Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Sins of the Flesh HQN Books © 2010 Eve Silver Traduzione di Caterina Pietrobon Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne settembre 2011 Questo volume è stato stampato nell'agosto 2011 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 47 del 16/09/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Dedica
Scaraventato nel mondo. Disprezzato. Forse avrei potuto piangere sul mio destino, se invece non avessi trovato il modo di amarlo. Caos. Anarchia. Ah, i cardini della mia giovinezza: rubacchiare, fregarsene, mentire. Ero un monello anarchico che sfuggiva a una batosta oppure all'inedia oppure al lungo braccio della legge per il rotto della cuffia. A quei tempi, i ragazzi come me li appendevano per il collo fino al sopraggiungere della morte. Se li prendevano. A quei tempi, i ragazzi come me credevano che il diavolo avrebbe dato loro il bentornato a casa. E, nel mio caso, lo fece. Malthus Krayl
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A me appartiene il passato, il domani lo conosco. Libro egizio dei morti, 17
Malthus Krayl si acquattò sul parapetto della terrazza, con le cosce vigorose flesse e gli avambracci appoggiati alle ginocchia. Nera e lucida per la pioggia recente, la strada si allungava sedici piani sotto di lui e rifletteva le stelle che coprivano di lentiggini il cielo della notte, e le luci degli edifici che si innalzavano su ciascun lato come ripide pareti di canyon in acciaio e cemento. Spostò il peso sulle punte dei piedi, sporgendosi quasi quanto bastava per inclinarsi e cadere. Si crogiolò nel pensiero, immaginandosi la possibile esperienza. Caduta libera. Il vento freddo tra i capelli che gli sferzava la pelle e gli gonfiava la camicia, tesa come una vela sopra di lui. L'ebbrezza gli esplose nelle vene. Una vera tentazione. Era lui il primo ad ammettere di essere un adrenalinomane. Aveva una predilezione per il filo del rasoio, 7
per l'eccitazione che si sollevava in un'ondata delle proporzioni di una marea. Ma non si permise di farlo. Non perché nella caduta poteva morire, ma perché non poteva. Oh, certo, si sarebbe potuto rompere un osso o due, ma sarebbe guarito, la sua stirpe guariva sempre. E già vedeva l'espressione sul viso della sua preda se le fosse piombato davanti di colpo, dal cielo, come un angelo nero. Rise all'idea. Lui era più un diavolo che un angelo. In verità, però, non era né l'uno né l'altro. Lui era un mietitore d'anime. Uccideva. Mieteva i cuori delle proprie vittime. E serviva le loro anime nere in pasto a Sutekh: succulenti portate di potere allo stato puro, insaporite di avidità, cupidigia e malvagità genuina. Un bel lavoro, se riuscivi a ottenerlo. Un po' sporco, ma bello. Sutekh. Era conosciuto con molti nomi. Seth. Seteh. Signore del Deserto. Signore del Male. Negli Inferi era il Signore Supremo del Caos. E di conseguenza lui, Mal, doveva essere ciò che i mortali chiamavano la progenie del demonio, perché non era un mietitore d'anime qualunque: lui era figlio di Sutekh. Uno dei suoi quattro figli. No, si ricordò, non quattro. Non più. Solo tre ormai. Lokan era morto. Scuoiato. Macellato. Mal fissò il cielo notturno, soffocando il dolore che lo straziava e concentrandosi invece sul momento. Sulla caccia. La preda di quella sera era speciale. Non solo perché aveva un'anima tanto nera da lasciare credere che fosse stata immersa nei rifiuti tossici, ma anche perché era 8
una potenziale fonte di informazione. Lui la desiderava al punto da sentirne il gusto. Come ogni buon predatore, rimase in attesa, accovacciato sulla ringhiera della terrazza. Se la pazienza era una virtù, allora era una delle poche in suo possesso. Un taxi sbucò da dietro l'angolo, sollevando spruzzi d'acqua dietro le ruote. Con i sensi allertati, Mal si sporse quanto glielo consentivano l'equilibrio e la forza di gravità. Il veicolo rallentò fino ad arrestarsi e, dopo alcuni secondi, lo sportello posteriore si aprì e ne uscì un uomo. Pyotr Kusnetzov, Sommo Sacerdote del culto dei Setnakht. La caccia iniziava a farsi interessante. Kusnetzov si girò verso il taxi, tendendo la mano al passeggero ancora al suo interno. Ne uscì una donna. Bionda e tutta curve. Umana. Fu subito allontanata dalla macchina e condotta verso le porte dell'atrio. Mal inveì a fior di labbra. A quanto sembrava, la sua caccia era stata appena rinviata. Le lenti a contatto colorate cambiarono il colore degli occhi di Calliope Kane, che erano passati dal loro abituale verde, fin troppo memorabile, a un limpido castano scuro. Si era lisciata i capelli, li aveva fermati con delle forcine e quindi infilati in una parrucca a lunghi riccioli ramati. Un uso adeguato di luce e ombre le alterava il naso e le guance. Lei stessa non si riconosceva. Persino ciò che indossava - un vestitino elasticizzato corto e scollato e dei tacchi incredibilmente alti - era completamente diverso dalle sue scelte abituali, prettamente funzionali. 9
