Amy Rose Bennett COME CATTURARE
CONTE
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: How to Catch an Errant Earl
The Berkley Publishing Group, an imprint of Penguin Publishing Group, a division of Penguin Random House LLC
© 2020 Amy Rose Bennett Traduzione di Federica Isola Pellegrini
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
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© 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici ottobre 2022
Questo volume è stato stampato nel settembre 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100%
I GRANDI ROMANZI STORICI
ISSN 1122 5410
Periodico settimanale n. 1325 dell'11/10/2022
Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano
HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 20135 Milano
Al mio caro Richard. Il tuo supporto significa il mondo per me. Ti amo, sempre.
Si afferma spesso che la carità inizia da casa. Tuttavia, un gentiluomo o una gentildonna che possieda un vero spirito caritatevole deve dedicare una parte del proprio tempo e delle proprie energie a delle cause degne, in modo particolare alle opere di beneficenza destinate a migliorare la sorte dei poveri che se lo meritano. Durante questa Stagione, proponetevi di partecipare a un ballo, a una conferenza o perfino a una serata musicale dati per beneficenza. Leggete la nostra sezione di Annunci Mondani e consultate la li sta esauriente dei prossimi eventi. The Beau Monde Mirror. La Cronaca Mondana
La sala da tè di Gunter's, Berkeley Square, Mayfair Londra, 2 aprile 1818
Grazie al cielo sta piovendo!
O se non altro fu ciò che si disse Miss Arabella Jardine mentre scavalcava le pozzanghere che si erano formate sotto il portico di Gunter's e catturava l'attenzione di un fiaccheraio che si trovava all'altra estremità di Berkeley Square. Mentre la vettura di piazza si dirigeva verso la sala da tè, poté fingere di limitarsi ad asciugare da sotto gli occhiali le gocce di
pioggia sul viso, e non le lacrime, quando tornò a voltarsi verso le tre amiche più care che aveva al mondo. Amiche alle quali si era legata tre anni prima quando avevano frequentato insieme l'Accademia di Mrs Rathbone per giovani di buona famiglia, prima che venissero tutte espulse a causa di uno scandalo suscitato da una deplorevole condotta. Amiche con le quali si era appena incontrata da Gunter's.
Mentre avevano sorseggiato il tè e si erano rimpinzate con ogni sorta di leccornie, si erano anche confidate le loro speranze e i loro sogni, oltre ai loro progetti per il futuro. Come avevano fatto all'accademia quando avevano fondato la Società per Giovani Illuminate. Adesso, però, per delle circostanze che sfuggivano al suo controllo, Arabella era di nuovo costretta a separarsi da loro.
Accidenti ai suoi familiari e alla loro intenzione di imbarcarsi per un frivolo Grand Tour! Arabella si sforzò di non accigliarsi mentre si gingillava con i bottoni dei guanti di capretto marrone. Avrebbe voluto restare a Londra con Charlie, Sophie e la cara Olivia. Essere trascinata attraverso l'Europa per ammirare innumerevoli antiche cattedrali e castelli semidiroccati costituiva senza dubbio uno spreco di tempo e di denaro. Denaro che avrebbe potuto usare in modo migliore se ne avesse avuto l'opportunità.
Lady Charlotte Hastings, Charlie per le amiche, la trasse dalle sue meste elucubrazioni avviluppandola in un caloroso abbraccio. «Mia cara Arabella, devi mantenere la promessa di scriverci mentre gironzoli per il Continente.» I suoi riccioli ramati le solleticarono la guancia. «Non mi importa dove sarai, se sulla vetta del Monte Bianco o nella Foresta Nera, sarò io a sostenere le spese postali.»
«Sì, purché tutte voi mi rispondiate.» Arabella si sistemò sulla spalla la cinghia della grande borsa di cuoio mentre Charlie la lasciava andare. La vettura di
piazza si era fermata accanto a loro. «Voglio sapere tutto su come procede la vostra caccia a un marito questa Stagione. Per ciascuna di voi.»
