Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Lord Of The Vampires Lord Of Rage Harlequin Nocturne © 2011 Gena Showalter © 2011 Jill Floyd Traduzione di Licia Reggi e Andrea Lorenzini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne settembre 2012 Questo volume è stato stampato nell'agosto 2012 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 71 del 14/09/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Signore dei vampiri PAG. 219
Signora della foresta
Signore dei vampiri
Prologo C'era una volta, in una terra di vampiri, streghe e mutaforma, uno Stregone del Sangue, che bramava l'unico potere che ancora gli era negato: il diritto a comandare. Con il suo mostruoso esercito attaccò il palazzo reale, assassinò brutalmente gli amati sovrani di Elden e tentò di fare lo stesso con Nicolai, l'erede al trono, e i suoi tre fratelli, Breena, Dayn e Micah. Quest'ultima impresa tuttavia non gli riuscì, perché non aveva fatto i conti con il desiderio di giustizia di un re e con l'amore di una madre per i propri figli. Prima di esalare l'ultimo respiro, infatti, il sovrano attinse al proprio potere magico per infondere nei discendenti un inestinguibile bisogno di vendetta, assicurandosi che avrebbero combattuto per l'eternità per reclamare ciò che apparteneva loro. Nello stesso istante, la regina usò le proprie capacità per spedirli altrove, salvandoli. Almeno per il momento. Tuttavia, il re e la regina erano deboli, le menti offuscate dal dolore, i poteri magici in conflitto. Perciò gli eredi, pur vincolati a distruggere l'assassino dei propri genitori, si ritrovarono catapultati in regni differenti all'interno del reame, con solo un oggetto che li collegava alla Casa Reale di Elden: un segnatempo, donato loro dai genitori. Nicolai, che la sua gente chiamava il Seduttore Oscuro, venne sorpreso dall'attacco mentre si trovava a letto, e non da solo. Non era mai solo. Era noto sia per l'indole violenta che per la delicatezza del tocco. Dopo i festeggiamenti per il compleanno del fratello minore si era ritirato nei propri appartamenti privati per saziare i propri appetiti con la sua ultima conquista. E lì era stato colpito dal doppio incantesimo. Quando aveva riaperto gli occhi, si era ritrovato in un altro 9
letto, e non con la compagna che si era scelto. Era ancora nudo, solo che era incatenato, schiavo di quegli stessi desideri che aveva suscitato nell'amante. Desideri che, mescolandosi alla magia, lo avevano spedito dritto al Mercato del Sesso, dove era stato venduto a una principessa di Delfina. Non piÚ padrone nÊ del proprio volere nÊ del proprio piacere, era stato derubato del segnatempo e dei ricordi. Di due cose, tuttavia, fu impossibile privarlo, anche se la principessa ci provò con tutte le forze: la fredda rabbia che covava in petto e il feroce bisogno di vendetta che gli scorreva nelle vene. La prima lo avrebbe scatenato, il secondo lo avrebbe assaporato. Innanzitutto con la principessa, poi con uno stregone che non riusciva a ricordare, ma che sapeva di disprezzare. Presto. Doveva soltanto fuggire...
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1 «Ho bisogno di te, Jane.» Perplessa, Jane Parker appoggiò il biglietto sul ripiano della cucina. Osservò il libro rilegato in pelle, sfregiato, che giaceva dentro una scatola disadorna, circondato da un mare di velluto nero. Era rientrata da pochi minuti dalle cinque miglia di jogging giornaliere. E quel pacchetto la stava aspettando sotto il portico. Non c'era mittente. Nessuna spiegazione del perché fosse stato lasciato lì, né alcun indizio su chi lo avesse scritto. O sul perché avesse bisogno di lei. Perché diavolo qualcuno doveva aver bisogno di lei? Aveva appena compiuto ventisette anni, e solo di recente aveva recuperato l'uso delle gambe. Non aveva parenti, amici, un lavoro. Non più. Il suo modesto rifugio nella Città-Più-Piccola-del-Mondo, in Oklahoma, non era che un puntino isolato in mezzo a una distesa rigogliosa di alberi verdi e a uno sterminato cielo azzurro. Stava per gettarlo nella spazzatura. Ma naturalmente la curiosità aveva preso il sopravvento sulla prudenza. Come al