Anime gemelle

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IL MEGLIO DI 3 R O M A N Z I D ’A U T O R E



Teresa Southwick

ANIME GEMELLE


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Crazy for Lovin' You This Kiss If You Don't Know by Now Silhouette Romance © 2001 Teresa Ann Southwick © 2001 Teresa Ann Southwick © 2001 Teresa Ann Southwick Traduzioni di Anna Sibilia Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Harmony Serie Jolly maggio 2003; giugno 2003; luglio 2003 Questa edizione Il Meglio di Harmony gennaio 2018 IL MEGLIO DI HARMONY ISSN 1126 - 263X Periodico mensile n. 219 del 23/01/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 777 dello 06/02/1997 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Uniti da un bacio Pagina 163

Alba di tenerezza Pagina 321

Segreto d'amore



Uniti da un bacio



Prologo «Sparisci, ragazzina.» «Ma, Mitch...» «Non voglio più avere a che fare con nessuno degli Stevens» ringhiò lui. Guardando il volto torvo di Mitch Rafferty, Taylor Stevens capì immediatamente che sua sorella Jen doveva aver combinato qualche guaio. Solo lei, infatti, riusciva a fare arrabbiare Mitch in quel modo. Se solo si accorgesse di me, sospirò mesta. Nonostante avesse appena quattordici anni, era più matura di quanto Mitch credesse. Di sicuro era abbastanza adulta da recepire l'attrattiva dei suoi capelli castano dorati, delle spalle ampie, dei magnifici occhi blu da canaglia. Specialmente degli occhi. Tutte le volte che si posavano su di lei, Taylor sentiva il cuore martellarle in petto con una tale violenza da spaventarla. Il rodeo che aveva visto impegnati i liceali delle scuole texane era appena finito. L'indomani sarebbero rientrati a Destiny. Era la loro ultima notte al Lamplighter Motel e Taylor aveva incontrato Mitch ai bordi della piscina. Inspirò profondamente e, facendo appello a tutto il suo coraggio, si sedette sulla sdraio di fianco a quella di lui. C'erano altri teenager in giro per il giardino, ma nessuno prestava attenzione a loro due. Mitch 9


sembrava un vulcano sul punto di esplodere. Taylor aveva quasi paura di quello che avrebbe potuto fare. Non poteva lasciarlo solo. I sentimenti che provava per lui erano così intensi e profondi da temere che il cuore le scoppiasse nel petto da un momento all'altro. Gli toccò il braccio e quando lui si ritrasse di scatto, sospirò. «D'accordo. Non guardarmi, dimmi solo che cosa c'è che non va.» «Aria, bambina» latrò lui. «Non hai capito? Non ti voglio qui. Voglio stare solo.» Bambina? Le sarebbe piaciuto afferrarlo per la camicia e dimostrargli che non era affatto una bambina. Lei aveva quattordici anni e lui diciannove. Cinque anni di differenza non erano poi un'eternità. Di nuovo Taylor trasse un gran respiro. «Ti comporti come un ragazzino cui è stato portato via il giocattolo preferito. Dimmi almeno perché. Che cosa c'è? Credevo che fossimo amici.» «Io e Jen abbiamo rotto» ribatté Mitch cupo. «Non potrei mai essere amico di qualcuno che è imparentato con lei.» Il primo pensiero di Taylor fu che la sorella doveva essere pazza per lasciarsi scappare un ragazzo come Mitch. Il secondo che non era mai stata così felice come in quel momento, visto che ora lui era di nuovo libero. «Mi dispiace» mormorò, senza incontrare il suo sguardo. Se lo avesse fatto, Mitch si sarebbe accorto che in realtà non era affatto dispiaciuta. Il silenzio calò tra loro. Era tardi e tutti gli altri clienti del motel erano tornati dentro. Quasi tutti almeno. Taylor sentiva il chiacchiericcio soffocato e le risatine dei liceali rimasti nei paraggi della piscina, al di là dei cespugli che la circondavano. All'estremità opposta un ragazzo con la camicia western da rodeo e un numero sul petto stava camminando mano nella mano con la sua ragazza. I grilli cantavano e dalle 10


camere vicine giungeva il rumore attutito delle televisioni. «Mi dispiace davvero» ripeté Taylor. E lo pensava veramente, se non altro perché trovava desolante vederlo soffrire tanto. «Ma Jen non è l'unica ragazza del pianeta, Mitch.» «Per me lo è.» Taylor gli voleva bene. Molto più di quanto sua sorella avrebbe mai potuto fare... Perché Mitch non riusciva a capirlo? Com'era possibile che non si rendesse conto che lui era il suo primo pensiero al risveglio e l'ultimo prima di addormentarsi? E quando era sveglia sognava di essere con lui, per il solo piacere di averlo intorno, di guardarlo. Mitch l'aveva mandata via in malo modo la sera prima, quando aveva cercato di seguirlo al lago. Ma adesso la sua storia con Jen era finita. È arrivato il mio momento, decise Taylor fra sé. «Che ne dici di me?» buttò lì, incapace di trattenersi oltre. «Ti amo. Io non ti farei mai soffrire. Mai.» E senza stare a pensarci troppo, si allungò verso di lui e lo baciò. Taylor percepì distintamente il suo assoluto sbigottimento. Poi Mitch si tirò indietro e la guardò. In un modo che le fece venir voglia di cancellare tutto, specialmente il bacio. Sarebbe stato ancora meglio se un tornado si fosse materializzato per risucchiarla e trasportarla nel Kansas, dove non avrebbe più visto l'espressione fredda e amareggiata degli occhi di lui. Mitch si alzò e lei lo imitò. «Baci come una bambina» sentenziò lui. A quel tono di scherno, le guance le si fecero di brace. Ma l'imbarazzo impallidiva davanti al dolore che quelle parole le causarono. Mitch incrociò le braccia sul petto. «Anche se 11


non avessi giurato di tenermi alla larga dalle donne, tu hai ben tre punti a tuo sfavore.» «E sarebbero?» «Primo, sei sua sorella» elencò spietato. «Secondo, quel bacio dimostra che sei una bambina. E terzo, sei magra come una...» «Lo so che non sono carina» lo interruppe lei, straziata. «Non ancora. Ma aspetta e vedrai, Mitch Rafferty.» Senza rifletterci, Taylor gli piantò le mani sul torace e spinse con tutte le sue forze, facendolo precipitare nella piscina alle sue spalle, tramutando la sua espressione fredda in totale sbigottimento mentre spariva sott'acqua. Prima che riemergesse, Taylor girò sui tacchi e si avviò verso le camere. Aveva le guance bagnate e non per gli spruzzi sollevati da Mitch. Mentre con gesti rabbiosi si asciugava le lacrime, giurò a se stessa che gli avrebbe dimostrato quanto si sbagliava. Fosse l'ultima cosa che faccio!

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1 Dieci anni più tardi... Mitch Rafferty era tornato in città. E da un momento all'altro Taylor Stevens lo avrebbe rivisto. Taylor guardò fuori della finestra del soggiorno, chiedendosi se sarebbe stato puntuale. In quanto nuovo commissario dell'associazione rodeo della scuola, era compito suo trovare un luogo per il campionato annuale. E lei sperava con tutto il cuore che lo avrebbe trovato lì. Quando aveva scoperto che Mitch era l'uomo da cui dipendeva il suo futuro era rimasta sbalordita. Ancora adesso si domandava quale divinità avesse mai offeso e come avrebbe potuto farsi perdonare. Mitch doveva scegliere il suo ranch, il Circle S. Era di vitale importanza che lo facesse. Ma visto com'era finito il loro ultimo incontro... Il rumore di un'auto che si avvicinava sovrastò il brusio del condizionatore d'aria. Taylor scostò le tendine quanto bastava per sbirciare fuori. La fiammante macchina sportiva che si fermò nel cortile non le era familiare. Lo stomaco le si chiuse: Mitch era arrivato. Da quando aveva saputo del suo ritorno era nervosa come un gattino intrappolato su una pianta. E non 13


