B1487_UN PLAYBOY AL PRONTO SOCCORSO

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Alison Roberts

UN PLAYBOY AL PRONTO SOCCORSO


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Honourable Maverick Harlequin Mills & Boon Medical Romance © 2011 Alison Roberts Traduzione di Maria Elena Giusti Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Serie Bianca giugno 2012 Questo volume è stato stampato nel maggio 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY SERIE BIANCA ISSN 1122 - 5420 Periodico settimanale n. 1487 del 12/06/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 377 dello 09/02/1982 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 I tre uomini erano uno accanto all'altro. Alti. Silenziosi. Scuri. Avvolti nelle tute di pelle nera, con i caschi da motociclista in una mano e una bottiglia di birra ghiacciata nell'altra. Quando alzarono le bottigliette e le avvicinarono, il brindisi suonò cupo come l'atmosfera che regnava intorno. Anche le voci che uscirono dalle loro labbra non avevano niente di festoso. «A Matt» dissero all'unisono. E bevvero un sorso del liquido ambrato. Un sorso lungo e lento che accompagnò il pensiero dell'amico non più presente. Cari ricordi, rinnovati da questo rituale che si ripeteva ogni anno e che era appena giunto al decimo anniversario. Per quanto sembrasse impossibile erano già passati vent'anni dalla fine della Graystones Grammar School dove si erano guadagnati il titolo di ragazzacci. Un'etichetta che non li aveva abbandonati neppure quando si erano laureati in medicina, tutti e quattro a pieni voti. Ora, però, i ragazzacci erano solo tre e l'amicizia che li univa era stata temprata dal tempo e dalle esperienze. 5


Il silenzio continuò anche quando le bottigliette vennero abbassate con un gesto lento e quasi reverenziale. E forse sarebbe durato ancora se dei colpi secchi alla porta d'ingresso non fossero arrivati come uno spiacevole intruso a scuotere i tre amici. La voce di una donna seguì i colpi che forse sarebbero stati ignorati. «Sarah? Sei in casa? Dio mio... devi esserci. Ti prego, apri la porta... Per favore...» Gli uomini si guardarono a vicenda. Uno scosse la testa, l'altro sbuffò e il terzo, Max, si mosse per andare ad aprire. Ti prego, ti prego, ti prego... Ellie strinse gli occhi per ricacciare le lacrime e, alzando di nuovo la mano, si accinse a bussare per la terza volta, con maggiore energia. Non era possibile che Sarah non fosse in casa! Avendo gli occhi chiusi non si accorse che la porta si stava aprendo e si trovò all'improvviso a barcollare nel vuoto verso un uomo vestito di scuro che non sembrava affatto contento di vederla. La tuta di pelle aperta sulla maglietta nera le riportò alla mente le motociclette che aveva visto parcheggiate davanti alla casa e alle quali non aveva dato importanza. Santo cielo! Non solo aveva bussato alla porta sbagliata, ma era capitata nel salotto di una gang di motociclisti che si stavano scolando delle birre e... chissà che altro. Mentre due robuste mani l'afferravano per impedirle di cadere, pensò a una rapida via di fuga con il cuore in gola. «Mi lasci» gemette divincolandosi quando lui la portò dentro. 6


«Non avere paura.» La voce profonda dello sconosciuto suonò a metà fra l'annoiato e il divertito. «Volevo solo evitare che finissi lunga distesa sul pavimento del mio salotto.» «Mi sono sbagliata» rispose lei confusa. Dovette fare un passo indietro per ritrovare l'equilibrio e, lasciando cadere a terra la borsa che aveva in mano, gli posò entrambe le mani sul petto per aumentare la distanza che li separava. Solo allora Ellie osò alzare gli occhi per incontrare lo sguardo di quello sconosciuto dai muscoli compatti e dalla voce suadente. Capelli neri, occhi scuri, ma niente tatuaggi evidenti, niente piercing. E forse era anche un po' troppo ordinato per far parte di una gang di sbandati. Si guardò intorno e sospirò alla vista di altri due soggetti dello stesso tipo che la stavano fissando. Anche loro indossavano tute di pelle nera da motociclisti con la cerniera abbassata sul petto e pesanti stivali di cuoio nero. Avevano in mano una bottiglietta di birra. Evidentemente stavano festeggiando qualcosa e non sembravano affatto contenti di essere stati interrotti. Ellie si drizzò in tutta la sua altezza. Come se una donna di un metro e sessantotto potesse incutere alcun timore! «Mi dispiace» disse con tutta la decisione che riuscì a trovare. «Devo aver sbagliato casa. Cercavo Sarah Prescott. Tolgo subito il disturbo.» Si girò per dirigersi verso l'uscita, ma il primo uomo le bloccò la strada. «Lo dico davvero» ripeté lei dopo aver deglutito. «Mi dispiace avervi disturbati.» Si spostò da un lato per evitare l'ostacolo e arrivare alla porta. A quel punto, poco importava se non aveva raccolto 7