solito. Sollevò il libro con cautela. Non appena lo sfiorò, vide le mani ricoprirsi di sangue e sobbalzò, facendo cadere il grosso volume sul bancone. Ma quando subito dopo le riportò sotto la luce le trovò perfettamente pulite, le unghie ben curate e laccate con uno smalto color rosa pallido. Hai un'immaginazione troppo fervida e troppo ossigeno ancora in circolo a causa della corsa. Tutto qui. Fredda logica: la sua amica del cuore, l'unica. La rilegatura del libro scricchiolò mentre lo apriva, proprio al centro, dove un nastro rosa un po' lacero teneva il segno. L'odore di polvere e umidità si diffuse nell'aria, mischiato a un al11
tro aroma di sottofondo. Qualcosa che faceva venire l'acquolina in bocca, qualcosa di vagamente familiare. Aggrottò la fronte, perplessa. Cambiò posizione sulla sedia, avvertendo una fitta di dolore alle gambe, e annusò. Oh, sì. Cogliere una lieve fragranza di legno di sandalo le fece venire l'acquolina in bocca e la pelle d'oca. Poi avvertì un formicolio, un calore ardente che le invase tutto il corpo. Imbarazzante! E anche... mmh, interessante. Dopo l'incidente d'auto che le aveva rovinato la vita undici mesi prima, si era eccitata soltanto la notte, nei sogni. Reagire a quel modo in pieno giorno, e per un libro... era insolito. Non si soffermò a meditare sul motivo, non vi sarebbe stata risposta che l'avrebbe soddisfatta. Si soffermò invece sulle pagine che le stavano di fronte: ingiallite e fragili, delicate. E... imperlate di sangue? Piccoli puntini cremisi, ormai secchi, ne sciupavano i bordi. Fece scorrere delicatamente i polpastrelli sul manoscritto e il suo sguardo venne catturato da alcune parole. Catene. Vampiro. Appartenere. Anima. La pelle d'oca s'intensificò, così come il formicolio. Arrossì. Socchiuse gli occhi. E alla fine il profumo di legno di sandalo trovò un senso: negli ultimi mesi aveva sognato di un vampiro maschio in catene, e si era svegliata con quell'odore sublime incollato addosso. E... sì, era lui a eccitarla. Ma non l'aveva detto a nessuno, per cui come diavolo era saltato in testa a qualcuno di spedirle quel... diario? Jane si era occupata di fisica quantistica per anni, e anche di scienza di confine, e le era capitato di studiare creature considerate appartenenti al mito o alla leggenda. Aveva condotto interviste controllate con veri bevitori di sangue, aveva persino sezionato i cadaveri portati al suo laboratorio. Conosceva la verità, ossia che vampiri, mutaforma e altre creature della notte esistevano, anche se i suoi colleghi del Dipartimento non ne erano al corrente. Forse qualcuno lo aveva scoperto e quel libro faceva parte di uno scherzo, forse non vi era alcun collegamento coi suoi sogni. Solo che... le sembrava fosse trascorsa un'eternità dal suo ultimo contatto con quei colleghi. Inoltre, chi avrebbe mai fatto una cosa del genere? Nessuno sembrava considerarla degna di qualcosa. Lascia perdere, Parker. Prima che sia troppo tardi. L'imperativo che giunse dal suo istinto di conservazione 12
non aveva senso. Troppo tardi per cosa? L'istinto non rispose. Be', la scienziata che era in lei aveva bisogno di sapere che cosa stesse accadendo. Si schiarì la gola. «Ne leggo giusto qualche passaggio.» Si era ritrovata sola fin da quando era stata dimessa dall'ospedale, diversi mesi prima, e a volte il suono della sua stessa voce era meglio del silenzio. «Catene cingevano il collo, i polsi e le caviglie del vampiro. Visto che i vestiti gli erano stati strappati, e un perizoma era l'unico indumento rimasto, non vi era nulla che potesse proteggere la sua pelle lacerata. Gli anelli di metallo penetravano in profondità nella carne, fino all'osso, le ferite non si rimarginavano mai del tutto e si riaprivano in continuazione. Non gli importava. Cos'era il dolore quando la volontà, l'anima stessa non ti appartenevano più?» Jane strinse le labbra, sopraffatta da un'ondata di vertigine. Trascorse un momento, e poi un altro. Il battito del cuore accelerò, martellando selvaggio contro le costole, mentre immagini crude le sfrecciarono nella mente. Quell'uomo – un vampiro – prigioniero, impotente. Affamato. Le labbra