James Martin
Progetto grafico: Gianni Camusso / On Graphics In copertina: Kerry Weber / CC Wikimedia Commons
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James Martin, sj
Non una guida per capire tutto di tutto: piuttosto, una guida per scoprire come Dio si possa trovare in ogni ambito della nostra vita. Come Dio si possa trovare in ogni cosa. E in ogni persona.
Guida del gesuita... a quasi tutto
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James Martin è gesuita e autore di best-seller molto apprezzato negli Stati Uniti. Editor della famosa rivista America, il 12 aprile 2017 è stato nominato da papa Francesco consultore del Segretariato per le Comunicazioni, l’organismo che sovraintende alla gestione di tutti i mezzi di comunicazione vaticana (televisione, radio, stampa, internet ecc.). La Guida del gesuita… a quasi tutto è stato un successo straordinario negli Stati Uniti (bestseller nella classifica del New York Times) ed è il suo primo lavoro tradotto per il pubblico italiano.
sj , n i t r a M s e m Ja G u id a . . . a t i u d e l g es i a qu a s tutto Una spiritualità eta r c n o c a it v la r e p
Finalmente un manuale per la vita spirituale adatto a tutti, senza fronzoli e capace di parlare un linguaggio semplice e appassionante: la Guida del gesuita… a quasi tutto è ispirata alla vita e all’opera di sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ed è un’opera che il lettore non riuscirà a smettere di leggere. Centrato attorno al concetto ignaziano di “cercare Dio in ogni cosa”, il libro di J. Martin ci parla di relazioni, denaro, lavoro, preghiera, scelte (ossia di... quasi tutta la nostra vita), con serietà abbinata al senso dello humour, a tratti irresistibile, che rende questo autore amatissimo sia in America che nel mondo gesuitico (lo stesso papa Francesco lo stima molto). Ricco di esempi, di aneddoti tratti dall’autobiografia personale, ma anche dalle vite dei santi della Compagnia di Gesù, si inserisce nel novero dei grandi testi di spiritualità che parlano alle donne e agli uomini di oggi. Un libro che insegna, a chi avrà la pazienza (e la gioia serena) di leggerlo, “come si cerca Dio nelle cose e nelle persone che circondano la nostra vita (figli, mariti, mogli, amici, nonni, nipoti, compagni di lavoro, nemici...)” ma soprattutto come “Dio cerca noi” attraverso ogni avvenimento e ogni incontro che ci capita. Un libro memorabile, che porteremo a lungo con noi.
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GUIDA DEL GESUITA... A QUASI TUTTO Una spiritualità per la vita concreta
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Titolo originale dell’opera: The Jesuit Guide to Almost Everything. A Spirituality for Real Life © 2010 by James Martin, S.J. All rights reserved. Published by arrangement with HarperOne, an imprint of HarperCollins Publisher, 2012
Traduzione di: Giovanni Giglio
© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2017 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-922-1316-6
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Fratribus carissimis in Societate Jesu
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CAPITOLO UNO
Un modo di procedere La spiritualità ignaziana
Chi è sant’Ignazio di Loyola e perché dovrebbe importarti? La risposta rapida è questa: sant’Ignazio di Loyola è un soldato del sedicesimo secolo che, diventato mistico, fonda un ordine religioso cattolico chiamato Compagnia di Gesù, noto anche con il nome di Gesuiti. E dovrebbe importarti (o, più gentilmente, sarà interessante conoscerlo) perché il suo stile di vita ha portato milioni di persone a scoprire gioia, pace e libertà e, cosa non secondaria, a fare l’esperienza di Dio nella loro vita quotidiana. Il “modo di procedere” di sant’Ignazio, per usare una delle sue espressioni favorite, da