BS107 SETE DI VENDETTA

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Sharon Sala

SETE DI VENDETTA


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Cut Throat Mira Books © 2007 Sharon Sala Traduzione di Marina Boagno Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Nuovi Bestsellers Special luglio 2010 Questo volume è stato impresso nel giugno 2010 presso la Rotolito Lombarda - Milano I NUOVI BESTSELLERS SPECIAL ISSN 1124 - 3538 Periodico mensile n. 107S del 17/7/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 369 del 25/6/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


PROLOGO

Nuevo Laredo, Messico I colpi d'arma da fuoco risuonavano attraverso le stanze vuote della casa abbandonata, dando così l'impressione che allo scontro partecipasse almeno una dozzina di persone, e non solamente i due uomini che si stavano sparando a vicenda in quello che un tempo era stato un lussuoso buen retiro. All'improvviso un proiettile perforò una vecchia e rugginosa bombola rimasta vicino al muro di mattoni del caminetto, incendiando la piccola quantità di gas che si trovava ancora all'interno. Il cacciatore di taglie Wilson McKay vide il lampo della fiammata un secondo prima che nella stanza si producesse un calore devastante. Scattò in piedi, e stava già correndo quando la violenta onda d'urto lo scaraventò attraverso la porta, facendolo cadere in ginocchio. Si rialzò in fretta e riprese a correre. Al momento dell'esplosione, Solomon Tutuola si era già accovacciato per ripararsi. La forza della detonazione lo sbalzò attraverso una finestra sul lato meridionale della casa. Un momento prima, lui e Mark Presley avevano ingaggiato una feroce sparatoria con un tizio più alto della media, 5


con i capelli a spazzola e un orecchino... e pochi attimi dopo l'abitazione in cui avevano trovato rifugio stava andando in fumo. Per qualche secondo, Tutuola rimase sdraiato a faccia in su fissando il sole, completamente paralizzato dall'onda d'urto. Fece un breve respiro, poi un altro e poi ancora un altro. Improvvisamente un dolore lancinante lo costrinse a mettersi seduto, mentre lo stordimento lasciava il posto a un'atroce sofferenza. Gemendo, si rigirò sulle mani e sulle ginocchia e prese a trascinarsi lontano dalla casa in fiamme, scansando i detriti incandescenti, convinto che la pelle del suo viso si stesse fondendo. Non si era mai sentito tanto confuso e debole. Nonostante non fosse certo un uomo gracile e delicato, a un centinaio di metri dalla casa fu sopraffatto dalla sofferenza fisica e perse i sensi. Non ebbe quindi la possibilità di sapere che Mark Presley, l'uomo a cui aveva fatto da autista fino in Messico, era stato catturato e che i due cacciatori di taglie che gli erano alle calcagna se n'erano andati. Quando rinvenne, alcune ore più tardi, era ormai pomeriggio inoltrato e si sentiva peggio di quanto gli fosse mai capitato. Udì il rumore sommesso di un animale a quattro zampe che si aggirava prima intorno alla sua testa, e poi ai suoi piedi. Aprì gli occhi, inorridito nel vedere un coyote che gli annusava i talloni, mentre un terzetto di avvoltoi volteggiava in cerchio sopra di lui. Il ruggito tremendo e disperato che gli uscì dalla gola fece fuggire il coyote a gambe levate. Barcollando, Solomon riuscì a rimettersi in piedi e si guardò intorno, fissando dapprima le rovine fumanti della hacienda, poi, abbassando gli occhi, le proprie mani. La vi6


sione delle ferite lo aiutò a riacquisire, dopo lo spavento, la sua lucidità. Delle bolle si erano formate sulle scottature, e poi erano scoppiate, e il terriccio su cui era rimasto sdraiato si era attaccato alle piaghe. Tutto il suo corpo era ridotto a un fascio di terminazioni nervose ipersensibili e tremava per l'intensità del dolore. Solo quando provò a battere le palpebre si rese conto di non vedere alcunché dall'occhio sinistro, e quando si toccò quel lato del volto con un dito, urlò un'imprecazione. La carne che era venuta via dal punto in cui si era toccato era annerita e sanguinolenta e una zona della testa era completamente priva di capelli. Per quanto era in grado di capire, tutto il lato sinistro della sua faccia era rimasto gravemente ustionato. Aveva bisogno di un dottore, e anche in fretta. Se non fosse morto per il dolore, era maledettamente certo che sarebbe morto per un'infezione. Imprecando e urlando a ogni passo, Solomon raggiunse la sua auto. La chiave era ancora inserita nell'accensione e i bagagli di Mark Presley, una grande borsa da viaggio e un piccolo trolley, erano ancora al loro posto, sul sedile posteriore. Senza perdere tempo a chiedersi che cosa ne fosse stato di Mark, Solomon accese il motore e si diresse verso Nuevo Laredo. Prima di sera si trovava in ospedale, steso su un letto, del tutto inconsapevole di sé a causa dei forti sedativi somministrati. I bagagli erano chiusi nel baule della sua auto. Le chiavi erano in una tasca dei suoi pantaloni bruciacchiati, appesi nel minuscolo armadietto insieme a ciò che rimaneva della camicia che aveva indossato. A intervalli di pochi minuti, un'infermiera entrava nella stanza e controllava la soluzione 7


