Una principessa in fuga

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Charis Michaels UNA PRINCIPESSA IN FUGA

Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: Say Yes to the Princess Avon Books

An Imprint of HarperCollinsPublisher © 2023 Charis Michaels

Traduzione di Rossana Lanfredi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollinsPublisher. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici ottobre 2023

Questo volume è stato stampato nel settembre 2023 da CPI Moravia Books

I GRANDI ROMANZI STORICI

ISSN 1122 - 5410

Periodico settimanale n. 1372 dello 04/10/2023

Direttore responsabile: Sabrina Annoni

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992

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Questo libro è prodotto con carta FSC® indipendente per garantire una gestione forestale responsabile

A mio suocero, con affetto e gratitudine. Grazie per leggere tutti i miei libri entro le prime dodici ore dalla loro pubblicazione; grazie per donarli come portafortuna a chiunque incontri; e grazie per quella tua critica, anni fa, quando mi hai detto: “Mi piacerebbe che tu mettessi soltanto un pensiero in una frase e che la finissi con un bel punto, prima di passare al successivo”. Anche se in questa dedica non sono riuscita a seguire quel tuo consiglio, la prima riga del libro è per te.

Londra, settembre 1803

Killian Crewes era conosciuto come il Sistematore Reale.

Lui “sistemava” tutto: errori di valutazione, debiti di gioco, amici divertenti che in realtà erano vili ladri. Ritrovava amanti fuggitivi, corrompeva giudici per fare uscire di prigione familiari scriteriati e scriveva resoconti per la stampa su bravate notturne dentro fontane pubbliche. Più di una volta, gli era capitato di disfarsi di cadaveri.

A volte eseguiva questi compiti sotto il titolo di “Scudiero del Re”; altre volte era un anonimo paio di braccia muscolose assoldato da qualcuno. Era agile e pieno di risorse, e parlava solo quando era necessario. Ben pochi, infatti, sapevano che era il secondogenito di un conte

Il titolo del defunto padre gli aveva guadagnato l’accesso alla vita di corte, mentre la professione della madre, anche lei defunta, aveva fatto di lui l’uomo al quale il palazzo ricorreva quando si trattava di spazzare via il sudiciume.

In breve, era un risolutore di problemi molto creativo e molto segreto e, il primo giorno di settembre del 1803, gli fu chiesto di risolvere in modo alquanto creativo il problema creato da una certa principessa francese.

Distrarla... tenerla occupata... affascinarla, persino sedurla... queste erano state le indicazioni del palazzo per risolvere il problema della principessa. I metodi non parevano avere importanza, bastava solo che Killian le impedisse di continuare a creare guai alla corte.

Prima, tuttavia, doveva scoprire chi era la principessa francese.

Oh, Killian conosceva il nome della ragazza, e sapeva che era una dei molti cortigiani e arrampicatori sociali che affollavano St. James’s Palace. La dama si chiamava Sua Altezza Serenissima, la Principessa Regine Elise Adelaide d’Orleans, era un’illustre ospite a palazzo e godeva della protezione della famiglia reale inglese.

Per sedurla, tuttavia, a Killian serviva qualcosa di più del suo nome, ma Sua Altezza Serenissima si muoveva sempre in gruppo. Non era mai

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senza una piccola cerchia di dame di compagnia, tutte vestite in bambagina nera, cappelli color dell’ebano, guanti della tonalità dell’onice, oltre a una sorta di scialli di lana nera che potevano essere mantelline o coccarde funerarie. Il particolare peggiore, tuttavia, era che tutte portavano veli che nascondevano i loro volti.

Marciavano insieme per Mayfair, quattro uccellacci neri in formazione, ed era impossibile stabilire chi fosse l’uccello guida.

«Perché non chiedi ai duchi reali qual è?» suggerì Hodges, il valletto di Killian, riferendosi ai figli di Re Giorgio. Si trovavano al limitare di Portman Square e osservavano l’ancora non identificata principessa e il suo seguito percorrere a passo spedito George Street.

«Perché i duchi reali non lo sanno» rispose Killian, appoggiandosi a un albero. «Ho già chiesto. Loro non si interessano delle amiche delle sorelle. E noi non vogliamo dare al re o alla regina l’impressione di non avere la minima idea di chi lei sia, vero?»

