Dafne Chevalier IL FRATELLO PRIOBITO
Immagine di copertina: coppia: Sandratsky Dmitriy/Shutterstock sfondo: Isra Suvachart/Shutterstock
Titolo originale: Il fratello proibito © 2022 Dafne Chevalier
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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici gennaio 2023
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I GRANDI ROMANZI STORICI
ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1337 dell'11/01/2023
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Venezia, 1749
Le allegre voci delle tre sorelle risuonavano al piano nobile del palazzo della famiglia Contarini, affacciato sul Canal Grande.
«Riempiamoci i capelli di farfalle di seta» propose Lucrezia, cinguettando come un uccellino felice. Lei era la più gaia e la più incantevole fra le tre sorelle: nella giovinezza dei suoi vent'anni, non passava inosservata per la sua lunga chioma corvina e per due languidi occhi verdi che avevano già rapito i cuori di molti giovani della nobiltà veneziana.
Ai balli veniva contesa dagli uomini di ogni età, che sospiravano di desiderio appena la vedevano entrare in sala, con il suo incedere regale e fanciullesco allo stesso tempo.
Le sorelle, invece, non erano ambite allo stesso modo, seppur dotate anch'esse di eleganza e grazia. Adalgisa, maggiore di qualche anno, aveva sempre un'espressione severa e austera che la rendeva poco desiderabile. Era nell'età in cui non si è ancora troppo vecchie per prendere marito, ma il tempo sembra passare velocissimo e le occasioni di accasarsi diventano
sempre più deboli. Neppure gli ingenti beni in possesso del padre sembravano ingolosire qualche buon partito, per quella donna ancora piacente.
A dire il vero, ultimamente si vociferava che gli affari dei Contarini non navigassero in ottime acque. Il patrimonio della famiglia era nato con il traffico dei bachi da seta e con le preziose lavorazioni di stoffe, nei laboratori di Cannaregio. Ma negli ultimi tempi, i concorrenti inglesi erano riusciti a portare via ai Contarini alcuni grossi clienti ottomani, che erano la spina dorsale dei loro affari all'estero.
Poi c'era Giulia, la più piccola, quindici anni. Il suo sguardo era vivace e attento, la sua conversazione sempre molto schietta, i suoi modi non erano aggraziati come quelli di Lucrezia e Adalgisa, camminava come un maschiaccio e non conosceva l'arte di sorridere per convenienza. Da poco le era stato permesso di partecipare agli eventi mondani con le sorelle, ma era più interessata ai racconti di viaggi dei vecchi mercanti piuttosto che ai balli con i pretendenti. Fin da piccola aveva dimostrato una vera attrazione per gli affari e per i viaggi. Il mese precedente Giulia aveva accompagnato il padre anche a Costantinopoli, dove la famiglia, da anni, vendeva i suoi broccati e le sue sete pregiate. Il padre credeva che Giulia fosse attratta dalle bellezze dei gioielli e degli oggetti preziosi che i mercanti le regalavano; invece alla ragazza piacevano tutti quei discorsi sul comprare e vendere, era interessata alle contrattazioni fra uomini di affari che pensavano a un'unica cosa: imbrogliare l'avversario e guadagnare. «Dunque, sorelle» continuava a insistere Lucrezia, «intrecciamo nei capelli queste farfalle di seta, sembreremo delle fate della natura. Non è divertente? Stupiremo tutti!» E cominciò a ridere con quella sua voce cristallina e gioiosa.
Adalgisa non era d'accordo. «Andare dal Doge non è uno scherzo, bisogna essere vestite con eleganza e pudore.»
«Oh, certo! Come le sue cortigiane» ribatté Lucrezia con malizia.
«Abbassa la voce, Giulia potrebbe sentirti» la rimproverò la sorella maggiore. «Usa più accortezza in ciò che dici. Questo modo sfacciato di parlare non è di buon esempio per lei.»
