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146 × 215 SPINE: 17.5 FLAPS: 88
Vita con i poveri, impegno sociale e politico, unità di Terra e Cielo. Mi paiono queste, schematizzando, le tre fasi della ricca e generosa storia di Armando e il senso di questo libro, in nome di un impegno che ci chiama in causa tutti, ma che un credente deve sentire in modo particolare. Se è vero che, come ci ricorda Papa Francesco: «La religione non esiste solo per preparare le anime per il cielo» e che «una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo». Don Luigi Ciotti
Progetto grafico: Luca Dentale / studio pym
€ 14,50
9 788892 212626
UN PRETE SECONDO FRANCESCO
Conosco Armando da anni, eppure leggere queste pagine appassionate, nelle quali ripercorre la sua storia di uomo e di prete, è stata una sorpresa e un piacere. Una sorpresa perché sono venuto a conoscenza di episodi che ignoravo e a cui magari Armando stesso non aveva dato troppo peso, salvo riconoscerne a distanza di tempo il profondo significato. Un piacere, perché è sempre bello riconoscere in un’esistenza il segno della coerenza, e quella di Armando è una vita che ha perseguito coerentemente e tenacemente i suoi sogni e ideali.
ARMANDO ZAPPOLINI
ARMANDO ZAPPOLINI
Don Armando Zappolini è nato a Pontedera (PI) nel 1957 ed è stato ordinato sacerdote nel 1981. È parroco di Perignano, Quattro Strade, Lavaiano e Gello, tutti paesi del pisano. Dal gennaio 2011 è presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA). Nel 1990 ha fondato la comunità terapeutica per persone tossicodipendenti di Usigliano e nel 1993 è entrato nel CNCA proprio con questa organizzazione. Nel 1990 conosce Madre Teresa di Calcutta e stringe amicizia con uno dei “bambini” della Madre, Orson Welles, ora sacerdote in India. L’anno successivo fonda l’associazione Bhalobasa per organizzare azioni di aiuto in favore delle comunità del Sud del mondo. Don Armando è attivo anche nell’impegno contro la diffusione delle mafie e per la promozione di una cultura della legalità. È portavoce nazionale della campagna contro il gioco d’azzardo “Mettiamoci in gioco”.
UN PRETE SECONDO
FR ANCESCO Contemplativo, sognatore e costruttore di ponti
Il selvaggio contemplativo, il sognatore con i piedi nel fango e il costruttore di ponti. Sono le tre anime di Don Armando Zappolini, quelle che, intersecandosi, fanno di lui un uomo, un prete e un prete sociale. Don Armando è parte di quella “Chiesa di strada” di cui tanto parla Papa Francesco: fatta da uomini e donne che vivono il loro impegno accanto alla sofferenza, nelle comunità di accoglienza, vicino alla gente e a tutti coloro che “non si sono mai sentiti a casa”. Quella parte della Chiesa dimenticata che, con Papa Francesco, ritorna ad avere voce. “Adesso la Chiesa si è accorta di noi”, dice don Armando, “per tanto tempo siamo stati quelli strani. Ma perché? Forse perché troppo rivoluzionari… ci siamo sentiti fuori da casa nostra, la casa di una Chiesa intrappolata nelle paure in una posizione difensiva”. La storia di Don Armando è quella di tanti altri che, grazie alle azioni e alle parole di Papa Francesco, cominciano a ritornare a casa. I diritti di questo libro saranno devoluti ai progetti di volontariato internazionale del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza).
