Alle sue condizioni

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Londra, 1874. Un passato da dimenticare, un futuro tutto da vivere. IL PRIMO ROMANZO DELLA SERIE SCANDALI A ST. JAMES’S.

Londra, 1862. Un libertino, un mistero, un ritorno alla vita. IL SECONDO VOLUME DELLA SERIE MACIAIN.

Inghilterra, 1828. Giustizia, vendetta… e amore. IL QUARTO VOLUME DELLA SONS OF SIN.

Inghilterra, 1814. Una facciata spensierata, troppi segreti. IL PRIMO VOLUME DELLA MINISERIE LA PICCOLA STAGIONE LONDINESE.

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Inghilterra, 1817 - Per Paul l’amore non era un progetto, eppure ora è fonte di gioia...ma è costretto a rinunciarvi a causa di un nemico sconosciuto che emerge minaccioso dal passato.

Londra 1811 - E se l’uomo giusto fosse quello più… inappropriato? Il quinto appuntamento con Le zitelle di Kempton.

Londra 1858 - Può un’eroina invischiata in pericolose indagini e che ha a che fare con un libertino trovare il suo lieto fine? Il terzo romanzo della serie Seduction Diaries.

Chiamato a compiere il suo dovere al servizio del Ducato di Bretagna, il Conte Tristan des Iles ha dovuto abbandonare la moglie dopo le nozze. Ma l’amore è più forte della distanza… Quinto volume della miniserie Knights of Champagne.

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Anna Del Mar

Alle sue condizioni


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: At The Brink Carina Press © 2016 Anna Del Mar Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion maggio 2017 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 126 del 11/05/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 del 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Lily L'abito di seta che trovai sul divano annunciava la fine di una tregua e l'inizio dell'ennesima battaglia. Dopo una lunga giornata di lavoro e una tetra camminata sotto la pioggia fredda che inzuppava Boston, tutto quel che volevo erano un bagno caldo e il mio letto. Ma non sono così ingenua, Martin significava immancabilmente guai. Con un abito scuro che gli cadeva malissimo addosso, lui sedeva sul divano tra l'abito di seta e un sacchetto di Second Hand Concessions, facendo roteare fra le dita un paio di eleganti scarpe da donna, tenendole per i tacchi a spillo. «Bellissime, vero?» Sollevò le scarpe. «Sono per te.» Chiusi la porta alle mie spalle e lasciai cadere la borsa sul tavolo. «Cosa ci fai qui?» «Lily, hai forse dimenticato...» disse con l'accento francese che una volta avevo trovato attraente, «...che questa è anche casa mia? Sono venuto per portarti fuori. Stasera. Devi prepararti, andiamo a un gala.» «Un gala?» Il cuore incespicò mentre mi sentivo salire l'amaro in bocca. «Sai che non vado a feste e gala.» «A questo ci verrai.» «No, Martin.» «Non è il caso di discutere.» Si alzò dal divano e, stringendo le scarpe in una mano, si sistemò dietro le orecchie una ciocca di capelli sale e pepe. «Verrai al gala. Punto.» Lo tenni a bada socchiudendo gli occhi e mi ritirai dietro il piano di lavoro della cucina. «Cos'hai in mente questa volta?» «Quando sei arrabbiata arrossisci in modo adorabile.» Lanciò una scarpa in aria e cominciò a passarsele da una mano 5


