A mosca cieca

Page 1


FAYE KELLERMAN

A MOSCA CIECA traduzione di Anna Ricci


ISBN 978-8-85894-962-7 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Blindman's Bluff Harper An Imprint of HarperCollins Publishers © 2009 Plot Line, Inc. Traduzione di Anna Ricci Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers LLC, New York, U.S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins giugno 2016


Dedica

A Jonathan, mia inesauribile fonte d'ispirazione.

1


1

Ah, la fantasia, essenza della vita. Mentre si vestiva per andare al lavoro, si mise davanti allo specchio e si trovò di fronte l'immagine di un bell'uomo alto circa un metro e novantatré... No. Troppo alto. Aveva davanti un uomo sul metro e ottantacinque, di una bellezza diabolica, snello, con una massa di capelli da surfista schiariti dal sole e occhi di un azzurro soprannaturale, così intenso che ogni volta che una donna si trovava a incrociarli era costretta a distogliere lo sguardo per l'imbarazzo. Be', la parte sugli occhi probabilmente era vera. Così, invece? Lo specchio gli rimandava l'immagine di un volto spigoloso incorniciato da una folta cascata di capelli scuri e ricci, con un sorriso timido che faceva venir meno le donne, fanciullesco e affascinante eppure al tempo stesso così virile. Sentì le labbra incurvarsi in un sorriso e si passò le dita tra le ciocche ricciolute, che erano piuttosto sottili: non che si stessero diradando, solo non avevano una fibra molto spessa. Stringendo il nodo della cravatta se la sistemò intorno al colletto e ne tastò il tessuto: era seta di prima qualità, pesante, dipinta a mano con una gamma di colori che potevano accordarsi con quasi qualsiasi capo d'abbigliamento avesse scelto a caso dal suo armadio. Mentre si sistemava la camicia nei pantaloni, si passò le mani sugli addominali scolpiti, ottenuti grazie ad allenamento, sollevamento pesi e un regime alimentare rigidissimo. Come accadeva a quasi tutti i body builder, i suoi muscoli avevano un gran 7


bisogno di proteine, il che non era un problema finché riusciva a evitare il grasso. Perciò ogni volta che si guardava allo specchio apprezzava quello che vedeva. E ancor di più apprezzava quello che immaginava di vedere. Decker era sinceramente perplesso. «Non capisco come tu abbia superato il voir dire.» «Forse il giudice mi ha creduto quando ho detto di poter essere oggettiva» rispose Rina. Lui emise un grugnito mentre aggiungeva del dolcificante al caffè. L'aveva sempre bevuto amaro, ma negli ultimi tempi aveva sviluppato una certa preferenza per il gusto dolce, soprattutto dopo un pasto a base di carne. Non che la cena fosse stata pesante: bistecche di diaframma e insalata. Preferiva una cucina semplice, quando erano solo loro due a mangiare. «Anche se il giudice ti ha ammessa, l'avvocato d'ufficio avrebbe dovuto farti schiodare l'attraente fondoschiena dalla giuria.» «Forse il difensore pubblico ha creduto che potessi essere obiettiva.» «Sono diciotto anni che mi senti lamentare e lanciare anatemi per il triste stato in cui versa il sistema giudiziario. Come puoi essere oggettiva?» Rina sorrise dietro la tazza di caffè. «Dai per scontato che creda a ogni parola che dici.» «Grazie mille.» «Essere la moglie di un tenente detective non mi ha privato di ogni traccia di razionalità. So pensare con la mia testa e ragionare come tutti gli altri.» «A me sembra che tu abbia una gran voglia di partecipare.» Decker prese un sorso di caffè, forte e dolce. «Meglio per te, mia cara. È di questo che le nostre giurie hanno bisogno: persone intelligenti che fanno il loro dovere di cittadini.» Le rivolse un sorriso malizioso. «O magari il fatto è che all'avvocato d'ufficio piace averti davanti agli occhi.» «L'avvocato è una donna, ma perché no?» Decker rise. Guardare Rina piaceva a chiunque. Con il passare degli anni le era spuntato qualche segno d'espressione sul viso, ma aveva ancora un aspetto magnifico: un incarnato d'alabastro con un tocco di rosa sugli zigomi, capelli di seta neri e occhi color fiordaliso. 8