«Naturalmente» replicò Sophie con un timido sorriso. Un lieve rossore le salì alle guance e Arabella immaginò che stesse pensando al molto attraente fratello di Charlie, Nathaniel, Lord Malverne. Il suddetto fratello si era unito brevemente a loro da Gunter's e lei era certa di avere notato una scintilla di interesse negli occhi dello scapestrato visconte quando aveva conversato con Sophie. Anche se la reputazione di Sophie era macchiata dallo scandalo che era scoppiato all'accademia, e la sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà, perché lui non avrebbe dovuto essere interessato? La timida e al contempo così dolce Sophie, con i suoi lucidi capelli neri e i suoi enormi occhi azzurri, era tanto bella da mozzare il fiato.
In effetti, tutte le sue amiche erano incantevoli, sia nel volto sia nell'indole, e compite in tutti i modi che contavano agli occhi dell'alta società.
A differenza di lei. Arabella soffocò un sospiro. Non solo era un'orfana scozzese dalla dubbia paternità e possedeva l'innaturale tendenza a essere un'intel lettuale secondo il parere della zia Flora, se non altro ma aveva una fessura fra gli incisivi superiori e la vista così debole da essere costretta a portare gli oc chiali per la maggior parte del tempo. Anche se quella Stagione aveva debuttato come le sue amiche, era certa di non avere ricevuto più di una fuggevole occhiata dai gentiluomini del bel mondo.
Era una fortuna che avesse altri progetti per il suo futuro. Progetti segreti. Appena avesse lasciato le amiche, avrebbe iniziato ad attuarli quello stesso pomeriggio.
Rafforzata la risoluzione di portare a buon fine la propria missione, si raddrizzò sul naso gli occhiali che l'esuberante abbraccio di Charlie aveva inclinato.
«Anche tu sei pronta a tornare a casa, Olivia?»
Il fiaccheraio le stava guardando con occhio torvo da sotto il cappuccio della sua gocciolante cerata. Dovevano davvero andare.
Olivia emise un pesante sospiro. «S... s... sì» replicò, raccogliendosi le gonne dell'abito alla moda e del soprabito bordato di pelliccia, per evitare che strascicassero nelle fangose pozzanghere che aveva di fronte. Fece una smorfia la sua balbuzie peggiorava sempre quando era nervosa prima di affrettarsi a pronunciare le parole successive. «Per qua... quanto mi dispiaccia separarmi da te, de... devo farlo. La zia Edith starà indubbiamente gua... guardando l'orologio.»
Furono scambiati gli ultimi abbracci e, dopo che Arabella e Olivia ebbero preso posto nell'umido e buio abitacolo, la vettura si avviò a tutta velocità attraverso la piazza allagata.
Olivia de Vere abitava attualmente in una casa in affitto in Grosvenor Square con i suoi terribilmente severi tutori. Benché la casa fosse situata a una relati vamente breve distanza da Berkeley Square, Arabella aveva fatto in modo di dividere una vettura di piazza con l'amica, non solo per evitare che si bagnasse, ma anche per aiutarla a fuggire dalla sua gabbia dorata per recarsi da Gunter's.
Era stato necessario ricorrere a un piccolo sotterfu gio. Quell'arpia che era la zia di Olivia credeva che la zia Flora le avrebbe accompagnate, cosa che non aveva fatto. Benché Gunter's fosse un posto rispettabile, si sarebbe scatenato l'inferno se la zia di Olivia avesse appreso che la nipote era entrata nella sala da tè senza un adeguato chaperon.
«Non ci ve... vedremo di nuovo prima della tua partenza, non è vero?»
L'espressione degli occhi castani di Olivia era così afflitta che Arabella si sentì stringere il cuore. Sospet-
tava che molto spesso l'amica si sentisse sola quanto si sentiva lei.
«Temo di no. Bertie, il marito di mia cugina, ha prenotato dei posti per tutti noi sul traghetto in partenza da Dover, e dovremmo salpare per la Francia fra tre giorni.»
«Sarei tentata di ficcarmi nel tuo baule. Non occuperei molto posto.»
Arabella scoppiò in una risata, rallegrandosi che l'amica avesse riacquistato il senso dell'umorismo. «Credimi, ti porterei con me se potessi. La zia Flora e mia cugina Lilias saranno certo estremamente esigenti durante il viaggio. La tua compagnia sarebbe oltremodo gradita.»
