Claire Thornton
Fuoco d'amore
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Defiant Mistress The Abducted Heiress The Vagabond Duchess Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2005 Claire Thornton © 2005 Claire Thornton © 2006 Claire Thornton Traduzione di Elena Rossi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici luglio 2007 agosto 2007 settembre 2007 Seconda edizione Harmony Special Saga agosto 2012 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 72 dello 03/08/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Romanzo
Sommario
Pagina 7
Il fuoco della vendetta
Pagina 213
Il giardino segreto
Pagina 429
La duchessa vagabonda
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Romanzo
Il fuoco della vendetta
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Prologo Londra, giugno 1658 Oggi ragazza... domani sposa. Il cuore di Athena esultava di gioia e il futuro le appariva luminoso come quel pomeriggio di sole mentre percorreva Cheapside, sgusciando abilmente tra la folla che riempiva una delle arterie principali di Londra. Passò davanti alle vetrine di alcuni negozi di tessuti e oreficerie tra i più rinomati della città senza degnarle neppure di un'occhiata. Aveva terminato i suoi acquisti ben più modesti e non vedeva l'ora di tornare a casa. L'indomani sarebbe diventata la moglie di Gabriel. Provò una punta di trepidazione al pensiero della prima notte di nozze; non poteva fare a meno di sentirsi un po' nervosa immaginando quelli che sarebbero stati i suoi doveri coniugali, ma amava Gabriel e aveva piena fiducia in lui. Ogni volta che la prendeva fra le braccia o la baciava, teneva a freno i suoi impulsi virili mostrandole un'infinita tenerezza. In effetti a volte era perfino troppo tenero, pensò mentre deviava dal suo cammino per evitare una portantina trasportata da due servitori in livrea. Uno di loro si voltò a guardarla con aria d'apprezzamento, ma lei era abituata agli sguardi degli uomini e non gli prestò attenzione. I suoi pensieri erano concentrati sulla prima notte di nozze. Un brivido di anticipazione la percorse pensando con quale passione l'avrebbe baciata Gabriel una volta libero di dare sfogo al suo desiderio. L'indomani l'avrebbe scoperto. Girò in una via laterale più stretta. Lì neppure in estate le case con i cornicioni sporgenti, troppo vicine le une alle altre, consentivano al sole pomeridiano di illuminare la strada fino a terra. L'ombra offriva una pausa di ristoro dopo la luce accecante, ma solo una parvenza di fresco. L'aria era immobile e afosa e Athena si sentiva sulla pelle il pulviscolo della città. Scostò dal viso una ciocca di capelli biondi e deviò il corso dei suoi pensieri alla zuppa che avrebbe cucinato per la zia. Era l'ultima notte che avrebbe passato in casa di zia Kitty e lei voleva mostrarle la propria riconoscenza 9
per tutta la sua generosità e la sua gentilezza. Quella mattina presto aveva già acquistato quasi tutti gli ingredienti che le servivano. Con quella seconda spedizione si era procurata le poche cose che aveva dimenticato perché era troppo occupata a pensare a Gabriel. Bene, per il resto del pomeriggio e della serata non avrebbe lasciato che un solo pensiero di lui le attraversasse la mente. Si sarebbe concentrata unicamente nel preparare per zia Kitty la zuppa più deliziosa che si potesse immaginare, e la sua ricompensa... la sua ricompensa sarebbe stata quella di coricarsi e pensare a Gabriel per tutta la notte! Athena non riuscì a trattenere un sorriso a quella prospettiva. Tutto il suo corpo trasudava felicità mentre imboccava il vicolo che conduceva al piccolo cortile davanti alla casa della zia. «Buonasera, Athena» disse improvvisamente una voce maschile che usciva dall'ombra. Lei trasalì, avvertendo una stretta allo stomaco. In un primo momento era stata più forte la sorpresa dello spavento. «Sei una cattivella» riprese l'uomo, in un tono irritante. Samuel? L'orrore e l'incredulità la bloccarono per qualche istante. Aveva riconosciuto quella voce odiosa, che aveva sperato di non udire mai più. Samuel non apparteneva a Londra. Non c'era più posto per lui nella sua vita. Come l'aveva trovata? Lui uscì dall'ombra e la scrutò da capo a piedi con occhi scintillanti. Athena si sentì rabbrividire sotto il suo sguardo lascivo. «Eri impaziente di rivedermi, dolcezza?» Quando fece per avvicinarsi, lei si ritirò istintivamente, facendo sbattere contro il muro la cesta della spesa. L'impatto la spinse all'azione. Si voltò di scatto, mossa da un bisogno impellente di correre il più lontano e il più veloce possibile. Samuel fece un rapido movimento in avanti e le afferrò un polso, attirandola a sé. «Non scappare» le intimò, facendole sentire il fiato sulla guancia. «Finora sono stato paziente, ma adesso è tempo che tu impari a obbedire.» «No!» Athena cercò disperatamente di divincolarsi. «Lasciami andare! Non voglio sposarti!» «Oh, sì che lo farai.» Le torse il braccio fino a farle male per punirla della sua resistenza. «È tutto combinato. Tuo padre è d'accordo. Tua madre...» «Josiah Blundell non è mio padre!» Athena continuò a lottare. «È il mio patrigno. Il mio vero padre non mi avrebbe mai costretto a sposare te» disse con voce piena di disprezzo. «Lui mi avrebbe protetto.» 10
Samuel sibilò con cattiveria: «Tuo padre è morto. Non era nessuno. Io sono amico di Cromwell». «Se non sa nemmeno come ti chiami!» lo schernì Athena, troppo infuriata per mostrarsi prudente. Josiah Blundell, suo patrigno e zio di Samuel, era davvero amico di Cromwell e Athena sapeva che aveva qualche influenza su di lui, ma era sicura che non si potesse dire la stessa cosa del giovane di ventitré anni che le stava davanti. Come figlio unico, Samuel era cresciuto viziato dai genitori ed era anche l'unico nipote di Josiah Blundell, ma non aveva mai combinato nulla in vita sua. «Sì che lo sa, sgualdrina!» La stretta di Samuel si fece più dolorosa. «E se non impari le buone maniere, lo scoprirai da te.» «Lasciami stare!» Lo colpì selvaggiamente con la cesta della spesa, ignorando il dolore al braccio, e cercò di assestargli un calcio nello stinco. «Una donna dovrebbe mostrare più rispetto per suo marito.» «Io non ti sposerò mai» ansimò Athena. «Sto per sposare un altro.» Samuel lanciò un'imprecazione e la costrinse ad avanzare nel vicolo e ad attraversare il cortile. «Stai calma, oppure la vecchia pagherà per te» la minacciò. Athena smise di dibattersi, terrorizzata dalla possibilità che Samuel si vendicasse su zia Kitty. La spinse attraverso la soglia e la lasciò andare solo quando furono nel salotto. Athena cadde in avanti, rischiando di inciampare nella gonna. Si raddrizzò e si guardò intorno freneticamente in cerca della zia. «Non è qui» disse Samuel. «Una piccola precauzione che sono certo non sarà necessaria. Non le accadrà nulla di male. Se ti comporterai bene, tornerà presto a casa.» Athena lo fissò, in preda alla collera e alla paura. Samuel l'aveva desiderata fin dal primo momento in cui l'aveva vista ed era abituato ad avere tutto quello che voleva. Lei aveva fatto di tutto per sfuggirgli. Le sembrava impossibile che l'avesse trovata proprio alla vigilia delle nozze. La maggior parte della vita di Athena si era svolta all'ombra della guerra tra Corona e Parlamento ma, benché avesse sentito racconti raccapriccianti di assedi e battaglie, il conflitto non aveva toccato da vicino la sua infanzia. Le cose erano cambiate nel 1656, quando Athena aveva compiuto quindici anni. Suo padre era morto e lei aveva scoperto che la situazione finanziaria della sua famiglia era più precaria di quanto si fosse resa conto. Sir Edmund Fairchild aveva segretamente simpatizzato con la causa realista, ma si era ritagliato abilmente un posto tra le incostanti rivalità dei suoi vicini, in maggioranza parlamentaristi. Alla sua morte, i beni di famiglia erano passati al fratel11
lo più giovane di Athena, Luke, ma il baronetto aveva solo sei anni ed erano in molti a guardare con cupidigia alle proprietà dei Fairchild. Per proteggere la famiglia e salvaguardare l'eredità del figlio, la madre di Athena si era risposata otto mesi dopo la morte di Sir Edmund e aveva scelto come marito uno dei possidenti più vicini, Josiah Blundell. Josiah era un uomo severo, dai rigidi principi puritani, ma non c'era dubbio che nutrisse un sincero affetto per la madre di Athena. Sposandola, aveva promesso di preservare l'eredità del giovane baronetto e di proteggere il resto della famiglia Fairchild. In questo era stato di parola, tranne per un aspetto. Fin dall'inizio aveva visto di buon occhio l'unione di suo nipote Samuel con Athena. Lei aveva fatto di tutto per far cambiare idea al patrigno, ma Samuel sapeva mostrare allo zio il suo lato più affascinante e Josiah non capiva le obiezioni di Athena a quel matrimonio. Alla fine, disperata, lei aveva lasciato la casa nel Kent per l'anonimato operoso di Londra e si era rifugiata presso la sorella vedova del cognato di suo padre, sicura che né Josiah né Samuel fossero al corrente di quella lontana parentela. Per rendere ancora più difficili eventuali ricerche, aveva cambiato il nome risonante di Athena Fairchild nel più anonimo Frances Child, dichiarando di non avere altri parenti oltre a Kitty. Ma ora pareva che i suoi sforzi per costruirsi una nuova vita fossero stati vani. Samuel era riuscito a trovarla. Fece un passo indietro, facendosi scudo con il cesto della spesa. Era un'arma ben poco efficace, ma era tutto quello che aveva. Sollevò il mento e parlò nonostante la paura che le serrava la gola. «Non puoi costringermi a sposarti» disse. «Puoi trascinarmi all'altare, ma non puoi obbligarmi a pronunciare i voti.» «Sì che posso.» C'era un'espressione di gioia maligna negli occhi di Samuel. «Tu pronuncerai spontaneamente i voti.» «Mai!» Athena si sentì rabbrividire davanti alla sua sicurezza. Doveva fuggire da lui. Fece un altro passo indietro. Con la coda dell'occhio poteva vedere la porta alla sua sinistra, ma non osava guardare in quella direzione per non tradire le sue intenzioni. Mantenendo lo sguardo fisso al cesto che aveva davanti, fece un altro passo esitante, poi, con uno scatto improvviso, scagliò il cesto contro Samuel e si lanciò verso la porta. Vide Moses Spink, l'amico di Samuel, troppo tardi per evitare la cattura. Si dibatté furiosamente tra le braccia di Spink, senza rendersi conto che Samuel le stava parlando. Solo le ultime parole raggiunsero la sua mente offuscata dalla disperazione. «... a meno che tu non voglia vedere Vaughan impiccato per tradimento.» 12