solo per l'impatto che Mitch poteva avere sulla sua vita. Si era ripetuta un'infinità di volte che non le importava più niente di lui. Ora era una donna e Mitch non poteva più ferirla. Anche se il cuore le batteva all'impazzata alla sola idea di rivederlo. Taylor si scostò dalla finestra e, traendo un gran respiro, si passò le mani sui calzoni color kaki, poi assestò la cintura, assicurandosi nel contempo che il bordo della camicetta giallo chiaro fosse infilato nei calzoni. Sarebbe stato assurdo riceverlo con indosso i jeans e la maglietta che aveva messo quella mattina per lavorare nelle stalle. Anche se viveva in campagna, sapeva come presentarsi in ordine e pulita. Inoltre voleva essere al meglio per quell'incontro. Quando sentì bussare alla porta, si impose di contare fino a dieci, per calmarsi. Non poteva permettersi di apparire troppo ansiosa. Aprì la porta, e il respiro quasi le si mozzò in gola. Nonostante fossero passati dieci anni, Mitch era ancora più bello di quanto lei ricordasse. Aveva sempre quell'espressione da ragazzaccio impenitente, i capelli erano dello stesso colore castano dorato, ma il profilo della mascella e il mento si erano induriti, conferendogli un aspetto in qualche modo più rude, più virile. Perché devo trovarlo così terribilmente attraente?, si chiese sgomenta. Aveva davanti l'uomo che le aveva rubato il cuore quando era una tenera e romantica quattordicenne. Lo shock spazzò via gli anni e Taylor cadde preda delle stesse dolorose e angoscianti emozioni di quella notte di tanto tempo prima. Avrebbe voluto dimenticare, ma era impossibile. Ogni minimo particolare era stampato a fuoco nella sua memoria. L'umiliazione del loro ultimo incontro riaffiorò, come era già successo un'infinità di altre volte in passato. Era divenuta lo standard in base al quale giudi14


cava i disastri della sua vita. Aveva detto troppo quella sera fatidica. E subito dopo, quel bacio, che ancora adesso, a distanza di dieci anni, la faceva arrossire come un peperone. Era talmente confusa da non riuscire a formulare un pensiero coerente, meno che mai a parlare. Mitch la fissò per qualche istante prima di dare segno di riconoscerla. «Taylor?» domandò incerto. «Ciao, Mitch. È passato tanto tempo.» Si rese conto che lui non stava scherzando. Era ovvio che sulle prime non l'avesse riconosciuta! L'ultima volta che si erano visti lei era un'adolescente tutta pelle e ossa, alla quale per giunta lui aveva detto che baciava come una bambina... Adesso sono una donna, non la ragazzina che lo ha buttato in piscina, gemette Taylor fra sé. Di tutti i ricordi, era quello cui aveva pensato più spesso fin da quando aveva scoperto che era lui il nuovo commissario dell'associazione. Si sarebbe vendicato? Dopo qualche minuto di silenzio, Mitch si schiarì la voce, vagamente a disagio. «Come ti va?» «Bene. E a te?» «A meraviglia.» «Sei appena arrivato in città?» chiese Taylor. Lui annuì. «Sono partito da El Paso stamattina.» E, continuando a fissarla, aggiunse: «Sei davvero in gran forma». «La piccola pelle e ossa?» ribatté lei, incapace di resistere alla tentazione di punzecchiarlo. Poi sorrise, sperando che il nervosismo non le facesse tremare le labbra. «Non sei obbligato a farmi complimenti, Mitch.» «Dico sul serio! Sei veramente cambiata» ribatté lui gratificandola con uno dei suoi sconvolgenti sorrisi. Quel genere di sorriso gli era abituale, pensò Ta15


ylor. Anche se aveva cercato di dimenticarlo, nel corso degli anni le era capitato diverse volte di leggere sui giornali delle avventure del romantico e atletico campione texano. Aveva avuto molte donne con cui lei non avrebbe mai potuto competere. «Sei cresciuta.» «Be', è normale. Saranno passati...» Taylor si fermò, atteggiando il viso a un'espressione pensosa. «Quanti anni sono? Quand'è stata l'ultima volta che ci siamo visti?» Perdindirindina, avrebbe voluto aggiungere nella sua migliore imitazione di Rossella O'Hara. Sarebbe morta piuttosto che fargli capire che rammentava perfettamente il loro ultimo incontro... Lui stava sparendo sott'acqua, in quella piscina d'albergo. «Non me lo ricordo» rispose lui. «In genere cerco di non pensare troppo al passato.» Per un istante, la fronte si increspò leggermente e un'ombra oscurò il sorriso malandrino. «Però so che è passato parecchio tempo, perché erano dieci o undici anni che non venivo a Destiny.» «Così tanto?» chiese lei ostentando un'aria sorpresa. Mitch annuì. «Più o meno. In questi ultimi giorni mi sento come se un toro mi avesse scaraventato lungo e disteso nell'acqua.» Solo negli ultimi giorni?, sogghignò Taylor in cuor suo. Era nell'acqua anche l'ultima volta che l'aveva visto. In quel momento comunque, era più bello che mai, forse ancora più affascinante di dieci anni prima. E questo Taylor non l'aveva previsto. Non avrebbe dovuto perdere qualche capello, o perlomeno avere le tempie spruzzate di grigio? Invece la sua chioma era folta e dorata, senza nemmeno un filo bianco. Un uomo della sua età poi avrebbe dovuto avere un po' di pancetta. Ma bastava un'occhiata per notare che 16


il suo ventre era piatto e muscoloso come quello di un ragazzo... Va bene, Taylor, rilassati. C'erano anche aspetti positivi nella situazione attuale. Non era più una quattordicenne alla prima cotta e non le importava più niente di lui. Probabilmente avrebbero accennato alla sua imbarazzante dichiarazione di dieci anni prima e a quel bacio dato d'impulso, ma ci avrebbero riso sopra, imputandolo entrambi alla giovane età e al risvegliarsi degli ormoni. «Così non ti ricordi dell'ultima volta che ci siamo visti?» chiese, per scoprire se nella sua memoria fosse rimasta traccia di quanto era avvenuto. «Dovrei?» ribatté lui perplesso. «No.» Non ricordava niente. Be', meglio così, no? Eppure la infastidiva sapere che il momento più umiliante della sua vita fosse stato per lui così poco importante da averlo completamente dimenticato. Mitch scosse il capo. «Tutto quello che posso dire è che sei davvero cambiata.» «Lo prendo come un complimento.» «Quasi non ti avevo riconosciuto. I capelli sono diversi.» Però i miei lunghi capelli color topo se li ricorda!, pensò Taylor. Per fortuna dopo due anni di liceo la sua compagna di stanza l'aveva aiutata a trovare un'acconciatura più alla moda e le aveva fatto capire che il rossetto non serviva solo per scrivere messaggi sullo specchio del bagno. Alla fine era riuscita a ritrovare parte di quella fiducia in se stessa che in pochi attimi Mitch era riuscito a distruggere. E da quel momento la sua vita sociale era stata coronata da un successo dopo l'altro. Fino all'anno prima, quando il fidanzato l'aveva lasciata per rimettersi con la donna che tempo prima lo aveva piantato. Un episodio che le aveva mostrato quanto in realtà fosse fragile quella 17


sicurezza di sé che credeva di avere acquisito. Mitch la stava osservando intento. Era apprezzamento quello che gli brillava negli occhi? Taylor si sentì pervadere dal calore. Dannazione! Pensava di essere preparata a quell'incontro. Perché Mitch Rafferty riusciva a turbarla ancora in quel modo? Aveva lavorato così duramente per costruirsi una corazza degna di questo nome, per non parlare dell'autostima. Eppure, le bastavano due minuti in compagnia di quell'uomo per sentire le sue difese crollare miseramente! Taylor realizzò di colpo che erano ancora nel portico. «Scusami, non intendevo tenerti fuori. Accomodati.» «Grazie» replicò lui entrando in casa. Un'unica parola, ma pronunciata con quella sua voce profonda e sensuale, e Taylor si sentì sciogliere. Chiuse la porta, lasciando fuori anche la calura di maggio. Non era ancora afoso, non come sarebbe stato ad agosto almeno, ma aveva acceso comunque il condizionatore, per rendere la casa più confortevole. Non voleva che Mitch trovasse ulteriori motivi per scartare il suo ranch. Aveva già una ragione valida per farlo: vendicarsi di lei. Ma solo nel caso in cui si ricordi che l'ho buttato in piscina e sappia che il mio futuro è nelle sue mani... Mitch si fermò nell'atrio, rigirandosi lo Stetson tra le mani mentre si guardava intorno. La fronte era aggrottata. A che cosa stava pensando?, si chiese Taylor. Con lo sguardo perlustrò la stanza. Alla sua destra c'era il soggiorno, con il grande camino in pietra. Davanti al camino, due divani rivestiti in blu e verde, con un semplice tavolino di legno nel mezzo. Sulla sinistra c'era quello che i suoi genitori avevano sempre chiamato il salotto. Anche lì, un imponente camino, questa volta di mattoni, e un divano moderno ad 18