«Non è che non volessi tirarmene fuori» spiegò Rina. «È solo che, superato un certo punto, se vuoi essere esclusa devi cominciare a mentire. Dire cose del tipo: "No, non potrei mai essere oggettiva", passando per una perfetta idiota.» «Di che caso si tratta?» «Sai che non posso parlarne.» «Eddai!» Decker diede un morso a un biscotto zuccherato preparato dalla figlia di sedici anni. Qualche briciola gli si fermò sui baffi. «A chi dovrei andare a raccontarlo?» «Magari a tutto il tuo reparto?» ribatté Rina. «Per caso devi comparire in giudizio a Los Angeles, a breve?» «Non che io sappia. Perché?» «Pensavo che potremmo pranzare insieme.» «Ma sì, facciamo una follia e sperperiamo i quindici dollari al giorno che ti dà il tribunale.» «Più la benzina, ma solo all'andata. In effetti fare il giurato non porta alla ricchezza, questo è certo. Perfino vendere il sangue paga di più. Ma faccio il mio dovere civico e dato che il tuo mestiere è servire la legge, dovresti essermi grato.» Decker le diede un bacio in fronte. «Sono molto fiero di te, stai facendo la cosa giusta. E non ti chiederò più nulla sul caso. Dimmi solo che non si tratta di omicidio, per favore.» «Non posso risponderti sì o no, ma dato che hai visto il peggio dell'umanità e hai una fantasia molto vivida, posso dirti di non preoccuparti.» «Grazie.» Decker guardò l'orologio. Erano le nove di sera passate. «Hannah non aveva detto che sarebbe stata a casa a quest'ora?» «Sì, ma conosci tua figlia. Per lei il tempo è un concetto astratto. Vuoi che la chiami?» «Pensi che risponderà al cellulare?» «Forse no, soprattutto se sta guidando... aspetta. Questa è lei.» Un attimo dopo la ragazza entrò come un fulmine dalla porta d'ingresso con in spalla uno zaino che doveva pesare una tonnellata e in mano due sacchetti di carta pieni di viveri. Decker le prese lo zaino e Rina si occupò del cibo. «Come mai tutta questa roba?» chiese Rina. «Ho invitato qualche amica per lo Shabbat. A parte i dolci che preparo al forno, in casa non abbiamo mai niente di buono. Vuoi che metta via la spesa?» 9


«Ci penso io» disse Rina. «Tu stai un po' con tuo padre. Era preoccupato per te.» Hannah guardò l'orologio. «Sono solo le nove e dieci.» «So di essere iperprotettivo, ma non mi interessa. Non cambierò mai. E se non abbiamo schifezze in casa è per evitare di mangiarle.» «Lo so, Abba. E dato che sei tu a pagare le bollette, rispetto i tuoi desideri. Però ho solo sedici anni e questa è forse una delle poche occasioni della mia vita in cui potrò mangiare cibo spazzatura senza ingrassare troppo. Guardando te e Cindy so che non resterò magra per sempre.» «Che ha Cindy che non va?» «È una ragazzona come me e tiene sotto stretto controllo il peso. Non sono ancora arrivata a quel punto, ma non manca molto al momento in cui il metabolismo mi si ritorcerà contro.» Decker si diede un colpetto sulla pancia. «E io cos'ho che non va?» «Non c'è niente che non vada in te, Abba. Sei in formissima per...» Hannah si interruppe. Le parole per la tua età restarono inespresse. Gli diede un bacio su una guancia. «Spero di trovare un marito bello come te.» Decker non poté fare a meno di sorridere. «Grazie, ma sono sicuro che tuo marito sarà molto più affascinante.» «Impossibile. Non esiste nessuno bello come te, e a parte qualche atleta, quasi nessuno ha la tua statura. A volte per una ragazza alta la vita è dura. Siamo costrette a non portare i tacchi per non svettare su tutta la classe.» «Non sei poi così alta.» «Lo dici solo perché tu vedi tutti bassi. Ho già superato Cindy, e lei è un metro e settantacinque.» «Se la superi non è di molto. E poi ci sono tanti ragazzi sopra il metro e settantacinque.» «Non tra i ragazzi ebrei.» «Io sono un ragazzo ebreo.» «Non tra i ragazzi ebrei che frequentano ancora il liceo.» A Decker quell'idea non dispiaceva. Significava che sua figlia doveva aspettare l'università per trovare un fidanzato. Hannah notò il suo sorrisetto. «Non sei molto partecipe del mio dramma.» «Mi spiace di averti dato in eredità il gene del gigantismo.» 10


