Batticuore a natale

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DIANA PALMER

Batticuore a Natale


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Silent Night Man Mills & Boon Short Stories © 2008 Diana Palmer Traduzione di Giovanna Cavalli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Pack novembre 2015 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY PACK ISSN 1122 - 5380 Periodico bimestrale n. 132A del 19/11/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 239 del 15/05/1993 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Nella camera ardente drappeggiata di rosso cupo sotto uno scenografico lampadario di cristallo, l'unico amico del defunto era un uomo alto e imponente, con l'aspetto di un lottatore di wrestling professionista e l'aria poco raccomandabile di un autentico avanzo di galera. Questo però solo a una prima occhiata superficiale, perché a un esame più attento si rivelava tutt'altro. Il colosso indossava un completo grigio antracite di taglio finissimo e un cappotto di cachemire di un tono poco più scuro, che trasudavano ricchezza da ogni pregiato filo. Aveva la carnagione olivastra, gli occhi scurissimi e i capelli neri e ondulati raccolti in una lunga coda. Stava davanti al feretro senza dire una parola, sembrava distaccato e pericoloso, non aveva rivolto la parola ad alcuno da quando era entrato in quell'edificio. Tony Danzetta fissava la bara di John Hamilton con il viso impassibile, come fosse di pietra, anche se dentro bruciava di rabbia. Era difficile restare lì a guardare le spoglie di un ragazzo conosciuto sui banchi del liceo e a cui aveva voluto bene come a un fratello. Era stato il suo migliore amico. E ora era morto. 5


Morto suicida: un colpo di pistola al petto, dritto al cuore, a causa di una donna. Era toccato a Frank Mariott telefonargli, a Jacobsville, in Texas, a casa del senatore Terence Walcott, che lo aveva assoldato come esperto della sicurezza personale. Un incarico a tempo determinato, così era nei patti. Tony aveva in programma di trattenersi ancora qualche giorno, per poi prendersi due settimane di riposo, prima di tornare al suo lavoro. La notizia della morte di John lo aveva costretto a tornare in gran fretta a San Antonio. Tony, Frank e John: tre amici per la pelle, fratelli di sangue. Si erano giurati di proteggersi l'uno con l'altro, per sempre e comunque. Non ci sono riuscito. Ho fallito e non saprò mai perdonarmelo. Dei tre, John era sempre stato l'anello debole, fin dall'inizio. Tony e Frank erano stati costretti spesso a salvarlo da se stesso, dalla sua fantasia troppo fervida, che lo portava a fantasticare, a credere per esempio di essere un amico intimo di persone appena conosciute e in realtà assolutamente estranee. Era fatto così: millantava amicizie inesistenti o ricchezze inventate. Raccontava di feste a cui non era mai andato, con celebrità che non aveva mai nemmeno incontrato per sbaglio. Vaneggiava su una vita scintillante che non era la sua. Un gioco innocente, bugie infantili che Tony e Frank erano stati più che disposti a perdonare. In fondo John era innocuo, non faceva del male a nessuno, desiderava solo sognare di essere quello che non era, come tanti altri nel mondo. Figlio di gente semplice, il padre e la madre lavoravano come operai in una fabbrica di confezioni della 6


contea. Quando l'azienda si era trasferita fuori dagli Stati Uniti, gli Hamilton avevano aperto un piccolo spaccio fuori città, con cui si mantenevano dignitosamente. Nessuno dei due aveva finito le scuole superiori. John invece raccontava ai compagni di classe che i suoi genitori erano ricchi e famosi, che erano sempre in giro per il mondo, che possedevano una villa a Saint Barth, nei Caraibi, un appartamento a New York, uno yacht con la piscina sul ponte principale e un jet privato dotato di tutti i comfort, compreso un tavolo da biliardo. Tony e Frank sapevano benissimo che erano soltanto frottole, ma lo lasciavano fare, in fondo potevano capirlo. Ma adesso John era morto e... ed era tutta colpa di quella donna, Millicent Evans. Riandando indietro con i ricordi, ai tempi dell'università, Tony rivide ancora il suo viso rosso, imbarazzata, quando gli aveva chiesto un consiglio sulla tesina da consegnare al professore di giustizia penale, un corso complementare a cui si erano iscritti entrambi. Sarà stato più o meno sei anni fa. Millie Evans non riusciva nemmeno a rivolgere la parola a un ragazzo senza balbettare e tremare come un coniglietto impaurito. Un tipo insignificante, aveva i capelli di uno scialbo castano spento, il classico color topo, e grandi occhi verdi; portava gli occhiali, era magra e anonima. Tony non l'avrebbe mai degnata di una seconda occhiata, non era proprio il suo genere. Invece Annie la trovava simpatica, chissà come mai. Annie Reese era la mamma adottiva di Tony, lavo7