«Cosa?» ansimò, sollevando il capo per guardarlo attraverso il velo di capelli che le ricadeva sul volto. «Che assurdità stai dicendo?» «Il tuo nobile fidanzato è una spia di Carlo Stuart» la informò Samuel con aria trionfante. «È un traditore e io ho le prove per farlo impiccare. Possiedo una delle sue lettere.» «Menti.» Ma nonostante il suo ferreo diniego, il dubbio si insinuò nel cuore di Athena. Come terzo figlio del Marchese di Halross, Gabriel Vaughan avrebbe dovuto farsi strada da solo nella vita e così aveva scelto di apprendere il mestiere di mercante. Ma una volta aveva accennato ad Athena che durante la guerra suo padre aveva combattuto per il re. Gabriel era un giovane nel suo pieno vigore, dotato di coraggio e di un profondo senso dell'onore. Aveva forse deciso di seguire le orme paterne e sostenere la causa del re in esilio? A questo pensiero Athena provò una fitta al cuore. «Guarda tu stessa» disse Samuel, come se le avesse letto nella mente. Spink la lasciò andare. Lei si allontanò dalla sua portata con un gesto orgoglioso del capo, ma non poté impedire il tremito alle mani mentre prendeva il frammento spiegazzato di lettera che le tendeva Samuel. Riconobbe subito la grafia di Gabriel. Un mese prima le aveva regalato un sonetto che aveva composto per lei. Gliel'aveva dato con l'atteggiamento un po' goffo di un giovane uomo innamorato, ma Athena ne era rimasta talmente incantata che ben presto il suo petto si era gonfiato d'orgoglio. Ora riconobbe le iniziali maiuscole in calce alla lettera e le frasi che provavano chiaramente il suo coinvolgimento in un complotto per uccidere Cromwell e riportare sul trono Carlo II. «Non hai che una scelta.» La voce di Samuel la raggiunse da una distanza infinita. Le pareva di avere la testa sott'acqua e di essere sul punto di affogare. «O domani sposi me invece di quel traditore, oppure lo farò impiccare.» Athena lo guardò negli occhi e capì che faceva sul serio. Se Samuel avesse mostrato quella lettera a Josiah, questi sarebbe andato subito da Cromwell e Gabriel sarebbe morto. Uno zio di Athena era stato impiccato dai parlamentaristi dopo la battaglia di Worcester solo perché aveva combattuto a fianco del re. Se un ufficiale dell'esercito reale era stato trattato in un modo così disonorevole, una spia avrebbe ricevuto un trattamento ancora peggiore se fosse caduta nelle mani del nemico. Athena non poteva permettere che Gabriel morisse da traditore. «Se ti sposo, prometti che non accadrà nulla di male a Gabriel?» chiese con voce malferma. «Ti sei servita di Vaughan per ingelosirmi» replicò Samuel, sfiorandole la guancia in un gesto che era un'oscena caricatura di tenerezza. «Mi piacciono le donne di carattere, ma devi capire quando è ora di mettere fine al gioco. 13
Vaughan è stato doppiamente stupido. Prima per aver tramato contro Cromwell e poi per non aver capito che amoreggiavi con lui solo per provocarmi. Ma è me che vuoi veramente. Se mi sposerai di tua volontà, non accuserò Vaughan di tradimento. Cromwell è troppo protetto perché il complotto possa avere successo e non c'è bisogno di punire Vaughan per essere stato tanto vanitoso da pensare di aver conquistato il tuo cuore.» Non erano le nozze che Athena aveva sognato. Se n'era andata di casa proprio per evitare il matrimonio con Samuel. Non aveva mai preso in considerazione la possibilità che un giorno avrebbe pronunciato di propria volontà i voti che la legavano a lui per sempre. Non era la sua volontà a guidarla, ma l'immagine tormentosa di Gabriel che pendeva dalla forca. Non poteva permettere che fosse questo il suo destino, a costo di qualsiasi sacrificio. Quando la breve cerimonia fu giunta al termine, Samuel la condusse in quella che sembrava una locanda. Fino ad allora, lei non aveva pensato a quello che sarebbe successo dopo. Samuel si era comportato come se non ci fosse nulla di insolito in quel matrimonio. Athena aveva dormito nel suo letto la notte prima delle nozze, ma Spink era rimasto di guardia alla sua stanza. Tormentata dall'ansia e dalla preoccupazione, era rimasta sveglia tutta la notte a chiedersi dove fosse Gabriel e che cosa stesse facendo. Avrebbe voluto mandargli un messaggio per avvisarlo, ma la presenza di Spink glielo aveva impedito. Inoltre era terrorizzata al pensiero che Samuel si sarebbe vendicato se avesse cercato di contattare Gabriel. In quelle ore angosciose aveva evitato di proposito di pensare al dopo. Forse sperava ancora che un miracolo arrivasse a salvarla all'ultimo minuto da quell'incubo. Ma mentre Samuel la conduceva lungo le scale, le sue paure si risvegliarono ancora più acute. Non era più il futuro di Gabriel a tormentarla, ma la sua situazione presente. La cruda realtà minacciava di travolgerla. Avrebbe avuto davvero il coraggio di tenere fede all'odioso patto che aveva stretto con Samuel? E che cosa ne sarebbe stato di Gabriel se avesse fallito? Cercò di parlare, ma aveva la gola talmente stretta dalla paura che le parole le uscirono a fatica. «Dove mi stai portando?» mormorò. «Qui dentro.» Samuel aprì una porta e la sospinse all'interno. Athena puntò lo sguardo sul grande letto al centro della stanza e lo stomaco le si strinse in una morsa di orrore. Era questo che voleva Samuel, quello che aveva sempre voluto fin dal primo momento in cui aveva messo gli occhi su di lei. «Ricorda» le sussurrò all'orecchio. «Voglio una moglie condiscendente nel mio letto, altrimenti Vaughan farà la fine di un traditore.» 14
La chiesa era stata privata di ogni ornamento. Perfino il nome era stato cambiato per appagare il disprezzo dei puritani verso l'idolatria. Non era più dedicata a Santa Maria ma, per quanto fosse ormai solo un luogo di pubblico incontro, aveva sempre l'aria di una chiesa. Le voci appena sussurrate riecheggiavano contro gli alti soffitti a volta. Gabriel aveva lo stomaco stretto dalla tensione. Faceva freddo all'interno dell'edificio, ma i palmi delle sue mani erano sudati. Se li asciugò sulle cosce, cercando di ignorare la crescente irrequietezza dei suoi compagni. Poteva udire le domande che si rivolgevano l'un l'altro, il dubbio e la disapprovazione che serpeggiavano nei loro commenti sussurrati. «Io l'avevo detto che non era la donna giusta per lui!» La voce di Lucy si alzò al di sopra delle altre. «Ssh!» la riprese la madre, Lady Parfitt. Gabriel strinse i denti. Dov'era Frances? Dov'era la sua promessa sposa? Incontrando lo sguardo del prete, si costrinse a sorridere mentre la sua mente si poneva una miriade di domande. Che cosa poteva giustificare quel ritardo? Stava forse male? Respirò a fondo, cercando di calmarsi. Avrebbe voluto precipitarsi fuori a cercarla. Dovette fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo per restare al suo posto. Il portone della chiesa si spalancò con un tonfo e tutti si voltarono a guardare. Non era Frances. Il nuovo venuto era uno sconosciuto non facile da classificare, che evidentemente non aveva nulla a che fare con le nozze. Gli invitati persero interesse a lui e riportarono la loro attenzione su Gabriel, che poteva scorgere sui loro volti la curiosità, la preoccupazione e, in alcuni casi, anche una soddisfazione morbosa. Tutti i presenti erano venuti per conto dello sposo. Anche se c'era un solo membro della sua vera famiglia, questo non aveva importanza. Gabriel aveva passato sette anni come apprendista presso il ricco mercante Sir Thomas Parfitt. Durante i primi due anni di apprendistato era vissuto in casa sua, trattato quasi come un membro della famiglia. Poi Sir Thomas l'aveva mandato al porto di Livorno, in Toscana. Nei cinque anni successivi Gabriel aveva imparato a seguire gli interessi del mercante in Italia. Poi era tornato a Londra e aveva terminato l'apprendistato. Ora aveva ventidue anni, era membro sia della Compagnia del Levante sia di quella dei commercianti di tessuti, libero cittadino della municipalità di Londra, e stava per sposarsi. Sir Thomas non aveva fatto mistero della sua disapprovazione per quelle nozze così inaspettate, ma non per questo aveva ritirato il proprio sostegno al giovane amico. Adesso la sposa era decisamente troppo in ritardo. Gabriel decise di inviare un messaggero alla sua abitazione. A differenza 15
