ROMANCE
EMMA HEATHERINGTON
Come fiori sotto la neve
Immagine di copertina: Ragazza: PeopleImages / E+ / Getty Images Villaggio: magann / depositphotos Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Secrets in the Snow HarperCollinsPublishers Ltd © 2020 Emma Heatherington Traduzione di Giorgia Lucchi Emma Heatherington detiene il diritto morale di essere identificata come autrice di quest'opera. Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollinsPublishers, London, UK Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2021 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance dicembre 2021 HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 279 dello 03/12/2021 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Alla memoria della mia cara zia Deirdre (Diddles), che lasciò questo mondo dieci anni fa. Sento ancora la tua risata e il tuo profumo e sorrido per i ricordi magnifici che hai lasciato a tutti noi. Questo è per te x
Nella mia camera a casa di Janet e Michael Brown a Dalkey nel 1996 c'erano un letto comodo e pulito, una scrivania sotto una finestra incorniciata di lucine e un comodino con una lampada e una sveglia tutti per me. Janet, la mia mamma affidataria, il venerdì mi metteva nel cestino del pranzo dei Jaffa Cake come sorpresa, perché sapeva che erano i miei preferiti. E tutte le sere suo marito Michael mi lasciava una bottiglia piena d'acqua calda, avvolta nella federa di un cuscino fuori della porta della mia camera. Dopo cena ci intrattenevamo quasi sempre con qualche gioco da tavolo insieme in cucina. Una sera ricordo di aver chiuso i miei occhi di adolescente al calduccio in quella camera accogliente e di aver ascoltato il mare in lontananza, mentre il vento soffiava sulla costa. Tutto questo, insieme con un altro suono proveniente dal piano inferiore, mi aveva toccato le orecchie. E l'anima. Janet e Michael cucinavano insieme di sotto e intanto ridevano di gusto. Quel suono aveva risvegliato qualcosa dentro di me e mi aveva fatta sorridere, dal cuore. Poi avevo capito cosa fosse. In quel momento mi ero sentita al sicuro come non ero mai stata e mi ero ripromessa che avrei sperimentato quel senso di sicurezza e appagamento quantomeno un'altra volta nella vita. Anche se mi ci fosse voluta un'eternità per ritrovarlo.
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Romanzo
INVERNO
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«Per favore, parlami, Ben. di' qualcosa. Questo silenzio mi fa impazzire.» Accendo la televisione e saltello da un canale all'altro mentre il fuoco scoppietta nel camino, l'unico suono che interrompe il silenzio del nostro cordoglio soffocante in questo giorno di novembre, freddo e buio. Ben non mi risponde. Stringe il suo plaid scozzese preferito intorno al corpo da decenne e continua a succhiarsi il pollice, abitudine che questa settimana si è ripresentata, dopo che era sparita per quattro anni. «Vuoi parlare di lei?» propongo e sento il cuore stringermisi nel petto quando vedo le occhiaie scure, il faccino pallido e il modo in cui si stringe a ciò che gli dava conforto da bambino. «Possiamo parlare di Mabel e dei bei momenti che abbiamo condiviso con lei.» Si strofina gli occhi, sprofonda nel conforto del suo guscio e io aggrotto la fronte, disperata. Il chiasso proveniente dall'angolo in cui il televisore trasmette immagini in presa diretta dai colori vivaci ci ricorda che la vita continua, perfino dopo la morte di qualcuno che amiamo, ma al momento sembra che tutto il nostro mondo sia congelato e noi siamo intenti a contemplare il nostro passo successivo. Mi raggomitolo sulla poltrona accanto alla finestra e guardo fuori, il cielo blu come la mezzanotte, poi prendo il telefono e googlo tutto quello che posso trovare su come affrontare il lutto attraverso gli occhi di un bambino, azione che mi 11