angolo di fronte a una televisione a schermo gigante. Tutto il pavimento era rivestito in parquet scuro. La casa era stata costruita negli anni Trenta e le terre su cui si trovava appartenevano alla sua famiglia da diverse generazioni. «Come sta Jen?» domandò lui a un tratto. Avrei dovuto immaginarlo che stava pensando a mia sorella, si disse Taylor amareggiata. «Jensen sta bene» rispose, ostentando indifferenza. «Lavora a Dallas» aggiunse poi, per informarlo che non l'avrebbe vista in giro. In caso fosse tornato per lei. «È un avvocato adesso?» «Già. Si è specializzata in diritto di famiglia» replicò lei, sforzandosi di soffocare l'irritazione. Mitch non l'aveva quasi riconosciuta, però non aveva dimenticato che Jensen aveva sempre sognato di diventare avvocato. Se lo ricordava nonostante lei gli avesse spezzato il cuore, lasciandolo per un altro. «Allora, che hai fatto in tutti questi anni?» chiese poi, per rompere il silenzio sceso tra loro. Mitch spostò lo sguardo su di lei. «Rodei. All'inizio.» «Ho sentito che hai rinunciato alla borsa di studio.» «All'epoca mi sembrava la cosa giusta da fare.» Mitch si accigliò e la sua espressione tempestosa la riportò indietro nel tempo, a quella notte in piscina. Avrebbe voluto mordersi la lingua. In tutti quegli anni non era riuscita ad attivare il meccanismo che impedisse alle stupidaggini che pensava di trasformarsi in parole. O forse era colpa di Mitch Rafferty. Non era mai totalmente lucida quando se lo trovava di fronte. Nervosamente, si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Perché non andiamo in cucina? Posso offrirti un bicchiere di tè freddo?» «Sì, grazie, lo accetto volentieri.» 19


Taylor tese la mano, per invitarlo a precederla, e lui si avviò con sicurezza verso la cucina, come fosse stato lì solo il giorno prima. Mentre lo seguiva, non poté fare a meno di notare la schiena possente e i fianchi stretti. Un vero capolavoro. E quello era soltanto un apprezzamento obiettivo che qualunque donna sotto i settanta avrebbe fatto guardando un bell'uomo. Perché lei non provava più niente per Mitch. Tuttavia, quando gli ormoni si acquietarono, si accorse che Mitch zoppicava leggermente. Le parve di ricordare di aver letto che aveva avuto un brutto incidente, ma si trattava di un articolo che dava risalto soprattutto al fatto che i suoi successi con le donne eguagliavano quelli nell'arena. C'era stato dell'altro? Era probabile. Che fosse diventato commissario dell'associazione ne era la prova. Ma voler conoscere ogni dettaglio che lo riguardava era una via sicura per il disastro. A lei serviva solo che Mitch visitasse il ranch e le comunicasse che era adatto per ospitare il campionato. Dopodiché, avrebbe pregato perché se ne andasse al più presto e non si facesse rivedere mai più. Purtroppo però aveva lasciato libero sfogo alle parole e lo aveva invitato a bere un bicchiere di tè freddo. Rimangiarsi l'offerta non sarebbe stata la migliore strategia per conquistarsi la sua amicizia e influenzarlo positivamente. Un lato della cucina, che era molto ampia, era occupato da un bancone con diversi sgabelli. Ma anziché sedersi su uno di questi, come aveva sempre fatto, Mitch preferì fermarsi vicino a lei, proprio al centro della stanza. Taylor poteva sentire il suo sguardo che la seguiva mentre prendeva la caraffa dal frigo e apriva l'armadietto per recuperare i bicchieri. Mentre gli porgeva la bibita venne sommersa dai ricordi. Aveva fatto quel gesto centinaia di volte 20


quando gli teneva compagnia aspettando che sua sorella scendesse, sperando ogni volta che avvenisse un miracolo e si accorgesse finalmente di lei. Sognava che un giorno sarebbe andato a casa Stevens per prendere lei, non Jen. «Com'è che sei entrato nell'associazione?» gli chiese. «Non avrà a che fare con il fatto che un tempo sei stato campione del nostro stato?» «Te lo ricordi?» «Sicuro.» Un muscolo si contrasse nella mascella di lui. «Come sai, ho lasciato gli studi per dedicarmi ai rodei. Il primo anno è andato bene, anche se non mi sono piazzato in testa alla classifica. Nel Wyoming però mi sono classificato primo alle nazionali. Avevo diciannove anni. Per me è stato il segno che dovevo continuare su quella strada.» «E poi che cos'è successo?» «Ho cavalcato la cresta dell'onda per due o tre anni, finché...» «Finché?» lo incoraggiò lei. «Ho avuto un paio di incidenti» concluse Mitch, come fosse cosa di poca importanza. Taylor decise di tenersi sullo stesso tono leggero. «Davvero? Be', lo immagino. Stare in sella a un animale di una tonnellata non è come cimentarsi con il toro meccanico delle fiere di paese.» Mitch incurvò le labbra in un sorriso. «Già» mormorò. «Il fatto è che cadendo ho sempre battuto sulla gamba destra. La terza volta il medico mi ha avvertito che se non avessi smesso non avrei più potuto camminare... Non sui miei piedi almeno.» Quelle parole le straziarono il cuore. Taylor sapeva bene quanto avessero significato i rodei per lui. Da ragazzo non parlava d'altro. «Oh, Mitch, mi dispiace. Non intendevo...» 21


Lui alzò una mano per bloccarla. «Non c'è problema. Mi sono adattato.» Sorrise, e Taylor sentì uno sfarfallio alla bocca dello stomaco. Credeva che non le sarebbe più accaduto con lui, ma ovviamente si era sbagliata. «Restano ancora dei punti oscuri però» osservò. Lui sorrise. «Sono tornato a scuola.» «E la borsa di studio?» «Non ne avevo più bisogno. Non come quando...» Mitch si interruppe, ma Taylor sapeva ciò che era stato sul punto di dire. Ai tempi del liceo era un ragazzo povero, cresciuto in orfanotrofio, ma una volta divenuto maggiorenne era andato a vivere per conto proprio e non avendo grandi disponibilità aveva dovuto richiedere una borsa di studio per poter accedere all'università. Per questo era rimasta così sorpresa quando era venuta a sapere che aveva rinunciato a proseguire gli studi. «Allora sei andato all'università?» chiese Taylor appoggiandosi al bancone e incrociando le braccia sul petto. Si era tenuta piuttosto lontana, ma lo spazio che li separava non era sufficiente ad annullare l'impatto del fascino di lui. «Sì» rispose Mitch posando la tazza. «Mi sono laureato in economia all'UCLA. Poi ho messo in piedi la R&R Development.» «La conosco, anche se non avevo idea che tu ne fossi il titolare.» «Veramente?» «Leggo tutti i giorni la pagina dell'economia. La tua compagnia è stata menzionata un paio di volte per dei progetti qui in Texas. È da tenere d'occhio.» «Gli affari vanno a gonfie vele» ammise lui. «Ma i rodei mi mancano.» «A chi non mancherebbero? Tutti dovrebbero esse22


re sbattuti nella polvere da un toro infuriato almeno una volta al giorno.» Scoppiarono a ridere tutti e due e Taylor si sentì proiettata indietro nel tempo, all'epoca in cui tra loro tutto filava liscio. Fu questione di pochi istanti, però, perché subito si impose di recuperare il dominio delle proprie emozioni. Non voleva cascarci di nuovo. Era stufa di innamorarsi di uomini interessati a un'altra donna. «Come hanno fatto a convincerti ad arruolarti tra i volontari?» «Interessante scelta di parole.» Non lo era per niente. Mitch era sempre stato un solitario, non amava giocare in squadra. Ai tempi della scuola i coach del liceo lo avevano corteggiato perché entrasse in una delle squadre sportive, ma lui aveva sempre preferito i rodei. «Mi ha chiamato Dev Hart.» «Sì?» Dev possedeva un ranch a Destiny e commerciava in bestiame. Era lui a fornire tori da rodeo in tutto lo stato. Lui e Mitch avevano fatto parecchi rodei insieme ed erano amici. «Ci siamo tenuti in contatto. L'associazione si è trovata nei guai quando il precedente commissario si è dimesso, per motivi di lavoro e di famiglia. Io non ho vincoli di questo tipo, così Dev ha pensato che potesse farmi piacere dare una mano. Visto che ho interessi in questa zona.» Dunque non era sposato. Taylor non poté frenare un moto di esultanza. Ma sentiva che c'era dell'altro. «E?» «Ho ceduto. Non è un impegno a lungo termine, però. È solo temporaneo.» «Dev doveva essere abbastanza sicuro che avresti preso in considerazione l'offerta.» «Già.» 23