Hodges avrebbe, sì, potuto essere definito il valletto di Killian, ma un titolo più preciso era tuttofare. Sistemare le faccende reali di rado era lavoro da una persona sola. L’uomo, più anziano, tuttavia, a volte scordava che quel lavoro non era garantito, che entrambi erano dipendenti, proprio come i servitori e gli stallieri e, in quanto tali, avrebbero potuto essere licenziati se i loro servigi non fossero stati all’altezza.

«Noi dobbiamo sempre dimostrare il nostro valore, Hodges... ricordi?» continuò Killian. «E che valore avrei se non fossi in grado di identificare la fanciulla che ho accettato di sedurre? Aspetta, lascia che te lo dica io: non avrei alcun valore.»

Più indispensabile Killian era per il sovrano, più lavoro gli veniva affidato. Come, per esempio, intrattenere principesse. E più lavoro significava più denaro, e il re e i suoi figli pagavano bene. Il denaro, tuttavia, non era la sola cosa che lui guadagnava. Il suo ruolo di sistematore gli consentiva di avere informazioni e accesso a corte.

La Corona possedeva metà Inghilterra e quasi tutta Londra. Era un patrimonio redditizio, ma ingombrante e, di tanto in tanto, la famiglia reale vendeva le proprietà meno interessanti. Killian sfruttava la sua posizione all’interno del palazzo per acquistare quelle proprietà a prezzi vantaggiosi. Era il primo a sapere e l’ultimo a fare l’offerta vincente.

In sostanza, veniva a palazzo per guadagnarsi un salario, ma ci restava per avere informazioni su pensioni dichiarate inagibili, botteghe vuote e vecchie taverne.

Un giorno, forse molto presto, sperava di avere un numero sufficiente di immobili in rovina per mantenersi come equo padrone di

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casa, invece che come lacchè. Sperava di guadagnare abbastanza per fare restaurare le proprietà e trasformarle in edifici sicuri e abitabili. Si augurava anche di poter provvedere al suo giovane nipote e di mandare Hodges in pensione. E finalmente di lavorare per se stesso.

Ma non quel giorno. Quel giorno doveva continuare a fare il sistematore e ad accumulare soldi intrattenendo Sua Maledettissima Serenissima Altezza e tenendola occupata.

Sempre che fosse riuscito a stabilire quale di quelle donne era, il motivo per cui se ne andava in giro per Londra e quale fosse il modo migliore per distrarla.

La Principessa Elise era un oscuro personaggio reale francese che viveva in esilio in Inghilterra. Le ricerche di Killian non gli avevano permesso di scoprire con esattezza quanto fosse vicina al trono francese. Di certo era stata accolta dalla famiglia reale e tenuta al sicuro, in quegli ultimi dieci anni, dalla vorace ghigliottina della Rivoluzione Francese. Aveva trascorso i primi cinque anni in Inghilterra presso una zia e uno zio nel Kent, e gli ultimi cinque al St. James’s Palace, come compagna delle figlie di Re Giorgio.

A quanto pareva, gli abiti e i veli neri erano stati un’aggiunta recente al guardaroba della principessa. Secondo i figli del re, la sua presenza a corte avrebbe potuto essere descritta in precedenza come insignificante; ora marciava ovunque in quel quartetto funereo, importunava la famiglia reale con domande indiscrete e, in genere, stava tra i piedi a tutti.

«Caspita, che abbigliamento da lutto» commentò Hodges, osservando il seguito della principessa di nero vestito navigare nel labirinto dei vialetti di Portman Square.

«È una mia impressione» domandò Killian, «o lei non sembra tanto una donna in lutto, quanto un buco a forma di donna in un muro?»

Hodges fece una smorfia. «Be’, se il padre ha perduto la testa con la ghigliottina, forse davvero non ha altra scelta che vestire a lutto.»

«A me non importa se si veste di nero o di rosa, o se si mette addosso la tappezzeria a fiori di un sofà; se devo intrattenerla, ho bisogno di sapere chi è.»

Avendo talmente poche informazioni sulle varie identità all’interno del seguito della principessa, Killian aveva dato a ciascuna un nomignolo. Così, nella sua mente, c’erano Quella Alta, Quella Piccoletta, Quella Nervosa e Quella che Camminava Come una Papera.

«Dunque pensi sia questo che è accaduto?» rifletté Hodges. «Ossia che i genitori della principessa siano stati...» E con la mano imitò il gesto di una spada.

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«Credo sia la convinzione comune» replicò Killian. «Lei è arrivata in Inghilterra da sola, a parte la suora che l’ha salvata. La cronologia coincide. Se si eccettua la figlia di Re Luigi, il solo modo con il quale i reali francesi potevano sfuggire alla ghigliottina era scappare dal Paese.»