oltre 450 anni aiuta a vivere meglio. Un bilancio niente male. Al centro, per Ignazio, c’è la scoperta della libertà: libertà di diventare la persona che sei, di amare e di accogliere l’amore, di prendere buone decisioni e di sperimentare la bellezza del creato e il mistero dell’amore di Dio. È un percorso che si ispira ai suoi stessi scritti e alle tradizioni, pratiche e conoscenze spirituali tramandate da padri e fratelli gesuiti di generazione in generazione fin dal 1540, anno della fondazione dell’Ordine. Queste idee, tradizioni e pratiche Ignazio, però, non le intendeva come guida esclusiva dei membri della Compa-
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gnia, ma voleva che fossero a disposizione di tutti. Fu così che da subito esortò i gesuiti a condividerle non solo con altri sacerdoti, fratelli e sorelle, ma anche con uomini e donne laici. La “spiritualità ignaziana” doveva raggiungere il maggior numero possibile di credenti e di persone in ricerca. Prima di procedere, forse è il caso di farsi anche un’altra domanda: che cos’è una “spiritualità”? In breve, una spiritualità è un modo di vivere in relazione con Dio. Tutte le spiritualità della tradizione cristiana, a prescindere dalla loro origine, ruotano intorno allo stesso asse: il desiderio di unione con Dio, l’importanza dell’amore e della carità, credere che Gesù è il Figlio di Dio. Ogni spiritualità, però, dà risalto ad aspetti diversi della tradizione. L’una evidenzia la vita contemplativa, l’altra la vita attiva; questa mette l’accento sulla gioia, quella sulla libertà, quell’altra sulla consapevolezza, il sacrificio o il servizio ai poveri. Tutte queste cose sono importanti in ogni spiritualità cristiana, ma ogni “scuola” spirituale le tratta in maniera diversa. GESUITI, GENTE PRATICA
La spiritualità pratica dei Gesuiti risale a Ignazio stesso. Senti questa: un francescano, un domenicano e un gesuita stanno dicendo messa insieme, quando d’un tratto in chiesa salta la luce. Allora, il francescano ringrazia per la possibilità di vivere in maniera più semplice; il domenicano fa una dotta omelia su Dio luce del mondo; il gesuita va in cantina a riavviare il contatore. §§§
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In The Jesuits: Their Spiritual Doctrine and Practice [I Gesuiti. Dottrina e pratica spirituale], pubblicato per la prima volta nel 1964 e che io lessi appena entrato nell’Ordine, il gesuita francese Joseph de Guibert propone un’affascinante analogia di origine medievale. Una spiritualità è un po’ come un ponte. Tutti i ponti fanno pressoché la stessa cosa: portano da un posto all’altro, che siano sopra terreni scoscesi, fiumi o precipizi. Ma lo fanno in modi diversi. Possono essere fatti di corda, legno, mattoni, pietra o acciaio; ad arco, a sbalzo o sospesi. “Quindi”, scrive padre de Guibert, “ce n’è una serie di tipi diversi, ciascuno con i suoi vantaggi e svantaggi. Ogni tipo è adatto per certi terreni e superfici e non per altri. Eppure, ciascuno a suo modo raggiunge l’obiettivo comune, cioè, procurare un passaggio mediante un insieme equilibrato ed organico di materiali e forme”. Ogni spiritualità offre un “passaggio” distinto verso Dio. Molte delle più note tradizioni spirituali cristiane nascono dagli ordini religiosi: benedettini, francescani, carmelitani, cistercensi. Nel corso dei secoli ogni ordine ha sviluppato le proprie tradizioni spirituali, alcune trasmesse direttamente dai fondatori, altre frutto di una riflessione sulle loro vite e le loro pratiche. Oggi i membri di questi ordini religiosi vivono secondo quella che padre de Guibert chiama una “tradizione di famiglia”. Ad esempio, passa un po’ di tempo con dei Francescani e in breve noterai il loro amore per i poveri e l’ambiente, secondo il modello di san Francesco di Assisi, il loro fondatore. Vivi per qualche giorno con una comunità benedettina e presto assaporerai la loro natura espansiva e calorosa, trasmessa dallo stesso san Benedetto: niente di sorprendente per uno che ha detto “tutti gli ospiti siano accolti come Cristo”. Gli ordini religiosi parlano di “carisma” o di