la borsa! L'uomo non parve muoversi, ma la porta si chiuse alle sue spalle. «Devo proprio andare» insistette lei. Il suono della sua voce le parve troppo debole per essere abbastanza convincente. «A cercare Sarah?» chiese l'uomo. «Certo.» «È urgente?» «Oh... sì lo è.» Ellie annuì con vigore per dar maggiore rilievo alle sue parole. «Perché?» Lei lo fissò in silenzio. Come se avesse potuto raccontare certe cose a un perfetto sconosciuto! «D'accordo» continuò l'uomo con tono pacato. «Qualsiasi sia la ragione non importa. Qui sei al sicuro.» Come faceva a sapere che quelle erano esattamente le parole che lei avrebbe voluto sentirsi dire in quel momento? E come era possibile che le venisse così naturale credergli come se lo conoscesse da sempre? Per un istante Ellie rimase immobile. Poi scoppiò in lacrime. Max colse il suo sgomento e l'improvviso sollievo davanti alle sue parole. Non lo conosceva neppure, ma dalla sua reazione era chiaro che ora si sentiva al sicuro. Che cosa gli era saltato in mente? Mentre le passava un braccio attorno alla vita per consolarla sentì qualcosa sotto il maglione oversize che indossava ed ebbe un tuffo al cuore. Senza riflettere sulle conseguenze delle sue azioni, aveva offerto protezione a quella sconosciuta che stava scappando da qualcosa o da qualcuno e, come se 8


non bastasse, era anche incinta... probabilmente verso la fine della gravidanza! «Max...» La voce di Jet suonò come un avvertimento. «Ma che cosa fai, amico? È solo venuta nell'appartamento sbagliato, tutto qui.» «No, ti sbagli.» Max strinse a sé la donna scossa dai singhiozzi mentre la portava verso il divano. «Sarah Prescott abitava qui prima di me. È partita per gli Stati Uniti la settimana scorsa.» «Cosa?» Max la sentì irrigidirsi fra le sue braccia. «Non può essere!» Ellie si asciugò il viso col dorso della mano e tirò su col naso, come una bambina. «Doveva partire venerdì! Venerdì prossimo! È per questo che sono qui, per partire con lei.» «Infatti è partita di venerdì. Ma venerdì scorso» spiegò Max abbassando lo sguardo sul maglione di due taglie più grandi. «E credi davvero che ti lascerebbero salire su un volo internazionale in quelle condizioni? Quando è il termine?» Ellie incurvò le spalle, come sotto un grande peso, e lui poté leggere il turbine di pensieri che le attraversava la mente mentre il risentimento per la brusca interruzione si era ormai dileguato lasciando il posto a una certa curiosità cui Jet fu forse l'ultimo a cedere. «Vieni a sederti» le suggerì. «Come ti chiami?» «Ellie» rispose lei senza muoversi. «Ellie Peters.» «Io sono Max. Quello che sta appoggiando il casco sul tavolo è Rick e l'altro è Jet.» Davanti alla sua espressione interrogativa aggiunse: «Il vero nome sarebbe James, ma è sempre stato appassionato di volo e gli piace anche andare forte in moto». «Già, ma non abbastanza forte da superarmi» commentò Rick vicino alla finestra. 9


Lo sbuffo di Jet gli comunicò che prima o poi avrebbe dovuto ricredersi e l'espressione di Ellie parve rilassarsi. Forse avrebbero presto scoperto che cosa l'aveva spinta a fuggire e dopo averle offerto qualche consiglio avrebbero potuto rispedirla per la sua strada. Non avevano tanto tempo da passare insieme e fra non molto avrebbero dovuto salutarsi. Chissà quanto sarebbe passato prima che avessero di nuovo l'occasione di ritrovarsi tutti... «Posso darti qualcosa da bere?» chiese Max mentre lo sguardo si posava sul maglione che copriva le forme di cui gli pareva di sentire ancora il calore. E vedendola portare l'attenzione sulle bottiglie di birra appoggiate sul tavolo si affrettò ad aggiungere: «Qualcosa di analcolico... intendo». «Mi dispiace interrompere la festa» bofonchiò Rick. «Ma qui fuori c'è un individuo che sembra molto interessato a questo appartamento.» Ellie emise un gemito spostandosi da un lato per essere certa di non essere vista dall'esterno. Poi, con molta cautela, sbirciò fuori dalla finestra. «Oh, no!» Sospirò. «È Marcus. Pensavo di averlo seminato all'aeroporto.» «E chi sarebbe Marcus?» Max guardò fuori dalla finestra dove vide solo un taxi con l'autista. «Era... Era il mio...» Ellie parve non trovare le parole per descrivere lo status di quell'uomo. «Abbiamo avuto una relazione. Molto breve, ma... è stato difficile uscirne.» Max provò un moto di rabbia. «Vuoi dire che ti sta perseguitando?» «Più o meno...» «Ma da dove sei arrivata?» «Oggi? Da Wellington. Credo che abbia ingaggiato 10


