A bocca chiusa

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Caro lettore, non potrò mai ringraziarti abbastanza di aver letto A bocca chiusa non si vedono i pensieri. Ho lavorato per anni in una scuola media statale, e debuttare come scrittore è stato un po’ come uscire da una bolla e ritrovarsi di colpo in un mondo sconvolgente e stimolante, ma anche molto reale e frenetico. Per scrivere il romanzo, mi sono ispirato in parte alla mia esperienza personale di genitore che ha adottato una ragazza autistica. Nel libro Ginny, un’adolescente autistica, è stata in affido per alcuni anni e finalmente è stata adottata da una famiglia che le vuole bene. Eppure non riesce a sentirsi del tutto a casa e cerca in tutti i modi di farsi rapire dalla madre naturale. In un certo senso mia moglie e io abbiamo dovuto affrontare una sfida simile (anche se molto meno drammatica) con nostra figlia. Quando è arrivata a vivere con noi eravamo eccitati e pieni di entusiasmo, ma abbiamo realizzato in fretta che per lei non saremmo mai stati abbastanza: non ci sono affetto e sostegno che possano compensare la perdita di un genitore. Per fortuna nostra figlia non ha mai provato a scappare di casa o a fare quello che Ginny combina nel romanzo. Ma è stata proprio la forza con cui desiderava tornare alla sua famiglia d’origine a ispirare la straordinaria determinazione della protagonista, Ginny. Spero che questo romanzo riesca a dare voce ai bambini inseriti nel circuito delle adozioni temporanee e faccia capire quali difficoltà devono affrontare. L’affido e l’adozione possono fare la differenza non solo nella vita dei bambini ma anche in quella dei genitori. Non siamo completi finché non siamo parte di qualcosa di più grande di noi stessi, e quindi non potrò mai ringraziarti abbastanza (in quanto membro della comunità letteraria, che ho sempre sentito vicino come una famiglia), per aver letto e sostenuto questo libro. Grazie ancora,

Benjamin Ludwig



benjamin ludwig

a bocca chiusa non si vedono i pensieri

Traduzione di Cl audia Lionetti


ISBN 978-88-6905-194-4 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: Ginny Moon Park Row Books © 2017 Benjamin Ludwig Pubblicato per accordo con Folio Literaly Management, LLC e Susanna Zevi Agenzia Letteraria Traduzione di Claudia Lionetti Realizzazione editoriale: studio pym / Milano Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins giugno 2017


Per mia moglie Ember, una donna dal cuore generoso



Martedì 7 settembre Ore 18:54

La bambola elettronica non la smette di piangere. I miei Genitori Per Sempre hanno detto che do­ vrebbe essere come una bambina vera ma non lo è. Non riesco a farla contenta. Nemmeno se la cullo. Nemme­ no se le cambio il pannolino e le do il biberon. Quando le dico su, su, da brava e lascio che mi succhi il dito non cambia espressione e grida grida grida. La stringo ancora una volta e nel cervello mi ripe­ to Piano e delicata, piano e delicata. Poi provo tutte le cose che faceva Gloria quando davo di matto. Le metto una mano dietro la testa e mi muovo avanti e indietro in punta di piedi. «Va tutto bene. Va tutto bene» dico. Con il tono che va su e giù come una canzone. E poi: «Mi di­ spiace tanto». Ma non vuole saperne di smettere. La stendo sul mio letto e quando il pianto diventa più forte cerco la mia Bambolina. Quella vera. Anche se so che non c’è. L’ho lasciata nell’appartamento di Glo­ ria ma i bambini che strillano mi fanno diventare tanto