In quel momento la Principessa Elise e le altre parvero volersi dirigere verso la Chiesa Cattolica di St. James. O, per lo meno, la chiesa era con ogni probabilità la loro destinazione apparente. Anche il giorno precedente, lei e le sue dame avevano fatto visita al luogo di culto, ma non si erano trattenute, non per la messa e nemmeno il tempo sufficiente a immergere le dita guantate nell’acqua santa. Erano entrate da una porta, avevano aspettato tre minuti, quindi erano sgattaiolate fuori da un’altra. Un quarto d’ora più tardi erano ricomparse in una libreria a Camden.

«Eccole che entrano» osservò Hodges, guardando le donne fare il loro ingresso in chiesa.

«Già» confermò Killian, staccandosi dall’albero. «Scommetto dieci scellini che tra cinque minuti escono dalla porta che dà sul vicolo...»

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Sua Altezza Serenissima, la Principessa Regine Elise Adelaide d’Orleans, aveva cominciato a domandarsi quando era stata l’ultima volta in cui si era sentita serena... ammesso che fosse mai accaduto.

In dubbio era anche l’elevata qualifica di Altezza.

In quel momento, mentre camminava lungo George Street con le sue dame di compagnia che la circondavano nel solito modo, non si sentiva né serena né elevata. Provava, semmai, una strana combinazione di stanchezza ed esaltazione, come un prigioniero che sgattaiolava fuori di prigione dopo essere stato sveglio una notte intera.

Lei non era stata sveglia tutta la notte, e non era nemmeno prigioniera... be’, non proprio. Era sgusciata fuori da St. James’s Palace quando una delle figlie del re aveva visto un topo ed era svenuta. Il panico che ne era seguito aveva sconvolto la monotonia del pomeriggio e, mentre tutti balzavano sopra le sedie, Elise aveva radunato le sue dame di compagnia; così ora erano a metà strada da quella che lei sperava fosse una fonte preziosa di nuove informazioni. Un’altra tessera di quel rompicapo che era la scomparsa del fratello.

«Juliette» sussurrò alla cugina. «Più in fretta, se puoi. Lui sta venendo. Di nuovo.»

«Mr. Crewes?» domandò Juliette, un fremito di eccitazione nella voce. La donna più giovane si era fermata nel mezzo del vialetto e allungava il collo, guardandosi intorno. Quell’arresto fu così improvviso che Kirby la urtò e il gruppetto si sparse nelle diverse direzioni, come birilli su un prato.

Elise soffocò un gemito di frustrazione e afferrò sia Kirby sia la cugina Juliette per il gomito, sospingendole avanti.

«Sì, è Mr. Crewes» confermò, e si voltò a guardare da sopra una spalla. «Forse saremo costrette a restare in chiesa per la messa, oggi... almeno fino all’omelia. Sperando che alla fine lui si disinteressi di noi.»

«Vorrei suggerire» cominciò Juliette, «che forse Mr. Crewes non è qualcuno dal quale fuggire durante queste nostre escursioni all’ester-

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no del palazzo, perché potrebbe rappresentare un vantaggio.»

Elise strinse i denti. Era naturale che Juliette lo vedesse come un vantaggio. Non era in gioco la sua vita, la sua sanità mentale. E poi la cugina vedeva ogni uomo come un vantaggio, mentre lei considerava chiunque la importunasse una minaccia.

«Mr. Crewes non è forse stato un fidato cortigiano per anni?» continuò Juliette. «La sua alleanza con il re e la regina non gli impone forse per senso dell’onore di proteggerci? Di farci da scorta?»

«È solo l’avidità a imporgli di proteggerci» la corresse Elise. «Se siamo fortunate. Perché l’avidità potrebbe anche spingerlo a darci un colpo in testa e gettarci nel fiume. Giriamo qui.»

La presenza furtiva di Mr. Crewes aveva affascinato Juliette dalla prima volta in cui lo avevano notato. Ora, ogni nuovo avvistamento spingeva la giovane a obbedire meno e a sbirciare di più... una non trascurabile digressione, considerata la sua tendenza alla petulanza e alla vanità.

La cugina, d’altronde, era sempre stata la componente più difficile del seguito di Elise, che l’avrebbe cacciata già da anni, se non fosse che...

Be’, prima di tutto erano ben poche le candidate al lavoro di dama di compagnia di una principessa venticinquenne in esilio.