salina contenente morfina che gli veniva iniettata, assicurandosi che non perdesse pi첫 liquidi di quanti gliene venissero somministrati. Sotto ogni punto di vista, Solomon Tutuola era in bilico tra la vita e la morte.

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CAPITOLO

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Sei settimane dopo. Dallas, Texas Il fievole pianto del bambino appena nato dei vicini si percepiva a stento dal punto in cui la cacciatrice di taglie Cat Cupree era seduta, eppure, per qualche ragione, era l'unico suono che riusciva a sentire. Aveva imparato a mettere a tacere il battito sordo del suo cuore e stava ignorando la sgradevole, deprimente sensazione ormai radicata in fondo al suo stomaco. Tutta la sua attenzione era concentrata sui manifesti dei ricercati affissi alle pareti del suo studio... oltre che sull'incessante vagito del neonato. Il suo computer portatile, appoggiato su un classificatore, vicino alla porta, mostrava una cartina del Messico. Il programma che stava usando riceveva un segnale GPS da qualcosa che per le trentasei ore precedenti aveva continuato a muoversi costantemente verso ovest. Era il suo peggior incubo che tornava in vita, eppure lei preferiva ignorarlo e concentrarsi sui manifesti. Dopo tutti quegli anni, i volti le erano diventati familiari quanto il suo, ma nessuna di quelle facce coincideva con quella dell'uomo che, fin dall'infanzia, aveva tormentato i suoi sogni. L'uomo che aveva ucciso suo padre e le aveva lasciato una ferita di quasi quindici centimetri alla base della 9


gola. Lo stesso uomo che aveva incontrato solo qualche settimana prima e che era certa, maledettamente certa, che fosse finalmente morto. Scoccò un'occhiata nervosa al computer e trasalì. Ora non ne era più così sicura. Il vento scuoteva i vetri della finestra alle sue spalle, segno che un temporale stava per investire Dallas. Da lì a poco sarebbe cominciato a piovere, ma la temperatura rimaneva al di sopra dello zero, il che significava che non avrebbe comportato gelate o nevicate. Dopo la vera tormenta che aveva colpito la città a Natale, un semplice acquazzone poteva considerarsi una buona notizia. Un'altra folata di vento colpì la finestra e Cat rabbrividì. Si strinse le braccia intorno al corpo, benedicendo il riscaldamento centralizzato. Intanto la sua attenzione tornò al manifesto appeso sopra il vano della porta. Il manifesto di Justin Bailey, noto anche come Cane Pazzo, era il primo che aveva appeso, più di quindici anni prima. Lo aveva ritenuto degno di essere affisso in casa sua per il semplice fatto che Bailey aveva tatuaggi sparsi su tutto il viso e il corpo, uno dei segni distintivi dell'assassino di suo padre. Cat aveva capito immediatamente che non era lui l'uomo che stava cercando, ma doveva pur cominciare da qualche parte, sicché aveva appeso il manifesto. Si passò le dita tra i capelli. Aveva mal di testa e i muscoli del collo e della schiena erano dolorosamente contratti, ma non aveva importanza. Era stata la vendetta a condurla al punto in cui era giunta nella vita, e la vendetta era ciò di cui aveva bisogno. Il suo sguardo passò al manifesto seguente. Edward John Forrest. Edward era troppo giovane per essere l'autore dell'aggressione alla famiglia di Cat, ma lei si era sentita ugualmente tenuta ad affiggere le sue foto. Era cominciato 10


