Brooklyn Bakery

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ROMANCE


JULIE CAPLIN

Brooklyn Bakery


Immagine di copertina: MundusImages / iStock / Getty Images Plus / Getty Images solarisimages / iStock / Getty Images Plus / Getty Images Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Little Brooklyn Bakery © 2018 Julie Caplin HarperImpulse An imprint of HarperCollinsPublishers Traduzione di Irene Montanelli Julie Caplin detiene il diritto morale di essere identificata come autrice dell'opera. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers, UK. Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2019 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione digitale giugno 2019 Questa edizione Harmony Romance ottobre 2021 HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 275 dello 05/10/2021 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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«È un'offerta incredibile» sospirò Sophie, rimpiangendo un pochino di doverla declinare. Un giorno o l'altro ci sarebbe andata, a New York. «Ma al momento, davvero, non posso.» Angela storse la bocca. «Lo capisco, con così poco preavviso. Vorrei ammazzare Mel e la sua stramaledetta gamba rotta.» «Non penso l'abbia fatto apposta» constatò Sophie, conciliante. «Be', comunque mi ha messo in un bel guaio. E sebbene abbia un sacco di gente che scalpita per andare sei mesi a New York... sei tu la mia migliore food writer. Saresti fantastica.» «Questo è molto gentile da parte tua, Angela, ma...» «Gentile?» La donna inarcò il sopracciglio perfettamente depilato. «Non sono gentile, sono solo onesta. Scrivi benissimo e vorrei che...» Scosse il capo. «Non azzardarti a ripeterlo in giro, ma... vorrei che tu spiegassi le ali.» «E poi sei disperata» la prese in giro Sophie. «Be', sì, anche quello.» Mise giù la penna e si lasciò andare a una risatina sarcastica. «Almeno pensaci. È un'opportunità fantastica. Uno scambio di sedi non accade spesso... se non avessi i gemelli mi ci fionderei io stessa!» «Che ne dici di Ella? Sarebbe più che felice di andare» suggerì Sophie. Angela inclinò appena la testa. «Quella ha ventinove anni e ne dimostra dodici, combinerebbe un disastro.» «Non è detto.» 5


Angela sollevò anche l'altro sopracciglio. «E so quanto l'aiuti. Non credo sopravvivrebbe senza di te.» Sophie esibì un sorrisetto impudente. «E allora non puoi mandarmi a New York.» Angela scoppiò a ridere e chiuse di scatto il quaderno che aveva davanti. «Ce la caveremmo. Scherzi a parte, Sophie» soggiunse, tornando seria, «promettimi solo che ci penserai.» Sophie tornò nella stanza principale, dove tutti stavano ancora parlando della brutta frattura che Mel si era procurata saltando giù da un tavolo del pub in cui aveva appena finito di festeggiare la sua partenza per New York. Legato alla sua sedia galleggiava ancora il palloncino semisgonfio con su scritto Ci mancherai. Qualcuno avrebbe dovuto sbarazzarsene prima che quella tipa dal nome americanissimo, Brandi Baumgarten, si presentasse per prendere possesso della scrivania di Mel. Quella poverina si meritava qualcosa di più di un tavolo appiccicoso di Prosecco e pieno di briciole dei salatini preferiti di Mel. Sophie si avvicinò al palloncino armata di forbici e ne tagliò il filo. Aveva fatto bene a declinare l'offerta di Angela. L'idea di andare a occupare la scrivania di Brandi dall'altra parte dell'Atlantico era una prospettiva troppo inquietante. E la povera Brandi, lì da sola in una città sconosciuta... Le venne quasi da tremare. Forse avrebbe dovuto prepararle dei biscotti, dei bei biscottoni mollicci e pieni di pezzi di cioccolato, giusto per farla sentire a casa. E del caffè, di quello che gli americani bevono di continuo. Magari anche una specie di prontuario tipo Benvenuta in Inghilterra o Londra dalla A alla Z con dentro un ombrello, e... «Terra chiama Soph. Come si scrive clafoutis?» «Scusa, cosa stavi dicendo?» Tirò giù il palloncino e lo bucò con le forbici. «Ben fatto» disse Ella, l'altra food writer del CityZen. «Volevo farlo io o meglio... ci avevo pensato. Insomma... 6