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tanto ansiosa e quindi devo mettermi a cercare. È come una regola che ho nel cervello. Cerco nei cassetti. Cer­ co nell’armadio. Cerco ovunque potrebbe esserci la mia Bambolina. Persino nella valigia. La valigia è grande e nera e a forma di scatola. La tiro fuori da sotto il letto. La cer­ niera ci gira tutto intorno. Ma la mia Bambolina non è lì dentro. Faccio un bel respiro. Devo farla smettere di pian­ gere. Se la metto nella valigia e ci metto anche abba­ stanza coperte e peluche e la spingo di nuovo sotto il letto forse non la sentirò più. Sarà come mettere via il rumore nel mio cervello. Perché il cervello è nella testa. È un posto buio buio buio dove solo io riesco a vedere le cose e nessun altro. Ed è quello che faccio. Metto la bambola elettronica nella valigia e prendo le coperte. Gliele metto in faccia e poi ci metto anche un cuscino e tanti peluche. Tra pochi minuti il rumore smetterà. Perché per piangere bisogna poter respirare.

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Martedì 7 settembre Ore 19:33

Ho finito di fare la doccia ma la bambola elettronica piange ancora. Ormai avrebbe dovuto smettere e inve­ ce no. I miei Genitori Per Sempre sono seduti sul divano e guardano un film. La mia Mamma Per Sempre ha i pie­ di in un catino d’acqua. Dice che ultimamente sono gonfi. Entro in soggiorno e mi metto davanti a lei e aspetto. Perché è una donna. Mi sento molto più a mio agio con le donne che con gli uomini. «Ciao, Ginny» dice mentre il mio Papà Per Sempre preme il tasto per mettere in pausa. «Che c’è? Hai la fac­ cia di chi ha qualcosa da dire.» «Ginny…» interviene il mio Papà Per Sempre. «Hai ricominciato a tormentarti le dita? Sanguinano.» Sono due domande di fila perciò non dico nulla. «Ginny, cosa c’è che non va?» prosegue la mia Mam­ ma Per Sempre. «Non voglio più la bambola elettronica» rispondo. Si toglie i capelli dalla fronte. Mi piacciono tanto i

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suoi capelli. Quest’estate mi ha permesso di farle i codi­ ni. «Sei stata quaranta minuti sotto la doccia. Hai pro­ vato a farla smettere? Tieni. Usa questo, adesso prendia­ mo i cerotti.» Mi allunga un tovagliolo. «Le ho dato il biberon e l’ho cambiata tre volte. L’ho cullata ma non la smetteva e allora l’ho…» Non dico più nulla. «Adesso fa un suono diverso» osserva il mio Papà Per Sempre. «Non pensavo che potesse gridare tanto forte.» «La fai smettere tu per favore?» chiedo alla mia Mamma Per Sempre. E poi ripeto: «Per favore?». «È stupendo sentirti chiedere aiuto» risponde. «Pa­ trice ne sarebbe orgogliosa.» Dal corridoio arriva di nuovo il pianto e cerco un posto dove nascondermi. Perché ricordo che Gloria usci­ va sempre dalla sua camera quando non riuscivo a far smettere la mia Bambolina. Soprattutto se era con un amico uomo. Ogni tanto quando non smetteva di pian­ gere e sentivo che lei arrivava prendevo la mia Bambo­ lina e scappavo dalla finestra. Stringo forte il tovagliolo e chiudo gli occhi. «Se la fai smettere chiederò sempre aiuto» dico e poi li riapro. «Vado a dare un’occhiata» risponde il mio Papà Per Sempre. Si alza. Quando mi passa vicino io indietreggio. Poi mi accorgo che non è Gloria. Mi guarda in modo strano e va in corridoio. Sento che apre la porta della mia ca­ mera. Il pianto diventa ancora più forte.