«Non c'è problema» disse Hannah. «Comporta dei vantaggi, nonostante gli svantaggi siano molti di più. Se sei alta e magra e ti vesti in modo carino, la gente pensa che vuoi fare la modella e che non hai un briciolo di sale in zucca.» «Sono sicuro che le tue amiche sapranno consolarti.» «Ma ne sto parlando con te, non con le mie amiche.» Guardò il tavolo della sala da pranzo. «Ti sono piaciuti i biscotti?» «Anche troppo. È proprio per questo che non voglio cibo spazzatura in casa.» «Abba, goditi i biscotti» rispose lei. «La vita è corta, anche se tu non lo sei.» Cominciò come un leggero tintinnio di sottofondo nei suoi sogni, finché Rina non si rese conto che era il telefono. Era Marge Dunn. «Devo parlare con il capo» disse con voce piatta. Rina guardò suo marito. Non si era mosso da quando si era addormentato, quattro ore prima. La sveglia sul comodino segnava quasi le tre del mattino. Dato che era un tenente, Peter non riceveva molte chiamate nel cuore della notte. La West Valley non brulicava di criminalità e la sua squadra scelta di investigatori della Omicidi di solito gestiva tutte le emergenze nelle prime ore del mattino. Gli assassinii erano rari, ma quando capitavano spesso erano terrificanti. Eppure, come in quel caso, non comportavano la necessità di svegliare il tenente alle tre del mattino. Una storia sensazionale era tutto un altro paio di maniche. Rina si passò la mano sulla pelle d'oca che le era venuta sulle braccia, poi con delicatezza scosse suo marito per svegliarlo. «È Marge.» Decker balzò a sedere sul letto e prese il ricevitore. Aveva la voce impastata dal sonno. «Che succede?» «Omicidio plurimo.» «Santo Dio...» «All'ultimo conteggio c'erano quattro persone assassinate e un tentato omicidio. Stanno portando il sopravvissuto, un figlio della coppia uccisa, al St Joe; gli hanno sparato, ma forse se la caverà.» Decker si alzò e afferrò la camicia, cominciando ad abbottonarla mentre parlava. «Chi sono le vittime?» 11


«Tanto per cominciare, Guy e Gilliam Kaffey... sai, quelli delle Kaffey Industries.» Restò senza fiato. Guy e suo fratello minore, Mace, erano proprietari di quasi tutti i centri commerciali della California meridionale. «Dove?» «Al Coyote Ranch.» «Qualcuno ha fatto irruzione nel ranch?» Si incastrò il telefono tra il mento e la spalla mentre si infilava i pantaloni. «Credevo che quel posto fosse una fortezza.» «Non saprei, ma è enorme... Ventotto ettari confinanti con le colline pedemontane. Per non parlare della villa principale. È una città a sé stante.» A Decker tornò in mente un articolo che aveva letto tempo addietro su una rivista a proposito del ranch. Era formato da una serie di edifici, anche se il corpo principale era abbastanza grande da ospitare una convention. Inoltre c'erano l'immancabile piscina, una vasca idromassaggio e un campo da tennis. C'erano anche un canile, una pista per cavalli abbastanza grande per svolgerci le gare olimpiche equestri, una stalla con dieci box per i cavalli da esposizione della signora Kaffey, una pista d'atterraggio per aerei a elica e un'uscita della superstrada dedicata. Circa un anno prima Guy Kaffey aveva fatto un'offerta per acquistare i Los Angeles Galaxy dopo che la squadra aveva preso David Bekcham, ma l'affare non era andato in porto. Decker ricordava che avevano due figli, e si chiese a quale dei due avessero sparato. «E le guardie del corpo?» «Erano due nel gabbiotto all'ingresso ed entrambe sono state uccise» rispose Marge. «Stiamo ancora cercando. La proprietà comprende qualcosa come dieci diverse strutture. Quindi forse troveremo altri corpi. Tra quanto puoi arrivare?» «Una decina di minuti, credo. Chi c'è laggiù adesso?» «Cinque o sei autopattuglie. Oliver ha fatto venire Strapp. Presto la stampa lo verrà a sapere.» «Chiudi la proprietà. Non voglio che i giornalisti inquinino la scena del crimine.» «Certo. Ci vediamo tra poco.» Decker attaccò e fece un elenco mentale di ciò che gli serviva: blocco, penne, guanti, sacchetti per raccogliere le prove, mascherine, lente d'ingrandimento, metal detector, vaselina e dell'Advil, quest'ultimo non a scopo medico-legale, ma per l'emi12