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FR ANCESCO Contemplativo, sognatore e costruttore di ponti
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Realizzazione editoriale: studio pym / Milano Š EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2017 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-922-1262-6
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Prefazione
Conosco Armando da anni, eppure leggere queste pagine appassionate, nelle quali ripercorre la sua storia di uomo e di prete, è stata una sorpresa e un piacere. Una sorpresa perché sono venuto a conoscenza di episodi che ignoravo e a cui magari Armando stesso non aveva dato troppo peso, salvo riconoscerne a distanza di tempo il profondo significato. Un piacere, perché è sempre bello riconoscere in un’esistenza il segno della coerenza, e quella di Armando è una vita che ha perseguito coerentemente e tenacemente i suoi sogni e ideali. Armando è ancora un bambino quando sente quella che lui chiama una «vocazione selvaggia», un desiderio forte di diventare prete. Ecco allora il seminario, la gioia del veder realizzarsi un sogno, ma anche l’insofferenza per modi e regole che racchiudono la fede in una dimensione troppo intimistica e dottrinale. Per Armando non è semplice, ma lo sforzo viene ripagato dall’incontro con sacerdoti che gli proporranno un modo diverso di vivere e di servire il Vangelo. Figure come quella del cardinale Piovanelli, all’epoca vicario generale dell’arcidiocesi di Firenze, o di Gualtiero Bassetti, ora nominato da papa Francesco 5
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presidente della CEI. Figure importanti di quella Chiesa toscana attenta alle sollecitazioni del Concilio Vaticano II e sensibile alle voci profetiche dei don Milani e dei padre Balducci. Sono molto belle le pagine in cui Armando racconta gli orizzonti che all’improvvisano illuminano e “specificano” la sua vocazione, il suo essere prete nel mondo e per il mondo. Ma non meno belle sono quelle in cui parla di una vocazione che, già matura e consapevole, sente il richiamo di una più intensa partecipazione alla vita degli altri. Sono tre, mi sembra, i momenti cruciali di questa crescita umana e spirituale. Il primo è quella che Armando definisce «la scelta di misurarsi con la sofferenza». Perché come sacerdoti siamo sì chiamati alla comprensione e alla carità, ma affinché l’etica del Vangelo non si riduca a semplice predicazione, occorre anche una personale messa in gioco, una condivisione autentica delle sofferenze, degli smarrimenti, delle fragilità umane. Per Armando quest’esperienza ha un nome: Usigliano. «Usigliano mi ha cambiato la vita», scrive. E le pagine dedicate a questa piccola comunità aperta quando il problema delle droghe (e quello spesso correlato dell’Aids) devastava la vita di tanti giovani e delle loro famiglie sono tra le più toccanti. A Usigliano Armando rinnova il suo modo di essere prete e educatore, ma l’incontro con altri paesaggi esistenziali è anche la riconferma di esigenze in fondo comuni: «La situazione era un po’ diversa. L’unica cosa che non lo era, era il bisogno di essere ascoltati: tutti sentono la necessità di esserlo». Secondo momento: la politica. Qui Armando riconosce il suo debito con il CNCA, il Coordinamento Nazionale Co6
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munità di Accoglienza, di cui è oggi presidente e alla cui nascita e sviluppo – a partire da quell’incontro a Torino nel lontano 1980 – io stesso ho dedicato tante energie. Il CNCA è il sociale, laico e cattolico, che per la prima volta si conosce e si riconosce, che diventa un “noi” nel segno della corresponsabilità e di un servizio che è insieme evangelico e “politico”. Perché politico è il Vangelo quando denuncia le ingiustizie e le violenze subite dai poveri e dagli oppressi. Politico è l’impegno sociale quando unisce l’accoglienza delle persone con l’analisi e la denuncia delle cause che ne provocano l’emarginazione, la discriminazione, la povertà. È la metà degli anni Novanta, e l’impegno di Armando nel CNCA cresce col prevalere di quelle logiche di potere che accrescono dovunque le ingiustizie e le disparità. Ecco allora l’impegno contro una guerra, quella in Iraq, che all’orrore di ogni guerra associa la formula ipocrita della “esportazione di democrazia”, laddove a essere esportati sono solo gli interessi delle grandi multinazionali. Ecco la nascita di movimenti