sensuali tirate, i denti aguzzi, candidi. Era incredibilmente abbronzato, con tutti quei muscoli scolpiti, i capelli scuri arruffati e il viso di una bellezza così inquietante che avrebbe potuto infestare le sue fantasie notturne per anni. Ciò che aveva appena letto lo aveva già visto, molte volte. Come? Non ne aveva idea. Ma sapeva che nei suoi sogni provava compassione per quell'uomo, persino rabbia. E tuttavia c'era sempre un lieve ribollire d'eccitazione in sottofondo, e ora l'eccitazione dilagava, prendeva il sopravvento. Più respirava più il profumo di legno di sandalo l'avvolgeva, e più la realtà si alterava, come se la casa non fosse altro che un miraggio, e la gabbia del vampiro reale. Come se lei avesse bisogno di alzarsi e camminare – no, correre – finché non lo avesse raggiunto. Qualunque cosa, pur di essere con lui, ora e per sempre. Bene. Poteva bastare. Richiuse il libro di scatto, anche se tante questioni restavano in sospeso, e si allontanò. La combinazione tra quella reazione così intensa e i sogni che la turbavano la induceva a scartare l'idea che si trattasse di uno scherzo. Non che ci avesse sperato molto. Comunque fosse, le restanti possibilità la turbavano, perciò si rifiutò di contemplarle. Fece una doccia, indossò una maglietta, un paio di jeans e 13
divorò una colazione nutriente, ma involontariamente il suo sguardo continuava a tornare sulla rilegatura in pelle. Si chiese se il vampiro in cattività fosse reale, e se stesse bene. Se potesse aiutarlo. Aprì persino il libro al centro, varie volte, senza nemmeno rendersi conto di essersi mossa. Ma lo richiuse sempre prima che la storia potesse catturarla. Forse era quello il motivo per cui il libro le era stato spedito: per agganciarla, farla tornare di corsa al lavoro. Be', lei non aveva bisogno di lavorare, il denaro non costituiva un problema. E, soprattutto, non le piaceva più la scienza. Perché avrebbe dovuto? Non forniva mai una soluzione, soltanto nuovi problemi. Quando un pezzo del puzzle trovava il suo posto, ce n'erano ancora venti che mancavano. E, alla fine, nulla di quel che facevi, nulla di quel che si poteva risolvere o dipanare, avrebbe salvato coloro che amavi. Ci sarebbe sempre stato un ragazzo idiota che, dopo aver bevuto un bicchiere di troppo al bar locale, si sarebbe messo alla guida e si sarebbe schiantato contro la tua auto. O qualcosa di altrettanto tragico. La vita era imprevedibile. E lei desiderava la monotonia. Quando giunse la mezzanotte, però, non aveva ancora smesso di pensare al vampiro. Arrendendosi, tornò in cucina, afferrò il libro e se lo portò a letto. Soltanto qualche altra pagina, maledizione, poi avrebbe ricominciato a desiderare davvero la monotonia. Quando appoggiò il libro sulle gambe sollevate, la maglietta oversize le si arrotolò attorno alla vita. Aprì alla pagina dove si trovava ancora il segnalibro e si concentrò. Per diversi secondi, sembrò che le parole fossero scritte in una lingua a lei ignota. Poi, in un batter d'occhi, il testo tornò a essere comprensibile. Mmh. Molto strano, e di certo, almeno così sperava, uno scherzo dovuto alla mancanza di sonno. Trovò il punto esatto in cui aveva interrotto la lettura. «Lo chiamavano Nicolai.» Nicolai. Un nome potente, succulento. Le sillabe le rotolarono nella mente, come una carezza. I capezzoli le si indurirono per il desiderio di un bacio bollente, bagnato, ogni centimetro della sua pelle avvampò. Ripensò al passato. Non aveva mai intervistato un vampiro chiamato Nicolai e quello che vedeva nei suoi sogni non le aveva mai parlato, non aveva mai dato segno di notarla. «Non conosceva il suo passato, o se avesse un futu14