all'altra come un giocoliere. «Ti sorprenderà, ma ho trovato una soluzione per il nostro problema.» «Il nostro problema?» Lo fissai incredula. Non ero io quella a cui avevano tolto la cattedra al MIT per essermela spassata con le studentesse. Non ero io che avevo perso la sovvenzione, avevo prosciugato le nostre carte di credito e avevo mandato in fumo il mio progetto di ricerca. E di certo non ero io ad aver chiesto un prestito dopo l'altro in banca. «Sì, cara, il nostro problema.» Martin mi rivolse un sorriso senza allegria, gli occhi fissi sulle scarpe, le mani che si muovevano con consumata abilità. «Non dimenticarti che sei mia moglie.» «Te l'ho già detto e ripetuto» dissi. «Non voglio più essere tua moglie.» Martin sbagliò una presa, ma riuscì a bloccare le scarpe contro al petto prima che cadessero a terra. «Merde» imprecò sottovoce e mi scoccò un'occhiataccia. «Vedi cosa mi fai combinare? Non si tratta di cosa vuoi tu, ma di ciò di cui ho bisogno io. È molto semplice, sei ancora mia moglie e questa sera ho bisogno del tuo aiuto. Quindi devi andare a prepararti.» «Non voglio avere niente a che vedere con questo.» Gli tenni testa. «Non ci vengo.» «Dai, andiamo a ballare, cara.» Batté i tacchi a spillo sul piano di lavoro della cucina. «Non costringermi a diventare cattivo. Sii gentile, fa' come ti chiedo.» Trassi un respiro profondo e mi conficcai le unghie nei pugni. «Voglio che tu prenda il vestito e le scarpe e sparisca.» Martin interruppe la danza e mi guardò. «Per essere una persona tanto disponibile, oggi sei davvero di pessimo umore. Mi duole dover interrompere la tua noiosa routine, ma ho cattive notizie per te.» Il suo sguardo si indurì. «La WindTech non ha più un soldo. E non abbiamo tempo. Se non troviamo un finanziatore, dovremo dichiarare bancarotta.» La notizia non mi colse del tutto di sorpresa, ma mi colpì ugualmente come un pugno nello stomaco, che si annodò. La WindTech era andata a fondo ancora più in fretta di quanto mi aspettassi. Un altro colpo ai miei sforzi per tenerci a galla. Ma vivere sul lastrico non sarebbe stato molto peggio di come già vivevo. Giusto? 6


«Mi dispiace, Martin» dissi, sincera. «So che quel progetto per te è importante. Forse questa potrebbe essere un'occasione per riorganizzarti?» L'occhiata che mi lanciò avrebbe potuto vaporizzarmi sul posto. «Né io né la WindTech andremo a fondo. Sono riuscito a organizzare un incontro con l'uomo che potrebbe cambiare la mia fortuna. Stasera. Al gala. Prega che abbocchi all'amo.» «Abboccare all'amo?» Mi inumidii le labbra, ancora più allarmata. «Mi sembra una pessima idea, Martin. Mi chiamo fuori. Se devi proprio andare a questa festa, vacci senza di me.» «Ti propongo un accordo» disse, tutto d'un tratto fin troppo amabile. «Se vieni al gala, mi assecondi, sorridi e reciti la parte della moglie incantevole, per un po' sarai a posto.» «Cosa intendi?» «Ti lascerò in pace. Se otterrò un finanziamento, me ne resterò in Ohio e ti lascerò in pace qui. Oh, pagherò anche la casa di riposo. Pagherò le penali e sistemerò il conto in banca. Dai, Lily.» Sfoderò il suo sorriso migliore. «Fallo per me. Fallo per tua madre.» Una vita senza Martin poteva non sembrare gran che a chiunque altro, ma per me sarebbe stata un dono enorme. Non avrei dovuto sopportare i suoi abusi verbali, i suoi sbalzi di umore e la sua condiscendenza. Non avrei dovuto sopportare le sue pillole e il suo comportamento sconsiderato ogni volta che veniva in città. Ma la cosa migliore era che mia madre non avrebbe rischiato di essere espulsa dalla casa di riposo. Attenta, Lily. Soffocai un moto di speranza. Martin non aveva mai mantenuto le promesse prima, perché avrebbe dovuto cominciare proprio in quel momento? «Martin» dissi, «non... non ci voglio venire.» «Basta.» Il sorriso avvizzì. «Devo ricordarti la dichiarazione che ho consegnato al mio avvocato?» Deglutii. «Non puoi ottenere tutto con il ricatto.» «Mi basta che tu faccia quello che voglio» ribatté. «La truffa è un'accusa pesante.» «Mi ingannasti!» «E quale giudice pensi sarebbe disposto a crederti?» Strinsi i denti finché mi fecero male. «Il giorno in cui dovessi usare quella dichiarazione, sarà anche la tua fine.» «Vorrà dire che me ne tornerò in Francia, mentre tu resterai 7