rava come archivista alla biblioteca comunale e Millicent Evans era una sua collaboratrice. Non faceva che parlargli di lei, di quanto era brava e intelligente e preparata. Forse aveva sperato che loro due, prima o poi, si mettessero insieme, fino al giorno in cui era morta. Una pia illusione. Tony non glielo aveva mai detto, ma non avrebbe sfiorato Millicent Evans nemmeno se fosse stata l'ultima donna rimasta sul pianeta. Annie ci sarebbe rimasta male; perciò si era limitato a fare finta di niente, lasciandola chiacchierare. Lui però sapeva troppe cose sul conto di quella cara e brava ragazza per lasciarsi incantare, o perlomeno sapeva quanto bastava per volerla evitare; John, al contrario, si era perdutamente innamorato di lei. La sua era diventata una vera fissazione, peraltro incomprensibile. Finché, un paio di anni prima, dopo la terza Budweiser ghiacciata, durante una delle rare volte in cui Tony tornava a casa in visita, gli aveva svelato la doppia personalità di Millie Evans. Quell'atteggiamento schivo e modesto era solo una posa: in realtà non era affatto timida e impacciata. In privato era una ragazza parecchio sfrontata e disinibita, a cui piaceva spassarsela, e con un paio di birre in corpo era disposta a fare tutto ciò che un uomo le chiedeva. Una volta abbiamo anche fatto sesso a tre, gli aveva confidato John. Io, lei e Frank. Non sai che numeri... Però non parlarne con lui, non gli piace ricordare quella notte, lo metteresti in imbarazzo. E Tony se n'era ben guardato, però quello che aveva appreso sul conto della rispettabile signorina Evans lo aveva raffreddato nei suoi confronti. 8


Non che prima l'avesse mai trovata attraente: era la tipica zitella sbiadita e legnosa, pronta a tutto pur di accalappiare uno straccio di spasimante. Povero John, come si era ridotto. Tony provava pena per lui: era ossessionato da Millicent Evans, al punto da non essere più obiettivo. Per il suo più caro amico, Millie era la reincarnazione della Regina di Saba, la fanciulla dei sogni, la femmina più sensuale del creato. Un'assurdità. E il colmo era che lei faceva pure la preziosa. Stando ai racconti di John, Millie era terribilmente incostante e capricciosa, a volte appassionata, a volte gelida. Un giorno gli giurava di amarlo, quello dopo lo trattava come un perfetto estraneo, oppure lo accusava persino di perseguitarla, di essere uno stalker. «Quella ragazza deve essere matta» si era indignato Tony. «Come se avessi bisogno di inseguirla» si era lamentato John, che allora lavorava come guardiano notturno. «Non sai quante volte, tornando a casa all'alba, l'ho trovata ad aspettarmi nel mio appartamento, addirittura nel mio letto, con indosso soltanto un babydoll trasparente. E a volte nemmeno quello!» Per Tony, l'attrazione che John provava per quella bibliotecaria occhialuta e appena passabile era misteriosa. Lui era sempre stato pieno di ragazze avvenenti, intelligenti e ricche che gli correvano dietro, aveva solo l'imbarazzo della scelta. Di certo non aveva mai dovuto inseguirne nessuna. Millicent poi non possedeva né bellezza né personalità, sembrava una nerd, la solita secchiona imbranata. Faceva fatica a immaginarsela in versione pin up tra le lenzuola. No, per carità. Eppure John spasimava per lei, si struggeva per lei. 9


