Bn110 gli angeli caduti

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L’autrice che ha conquistato il pubblico internazionale torna con la serie

Un’eterna battaglia tra angeli assetati di sangue e demoni infernali. “Con la serie fantasy Gli angeli caduti, Anne Stuart ha raggiunto la perfezione.” Amazon Reviews

“Anne Stuart la compro a scatola chiusa.” Amazon Reviews

“Angeli caduti, demoni crudeli, una battaglia senza fine e il vero amore, un romanzo brillante e sensuale.” Publishers Weekly

L’ultimo appuntamento con la serie vi aspetta a LUGLIO Ti aspettiamo in edicola e su www.harlequinmondadori.it


Anne Stuart

writing as

Kristina Douglas

Michael


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Warrior Pocket Books A Division of Simon & Schuster, Inc. - New York © 2012 Anne Christine Stuart Ohlrogge Traduzione di Francesca Barbanera Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne marzo 2015 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 110 del 27/03/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo

Non era ancora l'alba e Martha, la vedova di Thomas, si muoveva per le stanze della residenza in preda a un misto di speranza, angoscia e dolore. Aveva solo trent'anni eppure si sentiva già vecchia, prima del tempo. L'ordine di Sheol non prevedeva ruoli per una vedova, ma lei cercava lo stesso di rendersi utile come poteva. Se non fosse stato per il suo discutibile dono, non avrebbe avuto niente da fare e avrebbe certamente imboccato la strada della pazzia. Anzi no, dato che non aveva scelta nemmeno in questo. A Sheol non esistevano malattie, mentali o fisiche che fossero. Essendo condannata a vivere molto più a lungo di un comune essere umano, sarebbe sicuramente morta di noia. Prima o poi. Martha aveva accolto con grande gioia la sua prima visione, arrivata solo tre anni prima, sebbene preannunciasse guai seri. Da quel momento in poi, ogni visione aveva prospettato pericoli sempre più grandi, anche se c'era stato qualche attimo di speranza quando una nuova compagna era arrivata a Sheol e li aveva aiutati a uscire da una situazione difficile. Anche quella mattina era così: c'erano notizie sia buone che cattive. Sicuramente Allie la stava già aspettando. A Sheol non c'erano bambini. Le donne erano sterili e lo avevano accettato tutte di buon grado. Ma Allie, la Fonte, moglie del loro leader, soffriva molto la mancanza di un figlio e sperava segretamente che i Caduti, esiliati sulla Terra ormai da millenni, ricevessero finalmente un miraco5


lo. Era stato l'arrivo di Rachel ad accendere in lei barlumi di speranza. Rachel era, in realtà, la dea demone Lilith, da tempo immemore dedita a dare conforto e speranza alle donne sterili. Tuttavia, Martha non aveva nessuna buona notizia per Allie quel giorno. Aveva fatto molte ricerche e si era impegnata al massimo per avere una visione - cosa che di rado produceva l'effetto sperato - ma all'orizzonte si profilavano solo altri disastri. Salì le numerose rampe di scale, muovendosi in fretta. Probabilmente Allie era da sola e la aspettava con la speranza di ricevere una notizia che non sarebbe mai arrivata. Al suo arrivo, invece, scoprì che la ragazza non era sola. La porta delle sue stanze era socchiusa e Martha bussò piano prima di entrare. Con sua grande sorpresa, trovò ad attenderla Raziel stesso, seduto su uno dei coloratissimi divani del salotto, con una tazza di caffè in mano e un'espressione gelida sul bellissimo volto da angelo. Non si era mai sentita del tutto a suo agio con Raziel. Era sempre rigido e distaccato. Del resto, non potevano certo mettere un uomo tenero e malleabile al comando di un gruppo di angeli caduti. I Caduti erano piuttosto turbolenti. In fondo, c'era una ragione se erano chiamati così. Avevano messo in dubbio ogni cosa, si erano ribellati, avevano fatto tutto ciò che era proibito e per di più alla luce del sole. In poche parole, il suo amato Thomas era stato il più calmo del gruppo. «Martha.» La voce profonda di Raziel la accolse pacatamente. «Alpha» rispose lei con il dovuto rispetto, chinando la testa e cercando di nascondere la sua sorpresa nel vederlo lì. «Credevo che ormai te ne fossi andato.» Di solito Raziel si alzava all'alba e sorvolava la dimora per accertarsi che fosse tutto in ordine. Vedere l'ombra delle sue ali iridescenti che fendevano con dolcezza l'aria sopra la sua testa le trasmetteva sempre un inspiegabile senso di sicurezza. Si sarebbe sentita molto meglio se avesse saputo che 6