qui ad affrontare le conseguenze. Non male. Per me.» Si sistemò gli occhiali con la montatura spessa e fece un sorrisetto. «Ma tu stai correndo troppo, mia cara. Non desidero tornare in Europa, per ora, in particolar modo non in circostanze tanto sgradevoli. Per questo tu mi aiuterai a salvare la WindTech. Se il mio mondo finisce, finisce anche il tuo.» Afferrò il vestito e lo gettò sul piano di lavoro. La seta scivolò sul laminato e sfarfallò nell'aria per un istante, prima di afflosciarsi a terra, dove giacque come un cadavere. Le pareti del mio piccolo appartamento si strinsero intorno a me. Mi si chiuse la gola e solo un filo d'aria riuscì ad arrivarmi ai polmoni. Il peso delle sue minacce annichilì la mia fermezza; diceva sul serio, lo sapevo fin troppo bene. Detestai le lacrime che mi riempirono gli occhi e mi morsi le labbra. Non avrei pianto, non di fronte a Martin né ad altri. Non avrei avuto nemmeno un attacco di panico. Potevo trovarmi in una situazione orribile, ma mi restava ancora un po' di dignità. Ero sopravvissuta a un cuore spezzato ed ero riuscita a cavarmela da sola per molti anni, finché mi ero trovata in circostanze disperate a causa di Martin. Non ero un'idiota, ero intelligente, colta e una gran lavoratrice. Eppure, ero rimasta intrappolata, per un singolo errore fatale. Non riuscivo a credere che la mia vita fosse ridotta in quel modo. Inghiottii lacrime e orgoglio. «Per favore, non costringermi a venire con te.» «La discussione è chiusa.» Martin passò dalla mia parte del piano di lavoro, si chinò per raccogliere il vestito e me lo cacciò in mano. «Preparati. La serata è a sfondo benefico. I ricchi amano i guerrieri feriti, sono ottimi per i servizi fotografici. Sbrigati, mia cara. Chi si occuperà di tua madre se tu finirai in prigione?» Mia madre amava ripetermi che la mia mente funzionava come un cerchio cromatico, il colore definiva il mio mondo e lo spiegava. Mia madre, per esempio, apparteneva allo spettro del viola, tra il lilla e il porpora, il colore degli imperatori. Io appartenevo allo spettro del giallo, che usavo molto nei miei ritratti. Martin... be', Martin apparteneva alla categoria del rosso più sgargiante, un colore che appariva di rado in natura e soltanto per annunciare un grave pericolo. 8


Nei giorni buoni le mie tavolozze erano piene di colori primari, in quelli meno buoni – negli ultimi tempi ce n'erano stati molti – i miei occhi esigevano colori neutri, per lo più bianchi e grigi, dal momento che avevo paura del nero, che uccide il colore. Nonostante la vibrante varietà di abiti d'alta moda che affollavano la sala, la festa di Martin ricadeva nella gamma dei toni del grigio. Molto appropriato poiché, subito dopo i discorsi di presentazione, finii in bagno, dove mi trovavo ancora in quel momento, inginocchiata sul pavimento, lo sguardo fisso nelle profondità di un gabinetto. Gli attacchi di panico erano una vera fregatura, i miei arrivavano senza preavviso, a volte non riuscivo a respirare, altre volte l'ansia aggrediva il mio intestino sensibile. Mentirei, se dicessi di preferire un tipo di attacco all'altro. «Coraggio, Lily.» Mi pulii la bocca e rimasi chinata ancora qualche secondo sulla tazza. «Puoi farcela.» Azionai lo sciacquone, trassi un respiro profondo e mi rimisi in piedi appoggiandomi alla parete di marmo. Cercai di concentrarmi sui lati positivi. Se proprio dovevo vomitare per l'ansia e il panico, l'elegante toilette delle signore al Ritz Carlton, affacciata sul Boston Common non era il posto peggiore dove rimettere il mio pranzo. Il suono della musica e della conversazione entrò dalla porta quando qualcuno uscì, lasciandomi sola nella toilette vuota. La piccola pochette di satin, che avevo preso in prestito per la serata, ricominciò a vibrare e mi si strinse di nuovo lo stomaco per la paura. Estrassi il mio cellulare malandato. Avevo ricevuto cinque SMS da Martin, le parole sullo schermo mi parvero urlare: Vieni fuori. Ricordati le conseguenze. Lo stomaco si annodò ancora, con i messaggi successivi: Sbrigati. Se non esci subito, verrò a prenderti io stesso. Trassi un respiro profondo, uscii e barcollai sui tacchi verso i lavandini. Accidenti, Martin aveva insistito affinché li indos9