dà un senso di déjà vu e mi riporta a un tempo precedente, prima dell'inizio della nostra nuova vita qui. La mia capa, nonché buona amica Camille, mi scrive proprio mentre cerco online. Come sta il piccolino? E tu? Su la testa, Ro. Sei una guerriera e anche Ben. Potete farcela. Una sensazione familiare mi attanaglia, riportando a galla vecchie paure; mi si accappona la pelle per l'ansia riaccesa dal dolore interiore di mio figlio. Voglio far sparire tutto questo. Voglio che rida come faceva, voglio che mi prenda in giro con battute sceme e che mi faccia sorridere quando lo sento cantare sotto la doccia o davanti a uno specchio, mentre finge di suonare una chitarra immaginaria. Voglio che mi irriti con la sua insistenza o mi convinca a fare qualcosa che lui desidera e io no, o mi faccia gonfiare il petto di orgoglio quando il suo approccio magico nei confronti della vita mi stupisce come solo l'approccio di un bambino può stupire. Il suo silenzio protratto mi spezza letteralmente il cuore e non so cosa fare, né a chi chiedere aiuto. Sono trascorsi due giorni da quando Ben ha bofonchiato che erano finiti i cereali per la colazione. Da quel momento non ha più detto una parola. Nessuna domanda, nessuna richiesta, nessuna scenata, nessuna lacrima. Niente. Per un ragazzino di dieci anni riuscire a tacere tanto a lungo, quando siamo soltanto in due nel nostro piccolo cottage alle porte di un paesino irlandese, non è cosa da poco. Non ha risposto quando gli ho proposto di andare a pattinare sulla nuova pista di ghiaccio che hanno aperto in città e non ha mostrato alcun entusiasmo per il ritiro invernale di football che aspettava da settimane. La sua espressione non è cambiata di una virgola, quando gli ho proposto una passeggiata in riva al mare a Dunfanaghy, un passatempo sempre molto popolare qui da noi, indipendentemente dal meteo. Mio figlio, che in genere è goffo, chiacchierone e sovente 12
spassoso, è ammutolito, ma se non altro comprendo perfettamente il perché. Era giovedì, quando Ben mi ha ricordato che i cereali erano finiti, lo stesso giorno in cui abbiamo detto addio a Mabel Murphy, la nostra vicina settantanovenne, sotto un cielo plumbeo invernale in un freddo cimitero irlandese. Mabel Murphy era assai più della vecchina della porta accanto. Era la nostra salvatrice e la nostra migliore amica al mondo; quando nessun altro vegliava su di noi, lei lo faceva. Si era fatta strada nei nostri cuori fino a riempire un vuoto nelle nostre vite che non sapevamo nemmeno esistesse, quando arrivammo qui quattro anni fa, annichiliti dal dolore e dalla paura di non sapere cosa ci aspettasse dietro l'angolo. «Con tutti i posti che ci sono al mondo, cosa diavolo porta una bella ragazza come te qui a Ballybray?» mi chiese Mabel con il suo marcato accento newyorchese da dietro la recinzione del giardino, quando Ben e io arrivammo a piedi dalla fermata dell'autobus in paese fino alla fila di cottage che qui è nota come Teapot Row. Alzai lo sguardo e la vidi nel suo giardino, una mano sul fianco. Indossava un paio di guanti rosa e un impermeabile giallo, un raggio di sole che illuminava un giorno d'inverno molto umido e cupo. La mia reazione iniziale sarebbe stata suggerirle di farsi gli affari suoi. Ero arrivata a Ballybray per nascondermi per un po', proteggermi e progettare il mio passo successivo. Ero là per reinventare il mio tempo e l'ultima cosa di cui avessi bisogno era una vecchina vestita come se avesse vent'anni di meno, intenzionata a ficcare il naso nella mia vita. «È un villaggio pieno di vecchi svitati come me, ossessionati dal giardinaggio in tutte le stagioni, ma stare qui a me piace» mi disse. «Chissà, magari piacerà anche a te!» Guardando indietro con occhi diversi, ora capisco che Mabel era mozzafiato nel modo meno convenzionale immaginabile. In contrasto con impermeabile giallo e guanti rosa, indossava un foulard viola scuro a incorniciarle il volto che un tempo era stato quello di una reginetta di bellezza, aveva 13
chiazze di fango sugli zigomi alti e un corpo che sfidava la sua età. Ricordo che giocherellavo con il mio giaccone trasandato, sentendomi a disagio mentre tentavo di sistemare i miei scarmigliati capelli castani e, nella testa, cercavo una risposta da darle. Sapevo che ero scappata da Dublino, ma non avevo idea del perché avessi scelto di rifugiarmi proprio là. Anche se l'avessi avuta, per la verità, non avevo alcuna intenzione di spiegare le mie motivazioni a una perfetta sconosciuta. Avevo trentasei anni, ero appena rimasta vedova e in tasca mi restavano ben pochi soldi, dopo aver acquistato una casa in cui non ero mai stata, che avevo scelto da un