ro. Conosceva solo il presente. Il suo presente d'odio e di tortura. Era schiavo, in gabbia come un animale.» Come in precedenza, fu travolta da un capogiro, ma tenne duro, pur avvertendo una fitta al petto. «Veniva tenuto pulito e in perfetta efficienza, la pelle costantemente oliata, nel caso in cui la Principessa Laila dovesse averne bisogno nel suo letto. E la principessa ne aveva bisogno, eccome, e molto spesso. I desideri crudeli, perversi di quella donna lo lasciavano pesto e ammaccato. Non che avesse mai accettato la sconfitta. Era un uomo selvaggio, quasi incontrollabile, così pieno d'odio che chiunque lo guardasse vedeva la propria morte nei suoi occhi.» Il senso di vertigine s'intensificò. Diavolo, anche il desiderio cresceva. Domare un uomo in quel modo, sentire tutto il suo vigore, mentre affonda con spinte incalzanti dentro il tuo corpo... averlo così pronto e disponibile... Jane fremette. Smettila di divagare come se fossi in preda a un deficit d'attenzione, Parker. Si schiarì la gola. «Era duro, spietato. Un guerriero fino al midollo, un uomo abituato ad avere il controllo assoluto. O, almeno, così lui credeva di essere. Persino dopo la perdita della memoria, era chiaramente consapevole che qualunque ordine gli impartissero gli faceva saltare i nervi.» Un altro fremito la scosse. Strinse i denti. Lui aveva bisogno della sua compassione, non del suo desiderio. Lui è così reale, per te? Oh, sì che lo era. «Almeno avrebbe avuto qualche giorno di tregua» seguitò a leggere, «dimenticato da tutti. Il palazzo era in fermento perché la Principessa Odette era riemersa dalla tomba e...» Il resto del foglio era bianco. «E... cosa?» Voltò pagina, ma si accorse immediatamente che la storia si interrompeva sul più bello. Fantastico. Fortunatamente – o sfortunatamente – scoprì che vi erano altre scritte, verso la fine del libro. Batté le palpebre, scosse la testa, ma le parole non cambiarono. «Tu, Jane Parker» recitò con voce profonda, «tu sei Odette. Vieni da me, te lo ordino. Salvami, ti prego. Per favore, Jane, ho bisogno di te.» C'era il suo nome, nel libro. Com'era possibile? E scritto dalla stessa mano che aveva vergato il resto, su quelle pagine antiche, macchiate, con lo stesso inchiostro sbavato? Ho bisogno di te. Concentrò nuovamente l'attenzione sulla parte indirizzata a lei. Lesse ancora: «Tu sei Odette», finché il desiderio di urlare non fu soffocato dalla curiosità. La sua mente vorticava. C'era15
no così tante possibili interpretazioni: falso, vero, sogno, realtà. Vieni da me. Salvami. Per favore. Te lo ordino. Qualcosa dentro di lei rispose a quell'ordine più che a ogni altra cosa che si trovasse nel libro. Il desiderio di correre – qui, lì, in ogni direzione – le pulsava dentro. Purché lo trovasse, e lo salvasse, nient'altro le sarebbe importato. E lo avrebbe potuto salvare, se fosse riuscita a raggiungerlo. Io. Te. Lo. Ordino. Sì. Voleva ubbidirgli. Disperatamente. Era come se una corda invisibile le si fosse stretta attorno al collo, e ora la strattonasse. Tremando, chiuse il libro. Non avrebbe cercato proprio nessuno. Non quella notte. Aveva bisogno di riprendere il controllo. Al mattino, dopo qualche endovena di caffeina, la testa le si sarebbe schiarita e avrebbe potuto ragionarci sopra. O almeno così sperava. Dopo avere appoggiato il tomo sul comodino, si gettò sul letto e chiuse gli occhi, sforzandosi di calmare i pensieri. Un vano tentativo. Se la storia di Nicolai era vera, lui era cinto dalle catene quanto lei, un tempo, era stata intrappolata dalle infermità del corpo. La compassione le cresceva dentro, si diffondeva... Come lui veniva tenuto in gabbia, così lei era stata prigioniera di un letto di ospedale, ossa in frantumi, muscoli strappati, mente ottenebrata dai farmaci, e tutto perché un automobilista ubriaco si era schiantato contro la sua auto. E come lei era stata – era – tormentata dalla perdita della sua famiglia, visto che la madre, il padre e la sorella si trovavano nella stessa macchina, Nicolai era tormentato dal tocco indesiderato di una donna sadica. Sentì un'ondata di rimpianto, una intensa furia. Ho bisogno di te. Inspirò profondamente, espirò lentamente e si sdraiò sul fianco, stringendo più forte il cuscino. Tanto stretto quanto all'improvviso desiderava abbracciare Nicolai, per confortarlo, per essere con lui. Mmh, non è il caso di spingersi oltre. Non conosceva quell'uomo, per cui non voleva fantasticare sul trovarsi a letto in sua compagnia. 16