Ma era proprio quello lo scopo. Quella sera non si trattava di essere funzionali. Bensì di liberare quella parte di se stessa che aveva un disperato bisogno di contatto umano. No, non era vero e, se non fosse stata tanto presa dallo sforzo, sarebbe stata sincera. Quella sera si trattava solo di sesso. Sesso. Puro, semplice e necessario. Ventotto mesi da quando si era concessa l'ultima volta di essere toccata, tenuta stretta, accarezzata fino al pieno appagamento. Il periodo in assoluto più lungo prima di allora era stato di diciassette mesi. Lo aveva prolungato quanto più possibile, afferrandosi al proprio rigido autocontrollo e alla propria impenetrabile serenità, smorzando le emozioni con l'abituale successo. Ma alcune settimane prima, quando aveva dovuto affrontare ben quattro mietitori d'anime in casa propria, aveva perduto la propria freddezza. Aveva compiuto delle pessime scelte. E da allora non era stata in grado di riconquistarla pienamente, anche se due dei mietitori erano morti e uno di loro era quasi diventato un alleato. Quasi... non del tutto. Come amava tanto dire Roxy Tam, la sua ex accolita, il quasi contava solo con i ferri di cavallo e con le bombe a mano. Così quella sera il programma prevedeva un incontro rapido, sporco e impersonale. Quel tanto di contatto fisico che bastasse a farle sentire che il ghiaccio che le scorreva nelle vene non era poi così freddo. A farle credere che il filo della lama su cui si teneva in equilibrio, anche se sempre sul punto di perderlo, non era poi così affilato. Dopo l'incontro, il filo sarebbe migliorato. E peggiorato. 10
Era sempre così. Ma non le restavano altre opzioni. Quelle come lei non avevano che due possibilità: il sesso oppure il sangue. Il sangue per lei era sempre stato il percorso più arduo. Chiuse gli occhi per un secondo soffocando i ricordi. Non c'era posto per il passato nel suo presente. Non gli avrebbe lasciato spazio. Uscì dal bagno delle signore e si fece strada tra la folla, cercandolo. Lo aveva già visto prima, vestito completamente di nero: era il tipo d'uomo dal quale le madri mettevano in guardia le figlie. Il tipo d'uomo che induceva le figlie a ignorare gli ammonimenti delle madri. Lo trovò sulla pista da ballo tra la gente e, per un istante, si limitò a guardarlo. Non ballava per gli altri. Lui ballava solo per se stesso, per la pura gioia di farlo. Il modo in cui si muoveva, l'ancheggiare dei fianchi, l'ondeggiare delle spalle era un vero capolavoro. I capelli scuri e lisci seguivano i suoi movimenti, sollevandosi a svelare il bagliore dei cerchi di metallo che portava alle orecchie e poi ricadendo in una linea netta parallela alla mascella. Dai potenti altoparlanti i bassi le rimbombavano lungo la spina dorsale e nella testa, mentre gli si avvicinava un poco. Lo aveva guardato da quando era arrivato, circa un'ora prima. Appena entrato si era scolato un whisky doppio, liscio, quindi si era diretto sulla pista da ballo e non l'aveva più lasciata. Un paio di donne si era avvicinato a lui e, dopo di loro, ancora un paio, fino a che era venuta a formarsi una piccola folla di sei o sette che gareggiava per conquistarsi la sua attenzione. Se lei lo avesse lasciato fare, lui ne avrebbe scelta una e se la sarebbe portata a letto quella sera. Ma Cal11