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Romanzo

Alba di tenerezza



1 Si era dimenticata quanto potessero essere allettanti i guai quando avevano indosso jeans, stivali e Stetson. In piedi di fianco allo steccato bianco di legno, Hannah Morgan osservava Dev Hart che, alto e imponente, supervisionava l'addestramento dei cavalli. Con la sua sola presenza sembrava quasi dominare il recinto... Gli scoccò un'altra occhiata. Era girato di spalle, e il fatto che non si fosse ancora accorto di lei le consentiva un'ottima visuale dei suoi migliori attributi... spalle ampie, gambe muscolose, fondoschiena da copertina. Non essere sciocca!, si ammonì. Non vedi Dev dai tempi del liceo, perché dovresti considerarlo un guaio? Forse quel pensiero aveva qualcosa a che fare con il modo in cui i jeans gli aderivano ai fianchi stretti e alle cosce compatte. O con quell'affascinante fossetta che aveva sul mento. Da quella posizione non era visibile, ma lei la ricordava perfettamente, nonostante i dieci anni passati lontano da Destiny. Così come quegli occhi marroni, scuri e intensi. Bastava un semplice sguardo perché una donna si sciogliesse come neve al sole. Tranne lei, naturalmente. Nonostante fosse diventata un medico, era rimasta la stessa, esile biondina 165


verso la quale Dev non aveva mai mostrato alcun interesse. Lui si voltò e Hannah si rese conto del momento esatto in cui la individuò. Il suo sguardo penetrante scandagliò il recinto, la oltrepassò per un istante per poi tornare a posarsi su di lei. Il sorrisetto che gli incurvò le labbra le trasmise un brivido caldo lungo la spina dorsale. Lo vide girare appena la testa, parlare brevemente con un altro cowboy e poi avviarsi nella sua direzione. Hannah sentì il cuore accelerare i battiti mentre Dev avanzava verso di lei. C'era forse qualcosa di più sexy e virile dell'andatura pigra e sicura di un affascinante cowboy texano?, si domandò. Se era così, lei ne era all'oscuro. Mentre lui le andava incontro, Hannah aggiornò rapidamente i dati che emergevano dalla sua memoria. Sembrava più alto, più robusto e, soprattutto, non aveva più l'aspetto di un ragazzo. Dev Hart era un uomo. Dall'improvviso volo di farfalle che sentì nello stomaco comprese che non era cambiato molto in quei dieci anni... Lei era ancora la sedicenne timida e romantica che si era presa la cotta per uno dei ragazzi più popolari della città. Si sforzò di controllare le proprie emozioni. Anche se era cresciuta in un camper, con indosso abiti economici, non gli avrebbe dato modo di guardarla dall'alto in basso. «Hannah?» Il tono di lui era più che sorpreso. «Se non avessi saputo che saresti venuta qui, penso proprio che non ti avrei riconosciuta.» «Ciao, Dev» lo salutò lei. «Sono cambiata così tanto?» «Sì. Quanto tempo è passato?» «Erano sei anni che non venivo a Destiny, però 166


credo sia passato di più da quando ci siamo visti l'ultima volta.» «I capelli biondi e gli occhi blu sono gli stessi di allora, ma per il resto sei... cresciuta» osservò lui con un sorriso di apprezzamento. «Polly aveva detto che non saresti arrivata prima di sera.» Polly Morgan, la madre di Hannah, faceva la governante al ranch degli Hart. Dopo che il marito l'aveva lasciata, si era dovuta adattare a fare la domestica presso diverse famiglie, per mantenere se stessa e la figlia di sei anni. L'anno prima Dev l'aveva assunta a tempo pieno. Per tutta la durata del liceo e dell'università Hannah aveva sognato di poter dare alla madre una vita migliore. Si sentiva in colpa per i continui sacrifici a cui la donna si era sottoposta e aveva giurato a se stessa di porre fine una volta per tutte a quella situazione. E finalmente, era a un passo dal traguardo. Se fosse riuscita a ottenere il posto in quella prestigiosa équipe pediatrica dell'ospedale di Los Angeles... «Sono partita con un po' di anticipo e ho preso a noleggio un'auto all'aeroporto» spiegò. «Ma dov'è la mamma?» s'informò poi guardandosi intorno. «Non c'era nessuno in casa.» «È fuori con Ben» rispose Dev, incrociando le braccia sul petto. Hannah si scervellò per trovare qualcosa da dire che ponesse fine a quell'imbarazzante silenzio. Era la prima volta che tornava a casa da quando sua madre lavorava per Dev. Sapeva che lo avrebbe visto, ma non aveva preventivato di dover fare conversazione con lui da sola. Pensava ci sarebbe stata sua madre ad agevolare i rapporti. «Quanti anni ha tuo figlio ora?» chiese infine. «Quasi quattro. Li compie la settimana prossima.» Dev sorrise. «È una piccola peste. Non so cosa farei 167


senza tua madre. È una donna davvero speciale.» «Sono perfettamente d'accordo» convenne Hannah. Sapeva che lui e la moglie si erano lasciati, ma non conosceva i dettagli della vicenda. Quando aveva sentito della separazione, non aveva potuto fare a meno di pensare che le persone baciate dalla fortuna avevano gli stessi problemi di quelle cresciute ai margini della società. Il secondo pensiero era stato per il bambino e per quanto doveva aver sofferto. Lei sapeva per esperienza diretta cosa significava essere abbandonati da un genitore. Dev si scostò all'indietro il cappello e Hannah notò la luce di orgoglio paterno che gli brillava negli occhi. Non poté fare a meno di chiedersi che genere di padre fosse. I ricordi che aveva del suo non erano affatto piacevoli. «E tu come stai?» domandò. «Bene. E tu?» «A meraviglia. Anche se mi sentirei meglio se ricevessi un'offerta dall'équipe medica con la quale ho avuto un colloquio tempo fa. Sto solo aspettando di sapere quale di quei medici intende assumermi.» «Chi non ti vorrebbe...?» fece lui sorridendo. «La ragazza più intelligente che si sia mai diplomata al liceo di Destiny» declamò, gli occhi che scintillavano di interesse. «Non so se ero proprio la più intelligente» replicò lei senza falsa modestia, «ma avere ottenuto una votazione così alta è certamente degno di nota.» «Ti fermerai abbastanza per assistere al rodeo studentesco?» s'informò Dev. «A essere onesta, me n'ero completamente scordata. Quando sarà il campionato?» «Tra quattro settimane. E se fossi in te, mi guarderei bene dal fare di nuovo un commento simile. In questa parte degli Stati Uniti dimenticarsi di un rodeo è considerata un'offesa imperdonabile.» 168


Hannah rise. «Già, a Destiny si vive per i rodei! Come va il commercio del bestiame?» Dieci anni prima era un'attività molto redditizia e Hannah presumeva fosse ancora così. La famiglia di Dev forniva bestiame per i rodei – oltre ad allevare cavalli e vitelli – e lui era il ragazzo più desiderato della città, e non solo per i suoi soldi... Ma se lei non avesse dovuto aiutarlo negli studi, probabilmente le loro strade non si sarebbero incrociate. Forse non si sarebbero nemmeno rivolti mai la parola. Dopo ogni interrogazione, infatti, lui l'aveva sempre bellamente ignorata. «Gli affari vanno a gonfie vele» le rispose. «Sono pieno di lavoro. Ed è per questo che sono tanto grato a Polly. Se non ci fosse lei a badare a Ben, la mia famiglia sarebbe allo sfascio.» «Adora tuo figlio.» Dev appoggiò un gomito allo steccato. «Polly mi ha raccontato che non essendo tu fidanzata, l'eventualità di avere presto un nipotino è piuttosto remota, e che sente il bisogno di tenersi in esercizio finché è abbastanza giovane per fare la mamma e la nonna.» Hannah provò una punta di irritazione anche se non riuscì a capirne esattamente il motivo. Le dava fastidio che sua madre avesse parlato di lei con Dev, o che lui sapesse che non c'era nessuno di speciale nella sua vita? «Come stanno i tuoi?» chiese, cambiando argomento. Non aveva voglia di discutere della sua vita privata. O dell'assenza di una vita privata. «Stanno facendo un viaggio in camper da costa a costa. Lo sognavano da anni, ma non ne avevano mai avuto il tempo. Dopo che papà ha avuto l'infarto, l'anno scorso, hanno deciso di non rimandare più. Si è ritirato dagli affari e ha passato a me la gestione dell'azienda di famiglia.» «Mi fa piacere per lui.» Hannah aveva visto molti 169


pazienti costretti a continuare a lavorare quando la loro salute avrebbe invece richiesto riposo e svago. «Ma naturalmente poteva permetterselo» osservò, spostando lo sguardo sulla pianura di terra rossa punteggiata di cespugli e piante basse. «Dicono tutti che questo è il più grosso allevamento di Destiny.» «Tutti?» Dev corrugò la fronte. «Conosci il posto.» «No» ribatté lei, scuotendo piano il capo. Sua madre aveva lavorato per gli Hart, ma sempre durante le ore in cui lei era a scuola. E da quando si era diplomata, non era più tornata al ranch. Era sempre stata Polly a farle visita a Los Angeles. «Forse mi confondi con una di quelle ragazzine adoranti che ti seguivano ovunque.» Quell'ultima frase era suonata più amareggiata di quanto avesse inteso. Era buffo come tornare a casa avesse fatto riaffiorare in superficie le antiche emozioni. «Le cose sono cambiate» dichiarò lui. «E senza dubbio in meglio.» «Vuoi dire che ti infastidivano tutte quelle attenzioni femminili?» «C'è scritto idiota sulla mia fronte?» ritorse Dev ridacchiando. «Mi piacevano, eccome. Ma è stato tanto tempo fa. Ora ho cose più importanti cui pensare. Gestire gli affari e fare il padre non mi lascia molto spazio per altro.» «Davvero?» Perché era così sorpresa? Non era giusto che lo considerasse come se fosse ancora il ragazzino egoista che aveva conosciuto. Era un adulto ora. Si era sposato, era diventato padre, aveva divorziato. E aveva avuto il buonsenso di assumere sua madre a tempo pieno. Quella era la bella notizia. La brutta era che Polly faceva la governante a tempo pieno e che, per ridurre le spese, aveva venduto la sua casa. E che lei era costretta a fermarsi al ranch degli Hart, sotto lo stesso tetto di Dev. 170