In secondo luogo, Juliette era cugina di Elise e dunque l’unica aristocratica del suo seguito. Serviva a rammentare a tutti che lei era una principessa – sia pure in esilio – con veri diritti di successione – sia pure distanti – a un vero trono Europeo – sia pure smantellato.

Elise cominciava però ormai a domandarsi perché lei e le sue dame di compagnia dessero tanto fastidio. Il Principe di Galles e la Regina Carlotta le avevano offerto un rifugio, ma ormai erano passati anni e la sua presenza sembrava essere diventata un fastidio a corte. Ogni giorno di più, si rendeva conto di essere fuori posto nella famiglia reale inglese.

E che dire poi delle limitazioni cui era soggetta? Si sentiva così inutile... La sua vera famiglia le mancava e aveva la sensazione che una parte del corpo le fosse stata strappata via.

Perché, se nascondersi in Inghilterra poteva averla salvata, la sua vita in esilio era una sorta di esistenza a metà. Lei non aveva nessuna libertà e nessun modo per riconquistarla.

Per anni si era limitata a vivere compiendo i gesti di tutti i giorni in una nebbia di dolore e paura. Poi, un mese prima, mentre tornava a Londra dopo un soggiorno al mare, a Gloucester Lodge a Weymouth, in compagnia delle figlie di Re Giorgio, durante il tedioso e scomodo

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viaggio aveva per caso visto un uomo. Un uomo che le era parso dolorosamente familiare.

Suo fratello.

Sua Altezza Serenissima, il Principe Gabriel Phillipe d’Orleans.

Era lui, Elise non era mai stata più sicura di niente in tutta la sua vita.

L’uomo era giovane, più di lei, ma non più un bambino. I capelli erano castano ramati come i suoi, anche se non era stato quel particolare a colpirla. La caratteristica straordinaria era che sembrava esattamente la versione giovanile del loro padre.

Tutto in lui, la postura, la corporatura e soprattutto il volto, le erano risultati così familiari che Elise si era raddrizzata sul sedile della carrozza e aveva guardato fuori dal finestrino, naso e mani premuti contro il vetro, sussultando tanto vistosamente che le figlie di Re Giorgio avevano subito allungato il collo per vedere cosa avesse attirato la sua attenzione. Come erano rimaste deluse nel vedere un uomo normalissimo, al centro di una chiazza di sole nella piazza di un mercato, tra una mandria di cavalli...

Per Elise, invece, in quel momento tutto era cambiato.

Quando l’uomo non era stato altro che un puntino all’orizzonte, lei si era ormai convinta che fosse il fratello scomparso, Gabriel. Lo aveva trovato, o se non altro, lo aveva visto. Non era più sola.

Erano passati dieci anni dall’ultima volta che aveva visto Gabriel, la notte prima che scappassero tutti dalla Francia. Lui aveva avuto solo otto anni, era confuso e terrorizzato, ma cercava di essere coraggioso. Elise di anni ne aveva avuti quindici, mentre la loro sorellina Danielle camminava a stento. La notte dopo l’esecuzione del padre, loro tre erano stati divisi, mandati fuori dalla Francia e nascosti in esilio.

Da allora, lei non aveva più saputo niente del fratello e della sorella, e aveva immaginato che non fossero sopravvissuti.

Poi, il mese precedente, aveva visto un uomo che poteva essere – che doveva essere – Gabriel, da qualche parte lungo la strada verso Land’s End, ossia la via presa dalla carovana reale per tornare da Weymouth a Londra.

Quella vista aveva fatto divampare qualcosa in lei. Era stato un evento... motivante. Aveva rappresentato la spinta di cui aveva bisogno una roccia inamovibile per rotolare finalmente a valle. Dapprima era rotolata lentamente, poi sempre più velocemente, e ormai era irrefrenabile.

Sì, avrebbe ritrovato quel giovane che di certo era suo fratello; si sarebbe liberata della posizione tediosa e periferica che aveva nella

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corte inglese e avrebbe avuto di nuovo almeno l’apparenza di una vita normale. Insieme a Gabriel, avrebbe iniziato a cercare la sorellina, lasciando la corte inglese.

Vedere il fratello aveva risvegliato in lei una spavalderia dimenticata; le aveva dato il coraggio di uscire dalla vita nascosta, e non sua, che conduceva da troppo tempo, e di offrire il volto al sole.

Solo che non aveva offerto il volto al sole. Lo aveva coperto con un velo, poiché, se la sua nuova spavalderia era motivante, le faceva indubbiamente paura. La spavalderia non era necessariamente coraggio.