Ora però John era morto, si era tolto la vita, ed era stata lei, Millicent Evans, a portarlo al suicidio. Tony fissò il viso cereo del suo amico, disteso nella bara, e la rabbia deflagrò dentro di lui. Che razza di donna può trattare un uomo in quel modo, approfittando di lui e prendendosi gioco del suo amore, al punto da spingerlo a farla finita? Il telefono squillò nell'ufficio delle pompe funebri. Dopo una veloce conversazione, il titolare fu costretto, suo malgrado, a entrare nella camera ardente e avvicinarsi all'energumeno elegante e silenzioso. Per prudenza restò a distanza di qualche passo. «Mi perdoni se la disturbo in un momento così inopportuno... È lei il signor Tony Danzetta?» gli chiese con deferenza. La persona con cui aveva appena parlato al telefono glielo aveva descritto come un signore molto alto e dall'aspetto non proprio convenzionale. Come minimo, pensò tra sé l'impresario delle pompe funebri, notando la coda di capelli lunga fino a metà schiena. Visto da vicino, il tizio era gigantesco, un armadio a due ante in cappotto di cachemire. E poi quegli occhi scuri, taglienti come diamanti neri. Meglio non pestargli i piedi nemmeno senza volere. «Sì, sono io» confermò lui, con una voce profonda e roca. Che, in altre circostanze, tipo un incontro ravvicinato in un ascensore, gli avrebbe fatto accapponare la pelle. «Il suo amico, il signor Frank Mariott, ha appena chiamato per dirmi di rivolgermi pure a lei per concordare la sepoltura del compianto signor Hamilton. Mi spiegava che si tratta di una richiesta speciale. La prego, mi consideri a sua totale disposizione.» 10


«Grazie» rispose Tony, con tono cortese ma secco, le mani nelle tasche del soprabito. «Possiedo due tombe in un camposanto molto ben curato proprio fuori San Antonio, il San Fernando Cemetery, dove è sepolta la mia madre adottiva, Annie Reese. Vorrei che anche John potesse riposare lì.» Ripensò a una collina verde di Cherokee, in North Carolina, dove giacevano i resti della sua vera mamma. E a un cimitero di Atlanta, dove invece c'erano le tombe di suo padre e di sua sorella. Tony si era trasferito con Annie a San Antonio quando aveva poco più di sedici anni. Chiuse gli occhi un solo istante e li riaprì subito dopo: non era il momento della malinconia, doveva tornare al presente. «Conservo una piantina del cimitero di San Fernando nella mia cassetta di sicurezza. Posso farvela avere domattina.» «Oggi stesso sarebbe meglio» azzardò il titolare dell'agenzia funebre. «Sa, è questione di tempi tecnici. Dobbiamo mandare i nostri incaricati ad aprire il sepolcro e prepararlo per la funzione di dopodomani, lei capisce.» Speriamo che capisca. L'agenda di Tony era già fitta di appuntamenti, uno dei quali con il direttore della sua banca, per un trasferimento di fondi piuttosto rilevante. In realtà non aveva un minuto libero. Eppure sorrise come se non fosse un problema. Tutto sommato poteva ritirare la piantina dalla cassetta di sicurezza mentre aspettava che l'operazione andasse a buon fine. «Nessun disturbo, passerò io di persona a consegnarvela questo pomeriggio, sul tardi, prima di rientrare in albergo.» 11