catalogo online. Avevo una quantità di esperienza, ma la mia testa era piena di confusione e non dubitavo che il mio aspetto da hippy boho avesse destato la curiosità di una quantità di persone oltre a Mabel, quando ero arrivata in quel villaggio assonnato. Ero molto gelosa e iperprotettiva nei confronti del mondo in cui mi ero ritrovata a vivere e di quello che avrei voluto creare per il futuro mio e di mio figlio. Ballybray, come avevo scoperto tramite una rapida ricerca in internet, era un villaggio rurale che si sviluppava intorno a una singola strada principale, vicino alla costa nordoccidentale dell'Irlanda, nella contea di Donegal, le cui attrazioni principali erano un lago enorme a sud e una foresta sulla sommità di una collina nota come Warren's Wood a nord, anche se nessuno sembrava sapere chi fosse Warren. La cittadina marittima di Dunfanaghy si trovava poco lontano in fondo alla strada, fatto che mi aveva convinta all'istante ad acquistare lì, essendo completamente diverso dalla giungla d'asfalto della città in cui avevo trascorso gran parte della mia infanzia. Oltre ai due punti di riferimento principali c'erano un piccolo negozio di alimentari, una panetteria, una cappelletta, una scuola primaria, un parrucchiere, un centro ricreativo e un pub, i cui proprietari avevano appena ristrutturato l'edificio adiacente, trasformandolo in un negozio di ab14
bigliamento vintage con una caffetteria, novità che per gli abitanti del villaggio era molto emozionante, dal momento che richiamava clienti vicini e lontani. Non c'era dubbio, se cercavo qualcosa di tranquillo e alla mano, avevo scelto il posto giusto. Volevo allontanarmi dallo smog e dalla soffocante vita cittadina. Volevo andare dove nessuno conoscesse il mio nome. Mabel, con i suoi colori sgargianti, vibrante di energia, aspettava ancora una risposta, la mano rosa posata sul fianco. «Ho... ho conficcato uno spillo su una mappa dell'Irlanda a caso e questo è ciò che ho trovato» le dissi stringendomi nelle spalle. Non intendevo rivelarle di più. «Non so niente di questo posto, ma ho una vita intera per capire se ci piacerà o no. Spero di sì.» Mabel lasciò cadere indietro la testa e rise di gusto per la mia risposta che io, per la verità, non trovavo poi così divertente. Era la verità, pura e semplice. «Hai conficcato uno spillo su una mappa, mia cara?» Esplose in una risata fragorosa. «Davvero?» «Davvero» confermai, mentre mi stringevo ancora nelle spalle. «Per la verità era una forcina per i capelli, ma suppongo faccia lo stesso.» Mabel si avvicinò alla recinzione che ci separava e mi fece cenno di avvicinarmi. Quando la raggiunsi, mi prese il viso tra le mani e mi guardò nell'anima. Odorava di aria fresca e nuovi inizi con una traccia di muschio bianco e, anche se avrei voluto arretrare, nel profondo avrei tanto desiderato che qualcuno capisse il mio dolore senza che dovessi parlarne. All'inizio mi irrigidii, ma, per quanto cercassi di oppormi, nel giro di pochi secondi mi sciolsi un poco sotto il suo tocco gentile e gli occhi sinceri. «Tu e io, mia cara» decretò Mabel con un sorriso raggiante, «ce la intenderemo a meraviglia!» Quel gesto e quelle parole semplici bastarono affinché sentissi parte delle mie paure più oscure svanire all'istante, benché non fossi ancora pronta per abbassare completamente la guardia e lasciarla entrare. 15
Non so se fui io a trovare il Donegal o se fu il Donegal a trovare me, ma ritenevo di essermi trasferita abbastanza lontano per consentirmi di chiudere la porta su un intervallo di tempo nella mia città natale, Dublino, che avrei preferito dimenticare, restando al tempo stesso abbastanza vicino da poter tornare nel caso in cui avessi cambiato idea. Amavo Dublino e l'avrei sempre amata, ma là la vita aveva preso una direzione sbagliata per me e avevo dovuto scegliere. E la mia scelta era caduta su Ballybray. «Mi chiamo Mabel Murphy e anch'io arrivo da fuori» mi raccontò, «nel caso il mio accento americano ti fosse sfuggito. Sono di New York, ma sono stata tanto fortunata da sposare un irlandese che mi portò qui una decina d'anni fa.» Si sfilò il guanto per stringere la mia mano sopra la recinzione, poi si guardò intorno e abbassò la voce, anche se nelle vicinanze nessuno avrebbe