sassi. Riuscii ad arrivare a una delle bacinelle di cristallo allineate sul piano di granito. Benché mi tremassero le mani, mi risciacquai la bocca, rimisi il rossetto e mi sistemai il vestito. «Lily Boswell» dissi al mio riflesso nello specchio. «Sei una donna forte, perfettamente in grado di affrontare la situazione.» Il mio stomaco però si contorceva: era di tutt'altro parere. Ciononostante, mi costrinsi a uscire. Nell'androne che collegava le toilette con la sala da ballo, una piccola folla si era radunata intorno a un uomo appartenente alla Marina degli Stati Uniti che portava un paio di occhiali scuri e la divisa bianca. Una fila di medaglie gli adornava il petto. Lo riconobbi subito, era stato uno degli oratori della serata, un eroe di guerra, nonché veterano reduce il cui appello ad aiutare i suoi commilitoni feriti mi aveva indotta a desiderare di avere più di trenta dollari sul conto in banca. Sul palco l'individuo in questione si era presentato come Sottufficiale di Marina Chavez; controllato ed esaltante, si era dimostrato un oratore eccellente. Circondato da quella piccola folla, tuttavia, non sembrava altrettanto a proprio agio, al contrario, appariva nervoso. L'ansia espressa dal suo volto mi ricordò la mia; aveva il labbro superiore imperlato di sudore mentre alcuni donatori particolarmente stupidi si affollavano intorno a lui per esaminare la protesi del braccio allo stato dell'arte, fornitagli dal Healing Warrior Development Fund, l'associazione non profit che aveva sponsorizzato la serata. La protesi sembrava funzionare benissimo per il sottufficiale, altrettanto non si sarebbe potuto dire per la folla. Mi sembrò di sentire crescere la sua ansia e quella del suo cane guida. Il labrador biondo girava inquieto intorno al suo padrone, cercando di lasciare un poco di spazio tra lui e la piccola folla. Avrei voluto fare qualcosa per aiutarlo, invece rimasi pietrificata dalla vista di tutte quelle persone, le gambe si rifiutarono di portarmi avanti e mi si strinse lo stomaco. Il mio campo visivo era stipato di facce e le risate stridule mi torturavano il cervello. Un effluvio di profumo dolciastro mi fece venire un conato. Oh, Dio, rischiavo di vomitare un'altra volta! Un guaito del cane sovrastò il brusio. «Maledizione!» Un uomo con uno smoking bianco tirò un calcio alla bestiola, mancandola. «Avete visto? Quel cagnaccio mi ha appena morso!» 10


«Marie Therese non morde.» Il sottufficiale si inginocchiò a terra e cercò a tastoni il labrador, passando le mani sulla zampa che la povera creatura teneva stretta al petto. «Deve averla calpestata.» «Quel cane è pericoloso.» L'uomo schioccò le dita, attirando l'attenzione del responsabile degli eventi. «Lei! Sì, lei, butti fuori subito quel cane da qui. E chiami un accalappiacani.» Il volto del militare sbiancò per l'orrore. «La prego, non lo faccia. Il mio cane è buono.» L'angoscia sul suo viso alimentò il mio sdegno. I membri della piccola folla mormorarono svariati commenti, ma nessuno intervenne. Detestai all'istante l'idiota che aveva deciso di fare tanto chiasso a spese di un eroe. Con i capelli impiastrati di gel spalmati sulla testa, quell'imbecille sembrava una bambola di plastica, come il Ken della Barbie con un atteggiamento insopportabile. Un vero stronzo. Ero furiosa, ma prima che potessi dare voce alla mia rabbia, un altro individuo che prima non avevo visto si avvicinò. «Signore e signori, che ne direste di lasciare un po' in pace il Sottufficiale Chavez?» L'apparizione del nuovo arrivato fece allontanare alcuni presenti. Ammirata, notai una manciata degli uomini di potere di Boston fuggire dall'impasse. Chiunque fosse, quell'uomo aveva autorità da vendere. Il tono risoluto della voce rispecchiava il linguaggio corporeo; gli occhi castani scrutarono il crocchio di persone, mettendo in fuga gli ultimi ritardatari senza bisogno di parole. Se ne andarono tutti, tutti eccetto l'idiota, spavaldo e ubriaco, il sottufficiale e il suo cane. E io, ovviamente. Blu. Il nuovo arrivato mi scatenò nella mente il colore blu, ma non un blu qualunque, il più spettacolare di tutti, il blu cobalto con sfumature profonde, vellutate e intense. Quando il suo sguardo si posò su di me, una secchiata di adrenalina mi pervase le vene. Anch'io sarei voluta fuggire eppure, nonostante quell'urgenza, non riuscii a muovermi, perché la sala da ballo piena di sconosciuti mi terrorizzava quasi quanto lo sguardo che in quel momento mi inchiodò al muro. L'uomo era alto e imponente, indossava un elegante smoking su misura che enfatizzava le spalle larghe e le linee snelle del corpo. I capelli castani a spazzola e le sopracciglia espressive 11