«Grazie, signor Danzetta, questo ci risparmierà parecchi inconvenienti, e potremo garantirle un servizio impeccabile per il suo povero amico.» Tony guardò la salma di John. «Avete fatto un buon lavoro» mormorò, ma la sua voce profonda rimbombò comunque nella camera ardente. «Sembra... sembra proprio com'era da vivo, quando era spensierato e allegro e nessuno avrebbe mai immaginato che...» Si interruppe di colpo e si schiarì la gola. L'ossequioso impresario sorrise con moderazione e chinò appena la testa, in segno di ringraziamento. Tornato impassibile, Tony guardò l'orologio. «Si è fatto tardi, devo andare. Sarò di ritorno quando avrò sbrigato i miei affari in città.» «D'accordo, signore.» «Se nel frattempo dovesse arrivare Frank Mariott, gli dica per favore di aspettarmi qui, e che non prenda altri impegni. Stasera verrà a cena con me.» «Sarà fatto.» «Gliene sono grato.» L'impresario delle pompe funebri uscì dalla camera ardente e, appena fuori, si fermò a parlottare con una persona. Lo sguardo triste posato sul viso esanime del suo amico, Tony non ci fece nemmeno caso. Dopo qualche istante però sentì dei passi leggeri avvicinarsi alla bara e fermarsi dietro di lui. Voltò la testa. Ed eccola lì. La vera e unica colpevole della morte di John. Millie Evans. Adesso doveva avere più o meno ventisei anni, calcolò, ed era appena più carina di come se la ricordava. Si vestiva meglio, questo sì. Indossava un semplice tailleur grigio con una camicetta rosa pallido e 12


un cappotto nero con la cinta in vita. I lunghi capelli castani e lisci, con qualche riflesso caramello (Millie, a quanto pareva, aveva scoperto l'esistenza del parrucchiere e dei colpi di sole) erano raccolti in un morbido chignon sulla nuca. Si era tolta gli occhiali, finalmente. Portava le lenti a contatto, immaginò Tony, visto che Annie gli aveva raccontato che era miope. Mmh. Sì, è passabile. Ma non è il mio tipo. Gli occhi verdi, a dire il vero, erano grandi e limpidi, e Millie aveva anche una bella bocca, carnosa e ben disegnata, il naso sottile e regolare. E una pelle chiara e luminosa. Sì, volendo essere generosi, è graziosa. Però non mi dice niente. E soprattutto aveva sulla coscienza la morte del suo migliore amico. «Mi dispiace molto per John» gli disse sottovoce. Guardò la salma senza mostrare alcun segno di emozione. «Non avrei mai voluto che finisse in questo modo.» «Ah, no?» Tony si voltò di scatto verso di lei, fulminandola con i penetranti occhi neri. «Lo hai provocato per anni, ti sei divertita a tenerlo sulla corda, a recitare la parte della santarellina casta e pura... e con che coraggio poi... E un bel giorno ti sei stufata e hai chiamato la polizia per farlo arrestare, accusandolo di essere uno stalker, mentre io e te sappiamo benissimo che cosa ti piaceva fare con lui... e non solo con lui... e ora mi vieni a dire che non volevi che finisse così? Ma stai zitta, che è meglio.» Millie si sentì raggelare. Tony era sempre stato un personaggio molto chiacchierato a San Antonio, gira13


vano strane voci sul suo conto, inquietanti. Nessuno sapeva bene che mestiere facesse. In qualche occasione John le aveva fatto capire che era implicato in traffici loschi, che aveva ucciso delle persone. Che forse era un sicario al soldo della Mafia. Lei non ci aveva mai dato troppo peso. Ora che lo guardava dritto in quegli occhi scuri e minacciosi, cominciava a credere che fosse tutto vero. Non era più il ragazzo che aveva conosciuto tanti anni prima. E, se aveva capito bene, l'aveva appena accusata di essere stata l'amante di John, di averlo sedotto e poi scaricato. «Io...» «Non prenderti nemmeno il fastidio di mentire» sibilò lui, con aria torva, bloccando la sua domanda prima ancora che l'avesse formulata. «John mi ha descritto ogni cosa. Nei dettagli.» Lei inarcò le sopracciglia, perplessa. Che cosa c'era da dire, se non che il suo amico le aveva quasi rovinato la vita? Raddrizzò le spalle, in un impeto di orgoglio. «Sì, infatti, era piuttosto bravo a sparlare di me alle mie spalle» ribatté. «Non sono mai riuscito a capire che cosa ci vedesse in te» continuò Tony, la voce gentile, tanto quanto gli occhi invece erano feroci. «Non sei niente di che. Non ti guarderei più di due secondi, nemmeno se fossi coperta di diamanti.» Questo sì che fu un colpo che le fece male. Millie cercò di non darlo a vedere, ma era così. Dio solo sa cosa gli ha raccontato quel disturbato di John, pace all'anima sua. «Io... io devo proprio andare» balbettò, sopraffatta 14