Olivia le strinse un istante la mano. Malgrado il traffico e la pioggia battente, si stavano rapidamente avvicinando a Grosvenor Square. «Ho la sensazione che il tuo viaggio sarà meraviglioso, nonostante i tuoi dubbi. E chissà, potresti perfino incontrare un affasci nante principe italiano o un attraente nobiluomo sviz zero che ti faranno perdere la testa.»
Arabella ne dubitava alquanto. A differenza di Oli via, di Charlie e di Sophie, non era affatto sentimenta le. I matrimoni d'amore non erano per le ragazze prati che e insignificanti come lei. Nondimeno, riuscì a mettere insieme un sorriso per tentare di apparire al legra.
«Be', a meno che il suo nome non figuri nell'elenco dei gentiluomini che possiedono i requisiti indi spensabili che abbiamo compilato da Gunter's, non vedo come potrei prendere in seria considerazione il suo corteggiamento.» Abbassò la voce, sebbene nessun altro potesse udirla e la pioggia stesse tamburel lando sul tetto della carrozza. «Voglio dire, senza nessuno di nostra conoscenza che garantisca per lui, se fosse davvero una bieca canaglia con un paio di scheletri nell'armadio, letteralmente, come una prima mo-
glie assassinata? O come ha menzionato Charlie poco fa, se fosse butterato dal vaiolo?»
Olivia rise e finse di rabbrividire. «Che pensiero orrendo.»
«Se non altro, il tuo burbero anche se attraente vicino, Lord Sleat, figura nell'elenco.» Charlie aveva dichiarato che il marchese scozzese era amico di suo fratello e un candidato eminentemente adatto come marito. Benché fosse stato gravemente ferito a Waterloo e adesso portasse una benda nera su un occhio, dava l'impressione di essere un vero gentiluomo sotto il suo aspetto rude. Ed era molto ricercato dalle signore del bel mondo.
«Infatti» sospirò Olivia, mettendosi una ciocca di capelli castani sotto l'elegante capellino di paglia. La vettura si era fermata di fronte a casa sua e l'amica lanciò un'occhiata malinconica alla dimora adiacente con le sue colonne intagliate e il lucido portone nero. «Tuttavia, non vedo come potrei mai avere la possibilità di incontrarlo. Se ne sta sempre per conto suo. Credo che finirò per soprannominarlo il misterioso marchese.» Vedendo la porta d'ingresso dischiudersi a una fessura, fece una smorfia. Raccolse la sua reticella e abbracciò forte Arabella un'ultima volta. «Abbi cura di te, mia cara amica. Adesso devo andare, prima che mia zia ordini a uno dei suoi orridi valletti di trascinarmi dentro. Ti auguro di fare un viaggio meraviglioso.»
Dopo che Olivia la ebbe lasciata e lei ebbe impartito delle nuove indicazioni al taciturno vetturino, Arabella si affrettò a chiudere lo sportello per lasciar fuori un improvviso getto di acqua gelata che minacciava di rovesciarsi sull'abito di twill verde e sul cappello di paglia che indossava. Appoggiandosi di nuovo allo schienale del sedile, si tolse gli occhiali per asciugare le gocce di pioggia con un fazzoletto, poi controllò l'orlo della gonna e gli stivaletti per accertarsi che non
fossero spruzzati di fango. Benché di solito non si curasse tanto del suo aspetto, desiderava fare una buona impressione quando si fosse presentata all'appuntamento successivo. La direttrice del Foundling Hospital, l'ospedale per trovatelli, la stava aspettando... al pari del dottor Graham Radcliff.
Non aveva aggiunto il nome del medico all'elenco di buoni partiti che avevano compilato da Gunter's. Il rapporto che aveva con quel particolare uomo era il suo segreto gelosamente custodito, un segreto che non era ancora pronta a confidare alle sue amiche.
Avvertì una contrazione allo stomaco e fissò accigliata la sua immagine riflessa nel vetro del finestrino. Era nervosa e non voleva esserlo. La crescente sensazione di aspettativa e di trepidazione che provava era dovuta al fatto che era in procinto di visitare un istituto che senza dubbio le avrebbe riportato alla memoria ricordi che si rifiutava di evocare? O si trattava della prospettiva di rivedere l'intelligente e così amabile dottor Radcliff? Era stato lui a consigliarle di fare coincidere la sua visita con la riunione del consiglio di amministrazione dell'ospedale di cui era anche uno dei direttori.