E non aiutava che St. James’s Palace non la sostenesse in quel piano.

Si erano quasi subito opposti alla sua ricerca dell’uomo che poteva essere Gabriel. Con fermezza. Definitivamente. Il re e la regina non si erano opposti personalmente, ma lo avevano fatto i loro ministri in loro vece, quegli uomini irritanti che giravano per il palazzo con fascicoli stretti al petto. L’avevano cercata e le avevano detto no in ogni modo immaginabile, anche se non avevano mai pronunciato le parole: È proibito. Lei poteva anche essere una principessa in esilio ormai dimenticata e ignorata, ma era pur sempre un personaggio reale e non sarebbe stato appropriato darle un ordine diretto... meglio dissuaderla.

Avevano cominciato con il negarle accesso alla regina, dopodiché avevano dato istruzioni agli altri cortigiani di ignorare le sue richieste. Avevano chiuso porte, le impedivano di accedere alle biblioteche e bloccavano la sua corrispondenza. Elise non era più stata inclusa in eventi durante i quali avrebbe potuto parlare con i membri anziani della corte. Infine, la sua vecchia amica Marie e ultima dama di compagnia, era stata richiamata da un convento in Irlanda per calmarla.

Inoltre, fatto più agghiacciante di tutti, il palazzo aveva incaricato quel... bambinaio di starle alle costole.

Killian Crewes.

Lui si teneva a una certa distanza all’interno del palazzo, ma seguiva ogni suo passo all’esterno. Elise aveva scoperto chi era, naturalmente; tutti quegli anni passati a corte le avevano dato una quantità di tempo per studiarne i personaggi chiave. Nel senso più ampio della parola, Killian Crewes era un compagno di scuola dei duchi reali. Più specificatamente, era l’individuo losco, ma ben vestito e dai modi impeccabili, che la famiglia reale convocava ogni volta che qualcosa a St. James’s Palace andava storto.

Quando il quinto figlio del re, Ernest, si era lanciato in investimenti poco chiari, Killian Crewes era stato chiamato per fare scomparire il problema. Quando il settimo figlio del re, Adolphus, aveva preso a

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dedicarsi al tormento dell’orso, dal quale erano conseguite numerose mutilazioni, Mr. Crewes era stato incaricato di coprire i dettagli, rimborsare i feriti e spedire gli animali in Baviera.

Aveva fatto scomparire persone sgradevoli, aveva fatto ricomparire diamanti perduti e presentato piccoli bastardi come del tutto legittimi nipoti di cui si erano da tempo perdute le tracce.

E ora eccolo là, a seguire Elise ovunque lei andasse.

In ogni caso, quella non era la prima esperienza di Elise con un persecutore. Era già stata pedinata e catturata. Aveva visto il padre morire nel modo più orribile, un’esecuzione pubblica in un terrificante pomeriggio che sarebbe per sempre rimasto impresso nella sua memoria. Conosceva, perciò, molto bene i pericoli che si annidavano nelle corti reali. La paura era sua compagna da quando aveva quindici anni; si presentava con tonfi nella notte e folle inferocite, e uomini che la seguivano.

Era tremendo avere paura, ma non abbastanza per smettere di tentare di riconquistare la libertà.

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Due giorni più tardi, Killian seguì la principessa e le sue dame fino al cortile di uno stalliere di Tottenham Court Road. Per essere donne che, per scopi pratici, erano state tenute isolate negli ultimi cinque anni, erano davvero difficili da pedinare. D’altronde, chi poteva fare saltare una serratura meglio di qualcuno che era stato chiuso per anni in una gabbia a forma di palazzo? Il fatto che avessero usato la Santa Messa come copertura per andarsene in campagna era stato il primo segno della loro astuzia, e Killian aveva alzato il livello della caccia. Ora, pur non volendo, era intrigato.

«Credi che non ci vedano?» domandò Hodges.

Loro due si trovavano al limitare del recinto dello stalliere e osservavano da lontano la principessa e il suo seguito dare mele ai cavalli.

«Certo che ci vedono» rispose Killian. «Si accorgono di tutto ciò che le circonda meglio di un guardiano notturno. Sono certo che mi considerino una sorta di protettore, una specie di guardia. Mi hanno visto a Palazzo e sanno che sono amico dei duchi, perciò anche amico loro.»

«Però non corrono a salutarti, eh? Non ti rivolgono nemmeno un sorriso.»