Invece fu proprio ciò che fece. La sofferenza del vampiro svanì, appena lei lo immaginò mentre le montava sopra, gli occhi d'argento scintillanti di desiderio, le pupille dilatate. Le labbra carnose, rosse per averle tempestato di baci tutto il corpo, erano ancora umide del suo sapore. Lei lo leccò, lo assaggiò, assaporando se stessa, avida di tutto ciò che lui era disposto a offrirle. Lui ringhiò di approvazione, scoprendo i canini, mentre il suo corpo ampio e muscoloso la copriva interamente, la sua pelle era calda, con piccole gocce di sudore che permettevano ai loro corpi di scivolare all'unisono, desiderosi di trovare appagamento. Dio, quanto era piacevole. Così diabolicamente piacevole. Lungo e grosso. Un incastro perfetto, che la dilatava al punto giusto e che ondeggiava e ondeggiava, sempre più veloce, sempre più veloce, portandola al limite, prima di rallentare... rallentare... tormentandola. Si avvinghiò a lui, le unghie che gli graffiavano la schiena, strappandogli un gemito, poi sollevò le ginocchia, premendogli con forza sui fianchi. Sì. Sì, di più. Più veloce, ancora più veloce. Mai abbastanza. Di più, ti prego, di più. Lo sentì insinuarsi tra le sue labbra, morderla e succhiare il sangue uscito. Un dolore acuto, pungente. E poi, wow!, e poi crollò sul letto. Ondate di soddisfazione le si propagarono in cerchi concentrici per tutto il corpo, piccole stelle di luce le lampeggiarono dietro gli occhi. I muscoli interni si contrassero e rilassarono, mentre calore liquido le si concentrava tra le gambe. Cavalcò quell'onda per interminabili secondi, e poi minuti, prima di abbandonarsi esausta e ansimante sul materasso, incapace di riprendere fiato. Un orgasmo, meditò sbalordita. Un cavolo di orgasmo da un uomo di fantasia. E senza nemmeno toccarsi. «Nicolai... mio...» sussurrò, e stava sorridendo, quando infine scivolò nel sonno. «Principessa, principessa, dovete svegliarvi.» Jane batté le palpebre. Un timido raggio di sole entrò nella stanza, una camera da letto estranea, notò confusa. La sua vera era semplice, con muri bianchi e un tappeto scuro, e come unico mobile un letto disadorno. Lì, invece, poteva scorgere sopra di sé un baldacchino decorato con merletto rosa e, alla sua destra, un cassettone finemente intagliato, con un calice tempestato di gemme appoggiato sopra. Poco oltre, un tappe17
to luccicante e dall'aspetto costoso conduceva a una doppia porta ad arco che incorniciava uno spazioso ripostiglio, traboccante di un arcobaleno di tessuti pregiati. Qualcosa non quadrava. Si tirò su di scatto. Il capogiro la colpì di nuovo – familiare, ma non rassicurante – e le sfuggì un lamento. «Tutto bene, principessa?» Si costrinse a concentrarsi e a fare il punto della situazione. Accanto al letto c'era una ragazza, che non aveva mai incontrato prima: era bassa, in carne, aveva il naso punteggiato di lentiggini e una massa di crespi capelli rossi. Indossava un vestito marrone di tela grezza che sembrava starle un po' troppo stretto. Jane si raggomitolò all'indietro, sbattendo contro la testiera. «Chi sei? Che ci fai qui?» All'udire le proprie parole, sgranò gli occhi. Sapeva parlare cinque lingue, ma non si era espressa in nessuna di quelle. Eppure, aveva compreso ogni parola emessa dalla sua bocca. Nessuna emozione trasparì dal viso della ragazza, come se fosse abituata a rapportarsi con strani individui che le urlavano contro. «Mi chiamo Rhoslyn, sono la cameriera personale di vostra madre, e ora vostra cameriera personale. Se decidete di tenermi» aggiunse, con una punta di insicurezza. Anche lei parlava in quella singolare lingua poetica che era un fiume di sillabe. «La regina mi ha pregato di svegliarvi e condurvi nei suoi alloggi.» Cameriera? Madre? Sua madre era morta, assieme al padre e alla sorella. Questi ultimi erano rimasti uccisi sul colpo, centrati in pieno dall'autista ubriaco. Ma la madre... era morta proprio davanti ai suoi occhi, la vita era gocciolata via dal suo corpo, e addosso a Jane, mentre l'auto penzolava da un albero e le cinture le tenevano agganciate ai sedili, le portiere e il tetto tanto schiacciati che era stata un'impresa tirarle fuori. E a quel punto era stato troppo tardi, l'ultimo, doloroso respiro era già stato esalato. Era morta lo stesso giorno in cui le avevano detto che era guarita dal cancro. «Non osare scherzare su mia madre» ringhiò. Rhoslyn fece un passo indietro. «Scusatemi, principessa, non comprendo. Non stavo scherzando, riguardo a vostra madre e al suo volere.» Jane percepì lo spavento nella sua voce e notò i suoi occhi scuri appannati da un velo di lacrime. 18