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«Non so se questa cosa funziona» dice la mia Mam­ ma Per Sempre. «Volevamo che ti rendessi conto di cosa significa avere un bambino vero in casa, ma non sta an­ dando come avevamo programmato.» Il pianto in camera mia diventa fortissimo. Il mio Papà Per Sempre esce. Ha una mano fra i capelli. «L’ha messa nella valigia» dice. «Cosa?!» «Ho seguito il suono. All’inizio non riuscivo a ve­ derla. Ci ha infilato dentro anche una pila di coperte e di peluche, ha richiuso la cerniera e ha rimesso la vali­ gia sotto il letto» spiega. «Ginny, perché hai fatto una cosa del genere?» chie­ de la mia Mamma Per Sempre. «Non smetteva di piangere» rispondo. «Sì, però…» «Senti, se non la finiamo qui, questa storia ci farà diventare tutti matti» la interrompe il mio Papà Per Sempre. «Ho provato a farla smettere, ma non ci sono riuscito neanch’io. Per me siamo arrivati al punto di non ritorno. Chiamiamo la signora Winkleman e basta.» La signora Winkleman è l’insegnante di educazio­ ne sanitaria. «Stamattina ha detto di aver dato a Ginny un nu­ mero per le emergenze» risponde la mia Mamma Per Sempre. «L’ha scritto su un foglietto. Guarda nel suo zaino.» Lui torna in corridoio e poi in camera mia. Mi co­ pro le orecchie con le mani. Riappare con il mio zaino. La mia Mamma Per Sempre trova il foglietto e pren­

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de il cellulare. «Signora Winkleman? Sì, sono la mam­ ma di Ginny. Mi scusi se la chiamo a quest’ora, ma temo proprio che abbiamo un problema con la bambola.» «Non preoccuparti, Figlia Per Sempre» mi dice il mio Papà Per Sempre. «Tra pochi minuti sarà tutto fini­ to, così potrai prepararti per andare a letto. Mi dispiace che sia stata un’esperienza pesante e snervante. Erava­ mo davvero convinti che…» La mia Mamma Per Sempre mette giù il telefono. «Dice che sulla nuca c’è un buco, bisogna infilarci una graffetta e premere il tasto, così si spegne.» Lui va nello studio e poi esce e va nella mia came­ ra. Inizio a contare. Quando il pianto smette sono arri­ vata a dodici. E adesso posso respirare di nuovo.

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Mercoledì 8 settembre Ore 14:27

Prima ero alla lezione della quarta ora che sarebbe scienze sociali e la signora Lomos è entrata in classe per darmi un messaggio. È la mia consulente scolastica. In­ dossa grossi orecchini a cerchio e si trucca un sacco. «I tuoi genitori verranno a scuola per un incontro» ha det­ to. «Poi ti riportano a casa, perciò, quando senti le co­ municazioni del pomeriggio e la campanella che suona, resta nell’aula cinque con la signorina Dana. Potrai fare i compiti per un po’, fin quando non ti chiameranno. Vogliono che ci sia anche tu.» Adesso sono nell’aula cinque dove vado per le lezioni di inglese con gli altri ragazzi speciali. Perché io soffro di autismo e disabilità dello sviluppo. Ieri nessuno mi ha detto che oggi ci sarebbe stato un incontro. Im­ magino riguardi la bambola elettronica. La signorina Dana sta controllando gli alunni che salgono sui pullmini della scuola per tornare a casa. Dalla finestra vedo che indossa il solito gilet arancione. È vicina al pullmino numero 74. Che è il mio. Dietro e