Armeggiò con la logora fibbia di peltro della borsa di cuoio di suo nonno. La lettera di presentazione che il medico aveva scritto per la direttrice dell'istituto, Helen Reid, si trovava all'interno. Era trascorso poco più di un anno dall'ultima volta in cui aveva incontrato il gentiluomo, un ex collega del suo defunto nonno, il dottor Iain Burnett. C'erano delle volte in cui lei sospettava che suo nonno non fosse stato troppo sottile nel tentare di fungere da sensale di matrimoni, quando l'aveva presentata al medico vedovo a una serata musicale di beneficenza.
Un sorriso le aleggiò sulle labbra a quel ricordo dolceamaro. Era accaduto l'autunno prima che suo nonno passasse a miglior vita. E un anno e mezzo do
po che era scoppiato lo scandalo all'accademia e il suo nome era diventato fango nell'alta società, sia di Londra sia di Edimburgo, dove adesso viveva con la zia Flora, Lilias e suo marito, Albert Arbuthnott. C'era una sgradevole verità che Arabella aveva già appreso: era difficile cancellare la macchia di uno scandalo, dato che tendeva a seguire una persona ovunque andasse. Se la buona società, di Londra o di Edimburgo, fosse venuta a conoscenza del vero scandalo della sua vita, l'avrebbe senza dubbio messa al bando per sempre.
Se non altro, il dottor Radcliff ignorava quell'increscioso particolare. Ciò che sapeva di lei, ossia che era un'aspirante intellettuale che preferiva assistere a una conferenza sui vantaggi della vaccinazione, piuttosto che partecipare a un ballo, non lo aveva mini mamente scandalizzato. In effetti, nelle due occasioni in cui si erano incontrati, l'aveva sempre trattata con il massimo rispetto. E nell'ultimo anno, si erano scritti regolarmente, abbordando ogni sorta di argomenti, dagli ultimi ritrovati per curare le coliche infantili alla pressante necessità di accrescere il libero accesso agli ambulatori medici per i poveri, a quella di rendere più nutriente l'alimentazione dei bambini ricoverati negli ospizi.
Il dottor Radcliff dava l'impressione di compren dere il suo desiderio di appoggiare i progetti destinati a migliorare la salute pubblica, come aveva fatto suo nonno. Secondo lei, procurare le cure migliori agli orfani e ai trovatelli era di vitale importanza. Era per questo che aveva deciso di visitare il Foundling Hospital. Voleva apprendere il più possibile sul funzio namento del famoso istituto, dal momento che un giorno, se mai avesse posseduto i mezzi e le cono scenze adeguate, sognava di aprire un ospedale assai simile o un orfanotrofio a Edimburgo.
Un sogno impossibile forse, anche se lei intendeva
trasformarlo in una realtà. Se c'era una cosa che non le mancava era la determinazione.
Foundling Hospital. Guilford Street, Bloomsbury, Londra
«Temo che la direttrice non possa ricevervi questo pomeriggio, Miss...» La robusta governante di mezza età dell'ospedale tornò ad abbassare lo sguardo sulla lettera del dottor Radcliff. L'ingresso non era solo gelido e umido, ma anche scarsamente illuminato, e la donna impiegò un lungo momento a trovare di nuovo il suo nome. «Miss Jardine, non è vero?»
«Sì, esatto.» Sotto gli scarmigliati riccioli biondi, Arabella aggrottò la fronte. Le cose non stavano affatto andando come aveva sperato. Con la coda del l'occhio, notò che il portiere stava allungando la mano verso la maniglia della porta principale. Un uomo quasi gigantesco, che non avrebbe esitato un istante a gettarla in strada. Riportando l'attenzione sulla gover nante, lei decise di non lasciarsi scoraggiare. «Ma ho un appuntamento, che è stato fissato dal dottor Rad cliff. Credo che faccia parte del consiglio di ammi nistrazione.»