«E vi giuro... non intendevo offendervi. Per favore, non punitemi.» Punirla? Cos'era, una specie di scherzo? La parola scherzo le era familiare quanto il capogiro. In realtà, scherzo non era il termine più calzante. Forse esaurimento nervoso? No, non poteva essere, in quel caso si sarebbe trattato di una forma d'isteria, e lei non era isterica. E poi c'era la questione della lingua. Andiamo. Sei una scienziata. Ci puoi arrivare col tuo cervello. «Dove mi trovo? Come sono arrivata qui?» Il suo ultimo ricordo la raffigurava intenta a leggere un libro e... Il libro! Dov'era? Il cuore iniziò a martellarle nel petto esplodendo in una tempesta di colpi, mentre passava in rassegna tutto ciò che la circondava. Eccolo! Appoggiato sul tavolino da trucco, così vicino, eppure così lontano. Mio, gridava ogni cellula del suo corpo. Ne fu sorpresa. Ma altrettanto sorprendente era il fatto che quell'affermazione suonasse legittima. Anche se, a essere sinceri, aveva praticamente amoreggiato con quel volume. E, oh, diavolo. Avvertì il sangue scaldarsi e la pelle fremere, mentre il suo corpo si preparava per essere completamente, totalmente posseduto. Ho bisogno di te, Jane. Il testo. Ora lo ricordava. Vieni da me. Salvami. Analizza questa situazione a rigor di logica. Si era addormentata, sognando il tocco di un vampiro e, proprio come Alice nel Paese delle Meraviglie, si era risvegliata in un mondo nuovo, diverso. Ed era sveglia, non si trattava di un sogno. Perciò... dove si trovava? E come ci era arrivata? E se...? Troncò il pensiero a metà, prima che potesse deviare in una direzione che non le piaceva. Doveva pur esserci una spiegazione razionale. «Dove mi trovo?» chiese di nuovo. Mentre Jane si allontanava svelta dal morbido materasso di piume, la cameriera rispose: «Vi trovate a... Delfina». Il tono era quasi interrogativo, come se non riuscisse a capire fino in fondo come mai lei non conoscesse la risposta. «Un regno senza età né tempo.» Delfina? Anche se non conosceva il nome, ne aveva sentito parlare da alcuni degli esseri che aveva intervistato, si rese conto con stupore. All'epoca, era stata incerta se creder loro, visto che erano prigionieri, tenuti sottochiave per il bene dell'umanità. Avrebbero detto qualsiasi cosa pur di riacquistare la libertà, 19
le avrebbero perfino offerto di accompagnarla all'interno del loro mondo. E se senza volerlo avesse attraversato la soglia che conduceva in quel luogo differente? Si concesse finalmente di completare la riflessione e lo stomaco le si attorcigliò, in preda alla nausea. Prima che l'incidente cambiasse radicalmente la sua vita, aveva studiato ben più di semplici creature mitologiche. Si era concentrata sulla manipolazione dell'energia macroscopica, tentando ogni giorno di sconfiggere l'impossibile. Era riuscita nel trasporto molecolare di un oggetto da un luogo a un altro, non con forme di vita, ovviamente non ancora, bensì con la plastica e altri materiali inerti. Ecco perché era stato considerato un rischio accettabile lasciarla interagire con le entità catturate, vive o morte che fossero. E se in qualche modo fosse riuscita a trasportare se stessa? Come era potuto succedere, dato che gli strumenti necessari non si trovavano nel rifugio? Che si trattasse di effetti latenti, generati dal contatto coi materiali che erano stati traslati? No, c'erano troppe variabili in gioco. Prima fra tutte... quella sua nuova identità regale. «Rhoslyn» disse, puntando gli occhi socchiusi sulla ragazza, mentre faceva forza sulle gambe. Le ginocchia sbatterono fra loro, i muscoli sembravano annodati, ma grazie al cielo nessun capogiro. «Sì, principessa?» Si scrutò rapidamente da capo a piedi, batté le palpebre sorpresa, e dovette guardare una seconda volta. Indossava un adorabile vestitino rosa che non ricordava