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davanti ce ne sono altri. File e file di ragazzi ci salgono. In corridoio chi deve fare sport si prepara per gli alle­ namenti. Alison Hill e Kayla Zadambidge sono già an­ date via. Sono le altre due che vengono nell’aula cinque con me e Larry. Di solito i pullmini partono alle 14:30 ma tre minuti non mi bastano per andare su Internet. È da un bel po’ di tempo che provo ad andarci da sola perché non ho il per­ messo di farlo senza un adulto. Un giorno che ero con Carla e Mike mi sono infilata il portatile di Carla sotto il maglione e l’ho portato nel ripostiglio. Stavo scrivendo su Google Gloria LeBla… ma non ho finito perché la por­ ta si è spalancata e Carla mi ha scoperto. Mi ha strappato il portatile e quando mi sono alzata mi si è messa davanti alla faccia e ha iniziato a gridare e strepitare. E io mi sono spaventata tanto tanto tanto. Un’altra volta ero a scuola a preparare una ricer­ ca sui grandi felini e ho scritto su Google Gloria vende essenzialmente gatti Maine Coon perché è così che gua­ dagna i soldi. Ma l’insegnante mi ha beccato e allora quando sono arrivata in questa nuova scuola e nella mia nuova Casa Per Sempre i miei nuovi Genitori Per Sempre hanno detto che non posso andare su Internet perché devono tenermi al sicuro. Poi Maura ha detto che lei e Brian mi vogliono bene e che Internet non è per niente sicuro. Non l’ha detto ma intendeva Non è per niente sicuro perché sappiamo che cerchi Gloria. La mia Mamma Per Sempre ha ragione perché Glo­ ria è nell’appartamento con la mia Bambolina. Non so in quale città siano. Devo sapere se ha trovato la mia Bam­

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bolina o se è passato troppo tempo e adesso è troppo tardi. Se non è troppo tardi devo tirarla subito fuori dalla valigia e prendermi cura di lei perché a volte Gloria va via per giorni interi. E poi ha tanti amici uomini che la vengono a trovare. E si arrabbia e picchia. E poi a volte Donald è in città. Vorrei tanto poter essere più presente, ma non posso, mi ripeteva sempre Crystal con la C quando le raccontavo quello che faceva Gloria. Perciò, mi raccomando, prenditi cura della tua Bambolina, proprio come ti dice la mamma. Sarà sempre la tua piccolina, sempre e comunque. Esco dal mio cervello e mi tormento le dita. Larry entra. Mette lo zaino sul banco e appoggia i tutori per le braccia alla parete e si siede. I tutori per le braccia sono come stampelle ma si attaccano al corpo. Lo fanno sembrare una cavalletta. Larry ha i capelli e gli occhi castani. Io ho gli occhi verdi. E non la smette mai di cantare e non gli piace la matematica quanto in­ vece piace a me. «Ciao, piccola» dice. «Larry io non sono piccola» dico io allora. «Ho tre­ dici anni. Non lo sai ancora? È così tedioso.» Tedioso è quando ripeti una cosa un sacco di volte e gli altri si stufano come quando Patrice continuava a ripetermi che ero un po’ una bambolina anch’io quando ero nell’appartamento con Gloria. È quello che mi di­ ceva quando provavo a spiegarle che dovevo andare a controllare la mia Bambolina. Non capiva. Larry stiracchia le braccia e sbadiglia. «Sono proprio stanco. È stata una giornata lunghissima» dice. «Mi tocca restare fin quando mia madre non mi viene a prendere per andare agli allenamenti di pallavolo di mia sorella.»

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«Mentre aspetti dovresti fare i compiti» dico, per­ ché è quello che la signora Lomos ha detto a me. Pren­ do il libro di inglese e lo apro a pagina 57 dove c’è una poesia di Edgar Allan Poe. «Naaa. Meglio controllare Facebook. Mi sono iscrit­ to ieri.» Si alza e rimette i tutori e va al computer. Io lo se­ guo con gli occhi. «Tu ce l’hai, Facebook?» chiede quando lo raggiun­ go. Senza girarsi. Si mette a digitare. Mi guardo le mani. «No» rispondo. «E allora, piccola, rimediamo subito.» Mi guarda. «Vieni, ti faccio vedere. Ce l’hanno tutti i tipi fighi, ci sei?» Larry dice sempre ci sei? Ci sei? è essenzialmente un modo di dire. «Non ho il permesso di usare Internet senza un adulto» rispondo. «Sì, me lo ricordo. Perché i tuoi non te lo fanno usare?» «Perché Gloria è su Internet.» «Chi è Gloria?» «Gloria è la mia Mamma Biologica. Prima vivevo con lei.» Smetto di parlare. «Ed è facile da trovare?» Scuoto la testa. «No. Ho provato tre volte a cercar­ la su Internet quando ero in altre Case Per Sempre ma continuavano a interrompermi.» «Com’è che si chiama?» «Gloria.» Mi alzo. Mi sento elettrizzata e pronta perché so che Larry mi aiuterà.