di lui, Frances non aveva amici o parenti in città, a esclusione della zia con cui viveva. Se Frances era malata, la zia non avrebbe potuto lasciarla sola. Forse la povera donna era talmente preoccupata da non aver pensato di avvisare in chiesa. Gabriel cercò con lo sguardo uno degli apprendisti più giovani di Sir Thomas e stava per chiedergli di recarsi a casa di Frances, quando lo sconosciuto annunciò a voce alta: «Ho un messaggio per Gabriel Vaughan!». La sua voce risuonò piena di scherno dal fondo della chiesa, cogliendo tutti di sorpresa. «Sono io.» Gabriel fronteggiò l'uomo con il cuore che gli martellava nel petto. «Venite da parte di Miss Child? È malata?» Non aveva idea di chi fosse quell'uomo, ma si aspettava che si avvicinasse per consegnargli un messaggio. Invece lo sconosciuto rimase fermo dov'era, sorridendo agli invitati che lo guardavano incuriositi. Gabriel avanzò verso di lui percorrendo la navata centrale. «Miss Frances implora la vostra indulgenza, ma non può sposarvi» annunciò lo straniero. «Solo ieri ha ricevuto una proposta migliore da un gentiluomo che ha la borsa e il bastone più grandi.» Quelle parole crude travolsero Gabriel. Non udì i sussulti di incredulità e di sdegno dei suoi amici. Il suo passo deciso vacillò e per qualche istante non riuscì a pensare ad altro se non al fatto che Frances non era venuta in chiesa di proposito. Frances non voleva sposarlo. Com'era possibile?, si chiese, incredulo e sconvolto. Frances lo amava, ne era sicuro. Fece uno sforzo per rimettere a fuoco lo sguardo e avanzò verso il messaggero, intenzionato a chiedergli dove fosse Frances. Se solo avesse potuto parlarle, era sicuro di riuscire a chiarire quel pasticcio. Frances aveva solo diciassette anni. Se non si sentiva pronta per un passo impegnativo come il matrimonio, lui l'avrebbe aspettata. Forse era stato troppo precipitoso nei suoi piani. Poi vide che lo straniero stava indietreggiando verso la porta, con le labbra ancora atteggiate a quel sorriso sgradevole. Fu allora che ricordò e comprese la portata del messaggio che gli era stato trasmesso. Una furia selvaggia lo assalì. «Stai mentendo!» ruggì, lanciandosi sull'uomo. Ma questi aveva anticipato la sua collera ed era uscito dal portone. Gabriel lo inseguì alla luce accecante del sole e fece in tempo ad agguantarlo prima che si infilasse in un vicolo. Sbattendolo contro il muro, gli strinse le mani alla gola. «Attento, signorotto!» lo mise in guardia l'uomo. «Stringi più forte e finirai sbudellato!» 16
Gabriel avvertì la punta di un coltello contro il ventre. La lama aveva perforato i vestiti e gli toccava la pelle, ma lui decise di ignorarla. «Stai mentendo» ripeté a denti stretti. «Non è stata Frances a inviare quel messaggio. Dov'è? Che cosa le hai fatto?» «Io non le ho fatto nulla» replicò lo straniero. «La mia borsa non è abbastanza piena di denaro per una donna come lei. Ma ha trovato un protettore abbastanza ricco...» L'uomo ansimò mentre Gabriel intensificava la stretta. Si vendicò premendo più forte il pugnale. «Non così forte, bellimbusto. Rovinerai questo bell'abito nuovo.» Gabriel allentò la stretta e lo straniero ridusse la pressione della lama. Un attimo dopo Gabriel gli afferrò il polso e gli torse il braccio dietro la schiena, quindi lo costrinse a voltarsi e lo spinse al muro, sfregandogli la faccia contro il cemento. «Dov'è Frances?» domandò con voce aspra. «Te lo mostrerò. Non c'è bisogno che mi rompa il braccio. Te lo mostrerò.» «Che posto è questo?» domandò Gabriel, guardandosi intorno con aria diffidente. Dall'esterno gli era sembrata una birreria, ma dall'interno era chiaro che il locale era più sontuoso e meno rispettabile di quanto si era immaginato. Da una porta semiaperta provenivano voci rauche e risate. Un'altra porta si aprì e ne uscì una donna che si voltò a dire qualcosa di scherzoso all'altra persona che occupava la stanza. Indossava solo una sottoveste che le scivolava da entrambe le spalle e solo le mani strette al petto impedivano all'indumento di cadere al suolo. «Frances non è qui.» Gabriel si voltò per andarsene. «Mi stai prendendo in giro.» La sua guida gli bloccò il passo con un odioso sorriso. Gabriel provò un brivido di paura, non per se stesso ma per Frances. Era stato un incosciente a seguire uno sconosciuto in un quartiere che non gli era familiare, ma confidava nella propria capacità di tirarsi fuori dai guai. Frances era cresciuta in campagna e per sua stessa ammissione aveva visto per la prima volta Londra solo un anno prima, quando era venuta a vivere con la zia dopo la morte di suo padre. Non era ancora avvezza ai mille pericoli di quella città. «Che cosa le avete fatto?» ruggì. Fece un movimento involontario verso l'uomo e vide appena in tempo il luccichio del pugnale. «Sali le scale, bellimbusto.» Il cuore gli martellava nel petto mentre saliva gli stretti scalini. 17
«Dentro!» Un colpo tra le scapole lo diresse verso una piccola stanza. «E adesso guarda» disse la sua guida, abbassando la voce mentre gli indicava un buco nella parete. «E non fare rumore se vuoi sapere la verità sulla tua virtuosa Frances.» Gabriel ingoiò un'imprecazione. Lo prendeva per stupido? Fece un passo indietro e sentì la lama del coltello nel fianco. Stava per girarsi verso l'uomo, intenzionato a farla finita una volta per tutte con la sua impertinenza, quando udì una voce sommessa che gli parve di riconoscere. Incredulo e sgomento, incollò l'occhio al foro nella parete. Santo cielo, non c'erano dubbi. Era proprio Frances! Gabriel premette il palmo della mano sulla parete mentre la vedeva accettare un calice di vino da un uomo che non aveva mai visto prima. Frances bevve e restituì il bicchiere al compagno, che ne vuotò il contenuto. Le fece i complimenti per la sua bellezza e Frances sorrise! Gabriel strinse le mani a pugno, graffiandosi le nocche contro l'intonaco quando la vide sollevare il viso in attesa di un bacio. Le labbra dell'uomo le sfiorarono prima la guancia e poi la bocca. Lei gli posò le mani sulle spalle, incoraggiandolo. Pochi istanti dopo l'uomo la fece voltare di spalle e cominciò a slacciarle il corpetto. Lei gli permise di rimuoverlo e non protestò nemmeno quando infilò le mani nella scollatura della sottoveste. Le denudò il seno e vi affondò il volto per posare le labbra su quella morbida carne. Gabriel si riscosse dalla paralisi che l'aveva colpito e rialzò il capo, agitandosi in una furia cieca per il dolore e l'oltraggio. Era così ansioso di affrontare quella traditrice e il suo amante da scordarsi dell'uomo che lo accompagnava. Con un colpo secco, questi lo colpì alla nuca con l'elsa del pugnale. Gabriel si sentì annebbiare la mente. Lottò per non perdere conoscenza, ma le ginocchia gli cedettero e scivolò inesorabilmente nelle tenebre. L'ultima cosa che udì fu la risata beffarda di una donna. Athena sedeva al buio su una sedia dalla spalliera rigida, in attesa del terribile momento in cui Samuel sarebbe venuto a letto. Si tormentava le dita gelate ripensando a tutto quello che le aveva fatto nelle due settimane da quando erano sposati e, sentendosi assalire da un'ondata di repulsione, strinse le dita fino a farsi male. Quando era fuggita da Samuel, dieci mesi prima, non avrebbe mai pensato che la sua fuga potesse finire per riportarla nel Kent come sua moglie. Ma almeno Gabriel e zia Kitty erano in salvo. Con grande sollievo di Athena, zia Kitty era tornata a casa sana e salva un paio di giorni dopo le nozze. Non aveva molta fiducia nella parola di Samuel, ma almeno in questo caso aveva 18
mantenuto la promessa. Doveva credere che l'avrebbe fatto anche nei confronti di Gabriel. Samuel faceva affermazioni contraddittorie quando parlava di lui. A volte diceva che Athena aveva accettato la sua corte solo per provocare lui. Altre volte sembrava sapesse che Athena aveva amato veramente Gabriel. In quelle occasioni veniva da credere che Samuel l'avesse sposata soprattutto per punirla di averlo respinto e non perché la desiderasse veramente. Athena trovava un'amara consolazione al pensiero che l'avesse sposata per punirla. Questo significava che Gabriel era relativamente al sicuro. Dopotutto, se fosse stato arrestato e giustiziato, Samuel non avrebbe avuto più alcun potere su di lei. Si era ripetuta più volte questo semplice concetto negli ultimi quattordici giorni. Grazie a lei, Gabriel era al sicuro. Era l'unica cosa che l'aiutava a sopportare la sua nuova vita. Rialzò il capo e trattenne il respiro udendo dei passi che si avvicinavano alla porta della stanza. Strinse crudelmente le mani, anticipando il suo ingresso, poi si rese conto di quello che stava facendo e si costrinse a ripiegare le mani in grembo in una parvenza di serenità. Non voleva dargli la soddisfazione di fargli capire quanto lo temesse. La stanza venne improvvisamente illuminata dalla fiamma di un'unica candela. Samuel entrò e si fermò davanti a lei. «Seduta al buio? Ho sposato una donna parsimoniosa» osservò in tono sarcastico. «La luce mi fa male agli occhi» rispose a voce bassa. «Stavi pensando al tuo amante» l'accusò. «Stavi sognando che stesse venendo a riprenderti.» «No.» La notte, quando Samuel dormiva, Athena pregava perché un simile miracolo si verificasse, ma sapeva quanto Samuel si infuriava quando pensava a lei e Gabriel. La sua pretesa che avesse amoreggiato con lui solo per ingelosirlo stava perdendo credibilità. «Stai mentendo, come al solito. Hai un'aria così dolce e innocente, ma sotto quel viso angelico hai l'animo di una sgualdrina.» Athena stava cominciando a imparare a sopravvivere ai suoi abusi verbali. Bastava aspettare che si sfogasse, lasciando che gli insulti le passassero sopra, e fare quello che voleva. Alla fine avrebbe perso interesse e se ne sarebbe andato, oppure si sarebbe semplicemente addormentato. Poteva sopravvivere. Samuel si infuriava quando non gli rispondeva. Quello che voleva più di ogni altra cosa era la sua attenzione. Preferibilmente anche i suoi sorrisi e i suoi favori, ma poteva bastare l'attenzione. «Se n'è andato in Turchia!» la schernì. 19