Appena arrivata, aveva dato un'occhiata alla casa, da fuori. Era molto grande e da quello che le aveva detto sua madre, c'era un'ala separata per i domestici. Anche così, però, le sarebbe capitato di incrociare Dev piuttosto spesso. E non aveva la più pallida idea di quale genere di conversazione avrebbe potuto intavolare con lui... Accidenti, erano passati soltanto cinque minuti e aveva già praticamente esaurito tutti gli argomenti disponibili! Per non parlare del fatto che quella sua battuta sulle ragazze che lo seguivano adoranti non era stata certo felice! All'università e durante il tirocinio le avevano insegnato come trattare i pazienti, ma quelle lezioni non includevano l'arte di trattare con il sesso opposto. Le avevano insegnato a essere gentile e franca, però la diplomazia non era mai stata il suo forte... In altre parole, per quello che riguardava i rapporti sociali, era una vera frana. «Senti, Dev» riprese con piglio deciso, «non voglio sottrarre tempo al tuo lavoro. Vado ad aspettare la mamma a casa.» «Non mi stai facendo perdere tempo. Ti faccio fare un giro del ranch, se ti va di vederlo. Posso chiedere a Wade di sellarci due cavalli.» «No, grazie» ribatté Hannah, forse un po' troppo in fretta. «Ma se sei sicuro che non ti crea disturbo, farei volentieri un giro del ranch.» «Ti crea problemi andare a cavallo? Hai paura?» «Sono caduta quando ero bambina.» Oltre a essere un'insignificante cervellona, quel terrore dei cavalli l'aveva sempre fatta sentire come un pesce fuor d'acqua in un paese dove il rodeo era lo sport più praticato. Un'altra prova che non apparteneva a quel luogo. Di sicuro a Destiny non esisteva nessuno che avesse paura dei cavalli. «Non mi piace ammettere di aver timore di qualcosa» riprese. E incontrando lo sguardo divertito di Dev, continuò: 171


«Preferisco considerarlo come un segno di intelligenza. Non è indice di acume salire volontariamente in groppa a un animale che potrebbe schiacciarti come un moscerino». Lui annuì, uno scintillio negli occhi. «È semplicemente una questione di fisica, giusto?» «Cosa c'entra la fisica?» «Un corpo in movimento tende a restare in movimento a meno che non intervenga una forza esterna ad agire su di esso» recitò lui. «Sì, ma...» «E ha un'accelerazione di trentadue piedi al secondo...» «Ehi, te ne ricordi!» esclamò lei sorpresa. «E io che ho sempre pensato di sprecare il fiato con te.» Non poté fare a meno di sorridere. «Ma credo di avere parlato di oggetti, visto che una piuma si comporta diversamente da una palla da bowling.» La luce che brillava negli occhi di Dev quando aveva pronunciato la parola corpo era strana, intensa. E il suo sguardo le era scivolato sul davanti della maglietta bianca, poi era sceso sui calzoni e le scarpe da tennis. Quando era tornato a guardarla in viso, aveva un'espressione che Hannah non era riuscita a decifrare. Non che lei fosse completamente all'oscuro dei rapporti tra uomo e donna, certo. Ma quello era Dev Hart. Visti i suoi trascorsi, era probabile che non sapesse neppure che lei esisteva, perciò perché cercare di vedere nei suoi occhi qualcosa che non c'era? «Non sei più il mio tutor» le ricordò lui. «Adesso sei un medico. Non pensi che i corpi siano più interessanti delle piume o delle palle da bowling?» Lo sguardo di Dev si fece ancora più intenso. Hannah non si aspettava niente del genere, né tantomeno il fremito che dallo stomaco si propagò istantanea172


mente al resto del corpo, generando un inaspettato calore. Dev non l'aveva mai guardata in quel modo ai tempi del liceo. Ma allora, a parte durante le loro lezioni, non la guardava affatto. In ogni caso, quando era in sua compagnia, era più a suo agio parlando di fisica che di corpi, quindi cercò la maniera per tornare in argomento. «Resta il fatto che preferisco avere entrambi i piedi ben piantati per terra. Così nessun cavallo può mettermi in movimento verso il duro terreno per poi finirmi con comodo.» «È vero» concordò Dev. «Ma è un peccato che per una caduta ti privi della gioia di andare a cavallo. Non c'è niente di più esaltante di una bella cavalcata.» Accidenti!, pensò Hannah. Dopo dieci anni finalmente riusciva a catturare l'attenzione di Dev e stavano parlando... delle sue limitazioni. «Sono sicura che hai di meglio da fare che occuparti di me.» «È giunto il momento di sdebitarsi. Grazie a te sono riuscito a superare brillantemente gli esami di fisica e ho potuto accedere all'università. Il meno che possa fare è insegnarti ad andare a cavallo, non ti sembra?» «Che tu ci creda o no, finora sono sopravvissuta tranquillamente senza saper andare a cavallo. A Los Angeles non ci sono molte opportunità per farlo. Senza contare che ci sono modi più sicuri per arrivare dove si desidera.» Mentre discutevano, un altro cowboy era entrato nel recinto con un cavallo sellato. Con la coda dell'occhio Hannah aveva notato che era salito in groppa all'animale e aveva cominciato a farlo girare in tondo. All'improvviso il cavallo si impennò e sbalzò di sella l'uomo, che finì nella polvere con un grugnito. Invece di rialzarsi, il cowboy si toccò la spalla, una smorfia di dolore in volto. 173


Dev abbandonò la postura rilassata ed entrò subito in azione. Aprì rapidamente il cancello del recinto e Hannah lo seguì. Una volta raggiunto il cowboy, si inginocchiarono accanto a lui. «Cosa è successo, Newy?» «Qualcosa lo ha spaventato. Mi ha colto alla sprovvista...» L'uomo si interruppe mentre un'altra smorfia gli contorceva i lineamenti. «Dannata bestiaccia! Trotta tranquillo solo nelle stalle...» continuò tra i denti. «È la stessa spalla?» s'informò Dev. «Una lussazione?» Gli occhi azzurri dell'uomo incontrarono quelli del suo capo mentre annuiva con un gemito. «Sicuro che non sia rotta?» domandò Hannah. «Sì. Mi è già capitato.» «È sicuramente compromessa, allora» diagnosticò lei, sapendo che il trauma originario aveva reso più vulnerabile la giuntura. «Posso dare un'occhiata?» Visto il lampo di scetticismo che passò nello sguardo dell'uomo, Dev si affrettò a fare le presentazioni. «Newy Tubbs, Hannah Morgan... la dottoressa Hannah Morgan.» «Una donna medico?» Newy incontrò lo sguardo del suo capo. «Non saprei...» Hannah cercò di capire quale fosse il problema... se il fatto che era una donna, o che aveva l'aria di una ragazzina appena diplomata. Non sarebbe stata la prima volta che incontrava ostacoli del genere. Dev si scostò indietro il cappello e si passò lentamente la mano nei corti capelli castani, prima di rimetterlo a posto. «Possiamo caricarti su un pickup e sballottarti fino all'ambulatorio di Doc Halloway, se preferisci. Oppure Hannah potrebbe...» «... dare un'occhiata» terminò per lui il cowboy, con evidente riluttanza. «D'accordo.» 174