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«Gloria come?» Mi sporgo in avanti e lo guardo di traverso da so­ pra gli occhiali. Spingo indietro i capelli, ma mi rica­ dono in faccia. Quanto vorrei avere un elastico. «Gloria LeBlanc» rispondo. È da tanto che non dico il cognome LeBlanc. Per­ ché è così che mi chiamavo. È come se mi fossi lasciata la vera me alle spalle quando sono venuta a vivere con i miei nuovi Genitori Per Sempre. Con Brian e Maura Moon. Adesso mi chiamo Ginny Moon ma è rimasto an­ cora qualcosa della vera me. Quindi è come se fossi di­ ventata la vera Ginny Moon. «Come si scrive?» chiede e io glielo dico. Larry digi­ ta e poi si allontana e indica una sedia. Mi siedo. E la vedo. Gloria che mi picchiava e dopo mi abbracciava piangendo. Gloria che mi lasciava sempre da sola a casa ma mi dava cose buone da bere quando guardavamo i film con i mostri sul divano. Gloria che diceva di essere sveglia alla faccia di chi dice il contrario perché aveva preso il diploma da privatista con il massimo dei voti, e nel cer­ vello immaginavo una sfilata di ragazze con delle belle gonne che facevano roteare bastoni colorati e gridavano di felicità. Gloria, la seconda persona più spaventosa che co­ nosco. Gloria, la mia Mamma Biologica. La testa e la camicetta di Gloria sono essenzialmen­ te diverse ma almeno ha foto di Maine Coon su tutta la pagina. E porta ancora gli occhiali ed è tanto tanto tanto

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magra come me. Non la vedo e non le parlo da quando avevo nove anni. Da quando la polizia è arrivata e lei ha detto: «Mi dispiace! Ginny, mi dispiace!». Adesso ho tre­ dici anni ma ne compio quattordici il 18 settembre cioè tra nove giorni perché: 18 settembre – 9 settembre = 9 E avevo nove anni quando sono andata nella prima Casa Per Sempre. «Piccola?» dice Larry. Sta parlando con me. Esco dal mio cervello. «Cosa?» «Vuoi vedere se è online per chattare?» Sono elettrizzata. Perché chattare significa parlare. Larry indica un punto sullo schermo. «Qui» dice. «Clicca qui.» Clicco e vedo la casella dove posso digitare. «Scrivi quello che vuoi dirle» spiega. «Scrivi ciao e chiedile qualcosa.» Io non voglio dirle ciao. Allora digito la domanda che continuo a fare a tutti e che nessuno capisce mai mai mai: Hai trovato la mia Bambolina? E aspetto. «Devi cliccare su Invia» spiega Larry.

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Ma non lo sento perché le immagini della polizia e di Gloria e della cucina si muovono così in fretta che non riesco a vedere altro. Sono di nuovo nel profondo del mio cervello. Vedo Gloria con la faccia schiacciata contro la parete e la polizia che ce la tiene ferma. Vedo la porta sfondata e la luce che entra dall’esterno e due gatti che scappano fuori. Non ricordo quali. «Aspetta» sento dire a Larry. «Faccio io.» Vedo la freccia che si muove sullo schermo. Tocca il tasto Invia e io inizio a contare perché se succede qualco­ sa io devo capire fino a quanto posso contare prima che succeda soprattutto se è la risposta che aspetto da quat­ tro anni. Sei secondi. Poi sullo schermo appaiono delle paro­ le sotto quelle che ho digitato io. Le parole sono: Ginny, sei tu? Non è la risposta alla mia domanda. Vorrei tor­ mentarmi le dita ma non posso perché sullo schermo c’è una domanda e tocca a me digitare. Allora scrivo: Sì sono Ginny. Non hai risposto alla mia domanda. E clicco su Invia come mi ha mostrato Larry. Un’altra parola lampeggia sullo schermo. È in maiu­ scolo e grida. La parola è: SÌ! E poi:

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SÌ ABBIAMO TROVATO LA TUA BAMBOLINA MA TU DOVE CAVOLO SEI?! Vorrei scrivere Ti stai prendendo cura di lei? ma mi tremano le mani e non riesco a convincerle a ubbidire. E poi Gloria ha fatto una domanda. Apro e chiudo i pu­ gni per tre volte e li metto fra le ginocchia e poi li ritiro fuori e digito: Nell’aula cinque con Larry. E allora lei scrive: CHI È LARRY QUAL È IL TUO INDIRIZZO? Adesso mi tormento le dita. Devo perché non vo­ glio parlare di Larry o del mio indirizzo. Voglio parla­ re solo della mia Bambolina. Perché anche se Gloria ha scritto SÌ! e ABBIAMO TROVATO LA TUA BAMBOLINA non so se dice la verità o se la mia Bambolina sta bene per davvero. Perché Gloria è inaffidabile e incoerente ed è quella che dice bugie. Perciò apro e chiudo i pugni altre due volte e ricor­ do di respirare e poi digito: Larry è un amico. 57 Cedar Lane Greensbo… Smetto di scrivere perché sento la signorina Dana in corridoio. Sento che sta parlando con qualcuno. Forse con un altro insegnante. Il che significa che fra un mi­ nuto mi beccheranno. «Piccola?» fa Larry. È in piedi alle mie spalle. La sua voce è ansiosa. Allora scrivo: Devo andare. Appena clicco Invia però vorrei aggiungere: Ti prego ti prego ti prego mi porti la

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mia Bambolina? ma non è più il mio turno e la signorina Dana sarà qui a momenti. Scatto in piedi per allontanarmi dal computer. Poi qualcuno mi tocca la spalla e io indietreggio. Per poco non cado. Quando mi accorgo che è solo Larry e che nessuno mi farà del male abbasso il braccio e guardo verso lo schermo dove c’è un’altra parola. MANICOON.COM E poi: MI TROVI QUI SE HAI BISOGNO. E poi: ’FANCULO ARRIVO DOMANI SONO LÌ. Sposto lo sguardo. Non vedo Gloria o l’appartamen­ to o la mia Bambolina. Vedo solo Larry con un braccio fuori dal tutore e la mano alzata. «Ehi, bella» dice. «Tut­ to a posto? Dài, vieni. Dobbiamo sederci e tirare fuori i libri.» Si morde un labbro e aggiunge: «Adesso spengo il computer. Non andare fuori di testa, okay?». Allunga la mano sul mouse e clicca su Esci e poi sulla X nell’an­ golo dello schermo. Va al suo banco e si siede. Pure io mi siedo al mio banco e sfrego via lo sporco dalle mani e guardo la fotografia di Edgar Allan Poe. La signorina Dana entra. «Ginny, i tuoi genitori ti aspettano nell’ufficio della signora Lomos» dice.

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Mi alzo e prendo il mio zaino ed esco dall’aula. Ap­ pena sono nel corridoio mi metto a correre. Corro toc­ cando la parete con le dita. Se non tocco qualcosa potrei cadere e corro corro corro. Sono ancora elettrizzata ma ho anche paura. Perché Gloria sta arrivando. Sta venendo qui.