«Come?» Per la prima volta da quando era entrato, Athena lo guardò in viso. «Il tuo ex amante. Non si è nemmeno presentato alle nozze, sai? L'ho fatto sorvegliare. Se tu non avessi mantenuto fede al nostro patto, l'avrei fatto arrestare. Ma lui non ha mai saputo che l'avevi piantato in asso, perché non si è preso nemmeno il disturbo di andare in chiesa! Non aveva alcuna intenzione di sposarti!» «Non ti credo.» Athena non poteva credere alle parole di Samuel. Gabriel l'amava. Ne era sicura. Samuel rise. «Credi davvero che per lui rappresentassi qualcosa di più di una piacevole avventura? Si è imbarcato due giorni fa su una delle navi di Parfitt, diretto in Turchia.» «Turchia?» mormorò Athena. Sapeva che gli affari di Sir Thomas Parfitt si estendevano a diversi territori appartenenti all'impero ottomano e forse ad altri ancora. Gabriel le aveva parlato spesso degli anni passati in Italia. Poteva essere vero...? «Tu dici che stava complottando contro Cromwell.» Stava cercando di capire come potessero avere un senso la lettera che incriminava Gabriel come artefice di un complotto contro il capo dei parlamentaristi e la notizia del suo viaggio in Turchia. «I nobili sono volubili. Trattano tutto come un gioco.» Samuel liquidò il commento di Athena con un gesto di disprezzo. «Sei fortunata che io sia arrivato in tempo, altrimenti ti saresti trovata da sola in chiesa. Tutto il mondo avrebbe riso di te per esserti fatta incantare dalle lusinghe di un cavaliere. Vieni, andiamo a letto.» Athena non protestò. Dal giorno delle nozze, Samuel non le aveva chiesto altro che un'accettazione passiva a letto e in questo modo la sua libidine trovava sfogo velocemente. Più tardi giacque su un fianco udendo il russare di Samuel alle sue spalle e lasciò che lacrime silenziose le scendessero lungo le guance. Fino a quel momento aveva conservato una scintilla di speranza che Gabriel venisse a cercarla, che ci fosse una via d'uscita all'inferno che era diventata la sua vita. Naturalmente quella speranza non aveva alcun fondamento logico. Se Gabriel l'avesse trovata, sarebbe stato in pericolo e il suo sacrificio non sarebbe servito a niente. Tuttavia continuava a sperare in un miracolo: che il loro amore avrebbe trionfato sul desiderio ossessivo di Samuel di possederla. Ma Gabriel era partito per la Turchia. Nonostante una parte di lei si rifiutasse ancora di crederlo, era quasi sicura che la storia di Samuel fosse vera. Conosceva la portata dei traffici di Sir Thomas Parfitt e sapeva che Gabriel era ambizioso e amante dell'avventura. Avrebbe sicuramente visto questo nuo20
vo viaggio come un'opportunità di accrescere la sua fortuna. Inoltre erano stati la presenza di Gabriel in Inghilterra e il rischio che venisse arrestato dagli uomini di Cromwell a dare a Samuel il potere che aveva su di lei. Perché avrebbe dovuto dirle che era partito, rinunciando così a un'arma nei suoi confronti, se non fosse stato vero? Ingoiò in silenzio i singhiozzi. Tutti i suoi sforzi per proteggere Gabriel si erano rivelati inutili. Ormai era lontano dal castigo di Cromwell. E non si era nemmeno presentato in chiesa. Se l'era immaginato mille volte mentre l'aspettava, si preoccupava per lei e andava a cercarla. Invece, a quanto pareva, non aveva nemmeno saputo che lei non era venuta. La gola le bruciava per tutte le lacrime represse. Era stato tutto inutile. E ora che non aveva più il pensiero di saperlo al sicuro a sostenerla, le restava solo l'incubo di quel matrimonio. Riaprì gli occhi e fissò nell'oscurità lo squallido futuro che aveva davanti. Presto Samuel avrebbe finito con il distruggere il suo spirito. Sentiva già la fiducia in se stessa scemare di giorno in giorno. Presto sarebbe stata così intimorita da non avere più la volontà di resistere. Non poteva permettere che accadesse. Lentamente la disperazione si trasformò in fredda determinazione. Gabriel aveva lasciato l'Inghilterra. Non aveva più importanza per la sua sicurezza che lei restasse con Samuel o meno. Era già fuggita una volta, poteva rifarlo. E questa volta avrebbe fatto in modo che Samuel non la ritrovasse. Ma... Un piccolo dubbio si insinuò nella sua mente. E se Gabriel fosse tornato in Inghilterra dopo la sua fuga? Samuel l'avrebbe denunciato solo per vendetta? Si morse il labbro. Per quanto Gabriel si fosse rivelato incostante, non poteva sopportare l'idea che venisse impiccato. Prima di andarsene avrebbe dovuto trovare il frammento di lettera che provava la sua complicità nel complotto contro Cromwell e distruggerlo. Poi sarebbe sparita. E non si sarebbe lasciata ingannare mai più da un uomo.
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1 Convento di Bruges, aprile 1666 «Che cosa significa che non è qui?» La voce del Duca di Kilverdale, velata di collera e incredulità, aumentò di tono. «Esattamente quello che ho detto, Vostra Grazia» replicò la badessa. «Mi spiace, ma vostra cugina non si trova più al convento.» Il duca aggrottò le sopracciglia scure. «Negli ultimi sette anni mia madre ha fatto generose donazioni al vostro ordine» le ricordò. «Con la chiara intesa che Athena sarebbe stata libera di vivere serenamente sotto la vostra protezione. Perché l'avete allontanata?» «Non sono stata io a farlo. È stata lei a scegliere di partire per una missione caritatevole.» «Dove si è recata?» «A Venezia.» «Come?» Kilverdale scattò in piedi, torreggiando in tutta la sua statura. Vestiva all'ultima moda con una giubba di broccato di seta e portava una magnifica parrucca nera, ma i costosi indumenti non nascondevano la forza virile del suo corpo asciutto. Così come la profusione di riccioli scuri che gli incorniciava il volto e gli ricadeva sulle spalle non addolciva il suo profilo da falco. La badessa lo considerava un uomo pericoloso e la sua presenza al convento era tutt'altro che gradita, ma, date le circostanze, non aveva potuto rifiutare quel colloquio. La madre del duca e quella di Athena erano sorelle. Sette anni prima la Duchessa di Kilverdale, rimasta vedova con un figlio, aveva scelto l'esilio in Francia. Quando Athena era fuggita da Samuel, aveva compiuto il pericoloso viaggio attraverso la Manica per implorare la protezione della zia. Nei primi mesi del 1659 la duchessa aveva condotto la nipote a Bruges perché vivesse come ospite nel convento inglese. Un anno dopo Carlo II aveva riconquistato il trono. I Kilverdale erano tornati in Inghilterra, ma la duchessa aveva conti22
nuato a fare generose donazioni al convento e il duca si era recato a Bruges a intervalli regolari per visitare la cugina. «Permettetemi gentilmente di continuare» disse la badessa prima che Kilverdale aggiungesse qualcosa. Era decisa a non lasciarsi intimidire da lui in quello che considerava il suo dominio. «Come vi ho detto, Mrs. Quenell se n'è andata di sua spontanea volontà.» Kilverdale inarcò un sopracciglio con espressione sarcastica. Facendo ricorso a tutta la sua pazienza, la badessa riprese: «Alcune settimane fa è arrivata a Bruges la moglie di uno dei sottosegretari dell'ambasciata inglese a Venezia. Apparentemente non era stata trattata con riguardo dai parenti di lui in sua assenza. Mrs. Quenell è rimasta profondamente commossa dalla sua situazione e si è offerta spontaneamente di accompagnarla a Venezia come guida...». «Guida?» sbottò Kilverdale. «Avete permesso a mia cugina, che non è uscita dalla sicurezza di queste mura per sette anni, di attraversare l'Europa con la sola compagnia di una donna e dite che doveva farle da guida? Avete forse perso il senno, signora?» «Erano accompagnate dai servitori che la giovane signora aveva portato con sé dall'Inghilterra e dalla cameriera personale di Mrs. Quenell. Inoltre sono state scortate da un gentiluomo di buona famiglia, diretto a studiare all'università di Padova» replicò la badessa, spazientita dall'irruenza del nobile visitatore. Il duca borbottò qualcosa di incomprensibile ma chiaramente poco lusinghiero. «Vostra cugina è una donna dotata di buon senso e di notevoli risorse; sono certa che raggiungerà la sua destinazione senza alcuna difficoltà» dichiarò la badessa. «Non dimenticate che è riuscita ad attraversare l'Inghilterra per raggiungere vostra madre in Francia quando aveva solo diciassette anni.» «Si tagliò i capelli, li tinse e si vestì da uomo!» «Fu una saggia precauzione per una donna che viaggiava da sola. Non le è accaduto nulla di male. Mi ha intrattenuto spesso con il racconto del suo viaggio.» «Intrattenuto!» esclamò Kilverdale in tono sarcastico. «Oh, sì, ed è molto divertente per me essere giunto fin qui per riferirle che suo marito è morto e che sono venuto a riportarla in Inghilterra solo per sentirmi dire che se n'è andata!» «Mrs. Quenell è a conoscenza della morte di suo marito. Ha ricevuto una lettera da vostra madre prima della sua partenza.» «Lo sa? E perché non è rimasta qui ad aspettare che venissi a prenderla?» «Sono passate settimane da quando ha ricevuto la lettera» gli fece notare la badessa. 23