Raziel stava sorvolando l'edificio, in quel momento. Sulle labbra dell'angelo comparve un sorriso sarcastico. «Non ho dubbi, ma oggi ho deciso di restare con mia moglie un po' più a lungo per farle compagnia.» Proprio in quel momento Allie uscì dalla camera da letto, avvolta in una vestaglia dalla fantasia psichedelica che riusciva quasi a illuminarle il volto smunto. Si stampò in faccia un sorriso allegro che avrebbe potuto ingannare quasi tutti, ma non Martha. «Buongiorno, Martha. Sono felice che tu abbia accettato di dedicarmi un po' di tempo per... insegnarmi a lavorare a maglia. È da tanto che voglio imparare.» Martha fece del suo meglio per dissimulare lo stupore. A Sheol c'erano almeno sei donne che erano delle vere maestre nel lavoro a maglia e perfino due Caduti che non se la cavavano affatto male con i ferri. La cosa più logica sarebbe stata rivolgersi a loro. Raziel continuava a spostare lo sguardo dall'una all'altra. «Oh sì, non vedo l'ora di assistere alla prima lezione.» L'Alpha adorava sua moglie, ma in quel momento era chiaro che la stava provocando e Martha decise di sviare i sospetti. «Ti mostreremo i risultati» ribatté, chiedendosi da dove venisse tutta quell'audacia. «È meglio non avere spettatori durante le lezioni.» Raziel non disse niente e Allie andò a prendere il caffè per sé e per Martha. Quando rientrò in salotto e si sedette sul lato opposto del divano, aveva recuperato il pieno controllo di sé. «Non devi sbrigare le solite faccende mattutine?» chiese al marito. «Dopo che mi avrai svelato la verità» rispose lui con un tono gentile ma inesorabile. «Perché Martha è qui?» La compostezza di Allie andò a farsi benedire. «Sono affari miei.» L'espressione gelida di Raziel si addolcì. «Amore, perché mi nascondi i tuoi pensieri? Cos'è che ti turba e in che modo Martha può aiutarti? E non ricominciare con questa sciocchezza del lavoro a maglia perché, anche se Martha è 7


un membro molto stimato della nostra comunità, non credo abbia alcuna abilità con i ferri.» Accidenti, pensò Martha. Provare a fregare l'Alpha era sempre una pessima idea. Raziel era un attento osservatore e aveva capito tutto, sebbene Allie fosse riuscita a chiuderlo fuori dalla sua mente. A Sheol marito e moglie si leggevano nel pensiero a vicenda e Raziel si era accorto subito che Allie gli stava nascondendo la sua pena. L'Alpha era il tipo d'uomo che non si arrendeva finché non aveva risolto in maniera soddisfacente un mistero. Ma come diavolo fa a sapere che non lavoro a maglia?, si chiese Martha, ripensando alle parole di Raziel. La prima cosa che avrebbe fatto appena uscita di lì sarebbe stata cercare qualcuno che glielo insegnasse. «In realtà sono venuta a parlare con te, Raziel» mentì. «Ho avuto un'altra visione.» Lui si mise subito in allerta e concentrò tutta la sua attenzione su di lei. Un barlume di speranza si accese negli occhi di Allie e Martha sentì il cuore spezzarsi. Rivolse ad Allie un piccolo cenno di diniego, sperando che Raziel non lo notasse. «Riguarda l'Arcangelo Michael» si affrettò a dire, prima che Raziel le chiedesse il perché di quel gesto. «Ha una compagna.» Raziel la guardò con aria perplessa. «Michael ha avuto una sola compagna negli ultimi duecento anni ed è stata uccisa in un'imboscata dei Nephilim solo due giorni dopo il loro matrimonio.» Quelle parole suscitarono in lei un'inaspettata fitta di dolore e riportarono a galla il ricordo del corpo di Thomas smembrato e mezzo divorato dalle bestie immonde conosciute con il nome di Nephilim. Scacciò quell'immagine dalla mente. «Tuttavia c'è una donna che lo attende e, se vogliamo sconfiggere gli eserciti di Uriel, dobbiamo accoglierla tra di noi al più presto. Non abbiamo altra scelta.» Si rallegrò di non dover essere lei a dare la notizia a Mi8