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spirito fondante, trasmesso appunto dal fondatore (“carisma” viene dalla parola greca per “dono”). Allo stesso modo, passa un po’ di tempo con un sacerdote o un fratello gesuita e inizierai a fare esperienza della particolare spiritualità di sant’Ignazio di Loyola e dell’ordine dei Gesuiti, che presto andremo a descrivere. L’insieme di pratiche, metodi, sottolineature, accenti e punti salienti dello stile di vita cristiano che ci viene da Ignazio è noto come “spiritualità ignaziana”. È anche grazie a essa se nel corso della sua storia suggestiva la Compagnia di Gesù è riuscita a fare cose notevoli. Mi sarebbe impossibile parlare delle imprese compiute dai Gesuiti senza sembrare troppo orgoglioso (accusa che riceviamo ogni giorno), per cui lascerò che a farlo sia lo storico inglese Jonathan Wright. Il bozzetto che segue è tratto dal suo splendido God’s Soldiers: Adventure, Politics, Intrigue, and Power. A History of the Jesuits [Soldati di Dio. Avventura, politica, intrigo e potere: una storia dei Gesuiti]: Sofisticati uomini di corte a Parigi, Pechino e Praga, hanno consigliato i re su quando sposarsi o quando e come andare in guerra, servito gli imperatori cinesi da astronomi, o da cappellani accompagnato le armate giapponesi nell’invasione della Corea. Com’è facile immaginare, hanno somministrato sacramenti e pronunciato omelie, oltre a fornire un’istruzione a un’umanità variegata, tra cui Voltaire, Castro, Hitchcock e Joyce. Ma sono stati anche allevatori di pecore a Quito, proprietari di haciendas in Messico, viticoltori in Australia e proprietari di piantagioni negli Stati Uniti prima dello scoppio della Guerra Civile. La Compagnia ha operato nel mondo delle lettere, delle arti, della musica e della scienza, teorizzando sulla danza e le malattie tanto quanto sulle leggi dell’elettricità e dell’ottica. I Gesuiti hanno colto le sfide poste da
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Copernico, Cartesio e Newton, e trentacinque crateri lunari portano il nome di scienziati dell’Ordine.
Negli Stati Uniti probabilmente sono meglio conosciuti per la loro attività di educatori: qui, infatti, gestiscono 28 tra college e università (tra cui Georgetown, Fordham, Boston College e ogni college chiamato Loyola), decine di scuole superiori e, più di recente, anche scuole medie in quartieri disagiati. Se si pensa che Ignazio voleva che i gesuiti fossero uomini pratici, capaci di farsi capire, non sorprende che con gli anni la loro spiritualità si sia condensata in poche frasi facili da memorizzare. Da sola, nessuna definizione sa esprimere la ricchezza della tradizione, ma insieme queste frasi costituiscono un’introduzione alla via di Ignazio. Ecco quindi quattro modi semplici per intendere la spiritualità ignaziana. Immagina che siano le arcate di quel “ponte” di cui abbiamo parlato prima. QUATTRO MODI
Un tempo si diceva che la formazione gesuitica era così irreggimentata che, facendo la stessa domanda a cinque gesuiti provenienti da diverse parti del mondo, tutti e cinque avrebbero dato la stessa risposta. Oggigiorno c’è una maggiore indipendenza e probabilmente darebbero cinque risposte diverse. Magari sei. Tra i gesuiti italiani c’è un detto: “Tre gesuiti, quattro opinioni!”. Ma c’è una domanda a cui quei tre ipotetici gesuiti darebbero una risposta simile: se gli si chiedesse di definire la spiritualità ignaziana, molto probabilmente la prima cosa che direbbero sarebbe trovare Dio in tutte le cose.