Kilverdale si accigliò. «Sono stato occupato» spiegò. «Ma ora sono qui.» «Già.» La badessa rimase a guardarlo mentre si aggirava nervosamente per la stanza. Alla fine si fermò e fece un profondo sospiro. «Adesso dovrò andare a cercarla a Venezia e riportarla a casa» osservò, chiaramente contrariato. «Ah, le donne! Sono solo fonte di guai.» Si avviò a passo deciso verso la porta e uscì senza voltarsi indietro. La badessa si concesse una pausa di rilassamento. Con il suo carattere imprevedibile, il Duca di Kilverdale non era certo un visitatore facile da trattare. Non erano passati nemmeno trenta secondi che udì il suo passo deciso avvicinarsi nuovamente alla porta. Varcò la soglia e guardò direttamente la badessa. Per qualche istante il suo sguardo penetrante la scrutò con un'intensità sconcertante. «A quanto pare, è l'ultima volta che ci incontriamo, signora» disse. «Vi ringrazio per aver offerto protezione e ospitalità a mia cugina negli ultimi sette anni.» Fece un profondo inchino, muovendosi con grazia virile, poi girò nuovamente sui tacchi e se ne andò senza attendere la sua risposta. Venezia, maggio 1666 «L'affare è fatto, illustrissimo.» Filippo Correr si appoggiò allo schienale della sedia e sorrise soddisfatto. «Lo specchio starà benissimo nella vostra nuova casa.» Gabriel sorrise al mercante veneziano, altrettanto soddisfatto dell'accordo raggiunto. I due uomini si erano conosciuti dodici anni prima, quando erano entrambi apprendisti a Livorno. Avevano lavorato duramente per impadronirsi del mestiere, ma si erano anche divertiti. Gabriel aveva molti ricordi piacevoli delle imprese giovanili compiute con Filippo, ma quel pomeriggio nessuno dei due aveva permesso che i sentimenti interferissero con le trattative che riguardavano l'acquisto da parte di Gabriel di un prezioso specchio di Murano. «Ne sono sicuro» disse. «La prossima volta che verrete a Londra sarete mio ospite, così potrete vederlo al suo posto.» «Ne sarò onorato» disse Correr. «La casa è finita?» «I lavori di muratura dovrebbero essere terminati al mio ritorno.» Gabriel allungò le gambe. Ora che l'affare era concluso, poteva rilassarsi parlando dei suoi progetti con il vecchio compagno. «Mi rimarrà da decorare e arredare gli interni. Ho già qualche idea, ma non voglio prendere decisioni definitive finché non avrò visto i locali.» 24
«Ah.» Correr annuì e guardò l'amico con un tenue sorriso. «Dovreste prendere moglie» gli suggerì. «Le donne sono molto abili in questo tipo di cose.» Gabriel rise. «Non credo proprio» replicò. «Se avrò bisogno di assistenza, mi rivolgerò a un esperto. Ma sono convinto di essere in grado di cavarmela da solo, dopo aver trascorso tanti anni nel commercio della seta.» «Ma il vostro esperto non vi darà dei figli» osservò Correr. «I bambini sono una tale gioia...» Gabriel sorrise. «Oh, i vostri lo sono. Ma non tutti gli uomini sono così fortunati.» «Se li allevate bene... sono come tenere pianticelle» riprese Correr. «Alzano lo sguardo al sole e crescono forti e robusti.» Gabriel sorrise. I figli di Filippo erano l'unico punto debole nella corazza del mercante. «Voi penserete che sono sciocco e sentimentale, ma aspettate a giudicare, amico mio. La prima volta che terrete fra le braccia vostro figlio, proverete esattamente le stesse sensazioni.» «Può darsi» concesse Gabriel. Non aveva figli, ma era molto affezionato ai vari nipotini. «Ma prima dovete trovarvi una moglie» insistette Correr. «Conosco una giovane dolce e modesta...» Gabriel sollevò i palmi. «Non ho bisogno che mi facciate da sensale» dichiarò. «E non desidero sposare una veneziana.» «Questa signora viene da Firenze» replicò Correr, incurante delle sue obiezioni. «È la cognata di mio cugino Marco Grimani. Molto graziosa, gentile e riservata. Un'ottima padrona di casa.» «Niente dote?» Gabriel inarcò un sopracciglio, notando l'enfasi dell'amico nel sottolineare le qualità della giovane gentildonna. Correr si strinse nelle spalle. «Voi non avete bisogno di una donna ricca» osservò. «Avete bisogno di una donna che renda confortevole la vostra casa e vi dia degli eredi. Giulietta Orio sarebbe perfetta.» «Naturalmente desidero degli eredi, ma, con tutto il rispetto per la cognata di vostro cugino Marco, sposerò una donna inglese.» «Be', dirò a Marco che ci ho provato» concluse filosoficamente Correr. «Giulietta Orio è una donna piena di qualità, ma, a ben riflettere, potrebbe essere troppo timida per incominciare una nuova vita a Londra. Dovremo guardare altrove per trovarle un marito.» Guardò fuori della finestra e Gabriel seguì la direzione del suo sguardo. Il crepuscolo stava scendendo sulla città, avvolgendo in un'aura di mistero le calli e i canali. 25
«Si sta facendo tardi» notò Correr. «È ora che rientri da mia moglie e dai miei figli. Cenerete con noi?» «Con piacere» rispose Gabriel in tutta sincerità. Aveva sempre apprezzato l'amicizia di Filippo anche se non gradiva altrettanto la tendenza dei veneziani a combinare matrimoni. Sapeva di dover prendere moglie, specie considerando il corso inaspettato che aveva preso la sua vita. Era stato molto occupato dopo la morte del fratello, ma una volta tornato in Inghilterra, si sarebbe messo in cerca della donna giusta. Una gentildonna modesta, ben educata a svolgere quelli che erano ritenuti i doveri di una moglie. Avrebbe stipulato il contratto di matrimonio come qualsiasi altro contratto d'affari, assicurandosi che la sua controparte ne comprendesse appieno i termini. «Oh, cielo, spero che mio marito sarà contento di vedermi!» mormorò Rachel Beresford. Fissava davanti a sé, senza mostrare alcun interesse per la città straordinaria che si levava dalle acque della laguna. «Ma certo» la rassicurò Athena, prendendo una delle mani di Rachel tra le sue. «Forse in un primo momento sarà un po' sorpreso, ma sono sicura che sarà felice di avervi al suo fianco.» «Non so come avrei fatto senza di voi!» esclamò Rachel. «Ve ne sono così grata... Oh, Dio! Sono troppo nervosa!» Si portò la mano libera alla bocca. «Non ci vorrà molto, ormai. Presto sarete nuovamente insieme.» Athena sperava davvero che Edward Beresford sarebbe stato felice di rivedere la giovane moglie. Se così non fosse stato, lei si sarebbe trovata in una situazione piuttosto difficile, ma non per questo si rammaricava per la sua decisione di accompagnare Rachel. La storia della giovane donna aveva suscitato subito la sua compassione. Ricordava fin troppo bene che cosa significasse sentirsi sola, lontano da casa, senza sapere se l'avrebbe aspettata un caldo benvenuto. Si era offerta di accompagnare Rachel per il resto del viaggio perché comprendeva la sua ansia e simpatizzava per lei. Ma Athena era abbastanza onesta da ammettere con se stessa che stava diventando inquieta negli angusti confini del convento, specie dopo che aveva ricevuto la notizia della morte di Samuel. Rachel le aveva offerto una giustificazione per andarsene. A differenza della sua compagna, lei aveva apprezzato molto il viaggio attraverso l'Europa. Erano arrivate a Venezia poco prima dell'imbrunire. Nonostante le sue preoccupazioni per Rachel, Athena era rimasta incantata alla vista della città. Guardava a destra e a sinistra nello sforzo di non perdere nemmeno un particolare mentre la gondola scivolava sulle acque del Canal Grande. Quasi le dispiacque quando arrivarono al molo del palazzo dell'ambasciata. Rachel non condivideva la curiosità della sua compagna per quello che le 26