chael. Raziel faceva una gran paura, ma sembrava un cucciolo indifeso in confronto all'angelo guerriero che brandiva la spada fiammeggiante della giustizia. «Chi è lei? Spero che la tua visione sia stata abbastanza precisa da poterci dire dove trovarla» replicò Raziel, tagliente. In passato le visioni di Martha erano sempre state piuttosto confuse e qualcosa gli disse che stavolta non era andata meglio del solito. «Come sai già, non posso controllare le visioni, posso solo raccontare quello che appare di fronte ai miei occhi» precisò. Non aveva intenzione di lasciarsi intimidire. Raziel accolse di buon grado quel lieve rimprovero, dimostrandole ancora una volta che non era un prepotente. Era un uomo autoritario, sì, ma sempre giusto. «Lo so, Martha. Hai visto chi è e dove si trova?» «Sì. È la dea romana della guerra.» Raziel inarcò un sopracciglio. «Quanto mai appropriato. Dov'è?» Quella era un'informazione più difficile da carpire. «Ci sto ancora lavorando. So che il suo nome è Victoria Bellona e credo viva in un luogo isolato in Italia.» Raziel annuì e si alzò. «Vado a parlare con Michael. Non ne sarà affatto contento.» «No» convenne Allie, sorseggiando il caffè. «Non credo proprio.» «E magari più tardi mi dirai per quale motivo dovevi incontrarti con mia moglie» aggiunse lui con voce gentile. Martha sentì le guance avvampare di calore. Non poteva dire una bugia completamente inventata, perché lui se ne sarebbe accorto. «Lasciala in pace, Raziel» lo rimproverò Allie. «Ti assicuro che non è niente di importante.» Lui si voltò verso la moglie e la contemplò per un lungo istante, poi annuì. «Più tardi» le ripeté. «Martha, tu verrai con me dall'arcangelo. Immagino che avrà delle domande da farti.» Martha rimase raggelata, ma non aveva scelta; doveva 9


obbedire all'Alpha. «Sì, signore» rispose con un filo di voce. Lanciò un ultimo sguardo alla Fonte, cercando di darle la cattiva notizia nella maniera più discreta possibile. Allie annuì con un'espressione impassibile. Era una donna forte e sopportava quel dolore da tanto tempo. Forse la visione seguente le avrebbe portato un po' di speranza.