Con un suono sprezzante, la donna la percorse con lo sguardo. Evidentemente il suo aspetto non l'aveva colpita in modo favorevole. Dal suo semplice abbi gliamento e dal fatto che non fosse accompagnata da uno chaperon, appariva chiaro che non apparteneva a una famiglia facoltosa né possedeva delle conoscenze altolocate. «Sì, conosco il dottor Radcliff» replicò, restituendole la lettera. «È un vero gentiluomo. E in circostanze normali, la direttrice sarebbe felice di mostrarvi l'istituto. Ma non quest'oggi. Forse potreste tor nare la settimana ventura, quando l'ospedale è aperto al pubblico.»
Un'ondata di frustrazione le si rovesciò addosso.
«Purtroppo, non mi sarà possibile, dato che dopodomani lascerò la città per un lungo periodo di tempo. Non c'è nessun altro che sarebbe disposto ad accompagnarmi? Un membro del personale? Un'infermiera o un'insegnante? Il dottor Radcliff ha menzionato che avrebbe partecipato a una riunione del consiglio di amministrazione questo pomeriggio. C'è un posto in cui potrei aspettarlo?» A un tratto, si rese conto di essere più delusa dalla prospettiva di non vedere il medico che dal fatto di dover rinunciare a una visita guidata.
La governante emise un pesante sospiro, facendo premere l'ampio petto contro le cuciture dell'abito nero e del grembiule bianco. «Non credo proprio, Miss Jardine. Inoltre, sono sicura che il dottor Radcliff ha delle cose più importanti da fare. Come la nostra di rettrice. Dato che tanti bambini si sono ammalati du rante la notte...» Serrò strettamente le labbra, come se avesse detto una cosa che non avrebbe dovuto rivela re. «Sono tutti troppo occupati.»
Arabella si allarmò all'istante. «Oh, mio Dio. Di qualunque cosa si tratti, spero che non sia grave.» Non c'era da stupirsi che la direttrice fosse occupata. Una malattia si divulgava come un incendio in un posto del genere, con delle catastrofiche conseguenze. Una volta aveva assistito a un'epidemia di morbillo nel North Bridge Orphan Hospital di Edimburgo, un istituto in cui si era recata con suo nonno in diverse occasioni. «C'è qualcosa che possa fare per aiutarvi? Possiedo io stessa una notevole esperienza come infermiera.»
La governante inarcò un sopracciglio, chiaramente poco convinta da quella dichiarazione. «Ne dubito. La direttrice ha saldamente in mano le redini della si tuazione. Scoccò un'occhiata al portiere, e Arabella percepì una corrente di aria fredda investirle la schie na e le caviglie mentre lui apriva la porta.
Avanzando di un passo verso la governante, si infi
lò una mano nella tasca dell'abito ed estrasse una piccola borsa. Gli occhi della donna luccicarono allorché udì il tintinnio delle monete. «Miss...»
«Mrs. Bradley.»
«Mrs. Bradley.» Arabella aprì la borsa e prelevò una delle sue preziose sovrane. Aveva avuto intenzione di comprare qualcosa di frivolo in Bond Street prima di tornare nella casa che gli Arbuthnott avevano affittato temporaneamente in Half Moon Street. Tuttavia, era disposta a fare un piccolo sacrificio, se questo le avesse consentito di trattenersi. «Sarebbe di aiuto se vi offrissi una piccola donazione per dimostrarvi quanto vi apprezzi per il disturbo che potrei arrecarvi?» bisbigliò. «Se poteste dedicarmi una piccola parte del vostro tempo per mostrarmi il reparto delle bambine. E poi, come vi ho già proposto, potrei aspettare il dottor Radcliff da qualche parte. Ho sentito dire che c'è una galleria di dipinti...»
Mrs. Bradley afferrò la moneta e se la ficcò nella tasca del grembiule alla stessa velocità con cui un gatto randagio sarebbe balzato su un topo. Fece segno al portiere di chiudere la porta. «D'accordo, Miss Jardine.» Girando sui tacchi, si diresse verso un'altra porta. «Seguitemi.»
Appena Arabella varcò la soglia della camerata delle bambine, con le sue interminabili file di stretti lettucci preparati con rigide lenzuola bianche e ruvide coperte di lana, si sentì serpeggiare un brivido gelato lungo la spina dorsale e avvertì una contrazione alla bocca dello stomaco. Il respiro le si mozzò in gola e il cuore prese a martellarle furiosamente nel petto. Fu costretta a chiudere a pugno le mani guantate per nascondere le dita tremanti.