circondava. Le sue mani erano gelate mentre Athena l'aiutava a scendere dalla gondola. Era chiaro che pensava soltanto all'incontro imminente con il marito. Un membro del personale dell'Ambasciata venne ad accoglierle sulle scale. Pieter Breydel, il gentiluomo che le aveva scortate da Bruges, gli spiegò chi fosse Rachel e lo informò che era venuta a raggiungere il marito, mentre Athena controllava che venissero scaricati i bagagli e che la loro piccola comitiva fosse al completo. Poi prese per mano Rachel e insieme seguirono Pieter Breydel e il dipendente dell'ambasciata a palazzo. La sua cameriera e il domestico di Rachel li seguirono a ruota. Entrarono in una vasta sala che sembrava estendersi per tutta la larghezza dell'edificio. Era pavimentata con lastre diagonali in bianco e rosso scuro. Era un ambiente buio, che incuteva timore, anche perché le lanterne non erano state ancora accese. Ai due lati si aprivano delle porte, ma la loro guida le ignorò. Dopo aver attraversato la sala, li condusse in un cortile sul retro. Athena si guardò intorno, affascinata dall'architettura veneziana. Rimase ancora più colpita quando vide che per raggiungere gli appartamenti dell'ambasciatore al primo piano bisognava salire una scala esterna che partiva dal cortile stesso. Furono introdotti in una grande stanza che si affacciava sul Canal Grande. Ampie finestre facevano entrare quel poco che restava della luce del giorno. Diversi uomini erano presenti nella sala, con le spalle alle finestre e i volti in ombra. Athena vide uno di loro staccarsi dal gruppo e udì il suo grido incredulo e felice. «Rachel!» La sua compagna lasciò la sua stretta per precipitarsi tra le braccia del marito. Athena non aveva bisogno di vedere il viso di Edward Beresford per sapere che era pazzo di gioia alla vista della moglie. Il modo in cui la strinse fra le braccia come se non avesse mai voluto lasciarla e le sue domande precipitose erano più che eloquenti. Inaspettatamente si sentì gli occhi umidi di lacrime. Si sforzò di non pensare ai propri sogni infranti, ma era proprio questo che un tempo aveva desiderato con tutta se stessa. Aveva sognato di ritrovare Gabriel e di gettarsi tra le sue braccia mentre lui le diceva che tutto sarebbe andato bene. Ma lui se n'era andato da Londra senza voltarsi indietro... Si riscosse da quelle inutili fantasie e dedicò tutta la propria attenzione all'ambiente che la circondava. Breydel la stava presentando all'ambasciatore. Athena sorrise e fece un inchino. Era sua intenzione ripartire subito per l'Inghilterra, ma sapeva che 27
avrebbe avuto bisogno del suo aiuto per organizzare il viaggio. «Ora che siete arrivate sane e salve, tolgo il disturbo» disse Pieter in un inglese corretto con uno spiccato accento. «Spero che vorrete fermarvi almeno per stanotte» protestò l'ambasciatore. «Devo insistere.» «Sono atteso a Padova» si giustificò il giovane. «Potrete partire domani mattina presto. Non vogliamo distogliervi dai vostri studi, ma per questa notte vi prego di accettare l'ospitalità della nostra ambasciata.» Pieter esitò. «Grazie» disse infine con un rigido inchino. «Siete molto gentile. Partirò domani all'alba.» Athena sorrise tra sé. Pieter era un giovane serio, dedito agli studi. Aveva preso su di sé con grande impegno la responsabilità delle sue compagne di viaggio, ma lei sospettava che fosse ansioso di tornare alla sua vita abituale. Gli tese la mano. «Ci avete reso il viaggio molto confortevole» disse. «Ve ne sono grata e so di parlare anche a nome di Mrs. Beresford.» Lanciò un'occhiata alla giovane donna, ancora impegnata a conversare con il marito. «Grazie.» Il giovane arrossì lievemente e fece un cenno del capo. «Il piacere è stato mio.» In quel momento un membro dell'ambasciata li raggiunse. «Il mio segretario, Mr. Roger Minshull» lo presentò l'ambasciatore. Athena colse un lampo di ammirazione negli occhi del segretario mentre posava lo sguardo su di lei e lo salutò con cortesia formale. Voleva restare in buoni rapporti con tutti, ma voleva evitare qualsiasi complicazione. La luce che precedeva l'alba era una sfumatura di grigio e di blu. L'aria era fredda e satura di una nebbia sottile che si sarebbe diradata al sorgere del sole. Quando Gabriel posò la mano sulla balaustra di pietra, la sentì fredda e umida al tatto. Sotto di lui il mercato era in pieno svolgimento lungo il Canal Grande. La superficie dell'acqua era affollata di zattere e chiatte cariche di frutta e verdura. Le imbarcazioni si scontravano l'una con l'altra in cerca della posizione migliore, mentre i venditori esibivano a gran voce la loro merce. Gabriel osservò con aria distratta quella scena familiare, assorto in altri pensieri. Da quello che aveva sentito, la sera prima c'era stata una certa agitazione all'ambasciata. Era rientrato tardi dopo la cena a casa di Filippo Correr e aveva trovato la servitù in subbuglio. Tutti coloro che aveva incontrato, dal cappellano dell'ambasciata al più giovane dei paggi, avevano voluto metterlo al corrente 28
della commovente storia del sottosegretario e della moglie devota che l'aveva raggiunto dall'Inghilterra. I tentativi di Correr per trovargli moglie avevano già inculcato nella mente di Gabriel l'idea del matrimonio, e la storia della moglie fedele aveva rinnovato il doloroso ricordo del tradimento di Frances. Quando aveva raggiunto il suo alloggio temporaneo presso l'ambasciata, la pazienza di Gabriel era provata a tal punto che al primo accenno del suo cameriere personale di riferirgli l'accaduto, l'aveva liquidato con un paio di frasi asciutte. Tuttavia non era riuscito a liberare la mente da quel pensiero. I sogni giovanili e le ingenue speranze che aveva nutrito di un futuro con Frances avevano disturbato il suo sonno, finché si era alzato dal letto per guardare il mercato dall'ombra del balcone. Cercò di concentrarsi sui compiti che lo aspettavano quel giorno, ma i suoi pensieri continuavano a tornare al viaggio che Rachel Beresford aveva fatto per raggiungere il marito. La presenza di una suora in quella storia lo intrigava. Perché mai una donna votata a Dio avrebbe dovuto accompagnare una straniera attraverso mezza Europa? Era forse diretta in pellegrinaggio a Roma? Irritato con se stesso per aver sprecato tanto tempo a pensare a quell'episodio, Gabriel decise di bandire la questione dalla mente. Un tempo era stato un ingenuo idealista che credeva nell'amore e nella fedeltà, ma ora si vantava di essere un uomo che affrontava il presente basandosi esclusivamente sulla solida realtà. E in quel momento era affamato. Si sporse dalla balconata e studiò la merce in offerta. Dopo aver fatto la sua scelta, chiamò il venditore in italiano e, dopo una breve contrattazione, gli gettò una moneta in cambio di una focaccia dolce. A quel punto tutti i venditori avevano notato il signore ben vestito al balcone e cominciarono a gareggiare fra loro per offrirgli le proprie mercanzie. Gabriel sorrise ai loro sforzi, ma si rifiutò di acquistare altro. Alla fine i venditori cedettero e rivolsero altrove la loro attenzione. Gabriel staccò un pezzo di focaccia e la masticò lentamente mentre programmava la sua giornata. Quando ebbe finito, gettò le briciole ai piccioni e si preparò a rientrare. Molti palazzi veneziani erano stati costruiti seguendo la stessa struttura, anche se alcuni avevano due o tre secoli e altri erano più recenti. La residenza dell'ambasciatore non faceva eccezione. Il piano terreno consisteva di una vasta sala che si estendeva per tutta la lunghezza del palazzo, con una serie di stanze più piccole che si aprivano sui due lati. La sala principale, adibita a diversi scopi, veniva chiamata portego da basso. Dal cortile interno si raggiungeva il primo piano, che veniva chiamato piano nobile, dove si trova29
va un'altra sala simile a quella sottostante, detta portego de sora. Questa dava sulla balconata sovrastante il Canal Grande, dove si trovava Gabriel. L'ambasciatore, Sir Walter Cracknell, aveva i propri appartamenti al piano nobile. Il secondo piano seguiva una pianta simile e ospitava il personale dell'ambasciata. Proprio mentre Gabriel stava per rientrare, l'ambasciatore lo raggiunse sulla balconata. Era insolito che Sir Walter si alzasse di buon'ora. «Buongiorno, Vossignoria» lo salutò. «Sembra che avremo una bella giornata, non trovate?» disse, guardando il cielo. «Credo di sì.» Gabriel si sporse. Le imbarcazioni dei venditori si stavano disperdendo e i primi raggi del sole stavano già riscaldando l'aria. «Vi siete perso un bel po' di eccitazione ieri sera!» esclamò l'ambasciatore. «Così ho sentito» rispose Gabriel. «Ma certo, ma certo.» Sir Walter annuì vigorosamente. «Inutile raccontarvi quello che già saprete. Ma mi domandavo se potrei chiedere un favore a Vossignoria... Fareste cosa grata a me e al giovane Beresford.» «Un favore?» Gabriel inarcò le sopracciglia, sorpreso. «Mr. Beresford è il vostro sottosegretario, vero? Ma certo, se è in mio potere... Di che cosa si tratta?» «Non dovrebbe crearvi troppo disturbo» gli assicurò l'ambasciatore. «So che tornerete in Inghilterra tra una settimana o poco più. Mi pare che abbiate intenzione di raggiungere Livorno per imbarcarvi su una delle vostre navi dirette a Londra, non è così?» «Sì.» «Eccellente. Mi chiedo se sareste così gentile da garantire un passaggio sicuro a Mrs. Quenell e alla sua cameriera.» «Mrs. Quenell?» Il nome era completamente sconosciuto a Gabriel. «La gentildonna che è stata così gentile da accompagnare Mrs. Beresford da Bruges a Venezia» gli spiegò Sir Walter. «Mrs. Beresford si è profusa in elogi nei suoi confronti e dice che non avrebbe mai potuto affrontare il viaggio senza il suo aiuto. L'unica richiesta di Mrs. Quenell è che le procuri una scorta per recarsi in Inghilterra. Mi sembra il minimo che possa fare per lei. Il giovane Beresford è fuori di sé dalla gioia per aver ritrovato la moglie. Che cosa ne dite? Posso assicurarvi che Mrs. Quenell è una donna tranquilla e modesta. Sono sicuro che non vi causerà alcun problema.» «Come mai una suora delle Fiandre vuole raggiungere l'Inghilterra?» domandò Gabriel, sconcertato dalla richiesta. Sir Walter lo guardò con aria sorpresa. «Non è una suora» disse. «Era solo ospite al convento...» 30