Doveva avere un male terribile, pensò Hannah, sorpresa che si fosse arreso tanto facilmente. Dev si spostò per lasciarle spazio e lei tastò con delicatezza la spalla ferita, constatando che non c'erano fratture. «È lussata» confermò. «Anche uno studente del primo anno potrebbe fare la diagnosi.» «Dovremo portarti in studio da Halloway» disse Dev. «Scusa, non abbiamo appena stabilito che anch'io sono un medico?» ribatté lei guardandolo. «A meno che tu non voglia torturare questo poveretto facendogli fare un viaggio in città, posso sistemargli la spalla anche qui.» Newy la guardò dubbioso. «Uno scricciolo come lei?» chiese preoccupato. «Ha ragione» interloquì Dev. «Doc l'ha già fatto altre volte. Vado a prendere il pickup...» «Non ci vuole forza, bisogna solo far leva» puntualizzò Hannah, cercando di ignorare l'irritazione che si era impadronita di lei al sentirsi definire scricciolo. Si sforzò di assumere un tono rassicurante. «Cos'ha da perdere facendomi provare?» domandò al cowboy. «Sempre che non abbia paura di un po' di dolore» aggiunse, sfidandolo. «Ma sentirebbe molto più male durante il tragitto verso Destiny. E anche dopo...» L'uomo passò lo sguardo da lei a Dev, quindi annuì piano. «Proceda.» Hannah assentì e afferrò con decisione polso e avambraccio. «Le farà un po' male» avvertì, «ma presumo lo sappia, se ci è già passato.» Mentre Newy annuiva, Hannah tirò con decisione il braccio. L'uomo represse un grido e grugnì. Poi la guardò, visibilmente sorpreso. «Diavolo, credo proprio che l'abbia sistemata! Il dolore sta passando.» Hannah si sedette sui calcagni. «È quello che suc175


cede quando torna in sede. Dev, non hai niente per fasciarlo? Il braccio deve essere immobilizzato.» Newy scosse il capo. «Non c'è bisogno che lo faccia lei. C'è un kit per il pronto soccorso nelle stalle. Ci penserà Wade.» Dev aiutò l'uomo ad alzarsi e lui si strinse al petto il braccio. «Molto obbligato, signora, voglio dire, dottore» si corresse con un debole sorriso. «Di niente.» Lo guardarono incamminarsi verso le stalle, quindi Dev si girò verso di lei. «Grazie.» «Figurati» replicò Hannah schermandosi gli occhi e sorridendogli, grata che avesse avuto modo di vederla come un medico competente e non solo come una pavida donnicciola che aveva paura dei cavalli. Lui incrociò le braccia sul petto. «Cosa posso fare per mostrarti la mia riconoscenza?» «Niente. È il mio lavoro, no?» Prima che Dev avesse modo di ribattere, un rumore di passi colse la loro attenzione. Hannah si voltò e vide un cowboy in miniatura che correva verso di loro a tutta birra. Dietro di lui arrancava Polly. «Ciao, papà» gridò il piccolo da lontano. «Ben» rispose Dev. La prese poi per un gomito e la guidò fuori del recinto. Hannah lottò contro il prepotente impulso di sottrarsi a quel tocco che le trasmetteva brividi caldi in tutto il corpo. Tirarsi indietro sarebbe stato segno di debolezza. E se c'era una cosa che aveva imparato essendo la più giovane della sua classe, era che non doveva mai far capire quando non aveva il pieno controllo di sé. Così lasciò che lui la pilotasse all'esterno e lo guardò mentre chiudeva il cancello, i muscoli possenti che guizzavano sotto la stoffa della camicia. Soffo176


cò il gemito di approvazione che le era salito alla gola, ma lo sfarfallio che ancora sentiva nello stomaco le dava dei seri problemi. Si sentiva come sulle montagne russe, nel bel mezzo di una discesa mozzafiato. Si sforzò di conservare una facciata di educato, freddo interesse, ma dentro di sé era preda di un tumulto di emozioni. Qualche istante più tardi, Ben piombò addosso al padre, che lo aspettava a braccia aperte. Dev lo tenne stretto a sé per qualche istante, quindi lo baciò sulla guancia e gli arruffò i capelli. «Ciao, piccola peste. Vi siete divertiti tu e Polly?» Il piccolo annuì. Poi si accorse di Hannah e la indicò con il dito. «Chi è, papà?» «Non è educato indicare, Ben» lo redarguì Dev. «Lei è Hannah, la figlia di Polly.» Polly li raggiunse, senza fiato. «Non ti ricordi, Ben? Ti ho detto che sarebbe arrivata oggi. È un medico. Ciao, tesoro.» «Ciao, mamma» sorrise Hannah e la abbracciò. Adesso sì che si sentiva a casa. Passarono parecchi istanti prima che si sciogliessero dall'abbraccio e anche allora rimasero vicine, tenendosi per la vita. Hannah notò che Dev la stava ancora guardando. Ben aveva gli occhi sgranati. «Fai le punture?» «Qualche volta» rispose lei. «Ma soltanto se è assolutamente necessario.» Il piccolo cinse le spalle del padre con il braccino. «Non mi piacciono le punture.» «Neanche a me» convenne Hannah. «Io le odio» affermò Polly. Hannah provò un moto di affetto per la madre. Era ancora una ragazza quando lei era nata, ed era bella e affascinante. La gente spesso diceva che sembravano più due sorelle che madre e figlia. E che si assomi177


gliavano... avevano gli stessi occhi blu e gli stessi capelli biondi. Hannah era contenta di non aver preso dal padre. Per un attimo accostò la guancia a quella di sua madre. «Mi sei mancata.» «Sei troppo impegnata per sentire la mia mancanza» replicò Polly sorridendo. «Ma sei molto carina a dirmelo. Vederti è una gioia infinita per me.» Le rivolse un'occhiata critica, poi aggiunse: «Anche se mi sembri un po' troppo magra». Come se avesse seguito il discorso, Ben annunciò: «Ho una fame da lupi. Non è ancora ora di fare merenda? Tu non hai fame, papà?». «Sì» ribatté lui. «E tu, Hannah? Hai fatto un lungo viaggio.» «Sono affamata anch'io» ammise senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla bocca di lui. Decisamente sexy, rifletté. Prima che potesse bloccare il pensiero, si chiese come sarebbe stato baciare Dev Hart. Era assurdo, ma non poteva fare a meno di pensare a quelle labbra ridenti premute contro le sue. Per scacciare l'immagine, scosse piano il capo. «E assetata.» Doveva essersi disidratata dopo essere rimasta così a lungo sotto il cocente sole texano. Senza dubbio era per questo che le frullavano per la mente idee così balzane su Dev e la sua bocca. «Allora andiamo» spronò lui. E dopo essersi issato il figlio sulle spalle, si avviò verso il declivio che conduceva alla casa. Le due donne lo seguirono, e mentre Hannah ascoltava la madre aggiornarla sulle ultime novità, non riuscì a distogliere lo sguardo da Dev. L'evidente legame tra padre e figlio le scaldò il cuore. Avrebbe voluto saperne di più sulla donna che era stata sua moglie e su quanto era successo tra loro. Chissà quali erano i motivi per cui era rimasto da solo a crescere suo figlio? 178



Pagina

Romanzo

Segreto d'amore



1 Maggie Benson sgranò gli occhi, incredula. Non poteva fare a meno di fissare sbigottita l'uomo che si trovava a pochi passi da lei. Santo cielo!, gemette fra sé. Stava sognando... o si trattava di un'allucinazione? Non si sarebbe stupita se da un momento all'altro avesse sentito nell'aria la colonna sonora di Ai confini della realtà, la nota serie televisiva di fantascienza. L'uomo fermo appena fuori del suo stand assomigliava in modo stupefacente a Jack Riley. Anche se durante tutto il giorno aveva già avuto la sensazione di vederlo, sapeva benissimo che non poteva essere lui. Forse era un sosia... «Ciao.» Le bastò una sola parola per riconoscere quella voce sensuale e profonda. «Jack?» «In persona.» Era lui. Buon Dio, Jack Riley era tornato! E lei non sapeva se abbracciarlo o prenderlo a pugni. Cominciarono a tremarle le mani, poi il tremito si diffuse in tutto il corpo e le gambe le si fecero di gelatina. Come se non bastasse, il cuore le batteva così forte da farle quasi male. L'uomo che le stava di fronte era stato il suo primo amore, con lui aveva vissuto un'esperienza che non 323


avrebbe mai potuto dimenticare. Purtroppo non si poteva dire lo stesso per lui, che se n'era andato da Destiny senza voltarsi indietro e non vi aveva più fatto ritorno. E, accidenti a lui, era ancora così bello e affascinante da togliere il respiro. Due occhi blu che parevano un cielo estivo, capelli neri e corti, fisico atletico... Maggie non lo vedeva da quando aveva lasciato la città, poco più che ragazzo. Adesso, a distanza di dieci anni, era più prestante, più virile. Era diventato un uomo. «È bello rivederti, Maggie» esordì lui, mentre lei continuava a fissarlo. Come poteva scomparire per dieci anni e poi presentarsi al rodeo studentesco come se niente fosse? Cosa si aspettava che gli dicesse? «Il gatto ti ha mangiato la lingua?» le chiese Jack, quasi le avesse letto nel pensiero. Maggie si strinse nelle spalle e allargò le braccia, in un gesto che esprimeva totale impotenza. Dopodiché riuscì a mormorare un wow! appena percettibile. «Be', è già qualcosa.» Jack la stava guardando come se potesse scrutarla nella anima. Se esisteva la giustizia divina, non doveva vedere il suo segreto, pensò lei. Non adesso. Non ancora. «Come ti vanno le cose?» gli domandò. «Bene. E a te?» «A meraviglia.» «Hai l'aria di una che ha appena visto un fantasma.» «Probabilmente perché è proprio così che mi sento» rispose Maggie. Si passò poi le mani sui jeans e trasse un profondo respiro. «Mi pareva di averti visto poco fa. L'ho detto anche a Taylor Stevens, ma ero convinta di essermi sbagliata.» Si strinse nelle spalle. «È tutto il giorno che ho una strana sensazione di déjà vu.» 324