crania martellante dovuta al brusco risveglio da un sonno profondo. «Che succede?» gli chiese Rina. «Omicidio plurimo al Coyote Ranch.» Lei si mise a sedere. «Quello dei Kaffey?» «Sissignora. E quando arriverò troverò il caos, ne sono sicuro.» «È terribile!» «Sarà un incubo, dal punto di vista dell'organizzazione. Parliamo di una proprietà di quasi trenta ettari, e non c'è modo di chiuderla completamente.» «Lo so, è pazzesco. Circa un anno fa hanno fatto una specie di visita guidata per beneficenza. Ho sentito dire che i giardini sono una meraviglia assoluta. Volevo andarci, ma poi ho avuto un imprevisto.» «A quanto pare non avrai una seconda occasione.» Decker aprì la cassaforte con le armi, prese la Beretta e se la infilò nella fondina da spalla. «È brutto doverlo dire, ma sarò inflessibile. Avere a che fare con la stampa in casi da prima pagina come questo tira fuori il bastardo che è in me.» «Hanno chiamato i giornalisti alle tre e un quarto del mattino?» «La morte e le tasse non si possono fermare... e nemmeno i giornalisti.» Le diede un bacio sulla testa. «Ti amo.» «Anch'io ti amo.» Rina sospirò. «È davvero triste. Chi ha tutti quei soldi è una calamita per sanguisughe, truffatori e malintenzionati in generale.» Scosse il capo. «Non so se valga anche per l'essere troppo poveri, ma di sicuro essere troppo ricchi è un problema.» L'unico aspetto positivo di una chiamata nel cuore della notte era poter girare per la città senza traffico. Decker passò rapido per le strade vuote, avvolte dalle ombre e da una leggera foschia, a tratti rischiarate dalla luce dei lampioni. La superstrada era un nastro nero, misterioso e infinito che si perdeva nella nebbia. Nel 1994 il Southland era stato devastato dal terremoto di Northridge, un'apocalisse di novanta secondi che aveva abbattuto palazzi e fatto crollare i ponti in cemento armato delle autostrade. Se la scossa fosse arrivata appena qualche ora dopo, quando le strade erano affollate di pendolari, si sarebbero registrate de13