Gabriel udì un fruscio di gonne. Voltandosi, vide una donna che usciva sulla balconata, accompagnata da un paggio. Per un attimo il suo volto rimase nascosto dall'ombra, poi si trovò in piena luce. Gabriel rimase immobile. Quello che vide lo lasciò senza fiato, come se avesse ricevuto un colpo tale da farlo sbattere contro il muro di pietra. Le orecchie gli ronzavano, escludendo qualsiasi altro suono; il campo visivo si restrinse finché non vide altro che la donna che gli stava di fronte. Frances? Non poteva essere Frances, lì a Venezia. Sicuramente la somiglianza era dovuta solo a un gioco di luci. La storia della moglie devota di Beresford aveva evocato nella sua mente lo spettro di un'altra donna meno fedele. I ricordi che aveva cercato di allontanare avevano tormentato il suo sonno. In qualche modo stava sovrapponendo il volto di Frances a quello di un'altra donna, bionda come lei. Chiuse deliberatamente gli occhi per qualche secondo e riprese fiato massaggiandosi le tempie. Riaprì gli occhi e fissò la donna. Lei ricambiò il suo sguardo, con le labbra leggermente dischiuse. Il suo volto perse ogni colore mentre la sua espressione si faceva attonita. Era proprio Frances. Il sangue riprese a scorrere nelle vene di Gabriel e il cuore accelerò il ritmo dei battiti. Non udì una sola parola delle presentazioni di Sir Walter, dimentico perfino della sua presenza. La sua attenzione era interamente concentrata sulla donna che l'aveva tradito tanti anni prima. Aveva cambiato pettinatura, ma un ricciolo biondo, sfuggito all'acconciatura, le sfiorava la guancia proprio come allora. La sua pelle era morbida e compatta, senza alcun segno del tempo. Gli occhi erano ancora intensamente azzurri. Del colore dei fiordalisi, aveva scritto una volta in uno slancio poetico. La bocca, dalle labbra piene, era forse un po' troppo grande per i normali canoni di bellezza, ma c'era stato un tempo in cui Gabriel avrebbe giurato che era stata creata apposta per il riso e per i suoi baci. Il suo sguardo si spinse irresistibilmente verso il basso. Una volta pensava che fosse la donna più bella che avesse mai visto. La vita era sottile come ricordava. Come aveva sognato il momento in cui le avrebbe sfilato il corpetto e avrebbe potuto toccare la sua morbida pelle... Quel giorno indossava un semplice abito blu con un'eleganza che poche donne potevano vantare. Le maniche di seta del corpetto si fermavano al gomito, ma quelle della camicia di percalle bianca, di poco più lunghe, terminavano con un pizzo che arrivava quasi al polso. Lo stesso pizzo bordava anche la scollatura e l'orlo della gonna. Al di sopra della scollatura si intravedeva il candido rigonfio del petto, do31
ve un altro uomo l'aveva baciata proprio il giorno fissato per le loro nozze. Per qualche secondo Gabriel si sentì trasportato nel bordello in cui aveva assistito, in un'agonia incredula, alla scena in cui la sua promessa sposa si gettava tra le braccia del suo amante. Strinse le mani a pugno mentre udiva ancora la risata beffarda che aveva raggiunto le sue orecchie un attimo prima di perdere i sensi. Lentamente lo sbigottimento lasciò il posto alla collera. Ogni muscolo del suo corpo si tese, pronto a scattare. «... permettete che vi presenti Lord Halross.» Gabriel udì la voce dell'ambasciatore come se provenisse da una distanza infinita. «Come vi ho accennato ieri sera, sta per tornare in Inghilterra con una delle sue navi. Sono sicuro che può offrirvi un passaggio.» Frances aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Era chiaro che non si era aspettata di vederlo. Le sue labbra erano scolorite. Gabriel si chiese se stesse per svenire e pensò che questo gli avrebbe dato ben poca soddisfazione in confronto all'umiliazione che aveva dovuto subire otto anni prima. Aveva ripreso i sensi nel buio per scoprire che l'avevano gettato in un fosso puzzolente fuori delle mura cittadine. Era stato solo per grazia di Dio che non era stato derubato dei suoi abiti e forse privato anche della vita mentre era svenuto. Ed era stata Frances a dare quell'ordine. Aveva riso alla prospettiva della sua umiliazione. Gabriel sentiva il suo corpo teso da una forza compressa, ma non mosse un dito. Già una volta aveva fatto la figura dell'idiota con quella donna. Non avrebbe ripetuto lo stesso errore. Respirò a fondo. I polmoni gli bruciavano come se fosse il primo respiro che avesse mai fatto, ma quando parlò, la sua voce era fredda come ghiaccio. «È la mia protezione che volete, signora? O la mia indulgenza? Io...» «Nessuna delle due!» replicò lei con foga, avvampando in viso. «Non voglio niente da voi, signore. Vi chiedo scusa di avervi importunato.» Si voltò di scatto con un fruscio di gonne, chiaramente decisa a lasciare il balcone. Gabriel si sentì avvampare di collera vedendo con quanto disprezzo gli voltava le spalle. Non le avrebbe permesso di liquidarlo con tanta leggerezza per la seconda volta. Avanzò deciso verso di lei e stava per afferrarla per un braccio, quando venne fermato dall'improvvisa apparizione del segretario dell'ambasciatore. Roger Minshull si pose tra lui e Frances. Rivolse un appropriato saluto sia a Gabriel sia a Sir Walter, ma tutta la sua attenzione era concentrata su Frances. «Mrs. Quenell, se vi sentite abbastanza riposata, sarei onorato di mo32
strarvi le bellezze di questa città» disse con un inchino elaborato. Athena si rese appena conto che il segretario le aveva preso la mano fra le sue. Lei vedeva solo Gabriel, sentiva solo la sua voce. Anche mentre gli voltava le spalle, ogni fibra del suo corpo avvertiva il minimo movimento di lui. Gabriel. Lord Halross, le aveva detto la sera prima l'ambasciatore. Athena si era aspettata di incontrare il fratello di Gabriel. Ci aveva pensato per tutta la notte. Non voleva vedere nessun membro della famiglia di Gabriel, ma poi si era tranquillizzata al pensiero che non aveva mai conosciuto i suoi fratelli maggiori. Non c'era motivo per cui Lord Halross sapesse che lei aveva avuto qualcosa a che fare con Gabriel. Ma era proprio lui che si era girato a guardarla quando era uscita sulla balconata. La sorpresa le aveva paralizzato la mente e gli arti. Aveva pensato a Gabriel per tutta la notte, chiedendosi in quale veste avrebbe dovuto presentarsi a suo fratello. Era stato un impatto devastante trovarsi di fronte a lui in persona. In un angolo remoto della mente si rese conto che i fratelli dovevano essere morti entrambi. Non c'era altro modo plausibile perché Gabriel avesse ereditato il titolo di famiglia. Ma non era questo che contava, ora. L'unica cosa che contava era che lui si trovava lì, a pochi passi. Lo guardò, ansiosa di riconoscere l'uomo al quale aveva sacrificato tanto. Era alto come ricordava, forse anche di più. Otto anni prima la sua figura non le era parsa così imponente e autoritaria. Vestiva in modo più sobrio, come si conveniva al suo stato e all'austerità della Londra di Cromwell. E nei suoi ricordi era molto più giovane. Già uomo, ma ancora ricco del fresco entusiasmo della gioventù. Quello che aveva davanti, invece, era un uomo nel fiore degli anni, sicuro della propria forza virile e della propria autorevolezza. Vestito con tutto lo sfarzo di un nobile benestante. La sua giacca di velluto color borgogna era bordata di pizzi dorati ai polsi e ai risvolti e dalla camicia usciva una cascata di pizzo bianco. I capelli castani gli ricadevano in morbide onde sulle spalle. Il sole del mattino faceva brillare qualche ciocca dai riflessi più chiari, così da farlo apparire circondato da capo a piedi da un alone dorato. Ma gli abiti eleganti e i soffici velluti non nascondevano la forza virile del suo fisico asciutto e muscoloso. Il pizzo al collo metteva in risalto la linea decisa della mascella. Collera e odio divampavano nei suoi occhi color ambra. Il suo sguardo ostile la trafisse come la lama di una spada. Athena si sentì vacillare sotto quell'assalto silenzioso. Non riusciva né a muoversi né ad articolare parola. Avvertiva la sua furia minacciosa e nello stesso tempo si sentiva prigioniera del fuoco che emanava dal suo sguardo. 33