Come si scrive clafoutis? Non vuole entrarmi in testa.» Sophie fece lo spelling e si sedette alla scrivania di fronte alla collega. «Che voleva Angela? Qualche problema?» Sophie scosse la testa, ancora divertita all'idea di andare a lavorare nella sede americana del loro giornale, a Manhattan. Se l'avesse detto a Ella, non l'avrebbe più mollata. «Com'è andato il weekend?» Ella storse la bocca. «Porca miseria, il correttore me l'ha cambiato in layout. Mi ripeti di nuovo come si scrive? Sono andata in quel nuovo locale francese a Stoke Newington. Una bella camminata, ma... Uh, e com'è stato Le Gavroche sabato? Oh, no! Non mi dirai che...» Sophie sospirò e forzò un sorriso gioioso. «Purtroppo non siamo potuti andarci. Sua madre non stava bene.» «E che cavolo, è sempre malata, quella!» «Mica lo fa apposta» rispose, ignorando la vocina cattiva che, nel suo profondo, assentiva con tutto il cuore. Era brutto sperare che la signora Soames potesse sentirsi male in momenti un filo più opportuni? «Stavolta se l'è vista brutta. Portata d'urgenza in ospedale. Il povero James ha passato la notte al pronto soccorso in attesa di notizie.» Ella sbuffò. «Sei troppo buona. E troppo permissiva. Non ti merita.» «Non lo amerei, se non fosse così gentile. Quanti uomini conosci che mettono la famiglia al primo posto?» Le labbra glitterate rosa pallido di Ella si piegarono in una smorfia: a quanto pareva aveva saccheggiato di nuovo le scorte dell'editor del settore make-up. «Non hai tutti i torti. Greg si è scordato la festa della mamma, il mio compleanno e il nostro anniversario.» Sophie si trattenne a stento dall'alzare gli occhi al cielo: Greg riusciva a ricordare soltanto quando aveva la partita successiva di calcetto. «Sei una cuoca straordinaria» dichiarò James mettendo giù le posate. Sophie annuì, piuttosto soddisfatta del suo 7


massaman curry: era venuto dolce e speziato, piccante al punto giusto, e le patate erano cotte alla perfezione, né troppo morbide né troppo dure. Erano seduti nella grande cucina della casa di Sophie e sul tavolo ardeva una candela. Il lunedì era la sua serata preferita, quando preparava una cenetta speciale per James, reduce dal correre appresso alla madre per tutto il weekend. Trascorreva con l'anziana donna tre giorni a settimana, mentre gli altri quattro viveva con Sophie, la quale sospettava fortemente che la madre non stesse davvero così male, ma che le piacesse piuttosto avere il figlio con sé... D'altronde... come biasimarla? «Dovrò sposarti prima o poi.» Le fece l'occhiolino e sollevò il calice di vino, fece roteare il liquido rosso rubino e lo annusò soddisfatto. Ne aveva ben donde: quello era un pregiato Merlot australiano, che aveva scovato su suggerimento del collega che si occupava di vini e le era costato un bel po'. «Dovresti» rispose e il cuore perse un battito. Non era la prima volte che James faceva accenni del genere. Aveva pensato che sabato, al Le Gavroche, in occasione del secondo anniversario del loro primo appuntamento, lui... Be', ci aveva sperato. «Com'è andata oggi al lavoro?» Era quello il bello di James: si interessava molto. «Ricordi quando venerdì ti dissi che Mel se ne andava? Si è rotta una gamba e non può più partire per New York.» Ebbe un attimo di esitazione e ridacchiò. «Angela mi ha proposto di prendere il suo posto.» «E... andare a New York?» balbettò James, preoccupato. «Tranquillo, ho rifiutato. Non ti lascerei mai.» James sorrise e le carezzò la mano. «Se davvero volevi partire, non sarebbe stato un problema.» Tacque e si portò la mano alle labbra per baciargliela. «Ma mi saresti mancata da morire, amore mio. Mi sarebbe dispiaciuto.» Sophie si alzò, si mise dietro di lui e lo abbracciò, felice di non aver ceduto alle lusinghe di Angela. Le sarebbe piaciuto 8