tutto così. Nel corso degli anni aveva messo insieme una notevole collezione. Mentre guardava i poster, Cat si accorse che il bambino dei vicini aveva smesso di piangere. Forse qualcuno gli aveva ficcato un biberon in bocca, oppure si era arreso e si era addormentato. Il silenzio che si era creato, però, era stranamente sgradevole. Infatti non c'era più nulla a distogliere la sua attenzione da quel maledetto computer e dalla mappa sullo schermo. Irritata per la sua scarsa forza di volontà, Cat diede un'altra occhiata al monitor, socchiudendo leggermente gli occhi per difenderli dal riflesso di luce sullo schermo, che rendeva sfuocata la mappa sulla quale il segnale continuava a muoversi. Anche se non riusciva a vederlo distintamente, Cat sapeva dove si trovava. Era in Messico... il luogo dove lei aveva catturato l'assassino della sua migliore amica. Tornò a guardare i manifesti che coprivano le pareti dello studio. Dopo quanto era avvenuto in Messico, alcuni erano diventati superflui, poiché Cat aveva chiuso i conti non solo con l'assassino di Marsha, ma anche con l'ossessione della sua vita, l'uomo tatuato a cui aveva dato la caccia finora senza mai un cedimento. Il suo nome era Solomon Tutuola. E mentre, per la terza volta nella sua vita, Cat era riuscita inopinatamente a sopravvivere, aveva considerato certa la morte di Solomon. Poi quel maledetto segnale GPS era riapparso, insinuandole il sospetto di essersi sbagliata. Con un senso di sconfitta, si diresse lentamente verso la porta, poi si fermò sotto il manifesto di Cane Pazzo e alzò una mano per toccarlo. La carta scricchiolò quando fece scivolare un'unghia sotto il bordo. Inspiegabilmente, esitò, scoprendo che rimuovere quel 11


manifesto era assai più difficile di quanto fosse stato appenderlo. Alla fine lo tirò giù e lo gettò nella spazzatura. Poi passò al successivo. A uno a uno li staccò tutti fino a che le pareti furono completamente nude, e il cestino delle cartacce traboccante. Lo svuotò e cominciò a ficcare in un sacco il cumulo di manifesti che era finito sul pavimento. Ci volle quasi un'ora per portare a termine quel lavoro e, solo dopo aver finito, Cat si concesse un'altra occhiata al computer. Il blip non si muoveva più. Chiunque stesse portando con sé l'oggetto che conteneva la cimice, che trasmetteva il segnale evidenziato sul monitor, aveva deciso di fermarsi per la notte. Cat sorrise, acida. Quel bastardo riposava più di lei. Frustrata, si voltò a guardare i sacchi dell'immondizia che ingombravano il pavimento e sospirò. Quelle immagini avevano fatto parte della sua vita. Le sembrava strano non averne più bisogno. Il mese precedente aveva finalmente dato un nome al volto dell'uomo che aveva ucciso suo padre. Il mese precedente aveva guardato la casa in cui quell'uomo si nascondeva saltare in aria e andare a fuoco. Il mese precedente aveva avuto la certezza che quell'uomo era morto. Ora non ne era più così certa. Il segnale immobile era come una provocazione... Un messaggio tipo Vieni a prendermi, se ci riesci che Cat non poteva ignorare. Sospirò di nuovo. Era giunto il momento di andare a verificare se il diavolo era morto, o se, come lei temeva, era riuscito a resuscitare. Ma prima di lasciare di nuovo Dallas, doveva avvisare il suo capo, Art Ball. Art non poteva di certo lasciare in sospeso la sua attività per lei. C'era sempre qualcuno che, do12


po che l'ufficio di Art gli aveva pagato la cauzione, se la svignava, e c'era sempre bisogno di qualcuno che lo andasse a riacchiappare. Semplicemente Cat non sarebbe stata quel qualcuno... almeno per un po'. E c'era anche Wilson McKay. Cat non sapeva bene che cosa fare, con lui. Rifiutava di ammettere che Wilson meritasse un qualche tipo di spiegazione riguardo a ciò che lei si accingeva a fare. Solo perchÊ avevano fatto sesso... incredibile sesso... non significava che lei gli dovesse qualcosa. E il fatto che Wilson l'aveva aiutata a catturare Mark Presley, l'uomo che aveva ucciso Marsha Benton, non implicava che Cat fosse obbligata a tenerlo aggiornato sui suoi movimenti per il resto della vita. Una parte di lei era portata ad attribuire a Wilson la colpa della sua incertezza. Quando, giÚ in Messico, la casa dove Presley e Tutuola si erano nascosti era stata avvolta dalle fiamme, Cat aveva acciuffato Presley, ma poi avrebbe voluto tornare indietro per assicurarsi che Tutuola fosse deceduto. Ma Wilson l'aveva fermata. Il fatto che, se fosse rientrata nella casa incendiata, molto probabilmente sarebbe morta era irrilevante. Quando riusciva a essere onesta con se stessa, Cat vedeva bene che non c'era nessuno da incolpare, ma non avrebbe avuto pace fino a quando non avesse saputo con certezza se l'assassino di suo padre l'aveva scampata. Il mattino seguente avrebbe telefonato ad Art e poi sarebbe partita, diretta a sud. Doveva sapere chi c'era dietro quel segnale. Se si trattava di qualche messicano che aveva raccolto uno degli oggetti di Presley che conteneva una cimice, tanto meglio. Ma se era Tutuola, allora il suo lavoro non era ancora finito. Per quanto l'idea di un altro lungo viaggio la spaventasse, 13