Quando Gabriel parlò, la sua voce era così piena di disprezzo che Athena la riconobbe a stento. Non comprendeva la sua collera né il significato della sua domanda. Se non si era nemmeno presentato in chiesa, perché mai era infuriato con lei? L'orgoglio venne in suo soccorso. Alzò il mento, trovò la forza di rispondergli e gli voltò le spalle per andarsene. Avvertì il movimento di Gabriel che avanzava verso di lei, ma in quel momento il segretario dell'ambasciatore si frappose tra loro. Si rese appena conto che le prendeva una mano. Tutta la sua attenzione era concentrata su Gabriel. «Mrs. Quenell?» Athena sussultò e vide la confusione del segretario. Solo allora realizzò che le aveva posto una domanda e che aspettava la sua risposta. Fece uno sforzo per ricordare le ultime parole che aveva pronunciato. «Sarei onorato di mostrarvi le bellezze della città.» «Oh, è molto gentile da parte vostra...» Non riuscendo a ricordare il suo nome, gli offrì una pallida sembianza di sorriso. «Signore, ma io... se non vi dispiace... credo che dovrei...» «Sarò io a farvi da guida» dichiarò Gabriel, chiudendole la mano sul braccio, all'altezza del gomito. Il cuore le fece un balzo a quel contatto improvviso. La collera che emanava da lui era così potente da mandare in frantumi tutti i suoi pensieri. Le era quasi impossibile rispondere in modo coerente a lui o al segretario. Udì l'ambasciatore dire qualcosa, ma non riuscì a comprendere le parole. Poi Gabriel la costrinse a lasciare il balcone e attraversò il portego in tutta la sua lunghezza, senza allentare la stretta al suo braccio. Athena non aveva altra scelta che seguirlo. Si sentiva le gambe malferme e per poco non inciampò. Gabriel la strattonò brutalmente, senza rallentare il passo, tanto che lei fu costretta praticamente a correre per stargli dietro. La spinse fuori dal portego e le fece scendere la scala esterna. Lei inciampò e, se non fosse stato per la sua stretta, sarebbe precipitata lungo gli scalini di pietra. Imprecando tra sé, Gabriel la sollevò per la vita e la trasportò nel cortile. Il cuore le martellava nel petto, ma era troppo confusa e sbalordita per risentirsi del suo rude comportamento. Poteva sentire ancora la sua collera a stento trattenuta. Quello non era il giovane che l'aveva corteggiata con tanta tenerezza otto anni prima. Non conosceva quell'uomo che minacciava di esplodere a ogni istante. La rimise in piedi e la trascinò per tutto il pianterreno. Athena cercò di puntare i piedi sul pavimento di pietra levigata. 34
«Lasciami andare!» gridò, cercando invano di liberare il braccio. Senza una parola, Gabriel la sollevò tra le braccia e la portò fino al molo. «Sali!» le ordinò. C'erano diverse gondole ormeggiate davanti al palazzo. Quella che le indicava era dipinta di nero come tutte le altre, ma sembrava più lussuosa di quella che avevano noleggiato il giorno prima per raggiungere l'ambasciata. Possedeva una specie di cabina che poteva essere chiusa per proteggere gli occupanti in caso di pioggia o per fornire una certa intimità. Quando entrò nella cabina, Athena vide che era arredata con tendine alle finestre e un morbido tappeto. I sedili reclinabili erano ricoperti di velluto nero. Si fermò un istante alla vista di quei sedili, innervosita all'idea di giacere accanto a Gabriel. «Siediti» le ordinò. Acutamente consapevole della sua vicinanza, Athena obbedì. La gondola ondeggiò lievemente mentre Gabriel entrava nella cabina. «Dove vuoi portarmi?» chiese, guardandolo nervosa mentre sedeva al suo fianco. «A vedere Venezia» le rispose con un sorriso da predatore. «Halross? Che cosa avete intenzione di fare?» gridò Sir Walter. La voce dell'ambasciatore proveniva dall'alto. Colta di sorpresa, Athena sollevò lo sguardo. Il tetto della cabina le nascondeva la vista, ma dopo un attimo di confusione si rese conto che Sir Walter doveva averli visti salire sulla gondola dalla balconata. Gabriel si sporse dalla cabina per rispondere. «Voglio mostrare alla vostra ospite le bellezze della città. Riconoscerete che sono più qualificato a farlo di uno qualsiasi dei vostri funzionari.» «Humm... Oh, sì, certo. I vostri consigli sono inestimabili» convenne Sir Walter, leggermente perplesso. «Ma Mrs. Quenell è abbastanza coperta? Forse qualche minuto per prepararsi prima di uscire...» «Starà benissimo.» Gabriel tornò a sedersi, mettendo fine alla conversazione. La gondola si stava già muovendo e in poco tempo si allontanò dal palazzo dell'ambasciata. C'era un gondoliere davanti alla cabina e un altro a poppa dell'imbarcazione, ma Athena sapeva che non poteva aspettarsi alcun aiuto dai due uomini. Udì Gabriel dare degli ordini in italiano. Erano alle sue dipendenze e avrebbero fatto qualsiasi cosa avesse detto loro. Gabriel si appoggiò allo schienale e allungò le gambe. Athena rimase con la schiena rigida, guardando davanti a sé, con le mani posate sulle ginocchia. La postura rilassata di Gabriel non la ingannava. Poteva sentire il suo corpo vibrare ancora di collera e il suo sguardo bruciarle la nuca. Non si voltò a 35
guardarlo, ma con la coda dell'occhio poteva vedere la mano che aveva posato sulla coscia. Era una mano grande, con dita lunghe e forti. L'ultima volta che aveva visto Gabriel, le aveva sfiorato teneramente la guancia con un dito. Mentre lo guardava, lui strinse la mano a pugno. In tutti quegli anni, dopo aver saputo che lui non si era mai presentato in chiesa, Athena aveva imparato ad accettare il fatto che non l'amasse quanto lei lo amava. Si era convinta che, se si fossero incontrati ancora, l'avrebbe trattata con indifferenza, forse non si sarebbe nemmeno ricordato di lei. Non si era mai aspettata tanta ostilità. Attese che fosse lui a parlare, ma Gabriel rimase in silenzio. Respirò a fondo, con l'impressione di avere la gabbia toracica stretta in un busto d'acciaio che le rendeva difficile inalare l'aria. Quando lo udì prendere fiato, si chiese se anche lui avesse un problema simile. Continuò a fissare la sua mano. Era a pochissima distanza da lei, tanto che il tessuto dei suoi calzoni le sfiorava la sottogonna, eppure non erano mai stati così lontani. Sapeva che la stava guardando; poteva sentire l'intensità del suo sguardo. Come una cerbiatta intrappolata da un leone, non poté fare a meno di cercare il suo volto, ma l'impatto fu così devastante che si sentì venir meno dallo sgomento. Vacillò e il mondo prese a vorticare intorno a lei. Gabriel l'afferrò per un braccio, riportandola sul sedile accanto a sé. Un attimo dopo era sopra di lei e la inchiodava con il peso del proprio corpo. «Gabriel» mormorò, sollevando una mano tremante a sfiorargli la guancia. Non era un sogno. Il peso del suo corpo era fin troppo reale. Il contatto con la sua pelle appena rasata era reale. «Gabriel.» Gli occhi le si riempirono improvvisamente di lacrime. Gli toccò il viso con gesti rapidi e convulsi per accertarsi che fosse davvero reale. Gli accarezzò i capelli e seguì con un dito l'arco delle sopracciglia. «Ti ho desiderato tanto» mormorò. La voce le morì in un singhiozzo mentre gli allacciava le braccia al collo, stringendosi disperatamente a lui. Affondò il volto nell'incavo della sua spalla, temporaneamente dimentica della sua ostilità di fronte al miracolo di poterlo toccare. Ma lui rimase inflessibile come una quercia tra le sue braccia. Lentamente Athena si rese conto del suo rifiuto e si scostò da lui, scossa ancora una volta da quella collera inesplicabile. Con un rapido movimento, Gabriel l'afferrò per le spalle e la premette contro la spalliera di velluto. Il suo gesto suscitò dolorosi ricordi di un altro uomo che aveva usato la forza contro di lei. 36
«No!» gridò, in preda al panico, lottando selvaggiamente e colpendolo con i pugni sulle spalle. «Mio Dio!» Gabriel sollevò il capo. «No!» gridò ancora Athena, distogliendo il volto e puntandogli le mani al petto in un vano tentativo di allontanarlo. Lui imprecò a bassa voce. «Quanto mi costerebbe farti dire di sì?» chiese con voce dura. «Come?» «Credevi di poterti prendere gioco di qualche stupido incantato dal tuo volto innocente? Dev'essere stata una bella sorpresa scoprire che quel particolare allocco era già caduto nella tua rete.» Athena lo fissò, incredula. «Di che cosa stai parlando?» Lui si allontanò con una risata di gola. «Risparmia il fiato. Non riuscirai a ingannarmi un'altra volta. Ti ho già vista senza maschera.» Lanciò un ordine secco ai gondolieri. «Avrei dovuto aspettarmi che un giorno o l'altro saresti comparsa a Venezia» riprese con amarezza. «Questo è il regno delle sgualdrine. Ti troverai molto bene qui.» La gondola si fermò a un molo e Gabriel scese a terra con un balzo. Diede un altro ordine incomprensibile ai gondolieri e si voltò in direzione di una grande piazza. «Aspetta...» La voce le morì in gola. Gabriel era già sparito tra la folla e la gondola aveva ripreso a scivolare lungo il Canal Grande. Tutt'intorno la vita continuava come se nulla fosse successo. Athena deglutì a fatica e si scostò una ciocca di capelli dal volto. Tutt'a un tratto le emozioni rischiavano di sommergerla. Posò i gomiti sulle ginocchia e nascose il volto fra le mani tremanti.
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Nobili passioni di Nicola Cornick Inghilterra, 1815-1817 - La guerra contro Napoleone è ormai finita e l'aristocrazia inglese è tornata a una relativa tranquillità , scandita da balli e ricevimenti durante i quali si intrecciano romantiche storie d'amore e bollenti passioni clandestine. Lady Jane Verey si rifiuta di sposare il borioso e arrogante Philip, ma perde la testa per il fratello di lui, l'autoritario e affascinante Alex, Duca di Delahaye. Nicholas, Conte di Seagrave, annoiato dalla frivola vita mondana e dal tiepido sentimento che lo lega alla fidanzata, si invaghisce suo malgrado di una cortigiana, senza immaginare che in realtà si tratta della gemella di lei, Lucille. Intanto la sua sorellina, Lady Polly, rifiuta dozzine di pretendenti e continua a struggersi d'amore per Lord Henry Marchnight. E lui, che non l'ha mai dimenticata, passa da un'avventura all'altra rafforzando la sua reputazione di libertino dissoluto. Ma per tutti loro, incontrarsi era scritto nelle stelle... Dalla fantasia di una delle migliori autrici di romance, un'antologia che ha tutto il fascino dell'epoca regency e personaggi che arrivano al cuore dei lettori.
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