«Io non le conosco, Hodges. Non possono salutarmi senza che ci abbiano formalmente presentati. Se io avessi conosciuto Sua Altezza Serenissima, saprei chi è.»

Hodges rifletté un momento, poi chiese: «Perché credi che vogliano tu la tenga occupata?».

Killian scrollò le spalle. «Mi hanno detto che “ha in mente qualcosa da cui non può venire niente di buono.” Criptici, come sempre. Edward ha aggiunto che la principessa è diventata indisciplinata, e questo al re non va bene. A quanto pare, si aspettano a corte ospiti stranieri, e i sovrani non vogliono che la principessa li incontri.» Rifletté un momento, quindi aggiunse: «Suppongo».

Accadeva spesso che venisse chiamato a corte per risolvere un problema non troppo specificato, pagare un debito misterioso o control-

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lare una persona ambigua. La famiglia reale apprezzava non dovergli spiegare nei dettagli per cosa lo pagava, e per questo lo pagava di più.

Secondo Sua Grazia, Edward, il Duca di Kent, nonché quarto figlio di Re Giorgio, la Principessa Elise aveva di recente subito una sorta di... trasformazione. Da giovane donna insignificante e distaccata, era diventata imprevedibile e rumorosa. Per non menzionare che Sua Altezza Serenissima aveva cominciato a disertare la vita di corte. Lei e le sue dame erano spesso assenti per il te e per le cene, si diceva che riposassero quando le figlie di Re Giorgio facevano la loro passeggiata pomeridiana nei giardini del palazzo. Il re voleva sapere perché, cosa facevano quando lasciavano il palazzo e chi incontravano.

Fino a quel momento, Killian aveva solo scoperto che si trattava di qualcosa che aveva a che fare con i cavalli. Quel giorno erano venute a Tottenham Court Road e si erano radunate intorno al recinto di un quanto mai ordinario stalliere. Tre giorni prima erano entrate in una libreria specializzata in volumi su animali e allevamenti. In particolare si erano soffermate davanti allo scaffale dei libri dedicati ai cavalli. Nel complesso, non molto che avesse senso.

A quel punto, lui aveva sulla principessa più domande che risposte, ma non poteva avvicinarla all’interno del palazzo. La Regina Carlotta era molto rigida per quanto riguardava le sue figlie e le loro amiche, soprattutto in fatto di uomini. L’ordine era stato chiaro: distrarre la Principessa Elise, ma non a discapito delle figlie del re. Killian non doveva fare la volpe in un pollaio.

«Alla fine dei conti, io penso temano scappi via» suppose Hodges. «Sinceramente?» rispose Killian. «A me non sembra che a loro importerebbe molto se scappasse. Ma lei non scappa, non è vero? Torna sempre a palazzo, e poi ne sgattaiola via di nuovo. Se però intende restare sotto la protezione di St. James’s Palace, non deve...» Si fermò, riluttante a completare la frase.

«Andarsene in giro?» suggerì Hodges.

«Fare domande» borbottò Killian con aria cupa. Era proprio quella l’attività che sembrava più preoccupare la corte. «Secondo certi componenti del personale del palazzo, la principessa ha cominciato a scrivere a tutti i familiari in esilio che riesce a trovare. Sgraffigna i giornali durante la colazione e rivolge appelli direttamente alla famiglia reale e ai loro ministri» raccontò.

«Appelli per cosa?» volle sapere Hodges.

«Sul suo esilio. Sull’esilio di altri reali francesi, sul luogo in cui si trovano i suoi familiari scomparsi.»

«E loro vogliono tenerla all’oscuro» ipotizzò Hodges.

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«Probabilmente.» Killian sospirò. Quella possibilità lo turbava.

«Cosa c’è, Kill?»

Lui scosse il capo. «Non mi piace questo incarico. Non mi piace la persona coinvolta e non mi piacciono i mezzi che sto usando. Declinerei cortesemente, se non fosse per i magazzini.»

«Limehouse?»

«Sì. Ho già pagato l’architetto per i progetti di ristrutturazione. Non posso perdere l’opportunità di comprarli.»

Di tutte le derelitte proprietà che Killian aveva acquistato dalla Corona, adorava particolarmente un certo gruppo di magazzini in rovina a Limehouse, di fronte al fiume. La zona era infestata da criminali e gli edifici erano pericolanti, da tutti considerati troppo malmessi per avere un qualunque valore. Lui, però, la pensava diversamente: c’erano sempre potenzialità accanto al fiume, e voleva quei magazzini. Se avesse portato a termine quell’incarico, se il re fosse stato soddisfatto del suo lavoro e lo avesse pagato, era certo che avrebbe finalmente potuto procedere con quei dannati magazzini.