che sembravano perennemente abbassate era affascinante ma in un modo severo, minaccioso e allarmante. Si muoveva fluido, deciso, intenso, ed elegante, padrone di ogni passo e ogni gesto. Sembrava padrone anche della sala, delle pareti che si chiudevano intorno a me, dell'aria che mi entrava a stento nei polmoni, del mondo che mi circondava. Il suo sguardo mi raggiunse dall'altra parte della stanza prima di tornare a posarsi sull'ubriaco. «Le suggerisco di tornare in sala.» La sua voce assunse un tono pericoloso. «Non vorrà perdersi l'asta.» «Non me ne frega niente dell'asta!» esclamò l'ubriaco. «Quel cane mi ha morso e voglio che sparisca!» «Forse non avrebbe dovuto stare così addosso al cane e al suo padrone.» L'uomo si accucciò accanto alla bestiola e le esaminò la zampa. «Mi sembra che Marie Therese stia bene.» Aiutò il sottufficiale a rialzarsi. «Tu ti senti bene?» «Sì.» Il marinaio si asciugò il sudore dalla fronte. «Ma il mio cane... Se quell'uomo si lamenta...» «Nessuno le porterà via Marie Therese» disse l'uomo e gli credetti. «Nessuno.» Il suo sguardo tornò sull'idiota. «Lei deve delle scuse al Sottufficiale Chavez e al suo cane.» «Io non mi scuso con i cani» biascicò l'ubriaco. «Ai cani non dovrebbe essere consentito entrare in posti come questo.» «Per legge tutti i cani guida possono andare ovunque vada il loro padrone» ribatté l'uomo con il suo tono severo. «Quel cane è troppo aggressivo.» «Marie Therese non è aggressiva.» Le dita del marinaio si strinsero intorno al guinzaglio della bestiola. «Non ha mai aggredito nessuno.» «E tu come lo sai?» chiese l'ubriaco. «Sei cieco, ritardato.» Il volto del nuovo arrivato si indurì, trasformandosi in una maschera inespressiva, ma il calore del suo sguardo riflesse la furia primitiva che sentii bruciare dentro di me mentre stringevo i pugni. «Il cane non ha aggredito nessuno.» Era la mia voce, forte e decisa. «Quest'uomo le ha pestato una zampa. L'ho visto. Il cane ha reagito, ma solo perché le ha fatto male.» «Visto?» Il sottufficiale abbracciò la sua labrador e girò il volto verso di me. «Grazie, miss, chiunque tu sia.» «Mente!» esclamò l'ubriaco. 12