«Non ti sbagliavi. Ero io.» «Perché non ti sei avvicinato, allora?» Anziché rispondere, Jack prese uno dei bigliettini che si trovavano in una scatola sul banco. «This'n That? Di Maggie Benson?» domandò. «Già, è il mio negozio. L'ho aperto cinque anni fa, in centro.» «Che cosa vendi?» «Oggetti di antiquariato, manufatti, souvenir. Mi hanno affidato la vendita delle magliette ufficiali del rodeo.» Maggie prese una maglietta, la aprì e la girò. «Vedi? Ci sono tutti i nomi dei ragazzi. E poi ricamo e dipingo giubbotti e pantaloni jeans» continuò, indicando gli articoli in esposizione. «Davvero notevole» commentò lui, osservando ammirato una gonna ricamata. «Grazie.» Jack si appoggiò con noncuranza al banco. «Sorpresa di vedermi?» Sorpresa? Era scioccata, stordita, confusa! Tuttavia si sforzò di ostentare la massima disinvoltura. «Perché mai dovrei essere sorpresa? Sei partito. Ci siamo scritti qualche lettera, poi tu sei svanito nel nulla.» Si strinse nelle spalle. «Capita di continuo.» «Non sono molto bravo a scrivere lettere.» «Davvero? Non sembra... Nell'ultima sei stato chiarissimo. Mi hai scaricato.» Maggie non aveva sofferto solo per la perdita del suo primo amore, ma anche per la brutalità della rottura. Certe frasi erano rimaste impresse a caratteri di fuoco nella sua memoria. Sta diventando una cosa troppo seria, aveva scritto Jack. Non è giusto nei tuoi confronti. È meglio che le nostre strade si dividano. «Se non ricordo male, sostenevi di condurre una vita troppo instabile per poter avere una relazione seria.» «Già.» Jack spostò lo sguardo oltre le sue spalle. 325


Un muscolo gli si contrasse sulla mascella e le labbra si serrarono in una linea dura. «Ti ho risposto, ma la lettera mi è tornata indietro con il timbro Rispedire al Mittente» riprese lei. «Da allora non ho più saputo niente di te. E ora eccoti qui.» Benché in quel momento si sforzasse diapparireindifferente, dieci anni prima Maggie aveva vissuto un dramma. La lettera che le era tornata indietro era stata un vero shock, cui erano immediatamente seguiti il dolore e il panico. Era una ragazzina spaventata con un piccolo problema destinato a crescere di mese in mese... per non parlare della sofferenza straziante per l'amore deluso. Era convinta che Jack la amasse e che l'avrebbe sempre amata. Ma ora non era più una ragazzina. Le circostanze l'avevano costretta a maturare in fretta e non esisteva più un briciolo di romanticismo in lei. Ora sapeva che l'amore poteva finire. «Mi sono imbarcato immediatamente dopo il campo di addestramento» disse Jack, come se quello spiegasse tutto. «Non è il caso che ti giustifichi.» «Era una spiegazione.» «Va bene» annuì lei. «Comunque non ce l'ho con te.» «Oh?» L'ombra di un sorriso distese le labbra di Jack. «Non essere sciocco» ribatté Maggie, scostando indietro i riccioli rossi. «Ammetto che per un po' ho sofferto, ma ne sono venuta fuori. Anni fa. Sono cresciuta.» «Lo vedo.» Jack sorrise apertamente e Maggie sperimentò un fremito di eccitazione. Accidenti! In dieci anni nessun uomo era riuscito a farle provare niente del genere. 326


Ma erano bastati pochi minuti insieme a lui per farla sciogliere come neve al sole. Per paura che la maglietta rivelasse i capezzoli inturgiditi, Maggie si strinse le braccia al seno. «Allora, cos'hai fatto in tutti questi anni?» chiese, in tono disinvolto. Il volto di lui si rabbuiò, poi l'espressione divenne impenetrabile. «Oh, un po' di tutto» rispose, fissando il biglietto che teneva ancora in mano. Be', non era granché come risposta, pensò lei. «Quando sei arrivato in città?» «Oggi.» «Cosa ti ha portato qui?» «Affari personali.» «Oh?» «E un articolo di giornale.» Maggie non ricordava che fosse così faticoso strappargli delle informazioni. Ma ripensandoci, dovette ammettere che tutte le volte che avevano trascorso del tempo insieme, parlare non era stata la loro principale occupazione... I ricordi evocati da quel pensiero le fecero incendiare le guance. Lei che sgattaiolava via da casa di nascosto per incontrarlo. La sensazione delle sue braccia forti che la stringevano. I baci di cui non si saziava mai. Era stato eccitante. Elettrizzante. Maggie sollevò il viso, per studiarlo meglio. Non poteva dire di averlo conosciuto bene, dieci anni prima, e anche ora era poco più di un estraneo... Bene, pensò, se aveva voglia di giocare agli indovinelli, gli avrebbe dato corda. Dopotutto anche lei aveva qualche curiosità da soddisfare. «Quale articolo?» «Pubblicizzava il torneo e l'apertura al pubblico del ranch di Taylor Stevens. C'era anche una foto di Mitch Rafferty e Dev Hart con Taylor.» «Sono davvero impressionata.» 327


«Mmh?» «Una serie completa di parole una di seguito all'altra» lo canzonò lei. «Due frasi intere, se non sbaglio.» Jack si infilò il piccolo biglietto da visita in tasca. «Tutta colpa dell'addestramento militare.» «Come, prego?» «Toglie il piacere della... comunicazione» spiegò lui, il volto totalmente inespressivo. A cosa stava pensando?, si chiese Maggie. Cosa provava? Il Jack che ricordava non era così complicato. Aveva un animo affettuoso e dolcissimo sotto la scorza di duro. E quel ragazzo le aveva rubato il cuore. Erano stati insieme solo qualche settimana, l'ultimo anno di liceo, quando lui aveva già firmato per arruolarsi nell'esercito. Come sarebbero andate le cose se Jack non fosse partito?, non poté fare a meno di domandarsi. Sarebbero stati ancora insieme adesso? O no? «Allora, che cos'hai fatto in tutto questo tempo?» domandò, rosa dalla curiosità. «Ho viaggiato molto. Non mi fermo mai a lungo nello stesso posto.» «Perché?» Per la seconda volta Jack ignorò una domanda diretta. Questa volta però sorrise, in modo genuino, spontaneo. Quel sorriso ebbe un effetto devastante su Maggie. «Che cosa c'è? Perché sorridi?» «Sei sempre la stessa Maggie... franca e diretta.» Non proprio la stessa, pensò lei. «Così non ti fermi mai a lungo in un posto. Questioni militari?» congetturò. E al suo cenno di assenso, proseguì: «Ti manca tuo padre?». «Non molto. Non più.» Suo padre era morto cinque anni prima. Un attacco di cuore. Maggie aveva sentito che Jack era tornato 328