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Mia madre mi avrebbe ucciso. Mi affacciai dalla finestra a bifora; fuori, si stendeva la campagna, cupa e desolata. Avrei voluto ridere di me stessa. Quanti adolescenti avevano pronunciato quella frase nel corso dei secoli? Detta da una donna di quasi venticinque anni, poi, avrebbe dovuto sembrarmi comica. E lo sarebbe stata, se non per il fatto che la Contessa Carlotta di Montespan sembrava fermamente intenzionata a porre fine alla vita che lei stessa aveva malvolentieri messo al mondo. Con ogni probabilità si sarebbe fatta aiutare da Pedersen, insegnante, allenatore e guardia che mi perseguitava da una vita intera. Mi avrebbero ucciso prima del mio venticinquesimo compleanno e non avevo nessuno a cui chiedere aiuto. Non avevo mai avuto nessuno. Mi allontanai dalla finestra e osservai la sontuosa camera da letto. Sul grande letto c'erano lenzuola di pregiatissimo cotone egiziano e il pavimento era coperto di splendidi tappeti antichi in tinte calde e tenui. Le rose fresche e appena sbocciate che abbellivano la stanza erano giallo pastello, il mio colore preferito. Nelle pareti, di una bella sfumatura crema, si aprivano delle finestre a bifora, oltre le quali si stendeva un paesaggio collinare che supponevo fosse una zona di campagna sperduta in Italia. La vista, però, era rovinata dalle sbarre di ferro che attraversavano le finestre. La porta della camera, poi, era di legno di quercia massiccio... ed era chiusa a chiave. Ero intrappolata in una gabbia dorata, una condizione che avevo sopportato per gran parte della 11


mia esistenza, ma ora su di me pendeva una condanna a morte. La cosa non avrebbe dovuto sorprendermi. La mia gelida e bellissima madre era totalmente incapace di nutrire sentimenti materni o di qualunque altro genere, per quel che ne sapevo. Nemmeno Pedersen, probabile compagno di letto e complice dei crimini di mia madre, riceveva mai il minimo gesto di affetto da parte sua. Pedersen, una delle infinite stranezze della mia vita, era spuntato dal nulla quando avevo sette anni. Era un gigante alto almeno due metri e dieci, aveva gli occhi azzurri e i capelli biondissimi, segno della sua discendenza scandinava. Non sapevo da dove venisse e ogni volta che provavo a chiederglielo, lui si rifiutava di rispondere. D'altra parte, Pedersen non era un chiacchierone, tranne quando doveva darmi ordini e istruzioni. Ordini e istruzioni a non finire. Mia madre era sempre stata contraria alla scuola. Diceva che anche nei collegi privati più esclusivi ci sono dei pessimi elementi e che, comunque, Pedersen poteva insegnarmi tutto quello di cui avevo bisogno. Sosteneva che fosse dotato di un'intelligenza straordinaria e che avesse una grande esperienza nel genere di allenamento fisico che dovevo seguire. A parte Pedersen, tutto quello che sapevo l'avevo imparato dai film. Non avevo mai sprecato fiato per chiedere come mai dovessi allenarmi. La contessa era ancora meno incline del suo scagnozzo a rispondere alle mie domande e, comunque, passavo pochissimo tempo con lei. Così studiavo e mi allenavo senza fiatare. Cominciammo gli allenamenti con la ginnastica artistica, disciplina che adoravo. Mi piaceva tantissimo volteggiare sulle parallele, volare in alto per poi atterrare dolcemente sul tappetino. Ero Karate Kid, sì, ero Bruce Lee. Mi sentivo... libera. Presto, però, Pedersen era passato ad altre discipline. Partendo dal Taekwondo, il Karate e lo Shaolin Kung Fu, mi aveva avvicinato ad altre arti marziali meno conosciute. Io lo seguivo con dedizione e serietà, ma più per il piacere di fare 12