era contenta della sua decisione. Pochi momenti dopo, uscì dallo studio e andò in camera da letto a preparare i bagagli. Era passata quasi una settimana dall'ultima volta che Wilson McKay aveva visto Cat. Quando riusciva a pensare razionalmente, si diceva di lasciarla perdere. Era fin troppo chiaro che Cat non voleva nulla da lui, eccetto, occasionalmente, un po' di sesso. Avrebbe dovuto essere contento di prendere ciò che lei gli dava, con un grazie e una pacca sul sedere. Con qualsiasi altra donna lo avrebbe fatto. Ma non con Cat. Lei gli si era insinuata sotto pelle come non era mai accaduto con nessun'altra, e per quanto l'istinto gli dicesse di lasciar perdere, semplicemente non poteva... la qual cosa spiegava perché in quel momento stesse andando a casa di Cat senza averla avvertita, con una pizza e una confezione da sei lattine di birra. Il traffico sulla tangenziale era intenso, ma nulla fuori dall'ordinario per un sabato sera piovoso a Dallas. L'odore dei peperoni gli solleticò il naso mentre imboccava l'uscita che conduceva al condominio di Cat, mentre il movimento regolare dei tergicristalli manteneva nitida la visuale attraverso il parabrezza. La radio era accesa su una stazione che trasmetteva musica country, il cui stile si accordava con l'umore di Wilson e con il brutto tempo. Aveva bisogno di una dose di Cat... come minimo una lunga sessione di baci e carezze, ma preferibilmente una lunghissima notte con quella gatta selvatica tra le braccia. Il solo pensiero del piacere che avrebbe provato affondando dentro di lei lo faceva spasimare di desiderio. Tra le lenzuola, Cat era scatenata. Ricambiava sempre tutto ciò che riceveva. Wilson non era ancora riuscito a capire come una donna capace di una tale passione a letto potesse compor14


tarsi in modo così freddo e distante con tutti. Sospettava che la spiegazione avesse a che fare con ciò che le era capitato quando era solo una ragazzina. E quella era la ragione per cui Wilson non aveva intenzione di mollare con lei... non ancora. La luce dei fari delle auto si rifrangeva nelle gocce di pioggia, dando alle strade immerse nella notte un aspetto quasi spettrale. Wilson pregustava il tepore che lo attendeva nel confortevole appartamento di Cat e si rifiutò di prendere in considerazione l'idea che la sua accoglienza potesse non essere altrettanto calorosa. Quando entrò nel posteggio e fece il giro dell'edificio in cerca di un posto libero, notò che le luci erano accese nell'appartamento di Cat. Era il momento cruciale. Lei era in casa, ma lo avrebbe fatto entrare o lo avrebbe cacciato via con una parola tagliente e un'occhiata ostile dei suoi freddi occhi azzurri? Posteggiò, prese pizza e birre, e si diresse alla porta. Avrebbe saputo molto presto quanto caldo sarebbe stato il benvenuto. Cat era carponi in fondo alla cabina armadio in cerca dello stivale che faceva il paio con quello che aveva già messo accanto alla valigia, quando le parve di udire il campanello della porta. Perplessa, si appoggiò sui talloni e rimase in ascolto. Ecco! Questa volta sentì chiaramente il campanello e aggrottò le sopracciglia. «Ma chi diav...» Wilson. Non aveva alcun dubbio che si trattasse di Wilson McKay. Era l'unica persona che andava a trovarla, e anche l'unica che si sarebbe presentata senza dare prima un colpo 15