d'avere mai acquistato, e nemmeno di avere mai visto. Le avvolgeva perfettamente il corpo, snello e flessuoso come una canna, e danzava fin giù alle caviglie. Chi diavolo l'aveva vestita? Non ha importanza. Si concentrò sul qui e ora. «Che te ne pare?» Rhoslyn si sporse per toccarla, ma lei strinse le labbra e la scansò. «Principessa, per favore, siete ancora debilitata. Permettetemi di assistervi.» «Non ti avvicinare» dichiarò Jane. Fino a che non avesse capito che cosa stava accadendo, non si sarebbe fidata di nessuno. E non si sarebbe lasciata toccare da anima viva. La ragazza restò come pietrificata. «C... come desiderate, principessa. Volete che recuperi qualcosa per voi?» 20
«Mmh, no. Voglio solo prendere una cosa.» Mosse qualche goffo passo in avanti. Le fibre del tappeto erano morbide come apparivano e le accarezzavano i piedi nudi, solleticandole la zona sensibile fra le dita. Avanzò lentamente, lasciando che la tensione si allontanasse dalle sue gambe che tanto avevano sofferto. Il tempo di recuperare il libro e voltarsi e già le sentiva normali. Poiché Rhoslyn era rimasta immobile, col braccio disteso puntato in direzione del letto, leggermente tremolante in quel momento, le disse: «Rilassati». Con un sospiro di sollievo, la ragazza lasciò ricadere il braccio lungo il fianco. «Mi avete domandato un parere. Siete bella, principessa. Come sempre.» Il tono suonava del tutto inespressivo. Metà dell'attenzione di Jane rimase sulla ragazza, l'altra si concentrò sul libro. Aggrottò le ciglia. La pelle nera era intatta. Scivolò con le dita fino al centro. Non c'era nessun segnalibro, le pagine erano intonse. Vuote. «Questo non è il mio libro. Dov'è il mio libro?» «Principessa Odette» replicò Rhoslyn in tono mellifluo. «A quanto ne so, non siete arrivata con nessun libro. Ora desiderate...?» «Aspetta. Come mi hai chiamata?» «P... principessa Odette? Con il vostro titolo e il vostro nome. Giusto? Volete che vi chiami in qualche altro modo? O volete forse che convochi la guaritrice e le chieda...?» «No, no, è tutto a posto.» La Principessa Odette, riemersa dalla tomba. Jane aveva letto proprio quelle parole. E anche: Tu, Jane Parker. Tu sei Odette. Si sporse per osservare la propria immagine riflessa nello specchio del tavolino da trucco. Appena la vide, si irrigidì. Capelli castano chiaro, fluenti, che le ricadevano su una spalla. I suoi capelli. Li riconosceva. E gli occhi scuri, vitrei, con occhiaie a mezzaluna. Anche quella era una visione familiare. Si allungò per toccare con i polpastrelli la superficie dello specchio. Era freddo, solido, vero. Se avesse sollevato la gonna, avrebbe scorto le cicatrici sullo stomaco e sulle gambe, ne era certa. Non si era trasformata nella Principessa Odette nel giro di una notte, quindi. Forse, diavolo!, lei e la principessa si assomigliavano. «Come sono arrivata qui?» chiese con voce rauca, voltandosi indietro, per osservare la cameriera. 21
Ho bisogno di te, Jane. Nicolai. Bloccò il respiro, mentre quel nome le riempiva all'improvviso la mente. Nicolai, il vampiro incatenato, schiavo, maltrattato. Nicolai, l'amante che si era insinuato in lei: aveva schiuso le gambe per accoglierlo e poi le aveva serrate per trattenerlo. Vieni da me. Raggiungerlo, come se lui la conoscesse. E come se lei conoscesse lui, senza che si fossero mai incontrati. Almeno, per quel che ricordava. Una situazione del genere era possibile, si disse. Era una delle congetture della teoria dei paradossi, diavolo. Non aveva intenzione di abbandonarsi a tali ipotesi finché non avesse ottenuto maggiori informazioni. Sennò avrebbe passato giorni a elucubrare. Rhoslyn impallidì. «Ieri sera una guardia di palazzo vi ha trovata riversa sui gradini dell'entrata esterna. Vi ha portato qui, fino alla vostra camera da letto. Sarete felice di notare che si trova nelle stesse condizioni in cui l'avevate lasciata.» Addormentarsi nella propria casa, e risvegliarsi... lì. La Principessa Odette, riemersa dalla tomba, rifletté di nuovo. Alice, nel Paese delle sue Meraviglie. «Spero non vi dispiaccia, vi ho lavata e cambiata d'abito» aggiunse la cameriera. Una vampata di