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Questa frase dalla semplicità ingannevole in passato era ritenuta rivoluzionaria. Significa che nulla è considerato estraneo alla vita spirituale. La spiritualità ignaziana non è relegata tra le quattro mura di una chiesa. Non è una spiritualità secondo cui la vita spirituale riguarda solo argomenti “religiosi”, quali la preghiera e i testi sacri. Soprattutto non è una spiritualità che dice: “Quello – che sia il lavoro, il denaro, la sessualità, la depressione o la malattia – lo evitiamo quando parliamo della vita spirituale”. Per la spiritualità ignaziana ogni cosa è una parte importante della vita. Certo, questo include funzioni religiose, sacre scritture, preghiera e opere di carità, ma anche gli amici, la famiglia, il lavoro, le relazioni, il sesso, la sofferenza, la gioia, come pure la natura, la musica e la cultura di massa. Per chiarire questo punto, vi racconterò di David, un sacerdote gesuita che incroceremo spesso in queste pagine. Prima di diventare gesuita a 39 anni, David faceva il parroco a Boston: un fiero bostoniano “per nascita e scelta”, come amava dire. Entrato nella Compagnia, per decenni studiò le tradizioni spirituali di Ignazio di Loyola e fu a lungo il responsabile della formazione dei giovani gesuiti. Di costituzione alta e, più in là negli anni, con una barba bianco panna, David era un esperto “direttore spirituale”, aiutava cioè a pregare e ad approfondire il proprio rapporto con Dio. Lo vidi per la prima volta a Boston il giorno del mio ingresso nel noviziato gesuitico. Per due anni David mi guidò all’incontro con Dio in colloqui che spesso finivano in risate e pianti. Data la sua ampia preparazione, se lo contendevano case per ritiri, scuole, parrocchie e conventi di tutto il mondo. Dopo il noviziato gesuitico, per quattro anni fece il di-
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rettore spirituale presso il prestigioso North American College di Roma, dove risiedono i più promettenti sacerdoti diocesani americani durante i loro studi di Teologia. Pochi anni dopo David morì all’improvviso di infarto. Aveva 65 anni. Stando a sua sorella, in quel momento circa 60 persone perdettero il loro direttore spirituale. Molto di quello che so sulla preghiera lo devo a lui. Ricordo che un pomeriggio ero venuto a sapere di alcuni problemi a casa e non stavo bene, ma evitavo accuratamente di parlarne, visto che non aveva nulla a che fare con la mia “vita spirituale”. Seduto su una sedia a dondolo, David sorseggiava la sua immancabile tazza di tè, tutto intento ad ascoltarmi. Dopo qualche minuto appoggiò la tazza e mi chiese: “C’è per caso qualcosa che non mi stai dicendo?”. Pieno d’imbarazzo, gli dissi quanto fossi preoccupato per la mia famiglia. Ma non dovevamo parlare di cose spirituali? “Jim”, mi disse, “tutto fa parte della tua vita spirituale. Non puoi infilare una parte della tua vita in una scatola, metterla via e far finta che non ci sia. Quella scatola devi aprirla e avere fiducia che Dio ti aiuterà a guardarci dentro”. Da allora quell’immagine non mi ha più abbandonato. Nella spiritualità ignaziana non c’è nulla che vada messo in una scatola e fatto sparire. Nulla da temere. Nulla da tenere nascosto. Tutto può essere aperto davanti a Dio. Da qui il titolo del libro: Guida del gesuita a quasi tutto. Non una guida per capire tutto di tutto: piuttosto, una guida per scoprire come Dio si possa trovare in ogni ambito della nostra vita. Come Dio si possa trovare in ogni cosa. E in ogni persona. Questo è il genere di domande tipico della spiritualità ignaziana di cui parleremo nei prossimi capitoli:
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Come posso sapere che cosa debbo fare della mia vita? Come posso sapere chi sono? Come prendere buone decisioni? Come vivere una vita semplice? Come essere un buon amico? Come affrontare la sofferenza? Come essere felice? Come trovare Dio? Come pregare? Come amare? Tutte queste cose sono tipiche della spiritualità ignaziana, perché sono tipiche della persona umana. Dopo “trovare Dio in tutte le cose”, probabilmente la seconda risposta dei tre ipotetici gesuiti sarebbe che la spiritualità ignaziana è incentrata sull’essere contemplativi nell’azione. Un’idea, questa, di attualità per molti. Che ne dici di una vita più contemplativa o, semplicemente, più serena? Non ti piacerebbe staccare dalle distrazioni di cellulari, fax, e-mail, messaggi