di telefono... con ogni probabilità perché si rendeva conto che, se avesse saputo della sua venuta, lei non avrebbe aperto la porta. In effetti, fu sul punto di farlo, tuttavia, ignorando l'istinto che le suggeriva di lasciarlo là fuori, andò in soggiorno, odiandosi per l'ondata di eccitazione che provava. In realtà non aveva proprio tempo per quel genere di cose, ma fingere di non essere in casa avrebbe potuto insospettirlo più che farlo semplicemente entrare e sbarazzarsene quanto prima possibile. O almeno, questo era ciò che Cat si stava dicendo quando fu di fronte alla porta d'ingresso Una rapida occhiata dallo spioncino le bastò a confermare la sua supposizione. Era proprio Wilson... e provò disgusto di se stessa nel notare come il solo vederlo facesse impazzire il suo battito cardiaco. «Ciao» disse, aprendo la porta. Wilson tirò un sospiro di sollievo. Cat era di buon umore. «Ciao a te» rispose, e prima che lei potesse schivarlo, si chinò e la baciò sulla bocca. Gli occhi di Cat lampeggiavano, quando si rialzò. Non avrebbe saputo dire se era irritata o soddisfatta per la passione che aveva messo nel bacio. «Hai già mangiato?» le chiese, porgendole la pizza. Cat inspirò profondamente, sorpresa di scoprirsi affamata. «No, e solo per questa ragione, puoi entrare» rispose. Prese la scatola della pizza dalle mani di Wilson e andò in cucina, certa che lui l'avrebbe seguita. «Avrei dovuto telefonare» ammise Wilson, deponendo la confezione di birre sul piano di lavoro. Cat posò la scatola della pizza e si voltò a guardarlo. «Perché non lo hai fatto?» Lui si strinse nelle spalle. Fino a quel momento della sua 16


vita, la verità gli aveva sempre giovato. Tanto valeva continuare su quella linea. «Pensavo che mi avresti detto di no.» Cat corrugò le sopracciglia. Non si aspettava quella sincerità, l'aveva colta di sorpresa. Ora non poteva far altro che rispondere a tono. «Avresti indovinato.» Nonostante una fitta di delusione, Wilson sorrise e si strinse nelle spalle. «Così ho risparmiato a entrambi un po' di sensi di colpa e di imbarazzo. La birra la vuoi in un bicchiere, o la bevi direttamente dalla lattina?» Cat pensò al viaggio che l'aspettava, e decise di evitare qualunque tipo di alcolico. Senza rispondere, porse a Wilson un bicchiere, poi ne riempì uno per sé con Pepsi e ghiaccio e tirò fuori due piatti. Wilson strappò dal rotolo della carta da cucina due fogli da usare come tovaglioli e poi prese un dispenser di scaglie di peperoncino rosso dall'armadietto delle spezie. Cat era combattuta fra l'ammirazione per l'aspetto decisamente attraente di Wilson e la curiosità per l'intrigante, minuscolo cerchietto d'oro che portava al lobo sinistro. Come al solito, i suoi capelli non rispettavano alcuna pettinatura definita. Aveva un taglio a spazzola che dava sempre l'impressione di aver bisogno di una regolata. Sotto l'occhio destro c'era una piccola cicatrice, e il naso presentava gobbe a sufficienza per rivelare che si era rotto più di una volta. Le spalle erano larghe, le gambe lunghe e muscolose, l'addome saldo e piatto. Cat conosceva perfettamente l'invidiabile forma fisica del corpo di Wilson, sotto i jeans e il giubbotto di pelle, e stava pensando a ciò che sarebbe accaduto più tardi... dopo la pizza e la birra. Non avrebbe mentito a se stessa, fingendo di non desiderarlo. Lo desiderava. Avrebbero fatto sesso. Wil17