«Be’, non è che ti stiano chiedendo di fare male alla ragazza» commentò Hodges.

«No. Vogliono soltanto che la renda invisibile. L’Inghilterra è in guerra contro la Francia e non è certo il momento ideale per ospitare una principessa francese ficcanaso.»

Hodges emise un fischio.

Infatti, pensò Killian.

«Lei non può andare in giro a fare domande scomode. Non può girare per Londra senza uno scopo preciso. Non può creare fastidi. Io sono stato chiamato per impedire che lei faccia tutto questo. Che mi piaccia o no.»

«Magari portandola a letto» concluse Hodges.

«Qualcosa del genere.» Killian sospirò, fissando il quartetto di donne oltre i cavalli. «A quanto pare, ha un rango troppo elevato per essere rinchiusa da qualche parte e sarebbe troppo problematico nasconderla. Così vogliono che la distragga. E io la corteggerò. La... abbaglierò e la farò diventare una brava ragazza. O qualcosa di simile.»

«Non mi meraviglia che abbiano dato a te questo lavoro.»

«Già, nessuna meraviglia» concordò Killian.

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«Credo che Mr. Crewes sia un grande amico dei duchi reali» osservò Juliette, sbirciando l’uomo in questione dall’altro lato del recinto. «Di certo non abbiamo necessità di sfuggire a qualcuno che è amico dei figli del re.»

Oggi si è avvicinato di più, pensò Elise. Marie e Kirby restavano docilmente accanto a lei e ascoltavano le proteste di Juliette, in attesa di qualche indicazione di Elise. Lei lanciò uno sguardo a Marie. E diventa sempre più sfacciato.

Se il palazzo voleva davvero limitare i suoi movimenti, Elise quasi si augurava che la chiudessero da qualche parte. Detestava essere pedinata e sorvegliata. Quando, tanti anni prima, era fuggita dalla Francia, era stata incessantemente seguita da uomini a cavallo, uomini con cani, uomini che si nascondevano nella foresta come fantasmi. Per cinque, spaventosi giorni, lei e Marie si erano rannicchiate nelle carrozze e nelle barche, scappando come topi.

La paura nata quell’estate era ancora ben radicata dentro di lei. Come un vasetto sopra uno scaffale. Ogni volta che si sentiva spiata o, Dio non volesse, inseguita, il vasetto si apriva e il panico ne sfuggiva. Era una delle ragioni per le quali, per tanti anni, aveva languito nella corte inglese. All’interno di St. James’s Palace era quasi sempre stata ignorata. Il coperchio era rimasto sul vasetto, nessuno l’aveva disturbata. Fino a quel momento. Fino a quando il palazzo, tutto a un tratto, aveva smesso di ignorarla e aveva incaricato quell’uomo di... di...

Be’, ancora non era riuscita a capire quale fosse il suo compito preciso, ma non poteva essere qualcosa di buono.

«Ecco, Juliette» disse, offrendo una mela alla cugina. «vuoi dare da mangiare alla giumenta mentre noi aspettiamo?»

«Oh, Mr. Crewes è così attraente» osservò l’altra, facendo scivolare la mela sotto il velo e dandole un morso. «Non credi che lo sia?»

«Non ho pensato molto al suo aspetto, Juliette» replicò Elise. Era una bugia e quella consapevolezza la irritò. In realtà aveva avuto molto tempo per osservare Killian Crewes. Perché lui? Non sapeva dirlo,

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ma era sempre riuscita a... trovarlo con lo sguardo. E, dopo che lo aveva trovato, la sua attenzione si era soffermata su di lui. Sì, lo aveva spiato. E ora, che ironia, lui spiava lei! E se quello strano fremito nello stomaco era tornato – quello che in precedenza a stento aveva notato, ma che ora le sembrava familiare come il volto di Killian Crewes – be’, non ci poteva fare nulla. Lei non poteva controllare il suo stomaco.

Se però la bellezza di Killian Crewes non le interessava, lui possedeva un’altra qualità che non passava mai inosservata. Quell’uomo era circospetto. E abile. E, in un certo modo... intraprendente? Non sembrava mai divertirsi a palazzo, non come gli altri membri della corte. Pareva quasi che venisse a St. James’s per sopravvivere.