Era ciò che accadeva sempre. Non aveva importan za che avesse visitato dei posti assai simili innumere voli volte con suo nonno. Nessuna quantità di pensieri razionali era in grado di mitigare quella reazione vi-
scerale, l'impulso immediato di voltarsi e fuggire fuori dalla porta e tornare in strada nell'aria fresca e nella luce.
Forse erano la mancanza di tende alle finestre munite di grate o l'eco dei passi sulle nude assi del pavimento a suscitare quella reazione. Ma del resto, poteva essere stato l'acre sentore di amido e di sapone alla liscivia a trasportarla in un'altra epoca e in un altro luogo. Un altro orfanotrofio che preferiva non rammentare, con le sue meschine infermiere e i loro bruschi ordini. I loro sguardi crudeli e le mani altrettanto crudeli che spingevano, schiaffeggiavano e pizzicavano.
Nondimeno, erano proprio quei ricordi ad alimen tare il suo ambizioso progetto, a infonderle il desiderio di migliorare l'esistenza di altri bambini orfani o abbandonati. Benché fossero trascorsi quindici anni da quando era stata un'inquilina del Great Clyde Hospital and Poorhouse di Glasgow, non avrebbe mai dimenticato cosa si provava a essere una bambina ammutolita dal terrore e dalla disperazione. La spaventosa sensazione di essere completamente sola e non amata. Indesiderata.
Se Mrs. Bradley notò il suo strano atteggiamento, si astenne da qualsiasi commento. Si limitò a propinarle un discorso che doveva avere ripetuto centinaia di volte sulle abitudini dei bambini: quando si alzavano e quando si coricavano, come l'ispezione della pulizia avesse luogo dopo le preghiere mattutine, il tipo di compiti che venivano assegnati ai trovatelli a seconda della loro età, il tempo che dedicavano allo studio di materie come la matematica e l'ortografia.
Per tutto quel tempo, lei ascoltò la governante, prendendo nota mentalmente di tutto quello che dice va. Era ciò che doveva sapere per iniziare ad attuare il suo progetto di aprire un orfanotrofio. Tuttavia, sem brava incapace di concentrarsi, anche quando si sforzò
di prendere appunti sul taccuino che aveva prelevato dalla sua borsa per riuscire a capire meglio quanto sarebbe costato.
A meno che il dottor Radcliff non fosse stato disposto a fornirle quelle informazioni. Dopotutto, era uno dei direttori. Questo, però, l'avrebbe costretta a mettere insieme il coraggio di confidargli il suo sogno e non lo conosceva abbastanza bene per farlo. Be', non ancora.
Dopo che Mrs. Bradley le ebbe mostrato il refettorio, un'aula scolastica e la lavanderia, Arabella aveva quasi riacquistato la padronanza di sé. Il fatto di vedere le bambine, che sembravano ben nutrite e vestite in modo adeguato con degli abiti di twill marrone, grembiuli e cuffiette bianchi, aveva contribuito ad assicurarle che il Foundling Hospital si prendeva cura di loro più di quanto avesse fatto il Great Clyde Hospital.
La governante girò prudentemente alla larga dal re parto che ospitava gli ammalati e la condusse nell'ul timo posto che doveva ancora visitare, ossia la cucina. Il sentore ben noto di carne che bolliva e di pane che stava cuocendo nel forno le colpì le narici appena ebbero varcato la soglia di un'immensa stanza. Al pari della lavanderia, la cucina ferveva di attività. Alcune bambine più grandi, che sembravano fra i nove e i quattordici anni, stavano pelando a tagliando a toc chetti delle patate, impastavano il pane o erano accan to al fuoco per sorvegliare qualunque cosa stesse sobbollendo negli enormi pentoloni di ferro. Arabella notò anche una bambina più piccola, che non poteva avere più di cinque anni, rannicchiata su uno sgabello e intenta ad attizzare il fuoco con un paio di piccole molle, un compito del tutto inutile dal momento che le fiamme erano già alte.