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Ringraziamenti

In qualità di autore di questo libro indosso una doppia veste: quella di scrittore e quella di genitore adottivo. Di conseguenza, devo ringraziare tutti coloro che mi han­ no sostenuto mentre scrivevo e anche chi ha partecipato al viaggio che mi ha spinto a decidere di adottare. Per­ ciò, in rigoroso ordine cronologico… Voglio ringraziare i miei genitori, che mi hanno fat­ to capire fin da subito che dei bambini bisogna prender­ si sempre cura come la cosa più preziosa che abbiamo e che sono i benvenuti in qualsiasi momento. Grazie a Claudio e Liz, che hanno letto una dopo l’altra tutte le pagine dei miei scritti quando frequenta­ vamo la seconda e la terza media. Continuavate a chie­ derne ancora e dicevate di esserne conquistati, ma in realtà sono state le vostre parole a spronarmi. Grazie al professor John Yount, mio mentore all’U­ niversità del New Hampshire, che mi ripeteva: «Non insegnare. Se proprio devi fai il cameriere, ma non inse­ gnare». Ho scelto comunque la via dell’insegnamento, però i suoi consigli mi hanno fatto capire che la scrittu­ ra avrebbe potuto essere importante quanto l’insegna­

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mento, se non addirittura di più. Grazie ai professori Margaret Love-Denman, Mark Smith e Sue Wheeler, in­ contrati sempre durante gli anni di studio all’Università del New Hampshire. Voglio ringraziare mia moglie Ember per l’entusia­ smo con cui si è addentrata nel mondo dell’affidamen­ to e dell’adozione, e per aver letto e riletto centinaia di pagine. Grazie ad Ariane, nostra figlia: il suo amore per Michael Jackson ha ispirato la passione di Ginny. Grazie a Karen Magowan, a Patricia Pettegrow e a tutti gli altri assistenti sociali del Department of Health and Human Services del Maine e della Division for Children, Youth and Families del New Hampshire. Gra­ zie a tutti i genitori affidatari, ai genitori adottivi e ai ge­ nitori di bambini con bisogni speciali che ho conosciuto in questi anni. Per me siete e sarete sempre un modello da seguire, i miei mentori. Grazie a Jeff Kleinman, il mio agente alla Folio Lite­ rary Management, per aver risposto al richiamo di Gin­ ny e per aver creduto in lei. Grazie a Molly Jaffa, diret­ trice dell’ufficio diritti della Folio. Grazie a Russell Dame per aver letto l’intero mano­ scritto senza mai un attimo di stanchezza e per i prezio­ sissimi commenti e suggerimenti in fase di revisione. Grazie a James Engelhardt della University of Illinois Press per il feedback dato a una prima bozza. Grazie a Justin Pagnotta e a Mark Holt-Shannon della Dover Middle School per le intuizioni, il sostegno e i consigli nelle varie fasi della stesura. Grazie a Kate Luksha, Jim­ my Roach e Jayce Russell che hanno letto brevi passi

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durante i laboratori organizzati dall’Università del New Hampshire. Grazie a Ann Joslin Williams, responsabile dei nostri laboratori. Grazie a Liz Stein, la mia editor alla Park Row, per aver celebrato l’umanità di Ginny e per averne difeso la dignità a spada tratta. Grazie anche alla redattrice Libby Sternberg, alla correttrice di bozze Bonnie Lo e a Amy Jones, Julie Forrest, Sheree Yoon, Stefanie Buszyn­ ski e Shara Alexander del reparto marketing e promo­ zione. Tendiamo a prestare ascolto a chi grida più forte, a chi pretende la nostra attenzione. Con tanto rumore, è facile dimenticare chi non è in grado di comunicare i propri bisogni. Alcuni – in particolare i bambini allon­ tanati dalle loro famiglie e i bambini che sono entrati nel sistema – spesso non credono che a qualcuno possa importare dei loro bisogni. E come potrebbe essere al­ trimenti, in una società che hanno imparato a conosce­ re attraverso le loro esperienze? Una delle mie speranze con A bocca chiusa non si vedono i pensieri era di riuscire a dar voce a coloro che, esattamente come Ginny, faticano a far valere le proprie ragioni. Spero anche che questo mio romanzo possa ispirare altri ad aiutare i bambini in affidamento. Sono davvero moltissimi. Al riguardo ho la mia da dire: www.benjaminludwig.com.

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Questo volume è stato stampato nel maggio 2017 presso la Rotolito Lombarda - Milano




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