E poiché anche Elise considerava il palazzo come un mezzo per sopravvivere, ebbene, forse i simili si riconoscevano.

Forse non avrebbe colto quel suo tratto se Killian Crewes non fosse stato tanto diverso dagli altri uomini a corte. Gli altri amici dei duchi reali erano gioviali o irriverenti; dopotutto, i cortigiani dovevano essere divertenti. Mr. Crewes, invece, parlava poco e sorrideva anche meno. Scivolava nei ricevimenti con un’aria... cupa, stanca. La sua non pareva una fatica fisica, quanto una sorta di stanchezza del mondo. Se Elise non si sbagliava, era un uomo che avrebbe preferito non sapere tante cose.

E anche sotto quell’aspetto, sentiva con lui una certa affinità. Anche lei era stata costretta a conoscere tanti eventi tragici... verità che detestava sapere. La sua vita era stata stravolta per sfuggire a tutto quell’orrore.

In generale, i figli di Re Giorgio e i loro chiassosi amici sembravano godersi l’innata presunzione che a loro tutto fosse dovuto, ma Killian Crewes pareva non avere i loro privilegi. Lui restava sempre nell’ombra e non era mai lontano da una porta da cui fuggire o da un posto dove potersi nascondere.

E naturalmente, di recente, non era mai lontano da lei. Non così vicino da parlarle – non ancora – ma abbastanza per comparire in diversi punti di Londra, appostato a pochi passi di distanza.

«Anche se non lo trovi attraente» disse Juliette, facendo dondolare il torsolo della mela per il gambo, «devi riconoscere che ha ottime conoscenze. È amico dei figli del re.»

«I duchi reali hanno molti amici e di tutti i tipi» rispose Elise, offrendo un’altra mela alla giumenta. «E alcuni di loro sono graditi per il tè o a cena, o per accompagnarli a messa la domenica. Mentre altri – e Mr. Crewes fra questi – si vedono di rado alla luce del giorno. Loro arrivano di notte, con il buio, entrano da porte secondarie

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e fanno Dio solo sa cosa dopo che le persone per bene sono già andate a dormire da un pezzo. La regina non accetterebbe mai che un individuo come Mr. Crewes venisse presentato alle sue figlie. Lui non è mai annunciato ai balli. Non viaggia con la famiglia reale. Non gli è permesso di accostarmi all’interno del palazzo, eppure mi pedina all’esterno. Potrei andare ancora avanti, ma hai capito ciò che intendo? Lui si aggira ai limiti della rispettabilità. È prerogativa dei duchi reali fraternizzare con chiunque vogliano, ed è mia prerogativa evitare Killian Crewes.»

«Ma non ci aggiriamo forse anche noi ai limiti della rispettabilità quando a ogni occasione sgattaioliamo fuori dal palazzo?»

«Noi non sgattaioliamo, Juliette. Ogni nostro passo non deve essere una promenade a beneficio dei gentiluomini di corte. Noi abbiamo commissioni delle quali occuparci fuori dal palazzo e pochissimo tempo per farlo. Gabriel non è solo mio fratello... è anche tuo cugino. Non riesci a capire quanto siano importanti queste nostre uscite?»

«Non ho detto che lui non è mio cugino. Quello che sto dicendo è che non credo che ci sbatteremo contro mentre saettiamo da un posto all’altro della città per interrogare stallieri.»

Elise trasse un lungo respiro, doveva calmarsi. «Noi non stiamo cercando di sbattere contro mio fratello. Noi stiamo cercando di sapere di più sui commercianti di cavalli che operano tra qui e Weymouth. E chi può informarci meglio su questo degli uomini il cui lavoro è badare ai cavalli? L’ho spiegato più volte. Se non riesci a sentirti coinvolta nella ricerca di Gabriel, non puoi semplicemente goderti la libertà di camminare fuori dal palazzo?»

«Forse potrei, se ci fermassimo in una sala da tè o in un negozio, o se incontrassimo persone interessanti. Invece no. Poi finalmente compare Mr. Crewes e lui, sì, è interessante, ma tu non lo trovi rispettabile. Ed è un altro no.»

«Non è la rispettabilità di Mr. Crewes a irritarmi» spiegò Elise, con un altro sospiro. «È il fatto che sia stato incaricato di sorvegliarmi. A me non piace che mi si comandi, Juliette. E ciò che in genere accade dopo la sorveglianza è proprio il comando. E al comando potrebbe seguire qualunque cosa che va dall’esilio alla morte. Perciò ti imploro, ignora Killian Crewes.»

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