calore le salì alle guance. C'erano stati un sacco di estranei che l'avevano lavata e cambiata, nel corso degli ultimi undici mesi, e la sollevava sapere che era stata Rhoslyn a farlo, e non un ragazzetto ansimante e magari arrapato. Anche se era comunque mortificante. «Dov'è la mia maglia?» «A lavare. Devo ammettere che non avevo mai visto nulla del genere. C'era una strana scritta, sopra.» Jane chiuse il libro e se lo strinse al petto. «La rivoglio.» Era l'unica cosa che la collegasse a casa. «Certo. Dopo che vi avrò condotta da vostra madre... Oh, scusatemi. Non intendevo menzionarla di nuovo. Vi accompagnerò... di sotto, e recupererò l'indumento per voi.» E aggiunse subito, fra i denti: «Sono così felice – come tutto il vostro popolo – che siate tornata fra noi. Ci siete mancata moltissimo». Una bugia, senza dubbio. «D... dove mi trovavo?» «Vostra sorella, la Principessa Laila, vi ha visto precipitare dalla scogliera molto tempo fa – sembra essere trascorsa un'e22
ternità da quel giorno – dopo che eravate stata accoltellata dal vostro nuovo schiavo, che vi aveva prosciugato il sangue. Sebbene il vostro corpo non fosse mai stato ritrovato, siete stata creduta morta, perché nessuno era mai sopravvissuto a una caduta del genere. Ma dovevamo sapere che voi, la prediletta di Delfina, ce l'avreste fatta.» Sfoggiò un sorriso un po' rigido, della durata di un lampo, non di più. La Principessa Laila. Anche quel nome echeggiava nella testa di Jane, associato a desideri crudeli, contorti. «Nicolai» disse. Che lui fosse lì? Che fosse vero? La cameriera si morse il labbro inferiore, improvvisamente nervosa. «Volete che conduca lo schiavo, Nicolai, qui da voi?» Il sangue di Jane accelerò, provocandole un'ondata di calore, e la pelle venne percorsa dal solito formicolio. La ragazza sapeva di chi stava parlando. Perciò lui era lì, reale quanto lei. La sua mente scoppiettò come i suoi cereali preferiti nel latte. Il libro, i personaggi, la storia stavano prendendo vita davanti ai suoi occhi... Ne faceva parte, perfettamente integrata, come se si fosse trattato di qualcun altro, non di lei. Alla fine, un pezzo del puzzle andò al suo posto: il libro poteva essere stato l'elemento catalizzatore. Forse, quando lo aveva letto ad alta voce, aveva in qualche modo spalancato un portale fra i due mondi. Forse Nicolai era in qualche modo riuscito a spedirle il libro e lei rappresentava per lui l'unica speranza di libertà. «Nicolai» ripeté. «Voglio che tu mi conduca da lui.» Doveva vederlo ed era troppo impaziente per aspettare. L'avrebbe riconosciuta? E lei si sbagliava su quanto era accaduto? Rhoslyn deglutì faticosamente. «Ma è colui che vi ha accoltellata, e vostra madr... voglio dire, ehm, la regina non ama che la si faccia attendere. Vi ha già visitata una volta, ma dormivate profondamente ed è stato impossibile svegliarvi. La sua impazienza cresce e, come sapete bene, il suo carattere...» Le guance le si arrossarono, e si rese conto del pericoloso sottinteso. «Scusatemi. Non intendevo parlare irrispettosamente della regina.» Nicolai aveva accoltellato Odette, colei che, in teoria, corrispondeva a Jane? Alla faccia del colpo di scena inaspettato... Diavolo. E se avesse tentato di fare lo stesso con lei? Non succederà, le sussurrò una parte profonda e segreta dentro di lei. Ha bisogno di te, te lo ha detto. 23
«Una manciata di minuti non indispettiranno la regina.» Chiunque fosse la regina, qualunque cosa significasse per lei, a Jane non importava. Anche se il fatto che quella donna fosse al comando, che la sua parola fosse legge e che a quanto pareva fosse dotata di un caratteraccio la turbava un po'. «Vostra sorella...» «Non ha importanza.» Pure lei era morta. Anche se, stando al libro, Odette poteva avere una sorella. L'altra principessa. Eppure, anche quello a Jane non importava. «Conducimi da Nicolai. Subito.» Era il momento di recuperare un'altra tessera del puzzle. La ragazza rabbrividì e non fiatò, i secondi che ticchettavano in un silenzio colmo di tensione. Poi disse: «Come desiderate, principessa. Da questa parte».
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