cine di migliaia di morti anziché un centinaio scarso. La rampa d'uscita di Coyote Road era chiusa da due auto della polizia, posizionate muso contro muso. Decker mostrò il badge che aveva al collo agli agenti, e dopo qualche istante le auto si allontanarono per lasciarlo passare. Uno dei due poliziotti gli diede indicazioni per il ranch. Doveva andare sempre dritto – non c'erano svolte da nessuna parte – e gli parve che la strada sterrata proseguisse per quasi due chilometri prima che l'edificio principale apparisse alla vista. E quando lo fece, cominciò a crescere come un mostro marino che emergeva dall'acqua per prendere aria. Le luci esterne erano state accese completamente, illuminando quasi ogni angolo e conferendo al luogo l'aspetto di un parco divertimenti. La villa era in stile coloniale spagnolo, e in qualche strano modo si accordava alla perfezione con i dintorni. Consisteva in tre piani di stucco color mattone con terrazze dai parapetti in legno, finestre a vetri colorati e un tetto dalle tegole in ceramica. La struttura poggiava su una collinetta artificiale e alle sue spalle c'erano un'immensa distesa di terreno libero e le propaggini delle colline. Circa duecento metri più avanti Decker vide un parcheggio in cui erano ferme sei autopattuglie, il furgone del medico legale, sei camioncini di emittenti televisive con antenne e satelliti, diversi furgoni della scientifica, altre otto macchine non identificate e ancora dei posti liberi. I media si erano sistemati per bene, con un'illuminazione artificiale sufficiente a eseguire un intervento di microchirurgia, perché ciascun canale e stazione della TV via cavo aveva la propria dotazione di faretti, telecamere e tecnici del suono, più produttori e giornalisti d'assalto in attesa di mettere insieme il pezzo. La folla cercava di avvicinarsi al centro dell'azione, ma era bloccata da una barriera di nastro giallo che delimitava la scena del crimine oltre che dalla presenza di agenti in uniforme. Dopo aver mostrato il distintivo, Decker passò sotto il nastro e raggiunse a piedi l'ingresso, superando labirinti di cespugli di bosso potati alla perfezione che tracciavano il confine dei giardini all'italiana. In mezzo agli arbusti c'erano diverse composizioni di fiori primaverili, tra cui rose, iris, narcisi, anemoni, dalie, zinnie, cosmee e decine di altri tipi che non riconobbe. Da qualche parte vicino a lui c'erano delle gardenie e dei gelsomini 14


notturni che infondevano alla morte la loro fragranza dolciastra. Il vialetto lastricato passava attraverso diverse file di agrumi in fiore. Limoni, immaginò Decker. C'erano due agenti a guardia della porta principale. Riconobbero il tenente e gli fecero cenno di entrare. Anche l'illuminazione interna era al massimo. L'atrio ricordava una sala da ballo di un castello spagnolo. Il pavimento era realizzato con pesanti assi di legno antico e robusto, irregolari, con una venatura che nessun procedimento artificiale avrebbe potuto riprodurre. Il soffitto era alto e decorato da travi intagliate e ornate di petroglifi, figure rupestri che ricordavano quelle rinvenute nel Southwest. Le pareti erano ornate da rivestimenti a pannelli e da arazzi grandi come quelli che si trovano nei musei. Decker sarebbe rimasto lì a guardarsi intorno a bocca aperta, rapito dall'immensità di quel luogo, se non avesse notato un'uniforme che gli faceva segno di andare avanti. Scese qualche gradino e si ritrovò in un soggiorno dal soffitto a doppia altezza sempre a travi dipinte. A terra c'era lo stesso pavimento in legno, quasi interamente coperto da decine di tappeti Navajo che avevano tutta l'aria di essere autentici. Anche lì c'erano pannelli decorativi e arazzi, intervallati da dipinti che rappresentavano battaglie sanguinose. La stanza era arredata con divani giganteschi, poltrone e tavoli. Decker era un omone di quasi cento chili, eppure le dimensioni dell'ambiente lo facevano sentire davvero piccolo. Udì qualcuno parlargli. «Questo posto è più grande del college che ho frequentato.» Decker guardò Scott Oliver, uno dei suoi migliori detective alla Omicidi. Aveva quasi sessant'anni portati benissimo, grazie alla pelle curata e ai capelli scuri perfettamente tinti. Erano le quattro del mattino, eppure Oliver era vestito come un direttore generale pronto per una riunione del consiglio: abito gessato nero, cravatta rossa e camicia bianca immacolata. «Era un college statale, ma il campus era comunque molto grande.» «Sai quanti metri quadrati sono?» «Più o meno diecimila.» «Accidenti, è...» Ma si interruppe, perché non sapeva cosa dire. Nonostante la folta presenza di agenti, sul pavimento o sui mobili non era stato messo alcun cartellino per segnalare le pro15


ve. Nessun agente della scientifica spargeva o raccoglieva polverine. «Dov'è la scientifica?» «Nella biblioteca.» «E dov'è la biblioteca?» «Aspetta» fece Oliver. «Prendo la mappa.»

16


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.