potuto sentirla eccetto Ben, che non ci ascoltava nemmeno. «Ma devo metterti in guardia. Probabilmente da queste parti avranno paura di te come ne hanno avuta di me» mi disse. «Non amano i nuovi arrivati, penso che ci convenga fare fronte comune.» «Davvero?» chiesi, allarmata. «No! Stavo scherzando» confessò ridacchiando, mentre il suo viso bellissimo si riempiva di rughe. «Ti adoreranno. È un posto magnifico dove vivere.» Mi si strinse lo stomaco e l'ansia che mi aveva pervasa all'idea di non essere benvoluta rimase, benché si fosse trattato solo di uno scherzo. Non volevo che qualcuno mi temesse; ne avevo avuto abbastanza della paura. «Sono Roisin» le dissi, cercando di mostrarmi educata nonostante l'intenzione di restare solo una vicina per quella donna che aveva quasi il doppio della mia età. «Roisin O'Connor. E lui è mio figlio Ben. Speriamo che Ballybray diventi la nostra nuova casa. Un nuovo inizio, qualunque cosa significhi.» Mi sentii mancare il respiro al solo pensiero. «Sei molto coraggiosa, Roisin O'Connor, a voler ricomin16
ciare da capo. E siete entrambi i benvenuti!» aveva esclamato Mabel deliziata, studiando Ben dalla testa ai piedi. Poi aveva sorriso con un calore magnifico, come se vederlo bastasse a riempirle il cuore di gioia. In quel momento non mi sentivo molto coraggiosa, ma negli anni a venire mi sarei aggrappata alle parole di Mabel. «Scommetto che hai suppergiù sei anni, non è vero, Ben?» aveva ipotizzato Mabel, supposizione che aveva molto impressionato mio figlio. Ben aveva sollevato la testa per ascoltarla, quindi mi aveva guardato sorpreso, spalancando gli occhi. «Come fa a saperlo?» mi chiese, prima di guardare Mabel e sorriderle a tutti denti. «Sei magica? Come facevi a sapere che ho sei anni?» La sua reazione mi colpì moltissimo, ma non dissi niente e gli strinsi forte la mano. Ben non sorrideva così da non sapevo più quanto tempo. In genere gli adulti lo intimorivano quando gli rivolgevano la parola, in particolar modo quelli che non conosceva. «Quando hai vissuto a lungo come me, impari un mucchio di cose. Quasi tutto direi» gli sussurrò Mabel con una strizzata d'occhio. Presto scoprimmo che non esagerava. «Ora cominciate a sistemarvi nella vostra casa e, se non mi considererete inopportuna, quando sarete pronti, passerò per una tazza di tè. Avrò cura di voi due. Non dovrete preoccuparvi di niente.» A Mabel piaceva ricordarmi come mi avesse letta come un libro aperto fin dal primo momento in cui ci eravamo incontrate, quel giorno. Diceva che era riuscita a vedere la mia anima tormentata, dietro le ciocche troppo lunghe, il mascara pesante e il muro che avevo costruito intorno a me e mio figlio. Aveva colto che ero in difficoltà, credo mi avesse capita da capo a piedi fin dalla nostra prima conversazione. «Abbiamo molto da fare» le dissi, cercando di essere gentile. «Piacere di averti conosciuta.» La lasciammo a strappare erbacce e Ben e io trascinammo a fatica le nostre valigie sul vialetto tortuoso. Poi infilai la 17
chiave nella porta verde infangata, noi due soli al mondo, pronti a muovere i primi passi verso un nuovo domani. Mentre litigavo con la chiave, vidi che mi tremava vistosamente la mano e mi morsi le labbra per ricacciare indietro le lacrime, la paura assoluta dell'ignoto. «Va tutto bene, cara?» chiese Mabel, vedendo che avevo difficoltà con la serratura. «È passato un po' di tempo dall'ultima volta che quella porta è stata aperta.» «Tutto okay! Ce la faccio» risposi, la voce tremante, lo stomaco stretto da un nodo, mentre immaginavo il nuovo inizio che ci aspettava là dentro. Lasciami in pace, vecchia, pensai, anche se non ebbi il coraggio di dirlo a voce alta. Bada al tuo giardino e lascia in pace me e mio figlio. La porta si aprì cigolando. Il primo passo della nostra nuova vita era stato compiuto.
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COME FIORI SOTTO LA NEVE di Emma Heatherington Mentre la neve cade sul piccolo villaggio irlandese di Ballybray, Rosin O’Connor e suo figlio Ben stanno dicendo addio alla loro amata vicina Mabel Murphy, che negli ultimi quattro anni è stata per loro come una famiglia. C’è anche Aidan, il nipote newyorkese di Mabel...
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