un investigatore privato e abbia preso un volo da Auckland per precedermi all'aeroporto.» «Auckland... certo...» Rick schioccò le dita. «Mi sembrava vagamente familiare.» Tutti si voltarono verso di lui. Max ed Ellie parlarono all'unisono. «Lo conosci?» «Marcus Jones. Chirurgo ortopedico, esatto?» «Esatto» confermò lei stupita. Rick si rivolse agli altri. «Abbiamo avuto un piccolo scontro quando lavoravo all'Auckland Central qualche anno fa.» Sbuffò per esprimere la sua frustrazione. «Un ragazzo con un tumore al midollo. Volevo provare una nuova tecnica. Rischiosa ma assolutamente fattibile. Lo avrebbe lasciato neurologicamente intatto.» Max e Jet annuirono per confermare le parole di Rick. «Quell'individuo sa essere convincente quando vuole. Così convinse il paziente e la famiglia a seguire la procedura standard e il ragazzo finì quadriplegico e attaccato a un respiratore artificiale. Forse a quest'ora sarà già morto.» «Eh, già! Lui segue le regole» commentò Max. «Direi di più» sottolineò Rick. «Lui le fa, le regole.» «Anche adesso?» Il tono di Max bastò a guadagnare l'approvazione silenziosa degli altri che si scambiarono occhiate d'intesa mentre Ellie sembrava chiedersi con preoccupazione che cosa sarebbe accaduto. Era forse il caso di spiegarle che una delle ragioni che li univa era la convinzione che a volte ci sono regole che vanno infrante? E che erano disposti a farlo ogni volta che lo ritenevano opportuno? Anche se avesse voluto, Max non ne avrebbe avuto il tempo perché l'urgenza con cui l'uomo bussò alla 11


porta parve superare in intensità quella di Ellie. «Apri la porta!» Dal tono era chiaro che quell'individuo era abituato ad avere il controllo della situazione. «So che sei lì, Eleanor.» Fu Jet ad andare ad aprire. «No!» lo supplicò Ellie. «Non farlo!» Max e Rick le si misero accanto. «Non sembra che sia disposto ad andarsene senza un piccolo incoraggiamento» commentò Max piegando la testa da un lato. «Ricordati che qui sei al sicuro.» «Mmm.» Il suono che uscì dalle sue labbra, esitante, ma pieno di speranza, gli fece vibrare una corda nel profondo del cuore. «Vuoi che se ne vada, vero?» «Sì» confermò lei. «Per sempre?» «Per sempre.» Jet spalancò la porta. «Era ora!» L'uomo di bassa statura con un abito gessato entrò senza aspettare di essere invitato. «Andiamo, Eleanor. C'è un taxi che ci aspetta.» Lei non disse niente e Max poté notare dall'espressione quanto fosse tesa. Il nuovo venuto avanzò di un altro passo e solo allora parve accorgersi che non era sola. Poi si voltò per vedere Jet che aveva chiuso la porta e vi si era appoggiato incrociando le braccia sul petto. Max dovette sforzarsi per non sorridere. Nessuno meglio di Jet sapeva assumere un'espressione minacciosa con tanta facilità. A quel punto, l'azzimato chirurgo guardò Rick e infine Max. Fortuna voleva che, avendo appena terminato il giro in moto che facevano ogni anno in onore dell'amico Matt, indossassero ancora la tuta di pelle 12


nera e il fatto che fossero più alti e più atletici del nuovo arrivato era un punto in più a loro favore. Marcus Jones si schiarì la gola prima di chiedere: «E questi chi sono, Eleanor?». Lei rimase in silenzio, immobile come un animaletto abbagliato dai fari di un'auto, e Max squadrò l'intruso dalla testa ai piedi. Da come deglutiva, Marcus non sembrava affatto a suo agio. Forse poteva anche permettersi di fare il bullo con una donna, ma davanti a loro tutta la sua aggressività sembrava essersi ridotta all'improvviso. Allargando le braccia li guardò a uno a uno prima di dire: «Non so che cosa vi abbia raccontato, ma sono certo che non sarà difficile chiarire il malinteso. Eleanor è la mia fidanzata. È incinta di mio figlio e sono venuto per riportarla a casa». Sentendo Ellie muoversi accanto a lui, Max le circondò le spalle con un braccio e quando i loro occhi si incontrarono lesse l'inequivocabile richiesta di aiuto cui nessun uomo che potesse definirsi tale avrebbe potuto resistere. «Davvero strano» rispose di getto. «Perché Ellie mi ha appena detto che il figlio è mio. E sa una cosa?» Fissò lo sconosciuto con sguardo tagliente. «Io le ho creduto.» Il silenzio che seguì fu così denso che si sarebbe potuto tagliare con un coltello. E non c'era da stupirsi che fosse così. Anche Max era stupefatto dal suono delle sue stesse parole. Il figlio è mio? Fra tutte le parole che avrebbero potuto uscire dalle sue labbra quelle erano le più insolite che avesse mai potuto pensare eppure... per quanto sembrasse strano... gli avevano procurato un'emozione improvvisa tutt'altro che spiacevole. 13