movimento che per un reale desiderio di approvazione. Ero forte e veloce e guarivo con una rapidità incredibile dai segni che Pedersen - insegnante dai metodi piuttosto brutali mi lasciava addosso. Tuttavia, ero consapevole che non avrei mai ricevuto nessuna approvazione da lui, men che meno da mia madre. Inspiegabilmente, a quattordici anni mi lasciarono andare via di casa. Ero piuttosto minuta per la mia età - accadde prima della mia straordinaria crescita improvvisa - e non mi ero ancora sviluppata a causa dell'intensa attività fisica, ragion per cui ero convinta che non sarei mai diventata una donna. Mi avevano mandato in una piccola scuola privata sulle Alpi, gestita dalle suore. C'erano solo una manciata di studenti, sempre mesti e silenziosi, ma per me era stato il primo vero contatto umano ed ero sbocciata come un fiore. Nei tre anni che passai lì, non dovetti seguire allenamenti massacranti, ma mi dedicai solo alle attività fisiche che preferivo e trovai dei nuovi amici tra gli altri esiliati. E poi c'era Johann. Le suore mi lasciavano uscire perché potessi allenarmi nei prati che circondavano il convento. Si erano rese conto che i miei colpi provocavano troppi danni in un ambiente chiuso, così io correvo, volteggiavo e danzavo nel sole come una Maria Von Trapp letale, cantando Tutti insieme appassionatamente a pieni polmoni, sempre un po' stonata, ma tanto nessuno poteva sentirmi. Sgattaiolavo fuori dal convento, con il gelo invernale o nella frizzante aria primaverile, ed era lì, sui prati, che incontravo Johann. Ma non volevo pensare a lui in quel momento. Sebbene fossero passati sette anni, il ricordo di lui ancora mi spezzava il cuore e il dolore e il tradimento tornavano a tormentarmi. Quando mi avevano riportato indietro per segregarmi di nuovo nella mia torre, avevo cercato di sfogare la rabbia allenandomi senza sosta, determinata a vendicarmi. Quando infine ero diventata più forte di Pedersen, nemmeno lui se ne era accorto. Avevo tenuto quell'informazione ben nascosta dentro di 13


me. Se avessi combattuto contro di lui, lo avrei sconfitto. Ed era quasi successo durante l'allenamento, ma poi, all'ultimo minuto, mi ero fermata per non fargli capire che lo avevo superato. Esistevano pochissime armi in grado di battere le persone che mi avevano allevato e Pedersen era un uomo pericoloso. Dovevo conservare a ogni costo il vantaggio guadagnato su di lui. Per quanto riguardava l'intelligenza mostruosa di Pedersen, l'avevo già surclassata abbondantemente anni prima e ormai nessuno credeva più che lui potesse stare al passo con me. C'era una biblioteca sterminata e io ero autorizzata a leggere tutti i libri che volevo e a guardare qualunque film mi andasse. Sfortunatamente, non c'erano guide che mi suggerissero un metodo per scappare dalla mia incomprensibile condizione di prigioniera e i film d'azione non trattavano mai di situazioni simili alla mia. Non potevo certo costruire un tunnel nelle pareti di roccia, come facevano i protagonisti de La grande fuga. Non potevo neanche calarmi all'esterno dell'edificio in stile Bruce Willis perché non avevo corde né lenzuola a sufficienza per arrivare a terra. Le uniche storie che assomigliassero vagamente alla mia erano le favole che parlavano di principesse rinchiuse in una torre, ma nel mio caso non c'erano formule magiche né principi azzurri che potessero salvarmi. La principessa doveva salvarsi da sola. E ci avevo provato. Per diversi anni avevo tentato ripetutamente la fuga, ma ogni singola volta Pedersen mi aveva trovato a pochi chilometri di distanza dalla mia prigione e mi aveva riportato indietro. Fare affidamento sull'aiuto di qualcun altro era un'opzione che avevo scartato da tempo, più precisamente dopo la vicenda di Johann. Lui mi aveva tradito. Mi aveva giurato amore eterno, ma era bastato che Pedersen gli sventolasse qualche banconota in faccia perché mi abbandonasse seduta stante, come se fossi un oggetto brutto e vecchio. Così, anche allora, ero tornata nella mia prigione. E ora avevo raggiunto la ferma convinzione che presto sa14