liope non aveva alcuna intenzione di permettere che accadesse. Lui era suo. L'aveva individuato, inseguito e doveva averlo. Senza danno né affanno. Poi lui se ne sarebbe andato per la propria strada, felice, e lei avrebbe fatto lo stesso, una volta domato quel desiderio che la rodeva dentro. Voltandosi di lato, si fece strada tra la schiera di corpi volteggianti fino a che non gli fu vicino quanto bastava per notare le labbra scolpite e piene, dure e dolci, in un'armonia perfetta. Una cicatrice gli disegnava una sottile linea chiara che si estendeva dal labbro inferiore al mento e risaltava contro la barba ispida e scura che gli ombreggiava la mascella. Calliope avrebbe voluto passarci sopra la lingua e sentirsela graffiare dai peli del volto. Lo sguardo di lui le scivolò addosso, disinteressato, anonimo. Poi tornò indietro. Lei non distolse il proprio. Non sorrise né civettò. Si limitò a fissare i suoi occhi e a muoversi al suo stesso ritmo. Le note di una canzone si smorzarono mescolandosi a quelle della successiva. La ragazza alla sua destra gli diede uno strattone alla manica. Lui abbassò gli occhi sorridendole, scoprendo in un lampo i denti bianchissimi e chinandosi per sentire che cosa gli offriva, poi si raddrizzò e scosse la testa. La ricompensa fu un broncio. Quindi la ragazza gli voltò le spalle e se ne andò scocciata, facendosi largo tra i corpi accalcati. Lui non la seguì neppure con lo sguardo. Con gli occhi era già ritornato su Calliope e in quell'istante lei comprese che lui era suo. Per quell'attimo e quelli che lo avrebbero immediatamente seguito, lui era suo e lei era più che decisa a prendersi tutto ciò che avrebbe osato. 12
Infilando la mano nella sua, lo condusse lontano dalla pista, notando la sua espressione vagamente interdetta. Le luci lampeggiarono delineandogli i tratti del viso in colori, ombre e cavità. Da vicino, Calliope si accorse che aveva gli occhi di un grigio chiaro, pallido, in netto contrasto con le ciglia e i capelli scuri. Gli occhi chiari, in particolare quelli grigi, la facevano impazzire. Una volta, tanto tempo prima, era stato un uomo dagli occhi grigi a correrle in aiuto. Bene o male. Ma era stata un'eternità prima. Lui sostenne il suo sguardo, valutandola. E lei si fece scura in volto. Per quel tipo di relazioni preferiva un uomo che fosse molto meno che osservatore. Magari anche meno che intelligente. Quell'uomo invece era troppo acuto. Se ne accorse mentre la fissava, con lo sguardo che le scivolava lentamente sui lineamenti, imprimendo ogni particolare nella mente. Per poco lei non si girò e se ne andò. Qualcosa la trattenne. Un lampo di intuizione le disse che era quello l'uomo che avrebbe preso quella notte. Calliope era una Figlia di Aset che aveva assunto il Primo Sangue. Tutte le sue simili possedevano delle abilità uniche che enfatizzavano le doti naturali di cui erano in possesso anche da semplici mortali. La premonizione era il suo dono. Da mortale era stata una persona molto intuitiva e, da soprannaturale, era iperconsapevole degli avvenimenti che sarebbero accaduti. Non che riuscisse a prevedere il futuro - non lo poteva fare. La sua era più un'intuizione delle cose che stavano per succedere e di chi sarebbe potuto essere coinvolto. Gli esiti erano variabili. Il suo pre-sentire le conferiva 13
una certa perspicacia nell'evolversi degli eventi. Aveva la capacità di vedere ciò che si sarebbe verificato in seguito, non in una visione chiara e nitida, ma in accenni e sussurri. E così sapeva che era lui che voleva trovare. Con lui avrebbe lasciato cadere i propri muri, perlomeno fino al punto in cui si era sempre permessa di arrivare. Per alcuni momenti avrebbe ceduto a quel desiderio ardente e poi sarebbe tornata a essere quella che era e che sarebbe sempre stata. In quel momento lui le stava sorridendo con quei denti che brillavano di un bianco animalesco. Avvicinandosi in modo che la propria voce non fosse coperta dalla musica, le chiese: «Ti conosco, tesoro? Io giurerei che ci siamo già incontrati, solo che di solito sono bravo con i volti e invece il tuo non riesco a inquadrarlo». «Mi hai incontrato adesso» precisò lei. E dopo quella notte non si sarebbero più visti. «Vieni.» Allungò una mano per intrecciare le proprie dita alle sue, rivolgendogli un sorriso che gli diceva tutto ciò di cui aveva bisogno. Per un millesimo di secondo, Calliope avvertì un crepitio d'energia e si raggelò pensando di aver commesso un errore, che quell'uomo che aveva percepito come umano in realtà non lo fosse. Sentì le molecole dell'aria vibrare ronzando, ma non quanto bastava a denotare la traccia di energia di un soprannaturale. Eppure c'era qualcosa... Si protese, tentò di capire, ma alla fine non trovò nulla. Si trattava solo di elettricità statica. E lei era troppo cauta, troppo sospettosa. Lui era un umano, un mortale. 14
EVE SILVER
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dal 28 ottobre