istantanei, iPod, iPhone e BlackBerry – a ciascuno il suo – per un po’ di pace? Gadget splendidi, per carità! Ma non hai mai voglia di un attimo di quiete? Ebbene, la spiritualità ignaziana ci insegna che, se da un lato pace e tranquillità sono essenziali per alimentare la nostra vita spirituale, la maggior parte di noi non lascerà il proprio lavoro per entrare in un monastero e passare la vita pregando ininterrottamente. A parte il fatto che anche i monaci lavorano duro. (Alcuni ormai usano anche le e-mail!) Insomma, per quanto Ignazio raccomandasse ai suoi gesuiti di ritagliarsi sempre del tempo per la preghiera, era previsto che conducessero una vita attiva. “La nostra casa
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è la strada” disse Jerónimo Nadal, uno dei primi compagni di Ignazio. Erano chiamati a essere persone attive, ma con uno sguardo contemplativo, o meditativo, sul mondo: a essere “contemplativi nell’azione”. La maggior parte di noi vive una vita intensa e con poco tempo per pregare e meditare. Ma avendo coscienza del mondo intorno a noi, pur nel mezzo di tutti i nostri impegni, possiamo far sì che a ispirare le nostre azioni sia uno sguardo contemplativo. Anziché pensare che la vita spirituale sia possibile solo nel chiuso di un monastero, Ignazio ti chiede di pensare al mondo come al tuo monastero. In terzo luogo, la via di Ignazio può essere intesa come una spiritualità incarnata. La teologia cristiana sostiene che Dio si è fatto uomo, cioè, che si è “incarnato” nella persona di Gesù di Nazaret. In senso più lato, una “spiritualità incarnata” significa credere che Dio si possa trovare nelle vicende quotidiane della nostra vita. Dio non è solo là fuori. Dio è anche qui. Se sei alla ricerca di Dio, guardati intorno. Una delle più belle definizioni di preghiera l’ha data il teologo gesuita Walter Burghardt: un “lungo amoroso sguardo sulla realtà”. La spiritualità incarnata riguarda la realtà. In fin dei conti, non possiamo avere una conoscenza completa di Dio, almeno non in questa vita. Nel quarto secolo sant’Agostino disse che se riesci a comprenderlo, allora non è Dio, perché Dio è incomprensibile. Ma questo non vuol dire che non possiamo iniziare a conoscere Dio. Così, se da un lato la spiritualità ignaziana riconosce la trascendenza, o alterità, di Dio, dall’altro, in quanto spiritualità incarnata, riconosce l’immanenza, o vicinanza, di Dio nelle nostre vite. Infine, la spiritualità ignaziana riguarda la libertà e il distacco.
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Ignazio era profondamente consapevole di ciò che impediva a lui e agli altri di vivere una vita all’insegna della libertà e della gioia. Con il suo testo più celebre, Esercizi spirituali, scritto tra il 1522 e il 1548, intendeva per lo più aiutare a scoprirsi liberi di prendere buone decisioni. Il titolo originale è: Esercizi spirituali per vincere se stesso e ordinare la propria vita senza prendere decisioni in base ad alcun affetto disordinato. La maggioranza dei gesuiti parla di “Esercizi spirituali” o semplicemente di “Esercizi”. Tra gli arzigogoli del titolo, però, si celano alcune idee importanti. Una è in coda: con “affetti disordinati” Ignazio indica qualunque cosa ci impedisca di essere liberi. Quando dice che dovremmo essere distaccati o indifferenti, intende non vincolati a cose di scarsa importanza. Ecco un piccolo esempio. Cosa succede se la tua preoccupazione principale nella vita è fare soldi? Forse non vedresti perché passare il tuo tempo con chi non può aiutarti a fare carriera. Potresti essere meno incline a prenderti del tempo libero. Potresti persino cominciare a vedere negli altri solo dei mezzi o, peggio, degli ostacoli sulla strada del successo. Poco a poco, ai tuoi occhi tutto potrebbe iniziare a ruotare intorno al lavoro, la carriera e il desiderio di fare soldi. Ora, in questa vita il lavoro è parte integrante della vocazione di ciascuno di noi. Ma se con l’andar del tempo ti ritrovi a sacrificare tutto per quell’obiettivo, forse ti accorgerai che il lavoro per te è diventato una specie di “dio”. Quando mi si chiede se è mai possibile violare il primo comandamento (“Non avrai altro dio all’infuori di me”), spesso rispondo che, se è vero che, a differenza del passato, in pochi oggi credono a molti dei, sono però molti di più quelli che credono a nuovi “dei”. Per qualcuno “dio” è la carriera, o i soldi, o la posizione sociale.