trasversali, laici e cattolici, che nel nome della non-violenza si ribellano a un sistema che papa Francesco definisce «ingiusto alla radice», e che credono in un altro mondo possibile, fondato sulla giustizia sociale e sulla pace. Ecco i tremendi giorni del Social Forum di Genova del 2001, una delle pagine più disonorevoli della nostra storia recente. Circostanze nelle quali Armando prende posizioni nette e intransigenti, che gli attirano le critiche dei “benpensanti” e di chi ritiene che un prete non debba occuparsi di questioni sociali. Convinzione anche di chi, di recente, ha affisso sul muro della canonica di Perignano, presso Pisa, dove Armando risiede, la scritta «Zappolini eretico!», ignorando che non si può fare ad Armando complimento migliore, laddove si riconduce la parola eresia al 7
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suo significato di “scelta”: eretico è chi sceglie la libertà e la impegna per liberare chi ancora libero non è. Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano e ama più della verità la ricerca di verità. Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, non si rassegna alle ingiustizie, non pensa che la povertà sia una fatalità. Eretico è infine chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza, le malattie spirituali della nostra epoca. Terzo momento: la Terra e il Cielo. Quest’espressione, riferimento per tutta la mia storia di sacerdote, credo possa anche definire l’esigenza di Armando di saldare il momento verticale della preghiera con quello orizzontale della relazione, dell’ascolto, dell’accoglienza. C’è un passo in cui descrive efficacemente quest’esigenza: «La mia dimensione contemplativa è come il boccaglio dal quale prende aria un subacqueo. Prendo aria e torno a immergermi nel mondo, non potrei mai starne fuori». Ma può accadere, e la vita di Armando è stata generosa al punto da renderlo possibile, che la dimensione contemplativa e quella pratica, la preghiera e l’azione diventino una cosa sola, sicché agire è già pregare, e pregare un modo forte di esserci, di stare nel mondo. L’incontro con madre Teresa di Calcutta e i successivi viaggi in India per costruire occasioni preziose di speranza in contesti di povertà estrema sono espressione di questa saldatura, e non sorprende che a questi Armando dedichi le pagine più intense e ispirate. Vita con i poveri, impegno sociale e politico, unità di Terra e Cielo. Mi paiono queste, schematizzando, le tre fasi della ricca e generosa storia di Armando, e il senso di questo libro scritto «per diffondere un modo diverso di essere prete 8
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e di essere Chiesa, e trasmettere il messaggio che si può essere sognatori con i piedi nel fango, contemplativi e combattenti, impegnati in un servizio ma anche capaci di cambiare un modello di società». In nome, mi permetto di aggiungere, di quella giustizia terrena che è premessa di quella celeste. E in nome dunque di un impegno che ci chiama in causa tutti, ma che un credente deve sentire in modo particolare, se è vero che, come ci ricorda papa Francesco: «La religione non esiste solo per preparare le anime per il cielo» e che «una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo». Luigi Ciotti
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Prologo
Non ho scritto questo libro perché avevo l’esigenza di lasciare ai posteri traccia della mia vita. Non penso che la mia storia sia così importante da meritare di essere letta dalle future generazioni. Né avevo la necessità di tracciare il bilancio di un lungo viaggio. Ho appena compiuto sessant’anni. Credo – anche se non si sa mai – che la mia dipartita sia ancora lontana e che il mio percorso si possa arricchire di nuove esperienze e di straordinari accadimenti. L’ho scritto per due motivi sostanziali. Il primo è legato al fatto che la mia storia può essere quella di tanti altri preti “di strada”, che vivono il loro servizio pastorale in mezzo alla gente. Quella di preti che, per tanti anni, hanno vissuto ai margini di una Chiesa che si è arroccata sulle montagne di una posizione difensiva e non li ha mai accolti. A differenza di molti di loro, io sono anche parroco e la mia comunità mi ha aiutato a sostenere la resistenza creativa nei confronti di un’istituzione Chiesa che non ha mai capito un altro mio modo di essere prete. Quel modo che vivevo nella mia comunità di accoglienza per tossicodipendenti o tra le miserie dell’India. Che non ha compreso le 11