son McKay era dannatamente bravo e lei non era certo una stupida. Nessuna donna sana di mente, single e con del sangue nelle vene, avrebbe rifiutato un ruzzolone nel fieno con un uomo che sprizzava sex appeal da tutti i pori come Wilson McKay. Ma, nel momento stesso in cui pensò di fare l'amore con lui, ricordò la valigia preparata per metà e il disordine in camera da letto. Diavolo. «Mmh...Wilson... siediti e comincia pure. Torno subito.» Cat si fiondò fuori dalla cucina e lungo il corridoio senza guardare indietro. In camera, ficcò di nuovo alcuni indumenti nei cassetti, gettò il resto in fondo alla cabina armadio e fece scomparire la valigia sotto il letto. Diede un paio di strattoni al copriletto per eliminare le grinze e tornò in cucina. Wilson era ancora in piedi nello stesso punto in cui lo aveva lasciato. Sembrava perplesso. «Stai bene?» chiese. «Chi? Io? Sì... benissimo» borbottò lei. Si incollò un grande sorriso sul volto, prese una fetta di pizza dalla scatola e vi diede un morso. «Mmh.» Wilson inarcò un sopracciglio. «Mmh?» «Prendine una fetta» lo invitò Cat, indicando la scatola. Wilson aveva capito che stava succedendo qualcosa, ma era chiaro che Cat non aveva alcuna intenzione di parlarne. Alla fine represse la sua curiosità e si sedette. Agguantò una fetta di pizza e diede un morso. «Sì, hai ragione» disse, e con la fetta di pizza fece il gesto di brindare in direzione di Cat. «Mmh» convenne, e mangiò un altro boccone. Lei si sforzò di sorridere. Quando voleva, Wilson McKay riusciva a essere davvero intrigante... persino accattivante. 18


Ma, nel mondo di Cat, vigevano alcune regole certe che lui tentava in continuazione di infrangere. Finirono la pizza senza iniziare una vera conversazione, Quando cominciarono a riordinare, Wilson si assentò per andare in bagno. Fu tornando in cucina, mentre percorreva il corridoio, che sbirciò casualmente nello studio di Cat, e vide le pareti nude. Stupefatto, si fermò davanti alla porta e poi entrò. Ricordava lo studio com'era prima, con i muri tappezzati di manifesti di ricercati. Ora, restavano solo le pareti nude marchiate dai segni lasciati dalle puntine da disegno, e lui sapeva che cosa significava. Per un bizzarro scherzo del destino, inseguendo l'assassino della sua migliora amica, Cat ne aveva scovato anche un altro. Wilson pensò al muro che Cat Cupree aveva eretto tra se stessa e il resto del mondo, e si chiese quanto fosse divenuto più sottile quella sera, una volta strappati i manifesti dalle pareti. Il tonfo dello sportello di un armadietto lo richiamò alla realtà. Sapeva che Cat avrebbe interpretato la sua curiosità come il tentativo di immischiarsi nei suoi affari personali. Uscì dallo studio rapidamente com'era entrato. «Sono stato via abbastanza a lungo da evitare di lavare i piatti?» chiese, rientrando in cucina con aria disinvolta. Cat inarcò un sopracciglio. «Sì.» «Bene» disse lui. Le fece scivolare una mano intorno alla vita e l'attirò a sé. Nel momento in cui i loro corpi si toccarono, Cat, sospirò. Ecco che cominciava. Fece un giro su se stessa, portandosi a faccia a faccia con lui. «Suppongo che tu stia pensando che ora faremo sesso.» 19


Wilson sollevò le sopracciglia mentre un muscolo guizzava all'angolo della sua bocca. «Io non faccio sesso con te.» Gli occhi di Cat divennero due sottili fessure. «Maledizione, Wilson, non fare giochetti di parole su...» Lui le posò un dito sulle labbra. «Io faccio l'amore con te, Catherine.» Cat allontanò bruscamente la mano di Wilson. «Io, invece, faccio sesso.» «È una questione di termini» mormorò lui. Le affondò le mani nei capelli, dietro la nuca, e tirò leggermente, piegandole la testa all'indietro per baciarla sulle labbra. Cat avvertì la sua collera mentre gli faceva scivolare le braccia intorno al collo. Poi il bacio si approfondì e la collera si trasformò in passione. In questo, lei poteva seguirlo. Un gemito basso le risalì lungo la gola, ma, quando le sfuggì, suonò piuttosto come un ringhio. «Accidenti a te» sussurrò Wilson, e le agguantò il sedere. «Frena, o giuro che finiremo per farlo proprio qui, in piedi, con le tue mutandine intorno alle caviglie.» Cat spiccò un balzo, gli strinse le gambe intorno alla vita e premette la bocca sulla sua. Gemette di nuovo, ma questa volta perché aveva sentito il sapore del sangue... il proprio. Wilson girò sui tacchi, stringendola fra le braccia, e imboccò il corridoio per portarla in camera. «Mi fai impazzire» sospirò, lasciandola cadere sul letto. «Sta' zitto e svestiti» ordinò Cat, mentre si metteva seduta e cominciava a spogliarsi. Gli occhi di Wilson si strinsero rabbiosamente. Poco prima, Cat quasi non aveva voluto farlo entrare in casa, e adesso lui non si stava sbrigando abbastanza? Se fosse stato sano di mente, se ne sarebbe andato e l'avrebbe lasciata lì nuda ad aspettare. Ma quel pensiero gli volò via dalla mente 20