per stare vicino alla nonna e aiutarla a organizzare il funerale e il resto. All'epoca lei si trovava in Florida con i suoi, perciò non lo aveva visto. Ne era stata sollevata e rattristata al tempo stesso. E si era detta che evidentemente era destino che non si incontrassero. Improvvisamente realizzò quali affari personali lo avessero riportato a Destiny. E si rese anche conto che una parte di lei aveva sempre saputo che si sarebbe fatto vivo. «Mi dispiace per tua nonna. Abbiamo sentito la tua mancanza ai funerali. È venuta quasi tutta la città, è un peccato che tu non ce l'abbia fatta.» Un'altra ombra passò sul viso di lui. «Già.» «Come mai non sei venuto?» «Stavo... lavorando.» L'impercettibile esitazione e la nota addolorata del suo tono furono estremamente eloquenti. «Dottie diceva che non ti sentiva spesso. I messaggi personali non ti arrivano quando sei in missione?» «No.» «Ma è morta sei mesi fa» obiettò lei. «Non è poco. Cosa ti ha trattenuto così a lungo?» Jack si strinse nelle spalle. «Non sono potuto venire per il funerale. Dopo,non avrebbe avuto più importanza il momento del mio ritorno.» «Bel lavoro il tuo!» commentò lei sarcastica. «Secondo Dottie ti aveva risucchiato come un buco nero.» «La nonna se la cavava piuttosto bene con le parole» ribatté lui mestamente. «Ti voleva molto bene. Ed era orgogliosa del fatto che avevi scelto di servire il tuo paese. Le ero affezionata.» Cinque anni prima, Maggie aveva aperto il negozio e aveva lasciato la casa dei suoi per andare a vivere in un appartamento. Dopo due anni aveva comprato la sua bella villetta, di fianco a quella di Dottie. Per un 329


anno e mezzo i biscotti fatti in casa, le torte salate e i dolci dell'anziana donna – per non parlare dei suoi saggi consigli – le erano stati davvero preziosi. Dottie si era sempre adoperata in tutti i modi per farle sapere che Jack non aveva nessuna relazione. E lei aveva ricambiato la sua gentilezza con un affetto davvero sincero. Anche Faith le voleva molto bene, del resto. Sua figlia. La figlia di Jack. Quando era rimasta incinta, Maggie aveva cercato di dirglielo, ma lui era sparito, e alla fine aveva deciso che era meglio non sapesse niente. Dovrei dirglielo adesso, rifletté, ma non era certo un argomento che si potesse introdurre così, di punto in bianco, in una conversazione. E poi, visti i precedenti, Jack probabilmente non aveva in programma di fermarsi a Destiny. Si sarebbe limitato a sistemare le proprietà di sua nonna e dopo sarebbe ripartito. Questa volta per sempre, perché ormai non aveva più nessun legame lì. Nessun legame di cui fosse a conoscenza, almeno. Con lo sguardo Maggie scandagliò la folla in cerca della testolina ricciuta di sua figlia. Poco prima Faith era sugli spalti insieme allo sceriffo Grady O' Connor, le sue due gemelle, e Jensen Stevens. Ora in quel punto si vedeva solo Grady. «Dove diavolo sono andate?» borbottò fra sé, cercando di vedere meglio. «Chi?» chiese Jack, voltandosi a seguire il suo sguardo. «Le tre ragazzine che sto tenendo d'occhio» rispose lei in tono vago. «Continuano a spostarsi da un punto all'altro, come delle api in cerca di polline.» «Come sono?» Una ha i tuoi occhi e i miei riccioli, avrebbe voluto rispondere lei. Ma fortunatamente il buonsenso prevalse. «Due sono identiche... le gemelle di Grady. 330


L'altra ha un paio di jeans e una maglietta rosa shocking.» Jack perlustrò le panchine. Con metodo, come se stesse cercando di individuare la sua preda. Al solo pensiero Maggie rabbrividì. Chissà che esperienze aveva vissuto nei dieci anni che aveva trascorso lontano da Destiny... «Non le vedo» dichiarò lui. «Nemmeno io. Accidenti! Solo un momento fa le ha avvicinate un uomo... Sto parlando di un estraneo.» «È un campionato» osservò Jack. «Ci sono molte persone che non conosci.» «Lo so. Ma questo tizio mi ha procurato una strana sensazione. Ridi pure, se vuoi, però è così.» Lui scosse il capo. «Ho imparato a non sottovalutare mai l'istinto.» Come lo aveva imparato? Maggie moriva dalla curiosità, ma non aveva intenzione di chiedergli niente. E non avrebbe neppure cercato di spiegargli quella strana sensazione che provava quella sera. Ne aveva parlato con Taylor Stevens quando si era fermata al suo stand. L'amica sembrava convinta che, con il ritorno di Mitch Rafferty in città, il passato avesse cominciato a riaffiorare... Ci avevano riso sopra, scherzando sul fatto che Mitch doveva essere una specie di catalizzatore cosmico, ma Maggie non era così sicura che si trattasse solo di uno scherzo. Per fortuna, mentre ancora stava parlando con Taylor, lo sceriffo aveva raggiunto le bambine facendo sparire lo straniero. Ora che non riusciva a vederle, quella strana sensazione era tornata a farsi più forte che mai. In quel momento, Maggie vide la sorella di Taylor, Jensen, avanzare verso lo stand. Era una splendida bruna, con un paio di occhi verdi 331


che la facevano assomigliare a una gatta. «Ciao, Maggie» salutò fermandosi allo stand. Si volse poi verso Jack. «Hai l'aria familiare» osservò. «Jack Riley» disse lui. «Ora mi ricordo» ribatté Jensen, indirizzando a Maggie uno sguardo che segnalava approvazione per i suoi gusti in fatto di uomini. Subito dopo, accorgendosi che l'altra era agitata, chiese: «Qualcosa non va?». «Ti ho visto sulle gradinate con le ragazze poco fa. Sai dove sono andate?» Jensen annuì. «Kasey e Stacey erano dirette al banco del bar, mentre Faith stava andando al recinto del bestiame.» «Santo cielo, quella ragazzina non ha un minimo di buonsenso!» Incontrando lo sguardo di Jack, Maggie cercò di contenere la propria reazione. Non voleva che le facesse domande prima che fosse pronta ad affrontarlo. «Sono sicura che Faith sta benone» la rassicurò Jensen. «Mi fai un piacere? Puoi dare un'occhiata allo stand mentre io vado a controllare cosa sta combinando?» «Certo» rispose Jensen mettendosi dietro il banco. «Farò del mio meglio per difendere il forte.» «Non preoccuparti. C'è stato il caos prima che iniziassero le gare, ma ora è più tranquillo. L'intervallo è quasi finito, non dovresti avere problemi. Torno subito. Grazie. Ciao, Jack.» «Vengo con te» replicò lui seguendola. «Non è necessario.» Maggie accelerò il passo, ma si rese conto che era inutile tentare di lasciarlo indietro. E poi, se avesse insistito, Jack si sarebbe chiesto il perché del suo comportamento. E lei non aveva ancora intenzione di dargli una risposta. 332


Quando arrivarono al recinto, l'odore della paglia e della polvere li investì. Maggie individuò subito la figlia. Faith era in bilico sullo steccato e osservava intenta il fervore delle attività. Era protesa in avanti, verso gli animali, e Maggie si sentì venir meno per la paura. «Faith» la chiamò quando fu a pochi metri da lei. «Scendi immediatamente da lì.» Vedendola, la ragazzina fece per salutarla, ma ci mise troppo slancio. «Cia...» Un istante più tardi Maggie la vide perdere l'equilibrio e cadere dentro al recinto. L'attenzione di tutti era rivolta al centro dell'arena, dove Mitch Rafferty stava parlando al microfono. Nessuno vicino a Faith si era accorto che la bambina era caduta e correva il rischio di essere travolta. «Oh, Dio...» gemette Maggie, atterrita. Le sembrava di vivere un incubo: aveva le gambe bloccate nelle sabbie mobili e non poteva correre in soccorso della figlia. Ma Jack non ebbe esitazioni. Senza dire una parola, saltò dentro al recinto e, gesticolando per tenere lontane le bestie, afferrò la bambina. Poi, proteggendola con il suo corpo, la portò in salvo. Con il braccino stretto attorno alle sue spalle forti, Faith gli sorrise. «Grazie, signore.» «Tutto a posto?» «Sì» rispose la bimba. Ma quando spostò lo sguardo sulla madre, si rabbuiò. «Forse no. Può mettermi giù adesso, mi sa che è in arrivo un castigo.» «Ti sei fatta male?» domandò Maggie prendendola per un braccio e controllando il suo visetto lentigginoso. Per fortuna non c'erano escoriazioni o lividi. Aveva delle chiazze rosse sulla maglietta, ma erano macchie di gelato alla fragola. «Sta bene» rispose Jack al suo posto. «Però credo 333


che faremmo meglio a rintracciare i suoi genitori.» Gli occhi blu di Faith – identici a quelli di Jack – corsero dalla madre a lui. «Non è il caso di cercarli.» «Come?» ribatté lui sconcertato. «Ho soltanto la mamma ed è qui.» Maggie si irrigidì. Il volto di Jack si era fatto nuovamente inespressivo, ma era teso, come se ogni cellula del suo corpo fosse in allarme. Le diede un pizzico di soddisfazione essere riuscita a scorgere quell'accenno di reazione. Si augurò che non facesse commenti, ma purtroppo quella speranza svanì ben presto. «Mamma?» ripeté lui, inarcando un sopracciglio.

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