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Che cosa ne direbbe sant’Ignazio? Molto probabilmente aggrotterebbe la fronte e (in basco, spagnolo o latino) direbbe che, sì, devi guadagnarti da vivere, ma stando attento che la tua carriera non diventi un “affetto disordinato” che ti priva della libertà di incontrare nuova gente, di passare tempo con i tuoi cari e di vedere nelle persone dei fini piuttosto che dei mezzi. È un “affetto” in quanto è qualcosa che ti attrae; è “disordinato” in quanto non ordinato verso qualcosa di vivificante. Ignazio ti inviterebbe al “distacco”. In questo modo diventeresti più libero e più felice. Ecco perché Ignazio suggeriva di evitare gli “affetti disordinati”. Questi, infatti, ostruiscono la strada che porta al “distacco”, a crescere nella libertà, in quanto persona e nell’intimità con Dio. Forse non ti aspettavi di sentire qualcosa di buddista, ma tant’è: da molto tempo questo obiettivo è presente in varie tradizioni spirituali. Dunque, se qualcuno ti chiede una definizione della spiritualità ignaziana, in sintesi puoi dire che è: 1. trovare Dio in tutte le cose, 2. diventare contemplativi nell’azione, 3. guardare al mondo in un modo incarnato, 4. cercare libertà e distacco. Che tu dica tutte queste cose o una sola, andrebbe bene comunque. In questo libro approfondiremo ognuna di queste risposte e vedremo anche come ognuna ha a che vedere, diciamo così, con ogni cosa. Per capire la visione di sant’Ignazio di Loyola è utile conoscere l’uomo. Come per tutti i maestri spirituali, la sua concezione del mondo e le sue pratiche spirituali sono il frutto delle sue esperienze. Inoltre, la sua storia ci ricor-
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da che la vita di ciascuno – di un mistico del sedicesimo secolo come di una persona in ricerca oggi – è principalmente un viaggio dello spirito. Partirò con una breve panoramica sulla sua vita. Nel corso del libro mi concentrerò poi su alcuni episodi per evidenziare una serie di tematiche e intuizioni. E forse ti sorprenderà scoprire che, come molti di noi oggi, neppure Ignazio è sempre stato “religioso” o persino, per usare il termine più comune, “spirituale”. UNA (BREVISSIMA) VITA DI IGNAZIO DI LOYOLA
Iñigo de Loyola nacque nel 1491 nella regione basca spagnola. Un po’ un donnaiolo e, secondo alcune fonti, una vera testa calda, per buona parte della giovinezza si preparò per una vita da cortigiano e soldato. La sua autobiografia si apre con la confessione che era “assorbito dalle vanità” e attratto principalmente da “un immenso desiderio di acquistare l’onore vano”1. Detto altrimenti, era un vanesio interessato più che altro al successo mondano. “Ha l’abitudine di andare vestito con corazza e cotta di maglia”, scrisse un contemporaneo del ventenne Ignazio, “porta capelli lunghi fino alle spalle, un farsetto tagliato bicolore e un cappello sgargiante”. Come molti altri santi, Iñigo (più tardi trasformato nel latineggiante Ignatius) non fu sempre uno “stinco di santo”. Non è molto che lo storico gesuita John Padberg mi ha detto che Ignazio potrebbe essere l’unico santo con la
1 Tutte le citazioni da Il racconto del pellegrino sono tratte da Gli scritti di Ignazio di Loyola, ed. M. Gioia, Edizioni UTET, Torino 1988 (NdT).
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fedina penale sporca: per rissa notturna con l’intento di procurare lesioni gravi. Nel 1521 durante una battaglia a Pamplona l’aspirante soldato si ritrovò con una gamba sfracellata da una palla di cannone, a cui seguirono lunghi mesi di dolorosa convalescenza. Il primo intervento fu un po’ un pasticcio e, pur di stare bene nelle calzabrache allora di moda, Iñigo si sottopose a tutta una serie di raccapriccianti operazioni. Da sotto i ferri del chirurgo uscì zoppo a vita. Durante la convalescenza passata nel castello di famiglia a Loyola, sua cognata gli diede un libro sulla vita di Gesù e un altro sulle vite dei santi. Queste erano pressoché le ultime cose che avrebbe voluto leggere. Il soldato in erba preferiva gli emozionanti romanzi di cavalleria, in cui i cavalieri compivano imprese galanti per fare colpo sulle nobildonne. “Ma di quelli che era solito leggere, in quella casa non se ne trovarono”, scrisse nella sua Autobiografia. (In questa, dettata in età avanzata a uno dei suoi amici gesuiti, probabilmente per modestia Ignazio racconta di sé in terza persona come “lui” o “il pellegrino”). Mentre sfogliava svogliatamente le vite all’apparenza scialbe dei santi, avvenne qualcosa di sorprendente. Iñigo cominciò a chiedersi se per caso non potesse imitarli. Pensava: “Se san Francesco o san Domenico sono riusciti a fare questo e quello, forse anch’io potrei fare grandi cose”. Uno strano desiderio si agitava in lui: diventare come i santi e servire Dio. Scrisse: “E se anch’io facessi quel che ha fatto san Francesco o san Domenico?”. Come a dire, “potrei riuscirci!”. Ecco un uomo come tanti, senza nessun particolare interesse per le pratiche religiose, supporre di potere imitare due dei più grandi santi della tradizione cristiana.