partire, un giorno o l'altro, magari con James. Magari in luna di miele. James si voltò e le sfiorò il collo col naso. «Andiamo a nanna presto? Sono a pezzi. Il viaggio in auto dalla Cornovaglia a qui è massacrante.» «Devo pulire» sospirò Sophie guardando la cucina disseminata di utensili, desiderando di non aver creato così tanto disordine e che James non fosse sempre così stanco... ma non poteva certo chiedergli di darle una mano, dopo un viaggio di oltre trecento chilometri. E di certo non poteva lamentarsi. Quanti giovani della sua età potevano permettersi una cucina come quella e un appartamento di lusso a Kensington? Ma papà aveva tanto insistito che sarebbe sembrato maleducato rifiutare. Gli voleva un bene dell'anima, tuttavia non gli avrebbe mai permesso di trovarle lavoro (dicendo due paroline a qualche consiglio d'amministrazione) o di mandarla in qualche costosa scuola privata (si trovava bene in quella pubblica) e usare il titolo non le pareva appropriato. Quando, dopo aver riordinato la cucina, raggiunse la camera da letto, la trovò immersa nell'oscurità, mentre James dormiva come un sasso. Si scordava sempre di lasciarle l'abat-jour accesa. Si spogliò senza fare rumore e si sdraiò vicino a lui. Provò a stuzzicarlo un po', ma non ottenne alcuna reazione. Era proprio stanco, poverino. Stanco morto. Sorrise mentre gli spostava un ciuffo di capelli dalla fronte. Era un bravo ragazzo, che si prendeva cura della madre senza mai lamentarsi. Sophie chiuse gli occhi. Era così fortunata. Cosa gliene importava di New York? Sono in ritardo, ci becchiamo lì. È il mio giorno libero, ma apprezzo la tua lealtà. XXX K. Sophie sorrise di fronte al messaggio di Kate. La sua amica era ancora peggio di lei, cercava sempre di strafare, e avrebbe scommesso fino all'ultimo penny che era rimasta a dormire dal suo fidanzato Ben, ed era per quello che era in 9


ritardo. Erano ancora in quella fase di innamoramento in cui non si riesce a smettere di toccarsi a vicenda. Non che ricordasse di aver mai vissuto niente del genere con James, il loro era stato più un atterraggio morbido sulla pista dell'amore, che un vero e proprio salto da una scogliera. Sophie non era certa che sarebbe stata in grado di affrontare tanta focosa alchimia erotica. Non era nel suo stile, e una parte di lei si chiedeva se non fosse un po' da egoisti. L'amore non dovrebbe essere dolce, caldo e accogliente? Qualcosa che cresce, se ben nutrito e curato? Tuttavia non poteva certo negare che l'allegria e la gioia di vivere di Kate scaldavano il cuore e che quando Ben, all'improvviso, socchiudeva gli occhi per osservarla, il suo sguardo si faceva tanto intenso che veniva la pelle d'oca persino a Sophie. Aspettava che le servissero il cappuccino, ascoltando il sibilo della macchina da caffè professionale manovrata da una delle cameriere del sabato e lanciò una seconda occhiata alle paste. Non avrebbe dovuto, ma avevano un aspetto così invitante... Alle girelle alla cannella non poteva resistere. Col piatto in una mano, la tazzina nell'altro e cercando di tenere le spalle dritte in modo che la borsa non le scivolasse e urtasse qualche tavolo, riuscì a farsi strada fino alle sedie libere nel suo angolo preferito, quello affacciato sulla strada affollata. Il suo solito tavolo era purtroppo occupato da una donna dall'aria stanca e dalla sua bambina, che urlava a pieni polmoni, guardando la madre con gli occhi azzurri pieni di rabbia e agitando un cucchiaio di plastica verso lo yogurt che la donna stringeva in mano, appena fuori dalla portata della piccola. Ed era facile intuire il perché: la bimba si era già impiastricciata i capelli e la mamma cercava di ripulirla. A Sophie pareva di assistere a una lotta fra polpi. Scelse allora il tavolo accanto, guardò la scenetta con un sorriso e stava per girarsi quando la madre le lanciò uno sguardo carico d'odio, la bocca piegata in una smorfia di scherno e disgusto. Bevve troppo in fretta un sorso di cappuccino bollente e lo 10