quando Cat si sfilò il maglione e lo gettò sul pavimento. Wilson si lasciò sfuggire un lamento. Al diavolo orgoglio e dignità. Nel giro di pochi secondi, i suoi indumenti giacevano a terra in un mucchio e lui era in piedi accanto al letto. Cat rotolò carponi, strisciò verso di lui, si sollevò e gli avvolse le braccia intorno al collo. Wilson le passò le dita tra i capelli, poi la strinse fra le braccia. «Strega» disse, roco. Cat sospirò. Amava le sensazioni che Wilson le dava... i muscoli vigorosi sotto la pelle liscia e calda... e amava il modo in cui lui la faceva sentire. Ma non avrebbe mai ammesso che amava l'uomo in sé. Gli intrecciò le dita dietro il collo e si lasciò cadere all'indietro, premuta contro il materasso dal peso del corpo di Wilson. A quel punto gli avvinghiò di nuovo le gambe intorno alla vita e, questa volta, non lo lasciò più andare. «E così, adesso sono una strega?» «Diavolo, sì!» «Allora... Abracadabra, Wilson. È il momento di scomparire.» Allora lui le afferrò con decisione entrambi i polsi, le bloccò le braccia sopra la testa e penetrò in lei senza preavviso, traendo godimento prima dalla sorpresa e poi dal piacere che le lesse sul volto. «Tu non ci sei più. Io non ci sono più. Esiste solo un noi. Che te ne pare di questa piccola magia?» «A me non sembra tanto piccola» sussurrò Cat e si inarcò sotto di lui. Wilson strinse i denti e represse un gemito, affondò dentro di lei senza tatto e senza riguardo, e la portò all'orgasmo così rapidamente e con tale veemenza che lei emise un grido soffocato. Non aveva mai, mai in tutta la sua vita, prova21


to un tale, completo appagamento in un modo così brusco e brutale. «Oh, ragazzi... Oh, Wilson... questo è stato... è stato...» «Questo è stato per te» disse lui. «Era sesso.» Le prese il viso fra le mani, chinò la testa e le sfiorò le labbra con le sue. Cat respirò a fondo, lentamente. Lui le fece scivolare le labbra lungo il collo, le baciò l'incavo tra i seni e infine le tracciò un cerchio intorno a un capezzolo con la punta della lingua. Ancora vibrante per l'orgasmo di poco prima, Cat fu scossa dall'improvviso riaccendersi del desiderio. «Wilson... io...» «Ssst» la interruppe lui. Rialzò la testa e la guardò negli occhi. «Volevi sesso, e te l'ho dato. Ora tocca a me. Ecco che cosa vuol dire fare l'amore.» Prima che lei potesse ribattere, Wilson la baciò di nuovo, togliendole il respiro e anche la ragione. Le sue parole l'avrebbero gettata nel panico, ma lui non le lasciò il tempo per pensare... solo per sentire. Non tralasciò un centimetro della sua pelle, accarezzandola con le mani, con le labbra. Due volte lei tentò di assumere il controllo della situazione inducendo Wilson a penetrarla di nuovo, e due volte lui rifiutò con un sussurro e un sospiro. Allora le insinuò le mani sotto i fianchi e chinò la testa. Quando cominciò a cerchiarle l'ombelico con la lingua, il cuore di Cat accelerò i battiti. Ma, quando avvertì il tocco della lingua di Wilson discenderle lungo l'addome fino alla giuntura delle cosce, le sfuggì un gemito. Quello era un genere di intimità che richiedeva fiducia... una cosa che Cat non aveva mai sperimentato con un partner... che non aveva mai permesso. Ma anche se rifiutava di ammettere che tra loro due ci fosse qualcosa di più di una 22