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Forse che Ignazio barattò l’ambizione militare per quella spirituale? David, il mio direttore spirituale negli anni del noviziato, l’ha detto senza tanti giri di parole: Dio volse al bene persino l’orgoglio smisurato di Ignazio. Infatti, non c’è parte delle nostre vite che non possa essere trasformata dall’amore di Dio. Anche quegli aspetti di noi che consideriamo inutili, per non dire peccaminosi, possono essere resi utili e santi. Come dice il proverbio, Dio scrive dritto sulle righe storte. Così iniziò la trasformazione di Iñigo. Invece di volere mettere a segno eroiche gesta militari per far colpo su “una certa dama”, sentiva un ardente desiderio di servire Dio secondo l’esempio dei santi, i suoi nuovi eroi. Oggi il castello familiare dei Loyola è quasi un tutt’uno con la chiesa monumentale che commemora la conversione del santo. A parte questo, non molto è cambiato dal XVI secolo: mura di pietra spesse due metri continuano a difendere i piani bassi, mentre quelli alti, dove alloggiava la famiglia, sono ingentiliti da rossi mattoni a vista. Al quarto piano si entra nella camera da letto dove Ignazio si rimise in forze: spaziosa, con pareti imbiancate e un soffitto sostenuto da poderose travi di legno. Un polveroso baldacchino in broccato è sospeso sul capezzale di Iñigo, con la statua lignea policroma del santo allettato: un libro nella mano sinistra, lo sguardo rivolto al cielo. In alto, dipinta su una trave, l’iscrizione dorata: “Aquí Se Entregó a Dios Iñigo de Loyola”. Qui si consegnò a Dio Ignazio di Loyola. Ristabilitosi, Iñigo fece tesoro delle intuizioni ricevute e, malgrado le proteste della famiglia, decise di abbandonare la vita militare e dedicarsi completamente a Dio. Nel 1522, all’età di 31 anni, partì in pellegrinaggio per l’abbazia benedettina di Montserrat, in Catalogna, dove con un
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colpo di scena degno dei suoi amati romanzi cavallereschi si spogliò di “tutti i suoi abiti e li diede a un mendicante”, prima di depositare armatura e spada ai piedi di una statua della Vergine Maria. Passò quasi tutto l’anno seguente a Manresa, un paesino lì vicino dove si diede a una vita austera fatta di digiuni e preghiere ininterrotte per ore, facendosi crescere capelli e unghie, come per scontare il desiderio passato di avere un bell’aspetto. Quello fu per lui un periodo buio, di grande aridità spirituale e ossessione per i peccati, al punto da subire persino tentazioni suicidarie. La difficoltà dell’impresa che stava per compiere lo portò sull’orlo della disperazione. Come gli era venuto in mente di cambiare la sua vita così radicalmente? “Come potrai tu vivere fino a settant’anni sopportando questo genere di vita?”, sembrava dirgli una voce da dentro. Ma allontanò questi pensieri che non venivano da Dio. Con il suo aiuto decise che poteva cambiare. E smise di disperarsi. Un po’ alla volta mitigò le sue pratiche estreme e ritrovò un senso di equilibrio. Più tardi, sempre a Manresa, pregando fece una serie di esperienze mistiche che lo convinsero di essere chiamato a una relazione più profonda con Dio. Per Iñigo quello fu un periodo di formazione e crescita nella comprensione della vita spirituale, come spiegò con una toccante analogia: “A quel tempo Dio si comportava con lui come un maestro fa con un bambino: gli insegnava”. Un giorno, mentre assorto in preghiera camminava lungo l’argine del torrente Cardoner, Iñigo provò un senso di unione mistica con Dio. Il passo della sua autobiografia che descrive questa esperienza cruciale merita una citazione integrale.
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