rei stata eliminata da una donna che, in teoria, avrebbe dovuto amarmi. Sembrava la trama di un filmetto scadente per la televisione. Naturalmente non avevo prove a sostegno della mia tesi, il che mi avrebbe fatto sembrare una vera pazza se avessi detto ad alta voce quello che pensavo. Tuttavia, avevo imparato molto presto che il mio istinto era infallibile; inoltre, da sempre sapevo che la contessa mi odiava e che stava solo aspettando il momento giusto. Quel momento stava per arrivare e, a meno che non fossi riuscita a scappare, sarei finita nella merda fino al collo. Ma ero segregata lì dentro. Potevo solo aspettare che venissero a prendermi, ma non mi sarei arresa facilmente. Quando bussarono alla porta erano ormai le sei del pomeriggio. Sussultai, cercando di tenere a bada il terrore gelido che mi stringeva lo stomaco. Potevo farcela. Mi alzai con un movimento fluido, sebbene fossi rimasta seduta per tre ore, e andai ad aprire la porta. Mi ritrovai di fronte la cameriera, con la solita espressione impassibile. Stavolta non aveva con sé il vassoio del cibo... Evidentemente il loro piano non era quello di avvelenarmi. «La contessa vuole che indossi i tuoi abiti migliori e che la raggiunga nel suo salotto.» Le rivolsi uno sguardo confuso. Non potevo girare liberamente per la casa, perciò non avevo la minima idea di come raggiungere il salotto della contessa. «Ti accompagno io» aggiunse la cameriera, entrando e chiudendo la porta alle sue spalle. Non commisi l'errore di sottovalutare la situazione. Disfarmi di lei sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma i due uomini corpulenti in corridoio erano tutta un'altra cosa. Dunque dovevo usare l'astuzia. Potevo riuscirci. Raggiunsi l'armadio e presi l'abito grigio e informe che indossavo nelle rare occasioni in cui cenavo in famiglia, ma la cameriera scosse la testa. «La contessa desidera che indossi l'abito nero. Mi occuperò io dell'acconciatura.» La guardai con aria sorpresa. Non avevo mai messo quel vestito, anche se lo avevo provato il giorno in cui era com15


parso nel mio armadio. Era corto e stretto, senza maniche e con una scollatura profonda. Di solito indossavo abiti larghi per nascondere i muscoli potenti del mio corpo, ma con quell'abito sarebbero stati sotto gli occhi di tutti. D'altra parte sapevo già che protestare non sarebbe servito a niente. «Posso fare la doccia prima?» La cameriera annuì. In bagno non c'era niente che potessi usare come arma. Lo scarico del wc era interno, perciò non potevo staccarne dei pezzi per utilizzarli a mo' di stiletto. Non avevo guardato molti film carcerari, per cui non avevo idea di come si potesse fabbricare un'arma con una tavoletta di sapone o altra roba simile. Tra l'altro, avevo solo sapone al geranio in formato liquido. Detestavo i gerani. Mi lavai e mi vestii in fretta. Avevo di nuovo i nervi a fior di pelle, ma ero molto brava a dissimulare le emozioni. Mi sedetti e lasciai che la cameriera acconciasse i miei lunghi capelli neri in sei trecce che poi appuntò intorno alla testa, una pettinatura che mi faceva assomigliare a una dea romana. Osservai la mia immagine riflessa con aria stupita. Chissà perché volevano che mi mettessi in ghingheri se poi dovevano uccidermi? Forse avevano intenzione di offrirmi come vergine sacrificale. Troppo tardi, pensai, con triste sarcasmo. Con Johann, era scomparsa anche la mia virtù. L'unico paio di scarpe che si abbinava bene all'abito aveva il tacco e, indossandole, superavo il metro e ottanta di altezza. La cameriera era minuscola in confronto a me. Chissà se ero in grado di stendere una donna esile e due uomini possenti e, con ogni probabilità, armati? Forse sì, ma non potevo esserne certa. Sarebbe stato più semplice se avessi dovuto affrontare solo Pedersen e mia madre. Appena uscii dalla stanza, le guardie si misero al mio fianco. Erano quattro, non due. Per fortuna non avevo aggredito nessuno. Mi scortarono diligentemente lungo i corridoi di pietra del vecchio castello e, per un attimo, temetti che volessero spingermi giù dalla rupe. Se avessero tentato di 16