Giulia non disse niente, ma non era più una bambina. Il viaggio con papà era stato molto istruttivo: aveva capito molte cose del mondo degli uomini, delle donne e di ciò che viene chiamato amore. Si era accorta che ogni persona portava con sé dei segreti nel cuore, e spesso questi segreti si chiamavano amanti proibiti. Nell'ingenuità della sua giovane età, pensava che fosse lecito amare seguendo i suggerimenti del proprio cuore e non aveva ancora capito quanto il matrimonio a Venezia fosse semplicemente un contratto, né più né meno di quelli degli acquisti delle stoffe.
«Signorine, vostro padre vi sta aspettando per la colazione e vi esorta a unirvi a lui... prima possibile» disse Paolina, la cameriera personale di Lucrezia, entrando con il fiato corto nella camera dove le ragazze si stavano preparando. Dalle sue parole ansimanti, si capiva che il padre le aveva gridato contro, imputandole la colpa del ritardo delle figlie. Aveva percorso in fretta i corridoi che portavano dal salone da pranzo alle camere.
«Vostro padre chiede che vi affrettiate a raggiungerlo. Vi prego, signorine, fate presto» le esortò ancora la domestica.
«Questo vuol dire che è arrabbiato, che fuma di rabbia come al solito, semplicemente perché gli tocca attendere. Noi figlie siamo le uniche che lo facciamo aspettare, che non scattiamo ai suoi ordini. Tutti gli al-
tri che gli sono accanto lo soddisfano sempre immediatamente, come faceva la mamma» disse Giulia.
Quella parola, mamma, e il ricordo della sua indole dolce e pacata, stesero un velo nero sulle risate di poco prima, e la nostalgia di lei riempì la stanza. Non era trascorso neppure un anno da quando Marianna Badin, la madre delle tre ragazze, era morta all'improvviso, per un attacco di cuore. La sua mancanza si respirava nella casa ogni giorno e si vedeva riflessa nelle parole e nei gesti del padre, sempre più nervoso e iracondo.
«Affrettiamoci, sorelle, questo ritardo farà pensare a nostro padre che non lo rispettiamo abbastanza. Andiamo, non amareggiamolo ulteriormente» le incitò Adalgisa.
Lucrezia sistemò gli ultimi accessori che ingioiellavano la cascata di boccoli corvini che le scendevano sulle spalle e seguì le sorelle, ormai in corridoio. Le tre sorelle erano davvero magnifiche, nei loro vestiti di broccato di seta e trine, tessuti preziosi provenienti dai loro laboratori e dalle abili mani delle ricamatrici di Burano. Il Signor Contarini sapeva che non c'era miglior modo di mostrare i propri prodotti se non quella di farli indossare alle figlie, che avevano il fisico aggraziato della madre. E oggi sarebbe stata l'occasione adatta, camminando insieme a Lucrezia, Adalgisa e Giulia in Piazza San Marco verso Palazzo Ducale, dove viveva il Doge.
Lucrezia indossava un vestito azzurro come l'acqua cristallina, con fili argentati che disegnavano delle calle, Adalgisa ne aveva scelto uno color pesca con ricamati gigli e cardellini, mentre Giulia si pavoneggiava di avere per sé quello più prezioso, verde acqua, con un disegno di ricche ghirlande di fiori intrecciati.
Arrivarono nel salone da pranzo riempiendolo di chiacchiericcio, sorrisi e gonne ampie. Il padre, ve-
dendole, mutò l'espressione del suo viso: divenne amabile, contagiato dalla gioia delle figlie.
Tutte e tre si avvicinarono a lui per abbracciarlo e baciarlo. Subito l'aria si fece tenera e piacevole, come di consueto accadeva in quella famiglia, durante i pasti in comune.
La tavola era imbandita con tazzine di fine porcellana olandese e brocche colme di cioccolata e caffè fumanti. Sulle alzate per dolci, erano in bella vista biscotti baicoli e pane imburrato, con marmellate di albicocca e fichi, le preferite dalle giovani.