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mie lotte per la giustizia sociale e contro tutte le diseguaglianze. Tanti di noi non si sono mai sentiti a casa nella loro stessa Chiesa. Ho pensato che raccontare la mia storia potesse essere un modo per dare un riconoscimento al cammino di tutte queste persone e a quello dei tanti laici che con loro lo hanno condiviso. Il secondo motivo è che penso che questo libro possa essere anche uno strumento per diffondere un modo diverso di essere prete e di essere Chiesa e trasmettere il messaggio che si può essere sognatori con i piedi nel fango, contemplativi e combattenti, impegnati in un servizio ma anche capaci di cambiare un modello di società. Una sintesi che nella mia vita ho pienamente vissuto e difeso. Un prete secondo Francesco è un titolo importante. Non l’ho scelto io, ma la casa editrice. L’ho accettato per i significati che evoca. Le azioni che papa Francesco compie e le parole che utilizza hanno il potere di farci ritornare a casa e di sentirci parte integrante di una Chiesa che, finalmente, rivela il volto dei poveri, dei sofferenti, dei più bisognosi. Di una Chiesa che sta nel mondo di sotto e non nel mondo di sopra. Di una Chiesa che papa Francesco ha definito «ospedale da campo», nella quale mi sento a casa e sono felice di stare. Armando Zappolini
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IL SELVAGGIO CONTEMPLATIVO
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Un sogno da prete
Non avevo neanche dodici anni e già sognavo di fare il prete. Anzi, ancora prima, volevo diventare frate francescano. Ero innamorato del “pazzo di Dio” così come lo eravamo tutti noi ragazzi che frequentavamo, d’estate, le colonie gestite dai frati francescani dei Conventuali di San Miniato a Marina di Pisa. Io e mio fratello gemello Angelo, che abitavamo con la nostra famiglia a Palaia, a cinquanta chilometri dal litorale pisano, eravamo assidui frequentatori. Avevo una certa fretta di entrare in seminario, la mia idea era di accelerare le cose, non volevo nemmeno aspettare di finire le scuole medie. Così concordai con Padre Dino, frate priore del Convento di San Miniato, una sua visita a Palaia per convincere i miei genitori a farmi iniziare il mio percorso religioso in seminario da subito. Era il 1969. L’estate stava finendo e mancava poco alla ripresa dell’anno scolastico. Quell’anno avrei frequentato la seconda media. Una mattina, organizzai una specie di imboscata a Sarah, la mia mamma. Dopo la messa delle sette, alla quale l’accompagnavo puntualmente ogni mattina, io e mamma andammo in campagna. Avevamo un appezzamento di terra poco lontano dal paese, in cima alla collina, davanti a una vigna. 15
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Avevo appuntamento proprio lì con Padre Dino. Rimasi in ansia fino a quando non scorsi il francescano imboccare affannato la stradina in salita. Mamma rimase basita. Non credeva ai suoi occhi: cosa ci faceva un frate in mezzo alla sua campagna? Non riuscì, però, a chiedere nulla. Come tutta le gente di paese di allora, nutriva un timore reverenziale verso gli abiti religiosi. Ma, inaspettatamente, quando Padre Dino espose le ragioni della sua visita, non si lasciò intimidire. Rispose in modo inamovibile con la sua marcata inflessione toscana: «Sentite, mio marito è al lavoro e io il bimbo non lo do a nessuno». Di fronte al diniego di mamma, piansi come un disperato, aggrappandomi con tutte le mie forze alla gamba di Padre Dino. Non volevo staccarmi da lui, volevo che mi portasse con sé. Ma non ci fu verso, il mio piano non funzionò. La sera, di ritorno dalla sua giornata di lavoro come bigliettaio e controllore sui pullman delle autolinee di trasporti Sita, il mio babbo Vasco fu travolto dal racconto del fatto appena accaduto. L’agitazione bloccò anche il suo rito quotidiano del conteggio dei soldi raccolti con le corse della giornata, di cui ci faceva partecipi per verificare che tutti i conti quadrassero. Babbo Vasco fu felice della notizia. Conosceva la passione, l’impegno e la dedizione, grazie alle sue numerose attività cattoliche, politiche e sociali. Svolgeva ruoli in parrocchia, militava nella Democrazia Cristiana e ricopriva incarichi nelle Acli. Ancora oggi, alla bella età di 89 anni, menziona quei tempi. «Quando Vasco era Vasco…», ripete 16
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