dall'imbarazzo e dalla mortificazione. Non era mai stata brava nei confronti diretti, Tony poi la sovrastava fisicamente, con quel corpo imponente. Ed era chiaro che stava cercando lo scontro. Non aveva armi contro di lui. Il coraggio lo aveva perso molto tempo prima, glielo avevano tolto a suon di botte. Respinse subito il ricordo, ricacciandolo nel passato a cui apparteneva. «Ma come? Non vuoi restare qui ancora un po', davanti alla salma di John, a goderti il tuo trionfo?» La risata ostile di Tony le diede i brividi. «Lui è morto, e sei stata tu a spingerlo al suicidio.» Con il cuore in frantumi, Millie incontrò il suo sguardo. «Tu e Frank non siete mai riusciti a capire. Non volevate vedere. Ci sono uomini che provano delle infatuazioni amorose. Quelle di John erano ossessioni vere e proprie. Non solo nel mio caso. Lo hanno arrestato altre volte per aver perseguitato delle ragazze e...» «Immagino che le abbia convinte tu a denunciarlo» la interruppe lui. «Me lo ha confidato, sai? Mi ha raccontato di quando, nel cuore della notte, lo aspettavi tutta nuda nel suo letto. E poi l'indomani lo accusavi di tormentarti. Se c'è una persona spostata, in questa storia, sei tu.» Millie non si mostrò sorpresa. Lui non poteva saperlo, ma era abituata alle accuse grottesche e farneticanti di John. Fin troppo abituata. Non fosse stata una tragedia, ci sarebbe stato da ridere. Proprio lei, che non ne aveva mai conosciuto uno intimamente, dipinta come una mangiauomini, come una poco di buono, una ninfomane assetata di sesso. Alzò una spalla, rassegnata. «Ho provato a convin15


cerlo a farsi aiutare da uno psicologo. Non ne ha voluto sapere. Quando alla fine l'ho fatto arrestare, ho parlato io stessa con il pubblico ministero per chiedere di sottoporlo a una perizia psichiatrica. Ma John ha rifiutato.» «Certo che ha rifiutato, lo credo bene. La sua mente non aveva niente che non andava» ringhiò Tony. «A meno che tu non voglia definire l'infatuazione per te un problema psichiatrico.» Fece una pausa significativa. Per poi sferrare il colpo definitivo. «Per quanto, in effetti, uno deve essere proprio matto per spasimare per una come te.» «Pensala come vuoi» gli rispose lei, stancamente. Guardò ancora una volta il volto terreo di John, quindi si allontanò dalla bara. «E non disturbarti a venire al funerale» le intimò Tony con crudele freddezza. «Non saresti la benvenuta.» «Non temere, non ne avevo la minima intenzione» ribatté brusca. Infuriato dalla sua indifferenza, lui le si parò davanti con un movimento veloce, incombendo sopra di lei, gli occhi scuri che lampeggiavano d'ira. Con un urlo strozzato, Millie lasciò cadere la borsa e fece un balzo all'indietro, gli occhi sbarrati. Era pallidissima. Sorpreso da questa sua reazione violenta, Tony si bloccò di colpo e arretrò di un passo. Lei allora ne approfittò per chinarsi ad afferrare la borsa da terra. Quindi si voltò e si precipitò fuori dalla camera ardente. Interdetto, Tony rivolse un'ultima occhiata al suo amico, combattuto tra rabbia e dolore. «Mio Dio, John, 16


non sai quanto mi dispiace» sussurrò. «Avrei voluto esserci. Non me lo perdonerò mai. Scusami se non sono riuscito a salvarti.» Era il momento. A malincuore, si voltò e uscì.

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