Un brivido che lo aveva fatto sentire all'improvviso più forte. Rick emise un suono che sarebbe potuto apparire come una risata strozzata se non fosse stato abilmente trasformato in colpo di tosse. Mentre, alle spalle di Marcus, Jet scuoteva la testa incredulo senza preoccuparsi di nascondere la sua espressione divertita. «Eleanor...» Marcus la fissò stringendo leggermente gli occhi. «Hai intenzione di dire qualcosa o pensi di restare lì impalata come una bambola di pezza?» Jet aprì la porta. «Sembra che la signora non le voglia parlare» disse con tono educato. «Perché non si comporta da gentiluomo e non si toglie di torno?» «Non mi dica cosa devo fare» ringhiò Marcus. «Sono primario di chirurgia all'Auckland Central Hospital e non mi importa di che gang facciate parte. Mettetemi i bastoni fra le ruote e ve ne pentirete.» «Davvero? E che cosa pensa di fare?» chiese Rick con tono pacato. «Vuole forse sbagliare un intervento e lasciarci a soffrire legati al respiratore artificiale per il resto della nostra vita?» «Che diavolo ha detto?» lo sguardo che ricevette Rick fece rabbrividire Max. Quell'uomo era più pericoloso di quanto avesse creduto. Strinse leggermente il braccio attorno a Ellie. «Non posso crederci! Lei è l'aiuto di neurologia che pensava di saperne di più di me.» «È stato qualche anno fa» gli ricordò Rick. «Adesso, se non le dispiace, sono primario di neurochirurgia.» «E io sono primario di medicina d'urgenza» intervenne Max. «Come vede, il suo status ospedaliero non le sarà di molto aiuto in quest'occasione.» «Già che ci stiamo presentando. Io sono medico di pronto soccorso quando sono in città» intervenne Jet. 14


«Ma di solito lavoro con i SAS. Unità di forze speciali, nel caso non li conosca. Quindi le sue minacce non mi fanno paura.» Max sentì Ellie rilassarsi contro di lui e provò una certa soddisfazione nel pensare che, anche se non lo conosceva, si fidava comunque della sua protezione. Qualsiasi cosa le fosse passata per la testa ora sembrava più forte di quando era arrivata, come confermò il tono di voce con cui disse: «Vattene, Marcus. Ti ho già detto da tempo che non voglio più vederti». Marcus Jones, che sembrava sempre meno sicuro di sé si dondolò sui piedi prima di voltarsi a guardare la porta aperta alle sue spalle. «Adesso è con me» sottolineò Max. «La mia donna e il mio bambino sono con me» concluse in un modo che non lasciava spazio a repliche. «Se ci tieni alla tua pelle togliti dai piedi e non farti più vedere da queste parti. Mai più!» Quindi restarono tutti a guardare dalla finestra Marcus Jones che raggiungeva il taxi e vi saliva velocemente. «Bel colpo, Max» commentò Rick appena l'auto si fu allontanata. Jet scosse la testa. «Be'... certo sei stato abile a giocare la carta vincente. Purtroppo però adesso si è fatto tardi e devo andare.» «Anch'io.» Rick prese il casco. «Devo proprio andare. Ci sentiamo presto.» «Ma...» Max si sentì mancare il terreno sotto i piedi. I suoi amici lo stavano abbandonando e Ellie era ancora lì. Che diamine doveva fare adesso? Quei due delinquenti sapevano esattamente cosa stava provando ed era chiaro che si divertivano all'idea. Filibustieri! E se la ridevano anche! Li accompagnò alla porta cercando il modo per po15


terli trattenere senza arrivare a rendersi ridicolo. «Ti verrà in mente qualcosa» gli disse Rick dandogli una pacca su una spalla. «In fondo si tratta della tua donna, ricordi? E... di tuo figlio.» Come se non bastasse, Max poté udire l'eco delle loro risate anche dopo che ebbe chiuso la porta.

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