reciproca gratificazione sessuale, era certa che Wilson non avrebbe mai voluto ferirla. Tutto il suo corpo fremette quando l'eccitazione cominciò ad avvicinarsi al culmine. «Oh... oh, Dio, Wilson...» Wilson aveva inteso mostrarle la differenza tra la libidine e l'intimità, ma l'urgenza che la voce di Cat esprimeva e il modo in cui il suo corpo fremeva erano come una droga di cui lui non riusciva più a fare meno. All'improvviso la sentì tendersi, sull'orlo dell'orgasmo. Era il segnale che stava aspettando. Si sollevò e scivolò dentro di lei. La sensazione fu devastante... ed era solo l'inizio. Wilson si mosse lentamente, affondando sempre di più in lei, e poi fermandosi per assaporare la sensazione. A un certo punto, Cat cominciò a gemere e quel suono lo travolse. Prolungò la sensazione il più possibile e, quando avvertì il suo orgasmo, si lasciò andare, abbandonandosi tra le sue braccia, esausto e tremante, incapace di muoversi. Qualche minuto dopo, alzò la testa e lanciò un'occhiata alla finestra. Le gocce di pioggia luccicavano sul vetro, ma sembrava che il temporale fosse passato. Cat si mosse. Wilson credette di sentire un leggero sospiro, ma subito lei rotolò lontano da lui e scese dal letto. «Vuoi un po' di caffè, prima di andare via?» Wilson si irrigidì. Si alzò a sedere e poi mise i piedi giù dal letto, fissando Cat incredulo. «Prima di andare via?» Lei gli scoccò un'occhiata, poi distolse lo sguardo, consapevole di averlo ferito. Ma, maledizione, la colpa era tutta di Wilson. La stava chiudendo in angoli dove lei non voleva trovarsi. Wilson si alzò e rimase immobile ai piedi del letto, sovra23


stando Cat. Poi cominciò a raccogliere i propri indumenti e a indossarli con la stessa fretta con cui se li era strappati di dosso. «Diavolo, no, non voglio un caffè, Catherine. Non potrei mai volere da te nient'altro che la scopata che abbiamo appena fatto.» Le parole erano dure, ma non più dure del modo in cui lei si stava comportando con lui. «Okay, allora» concluse. Si voltò ed entrò nel bagno. Quando uscì, si fermò in mezzo alla camera, ascoltando il silenzio, e capì che Wilson se n'era andato. Ma, quando lo sguardo le cadde sul letto, il cuore le sobbalzò dolorosamente. Rimase immobile, con lo sguardo fisso, fino a che la gola le si strinse e la vista le si annebbiò per le lacrime. Respirò a fondo, poi si chinò per raccogliere il denaro che Wilson aveva gettato sul letto. Cento dollari... in banconote da venti. Cat non conosceva la tariffa corrente per una prostituta, ma il messaggio era molto chiaro. «Accidenti a te» borbottò, poi respirò a fondo, lentamente, rifiutandosi di ammettere che Wilson aveva colpito un punto sensibile. Arrabbiata con se stessa, gettò il denaro in un cassetto, poi tirò fuori da sotto il letto la valigia e finì di riempirla. Infine andò nello studio per controllare il computer. Il blip era immobile, il che era una buona notizia. Ma, stando alla mappa, era nel bel mezzo del nulla. Troppo stanca e troppo ferita per pensarci ancora quella sera, spense il computer e lo portò in camera. Dopo pochi minuti era già a letto, con la sveglia puntata sulle sei. Chiuse gli occhi tentando disperatamente di dormire, ma era inutile. Non riusciva a dimenticare l'espressione di sofferenza 24


che aveva visto sul volto di Wilson, né il fatto che lei ne era la causa. Si rigirò su un fianco, sprimacciò rabbiosamente il cuscino e, con un'abilità che aveva perfezionato in anni di delusioni e di disperazione, cancellò ogni cosa dalla mente e si addormentò.

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Virtù e peccati di Charlotte Featherstone C’è un confine molto sottile che separa, nella pudica Inghilterra vittoriana, la virtù e la dissolutezza, l’integerrima moralità e il peccato più ignobile, l’amore e la perdizione, il pudore e la lussuria. Lui, Matthew, nobile, artista e libertino, parrebbe votato alle peggiori scelleratezze, mentre lei, Jane, desidera tutt’altro dalla vita, il vero amore, la passione più autentica. Ma c’è un segreto fra loro, qualcosa che giunge dal passato e che non riesce a tenerli distanti...

Piccole voglie di A.A.V.V. Una raccolta di racconti ad alto contenuto erotico che movimenteranno i vostri sogni. Sensuali, piccanti, stuzzicanti, garantiscono un progressivo aumento della temperatura a ogni pagina! Scritti da autrici conosciute e apprezzate per la sensualità delle loro storie sono dieci chicche tutte da gustare, da portare sempre con voi per quando vi prende la voglia...

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