«Non è vero!» esclamai. Il nuovo arrivato mi guardò, poi riportò lo sguardo sull'ubriaco. «Lei chi è?» «Sono Edward Lancaster.» Fece un sogghigno. «Mio padre è John Lancaster.» «John, certo.» L'uomo incrociò le braccia sul petto e divaricò un poco le gambe. «Il presidente della Lancaster & Associates.» «Nonché uno dei finanziatori più generosi del Healing Warrior Development Fund» soggiunse Edward Lancaster con arroganza straripante. «Suo padre è molto generoso» convenne l'altro. «Non fu decorato come ufficiale dell'Aeronautica durante la prima guerra in Iraq?» L'idiota esitò. «Sì?» «Ah, in tal caso mi faccia un favore» disse con un sorriso feroce. «Vada a dire a suo padre che stasera ha calpestato il cane guida di un veterano che si è meritato la sua stessa medaglia al valore in Afghanistan. Gli dica che, dopo aver fatto male al suo labrador, si è lagnato come un moccioso viziato e ha preteso che il cane fosse allontanato. Se a quel punto suo padre non viene soffocato dalla bile o non la strangola con le sue stesse mani, gli dica che lei è un idiota con una scopa nel culo, che è stato sbattuto fuori dal gala per aver insultato un amico di Josh Lane.» L'uomo boccheggiò. «Lei è Josh Lane? Quel Josh Lane?» «Affermativo» confermò l'altro. «E adesso fuori dai piedi.» Il mio stomaco si contrasse, sommerso da un'altra ondata di nausea. Per un momento non riuscii a muovermi. Intontita, vidi la sicurezza scortare l'ubriaco fuori dalla stanza, poi l'uomo si consultò per un momento con il marinaio prima che un membro del personale accompagnasse il veterano e il suo cane nella sala da ballo. Dopodiché lo sguardo dell'individuo si concentrò su di me, gli occhi, ricchi di sfumature castane limpide, incuriositi. Mi sembrò che assorbisse tutta la luce nella stanza, consumandola, finché rimase l'unica immagine nel mio campo visivo e il blu diventò l'unico colore presente sulla mia tavolozza. Non riuscii a distogliere lo sguardo da lui, rimasi là, immobile come una pianta nel suo vaso, incapace di muovermi. Finché lui spostò un passo verso di me. 13


Scattai. Tornai di corsa nella toilette e mi rifugiai nell'ultimo gabinetto in fondo alla fila. Chiusi a chiave la porta e premetti la schiena contro il muro. Non riuscivo a respirare né a pensare. Perché ero corsa via, quando invece sarei voluta rimanere? E perché sarei voluta rimanere? Mi posai una mano sul petto all'altezza del cuore. Oh. Mio. Dio. Non poteva essere solo una coincidenza. La mia ansia ritornò in tutta la sua forza, perché il bersaglio del piano architettato da Martin e lo sconosciuto fuori della porta avevano il medesimo nome. Josh Lane.

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Alle sue condizioni di Anna Del Mar Una donna farebbe di tutto per la realizzazione del proprio matrimonio. Per la dolce Lily almeno è sempre stato così, ma quando Martin, il suo spregiudicato marito, per risanare i conti della propria azienda, la promette al miglior offerente, sembra perdere ogni speranza. Josh Lane, "il vincitore", però non è solo un potente uomo d'affari, ma un affascinante veterano di guerra che si rivela ben presto un dominatore con la fama di non aver mai lasciato una donna insoddisfatta. Sin dal primo incontro, Josh getta tutte le premesse per riportare un po' di pepe nella vita di Lily. Per quanto indignata dalla proposta del marito, lei cede in fretta al fascino del misterioso sconosciuto e a una passione mai provata, che la porterà a sottomettersi ai comandi di Josh e a superare i propri limiti. Un amore travolgente, intenso...

Madame Rouge di Lavinia Kent Emma Scanton, figlia illegittima del Duca di Scarlett, ha una doppia vita: di giorno è una giovane, timida fanciulla, ma quando cala la sera si trasforma in Madame Rouge, Ruby, la famosa maîtresse nota per il grande talento non solo nel soddisfare le esigenze dei propri clienti. Decisa ad assecondare il desiderio del nonno, che la vorrebbe vedere sposata, è pronta però a lasciarsi tutto alle spalle. Tutto, ma non le attenzioni del suo più grande e focoso ammiratore: il Capitano Derek Price, con il quale ha vissuto esperienze travolgenti. Anche Derek sta per sposarsi con un'altra però e Ruby dovrà aguzzare l'ingegno e sfoderare tutto il suo savoir faire per ottenere ciò che vuole. Avrà due settimane e un ballo in maschera per riconquistare Derek.


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Questo volume è stato stampato nell'aprile 2017 da CPI, Moravia


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