Mentre le sorelle si facevano servire la colazione, il padre, con tono solenne, cominciò un discorso che si preannunciava molto serio: «Care figlie, mi abbagliate con la vostra bellezza, e questa gioia mi riempie il cuore. Sarebbe una felicità perfetta, se anche vostra madre potesse essere qui, a godere come me del vostro splendore. Sapete come mi sia gravoso il peso della sua mancanza, ma voi lo alleggerite con la vostra meravigliosa presenza. Purtroppo mi è chiaro che presto dovrò rinunciare a questa gioia. Infatti, il mio fine, ora che siete cresciute, non sono più soltanto i commerci, ma riuscire a trovare per voi un buon marito, che vi garantisca una vita come vi meritate. L'ho promesso a vostra madre in punto di morte e intendo portare a termine questo mio intento, a ogni costo. Il vostro bene conta ora più di qualsiasi altro proposito».
Le giovani, ascoltando le accorate parole del padre, si ammutolirono e la commozione rigò di lacrime le guance di Lucrezia.
Adalgisa, invece, che teneva a freno sempre i suoi sentimenti, rispose al padre con un tono asciutto e incolore: «Caro padre, i vostri intenti sono lodevoli, ma è meglio che indirizziate le vostre attenzioni verso le mie dolci sorelle. A me è già chiaro che non prenderò marito. E spero che questa decisione vi sia gradita,
perché io continuerò a starvi accanto, al lavoro e a casa. E ne trarrete vantaggio soprattutto quando gli anni passeranno, e avrete bisogno della cura e dell'affetto di un parente e non di servitori furbi e non sempre affidabili».
«Neanche io, padre, penso di sposarmi, la trovo una prospettiva davvero poco interessante!» disse Giulia ridacchiando.
Lucrezia si accorse che quel discorso non era piaciuto al padre. Tentò di rassicurarlo: «Padre carissimo, non vi preoccupate per le parole precipitose di Adalgisa e Giulia, desiderano solo alleggerirvi del peso del vostro proposito. Se me lo permettete, io vi aiuterò a trovare i mariti adatti, cosicché possiate sentirvi al riparo da qualsiasi preoccupazione».
«Grazie, Lucrezia, per le tue parole rassicuranti e profonde» sospirò il padre, «ma mi vedo costretto a confessarvi qualcosa di cui mi vergogno profondamente.»
Alfonso Contarini si prese il viso fra le mani e cominciò a piangere.
Adalgisa pose lentamente la tazzina di caffè sul tavolo, si alzò in piedi, si avvicinò al padre e si fermò alle sue spalle. La sua espressione, contrita e per nulla sorpresa, dimostrava che fosse già a conoscenza del fatto che angustiava il padre. Appoggiò la mano sulla sua spalla e si fermò, con lo sguardo a terra.
Dopo qualche minuto, Alfonso rialzò il viso, si asciugò gli occhi e cominciò a spiegare: «Gli affari non vanno bene, abbiamo perso molti clienti a Costantinopoli, sembra che gli inglesi siano riusciti a piazzare delle stoffe ai nostri clienti ottomani a un prezzo più concorrenziale. Neanche i bachi da seta delle campagne stanno producendo come dovrebbero, è stata una brutta annata. Negli ultimi mesi il nostro patrimonio si è quasi dimezzato, e saremo obbligati a vendere campi
e beni per le vostre doti. La mia speranza è che si facciano avanti dei pretendenti disposti a investire nei nostri affari, per riuscire a risollevarci».
«Padre, io ho un'idea per guadagnare. Ho sentito che qualcuno lavora il corallo della Dalmazia» buttò là Giulia, con il desiderio bruciante di essere di aiuto.
Anche Lucrezia si alzò, e cinse il collo dell'uomo più importante della sua vita. «Sono sicura che usciremo da questo difficile momento se rimarremo uniti, padre» affermò. «Se poi servirà sposarsi, lo faremo, non mi sembra affatto un triste sacrificio.»
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