Predisposto alle malattie: essere cagionevole di salute, un ragazzo cagionevole, fisico cagionevole; esten. Aspetto malaticcio». Chiuse il vocabolario e lo rimise al suo posto. Poi, ferita nell’orgoglio, raggiunse lo specchio al centro della stanza e di fronte alla sua immagine scoppiò in singhiozzi ripensando a quante volte aveva visto in lacrime sua madre e a come l’aveva ascoltata lamentarsi per 13

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la qualità della vita che faceva. A sentirla sragionare in quel modo, della serie “il mondo fa schifo, siamo nati per patire”, si aveva l’impressione che non amasse affatto la vita. Asciugandosi gli occhi con le mani pensò che le sarebbe piaciuto recitare la preghiera che le avevano insegnato a scuola. Si inginocchiò di fianco al letto e pregò per i suoi genitori, poi per i suoi fratelli, per tutti quelli che amava e conosceva, ma anche per gli sconosciuti che incrociava al mattino sulla strada che la portava a scuola. Pregò Dio affinché la rendesse più forte agli occhi di suo padre. Si rivolse a Dio con naturalezza nonostante in casa quella parola solenne circolasse poco. Finita la preghiera si lavò le mani con l’acqua del catino, si sdraiò sulle coperte e, nonostante i brividi di freddo le corressero sul corpo, non si coprì. A volte sopportare il freddo le sembrava necessario per provare a se stessa che poteva superare qualsiasi avversità. Resistere al dolore sarebbe diventata la sua specialità? Avrebbe trasformato ogni punta aguzza in bellezza? Lo sguardo al soffitto. Le ante semichiuse della finestra. Un’ondata di oscurità era vicina e con essa una notte lunghissima. La scrivania in un angolo della stanza. La libreria di fronte al letto. La cartella dietro alla porta chiusa 14

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a chiave. Diede una rapida occhiata alla finestra, poi alla porta, rivolse ancora uno sguardo al soffitto e si addormentò nel tormento. Nella camera da letto dei suoi genitori regnava un silenzio assoluto, una pace quasi irreale avvolgeva i corpi non più tonici dei coniugi. A vederli così nessuno avrebbe potuto immaginare che poco prima erano stati in lotta. Il volto di lei era sereno e disteso dal sonno, non un segno di disappunto. La bocca di lui socchiusa, l’immobilità delle membra suggeriva compostezza d’animo. Nella camera di fronte i due maschietti di casa, Mischa e Jaap. Entrambi studenti, entrambi troppo silenziosi durante le loro giornate per non essere malinconici, e troppo ligi ai doveri familiari per essere spensierati. Mischa era senza ombra di dubbio il preferito di mamma Rebecca, era l’ultimogenito e portava il nome di suo padre, Mischa Bernstein. Sin da piccolissimo aveva mostrato di avere talento musicale e lei trovava irresistibile il fascino “del piccolo artista”. Molte delle sue attenzioni erano rivolte a lui, anche agli altri ne rivolgeva, ma non in egual misura. Per questo Etty non riusciva ad andare d’accordo con sua madre, che dominava sempre e comunque sul resto della famiglia. Rebecca era estroversa in un modo così in15

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gombrante che toglieva, volente o nolente, spazio all’unica figlia femmina. Etty reprimeva il disagio quasi sempre, non riusciva a esprimere la rabbia che provava nei suoi confronti, soprattutto quando la vedeva in estasi per Mischa che seduto al pianoforte deliziava come un bravo scolaretto la sua mammina. Jaap, invece, era fragile più che mai. Trascorreva il tempo libero dai compiti a scrivere poesie. Raramente aveva il coraggio di farle leggere a qualcuno, qualche volta Etty gli aveva chiesto di mostrargliele e lui aveva acconsentito, nonostante la timidezza gli suggerisse di non farlo. Etty era buona con lui, ed era riservata, poteva fidarsi al di là dei dispetti che comunque di tanto in tanto non mancavano di farsi. Ma tra fratelli si sa che non può correre buon sangue, e nel momento in cui pensiamo di avercela fatta a raggiungere o a intravedere l’agognata pace, ecco che una parola improvvisa, uno stato d’animo imprevisto, una piccola insidia infantile, un’invidia sotterranea che emerge inaspettatamente, capovolge tutto e di colpo regna l’inimicizia, altro che pace fraterna e buoni sentimenti! Eppure la madre è la stessa, il seno è lo stesso, la casa è la stessa, il cibo che ci ha nutriti da bambini è lo stesso, sarà forse per questo che non ci fidiamo dei fratelli? 16

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Perché a nostra insaputa ci somigliano? Ma al di là di tutto ogni figlio sopravvive ai propri genitori a modo suo e riesce difficilmente a non trasferire il nemico interno su un altro componente della famiglia. Chissà perché ognuno ha bisogno sin dalla più tenera età di un nemico da detestare, uno sul quale abbattersi. Uno da prendere di mira, di traverso… Chi l’ha scritto? Qualcuno da detestare con tutte le nostre forze, sul quale scaraventarsi senza pietà. Qualcuno da far sprofondare nei nostri abissi e da innalzare a nostro piacimento quando ci fa comodo. Quando forse facciamo meno fatica a vivere. Uno qualsiasi da idealizzare, sul quale riversare il nostro amore buono, il nostro amore cattivo, tutto il nostro odio, tutto il nostro risentimento per non riuscire a sentirci amati come vorremmo. Qualcuno sul quale gettare il meglio, ma soprattutto il peggio di noi.

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