In effetti, la cucina era molto più calda delle altre stanze che aveva visto fino a quel momento. La con-
densa appannava le finestre, e Arabella non tardò a sentire dei rivoli di sudore scivolarle lungo la schiena e imperlarle la fronte. La temibile cuoca, Mrs. Humbert, era una donna corpulenta dal viso rubicondo e le mani irruvidite dal lavoro, un tono di voce caustico e un'espressione bellicosa. Quando portò lo sguardo su di lei, Arabella si impose di non sobbalzare. Aveva appena racimolato il coraggio di chiederle se ai bambini venivano serviti altri tipi di ortaggi oltre alle patate, quando si scatenò un pandemonio.
La bimba più piccola seduta accanto al fuoco scivolò giù dallo sgabello e cadde sul focolare, il corpo che si contorceva in modo strano. Le compagne che le stavano accanto gridarono e balzarono indietro. Me stoli e cucchiai volarono in tutte le direzioni, e una pentola che conteneva un budino di riso si rovesciò.
«Che diavolo sta succedendo?» strillò Mrs. Humbert, dirigendosi verso il trambusto.
«Sally sta soffocando.» Una ragazza dai capelli rossi indicò quella piccola distesa sul pavimento. «Deve avere di nuovo sgraffignato un pezzetto di carota dalla pentola del lesso e probabilmente le è andato di traverso.»
«Le sta bene.» La cuoca spinse da parte diverse bambine. «Quando avrò finito di batterle una mano sulla schiena, la prenderò a schiaffi.»
Anche Arabella si precipitò verso il camino. La piccola aveva gli occhi rovesciati nelle orbite e la bocca storta. Il corpo era rigido e i muscoli contratti.
«Non sta soffocando. E voi non farete una cosa del genere, Mrs. Humbert.» Inginocchiandosi accanto alla bambina, Arabella fulminò la cuoca con un'occhiata. «Ha le convulsioni.»
Piazzandosi le mani sui fianchi, Mrs. Humbert tor reggiò su di lei. «E voi come fate a saperlo, Miss Pre sunzione?»
Arabella strinse gli occhi mentre si sfilava i guanti.
«Lo so.» Ignorando il fiero cipiglio della cuoca e le proteste della governante, fece girare Sally su un fianco e le posò una mano sulla fronte. Sebbene la sua pelle scottasse e avesse le guance scarlatte, lei dubitava che fosse a causa del fuoco. «Sally soffre di epilessia?» La cuoca e la governante la fissarono senza capire. «Sapete, il mal caduco.»
«Come potrei saperlo?» sibilò Mrs. Humbert.
Mrs. Bradley scosse la testa. «Non che mi risulti, Miss Jardine.»
«Ha la febbre. Molto alta. Può provocare degli attacchi del genere ai bambini piccoli.» Arabella cominciò a slacciarle il grembiule e l'abito. «Dobbiamo abbassargliela. Qualcuno può essere tanto gentile da portarmi un panno imbevuto nell'acqua fredda?»
In effetti, due minuti più tardi Sally riprese cono scenza. Emise un gemito e sbatté ripetutamente le palpebre, prima che i suoi grandi occhi castani si riempissero di lacrime. «Mi fa male la testa» bisbigliò.
«Sei caduta» replicò Arabella in tono gentile, acca rezzandole una guancia. «Credi di riuscire a sederti?»
Sally annuì e lei l'aiutò a tirarsi su. La bambina e mise un altro gemito e le nascose il viso nella spalla.
«Deve essere trasportata nel reparto degli ammalati e visitata da un medico.»
Mrs. Bradley assentì, un nuovo rispetto negli occhi. «Ovviamente. Abbiamo un'infermeria. Alzati, Sally.»
Ma la piccola continuava a piangere e a tremare. Dato che reggersi in piedi sembrava superiore alle sue forze, Arabella la sollevò fra le braccia. Non pesava più di una piuma. «La porto io.»
«Bene.» Per la seconda volta quel pomeriggio, la governante le fece segno di seguirla.
Poco dopo, Sally era stata installata in un letto del l'infermeria e la direttrice dell'ospedale stava ringra ziando Arabella per la sua prontezza di riflessi e le cure che le aveva prestato.
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