farlo, avrei trascinato almeno uno di loro con me. Invece mi portarono in una stanza in cui non ero mai stata prima. Bussarono e attesero che la voce di mia madre rispondesse, poi una mano possente mi diede uno spintone in mezzo alla schiena e io entrai nella stanza incespicando goffamente. «Mia cara» mi disse mia madre, rivolgendomi un sorriso affettuoso che, però, non raggiunse il suo sguardo scuro e freddo. «Come mai ci hai messo tanto? Abbiamo ospiti.» Non c'era bisogno che me lo dicesse. Non mi sorrideva mai, se non in presenza di un pubblico. Pedersen mi stava osservando con un'espressione inquietante, così mi voltai lentamente verso il visitatore per il quale la contessa stava recitando la parte della mammina premurosa. E, di colpo, mi si fermò il cuore.

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MAGGIE SHAYNE

Morso d'amore Prima di unirsi a Reaper per dare la caccia a Gregor e alla sua banda di succhiasangue, Topaz aveva un solo obiettivo: vendicarsi di Jack Heart, il bellissimo truffatore che si era insinuato nel suo letto, nel suo cuore e nel suo conto in banca, portandole via mezzo milione di dollari per poi svanire senza una parola. Non avrebbe mai immaginato che si sarebbero ritrovati a combattere per la stessa causa, né che lui si sarebbe offerto di aiutarla a risolvere il mistero che la ossessiona da tutta la vita, mortale e immortale. La prospettiva è intrigante, perché Jack è più affascinante e sexy che mai, ma... che cosa ci guadagna ad aiutarla? Perché ha in mente qualcosa, Topaz ne è certa...

ANNE STUART writing as KRISTINA DOUGLAS

Michael

Secondo un'antica profezia, per salvare i Caduti dalla distruzione Michael, l'angelo più fiero e potente di Sheol, deve unirsi con Victoria, la reincarnazione della Dea della guerra. Ma il fato è un'arma a doppio taglio: se cedesse al desiderio di farla sua, Tory sarebbe condannata a morire durante l'ultima, decisiva battaglia contro i Nephilim. Se si rifiutasse, lei perirebbe comunque, trascinando con sé tutta l'umanità. Quando, però, la conturbante creatura che a poco a poco ha saputo vincere tutte le sue resistenze viene rapita, Michael si rende conto che per averla accanto è disposto a tutto, anche ad affrontare le insidie della Città Oscura e a sfidare il destino.


MAGGIE SHAYNE

Vendetta di sangue Bellissima e spietata, Briar cerca solo due cose: sangue e vendetta. Il primo per vivere, la seconda per farla pagare a tutti coloro che le hanno fatto del male. Si è unita a Reaper e ai suoi amici nella speranza che la conducano a Gregor, il vampiro malvagio che l'ha tradita. E dopo averlo eliminato se ne andrà per sempre. Perché nessuno di loro significa qualcosa per lei, nemmeno l'ingenua, indifesa Crisa con cui condivide un potente legame di sangue. E men che meno Reaper, anche se è l'unico uomo che le ha fatto vivere momenti di passione pura e appagante. Perché il sentimento che sta nascendo dentro di lei potrebbe rivelarsi una debolezza letale...

R,L. NAQUIN

Un puka nella credenza Zoey, wedding planner ed empatica, è scampata già due volte alla Morte grazie a Riley, il Mietitore super-sexy che si è rifiutato di prendere la sua anima. Così lui è finito nei guai per aver violato il protocollo mentre lei, che non ha voluto morire come da programma, deve guadagnarsi il diritto di continuare a vivere affrontando una misteriosa prova. Inoltre, per la città imperversa un Leprecauno mafioso che chiede il pizzo agli imprenditori che hanno un legame con il soprannaturale, la sfortuna sembra accanirsi su di lei e in casa sua si è insediato un puka con la tendenza a girare nudo per casa! C'è da stupirsi che la povera Zoe non riesca a trovare il tempo per un secondo appuntamento con il suo Mietitore preferito?

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