sentì bruciare fino allo stomaco. Si voltò, scioccata da quello sguardo così diretto e carico d'odio da sembrare un attacco fisico. Fece un paio di respiri profondi. Quella povera donna era probabilmente molto stressata, non ce l'aveva con lei in particolare. S'impose di sorridere, bevve con maggiore cautela e tornò a guardare verso la signora, sperando che scorgere un'espressione rassicurante e amichevole la facesse sentire meglio. Si sbagliava. Semmai lo sguardo si fece ancora più cattivo e la smorfia più dura, facendo spuntare una raggiera di rughe attorno alle labbra. Intanto ripuliva la bambina con gesti rabbiosi, il tovagliolo che sventolava come un lenzuolo al vento. Era evidente che qualcosa non andava. Sophie esitò un attimo, ma non poteva ignorare quella povera donna così triste. «Si sente bene?» chiese azzardando un sorrisetto, ma sentendosi come se stesse cercando di parlare con una leonessa. «Se sto bene?» gridò e la piccola scoppiò a piangere. Il viso della madre si distese, l'odio e il disprezzo sostituiti da un'espressione di pura costernazione. «Emma, piccola mia!» Prese in braccio la bambina, ignorando le dita appiccicose, e la strinse a sé, carezzandole la schiena. «Su, su, la mamma ti chiede scusa.» Sophie sentì una fitta d'invidia e un fremito nel ventre. Chissà, magari un giorno... La bambina si strinse forte alla madre e smise di piangere, tornando a bramare lo yogurt con rinnovato zelo. La donna sorrise e scosse la testa, rassegnata. «Sei una monella.» Le appoggiò un bacio sulla testolina, se la sistemò in grembo, le mise lo yogurt di fronte e le dette il cucchiaio. Più calma, ma con lo sguardo ancora pieno di rabbia, tornò a rivolgersi a Sophie. «Tu mi stai chiedendo se sto bene?» Negli occhi luccicarono lacrime non versate e aria di sfida. «Sì... mi chiedevo se ti servisse una mano, sembra impegnativa...» Passò anche lei a un tono più informale e sorrise alla bambina che, al momento, pareva molto più serena. «È 11


bellissima, anche se non invidio tutto quel pastrocchio. Posso portarti dei tovaglioli o qualcos'altro?» «Bellissima e mia!» esclamò preoccupata, passando un braccio attorno al petto della piccola, come a proteggerla. «Certo, certo» la blandì Sophie. Cosa credeva che fosse? Una specie di ladra di bambini? «Anche se a te piace condividere le cose, non è vero, Sophie?» C'era stanchezza nella sua voce, mentre le spalle si abbassavano e un'espressione di dolore le attraversava il viso. Rimase come paralizzata. Qualcosa nel tono di quella donna suggeriva che Sophie dovesse sapere a cosa si riferisse. E poi... come sapeva il suo nome? «Vo... volevo solo dare una mano.» Anche se, in quel momento, rimpiangeva persino di aver incrociato il suo sguardo. «Tu? Una mano?» Una risata amara. «Credo che tu abbia già fatto abbastanza. Hai dato una mano e pure qualcos'altro, a mio marito.» «Prego?» Fermò il cappuccino a mezz'aria, mentre stava per berne un altro sorso. «Sarai fiera di te stessa, cara la mia puttanella ricca con l'appartamento a Kensington e la villa di campagna del papi nel Sussex. Esatto, so chi sei, Lady Sophie BenningsBeauchamp.» Sophie rimase a bocca aperta. Si era impegnata, la signora. Nessuno dei suoi colleghi al lavoro lo sapeva. Teneva il passaporto al riparo da occhi indiscreti. L'unica ad averlo visto era stata Kate ma, ai tempi, si era comportata in modo assai professionale e aveva mantenuto il riserbo. «Non uso mai...» rispose in automatico, come sempre, la donna però non la lasciò finire. «Una bella vita nella bambagia. Non mi sorprende che James passi con te metà della sua vita. Da te non ci sono panni stesi in giro e bambini che piangono la notte.» «James?» Sophie si irrigidì e si rese conto, mentre le pronunciava, quanto le sue parole suonassero come il più classi12


co dei cliché. «Che c'entra lui con tutto questo?» «James Soames. Mio marito. Vive a Londra quattro sere a settimana, lunedì, martedì, mercoledì e giovedì. E dal venerdì al lunedì torna a casa da sua moglie e sua figlia, a Newbury.» «Ma lui va in Cornovaglia.» Sentiva le gambe farsi di piombo, come l'avessero incatenata alla sedia. «È in Cornovaglia, in questo momento.» «No, stupida idiota, non è in Cornovaglia. In questo momento sta tagliando il prato del numero 47 di Fantail Lane a Newbury e poi costruirà un'altalena per Emma.»

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