Nicola Cornick
Nobili passioni
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Miss Verey's Proposal © 2000 Nicola Cornick Traduzione di Alessandra De Angelis The Virtuous Cyprian © 1998 Nicola Cornick Traduzione di Maria Paola Rauzi Lady Polly © 1999 Nicola Cornick Traduzione di Laura Polli Harlequin Mills & Boon Historical Romance Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2001 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony History aprile 2001 luglio 1999 luglio 2000 Seconda edizione Harmony Special Saga ottobre 2012 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 73 dello 06/10/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Sommario
Pagina 7
La notte di Sant'Agnese
Pagina 211
La tigre in gabbia
Pagina 359
Adorabile libertino
La notte di Sant'Agnese
Prologo
«Dimmi che lo farai, Jane. Ti prego, dimmi di sì!» Sophia Marchment si sporse in avanti e guardò l'amica con occhi imploranti. Jane Verey si morse il labbro inferiore, esitante. «Sophia, io vorrei davvero accontentarti, però...» La verità era che Jane era una buona forchetta e non gradiva affatto la proposta dell'amica. Davanti alla sua incertezza, Sophia assunse un'espressione imbronciata e gli occhioni azzurri si velarono di un'ombra di delusione. «Ma Jane, è così emozionante!» esclamò, cercando d'invogliarla. «Se andrai a letto senza cena ed eviterai di guardarti alle spalle, sognerai l'uomo che sposerai. Secondo me vale la pena di sacrificare il cibo per conoscere il volto del proprio futuro marito.» Jane pensò con rammarico al pane fresco che la cuoca aveva infornato proprio quella mattina, al burro appena fatto e alle spesse fette di prosciutto marinato. Con l'acquolina in bocca, si disse che era impossibile rinunciare a una cena così appetitosa. Con i riccioli d'oro che ballonzolavano, Sophia corse a prendere il libro delle leggende e lo porse all'amica, fissandola con occhi supplichevoli. Riluttante, Jane pre9
se il tomo dalle pagine ingiallite e con il dorso impolverato, che emanava un leggero odore di muffa. Dietro insistenza di Sophia, cominciò a leggere le righe sbiadite, in cui si dichiarava che, se una fanciulla fosse andata a dormire a digiuno la sera della vigilia di Sant'Agnese e fosse stata ben attenta a non voltarsi mai, avrebbe sognato il futuro sposo. «Hai visto?» insistette Sophia, sempre più determinata. «Stasera è la vigilia della festa di Sant'Agnese. Jane, per favore, non abbandonarmi. Fallo insieme a me!» Jane si lasciò sfuggire un sospiro, pensando già alle innumerevoli difficoltà pratiche, oltre al supplizio di andare a letto a stomaco vuoto. Come avrebbe fatto a chiudere la porta della camera senza voltarsi? Come avrebbe potuto interpretare la profezia se non avesse sognato un solo uomo, ma due o anche tre? Stava per esporre all'amica le sue perplessità quando Sophia riprese a parlare. «Molly, la cameriera, mi ha giurato che funziona sul serio. Ha già provato lei stessa un paio di volte, e tutt'e due le notti ha sognato Gregory Pullman, il maniscalco. Perciò dev'essere vero per forza.» A Jane il ragionamento sembrava tutt'altro che logico, soprattutto considerato che l'ultima volta che l'aveva visto, il maniscalco stava tentando di palpeggiare una cameriera dietro le stalle, e la ragazza non era affatto Molly. «Ma Gregory lo sa di essere destinato a sposare Molly?» obiettò, scettica. «Per quel che ne so, possono passare vent'anni prima che se ne renda conto e a quel punto Molly sarà già diventata una vecchia zitella inaci10
dita. Questa storia è ridicola, come quando hai tentato di convincermi che lavarsi il viso con la rugiada di prima mattina a maggio serviva a diventare belle. Ti ho dato retta, ma mi sembra di essere sempre la stessa» protestò. Sophia scosse la testa. «Oh Jane, non essere sempre così ostinata! Che male ti può fare saltare la cena solo per una volta? Sei bene in carne, dopotutto» commentò, con l'indelicatezza schietta tipica dell'adolescenza. «Pensa che meraviglia sarebbe se io sognassi un uomo bellissimo! Ti prego...» Lo stomaco di Jane scelse proprio quel preciso momento per emettere un brontolio minaccioso. Le sembrava intollerabile soffrire i morsi della fame per un capriccio irrazionale, d'altra parte lei non ebbe il coraggio di deludere la sua migliore amica, che teneva moltissimo alla sua solidarietà. «E va bene...» capitolò infine, con un lungo sospiro di rassegnazione. L'unica cosa che considerava consolante in quella faccenda era il fatto che, se lei si fosse alzata nel bel mezzo della notte per mettere finalmente qualcosa sotto i denti, Sophia non l'avrebbe mai saputo... Tre ore dopo, Sophia era già ritornata a casa sua e Jane si era infilata sotto le coperte, badando bene a non guardarsi dietro le spalle. Quando aveva rifiutato la cena, seppure a malincuore, la cuoca aveva esposto a gran voce la sua disapprovazione, dicendo che non era affatto salutare che una ragazzina quindicenne, nel pieno dello sviluppo, saltasse i pasti. 11
Il fratello di Jane, Simon, impietoso come al solito, aveva replicato che non le avrebbe fatto male digiunare per una sera perché aveva abbastanza grasso addosso da consumare. Si era guadagnato un calcio negli stinchi per quella battuta crudele ed era scappato via ridendo dell'irritazione della sorella. Come aveva previsto, Jane si svegliò in piena notte per la fame. Si era levato un forte vento e la pioggia picchiettava sui vetri. Cercò di concentrarsi ma non riuscì a ricordare di aver sognato, malgrado avesse seguito alla lettera le istruzioni di Sophia. Delusa, si disse che forse a stomaco pieno avrebbe avuto maggiori probabilità di successo. Si alzò, rabbrividendo per il freddo. La sottile camicia da notte di cotone non la riparava dal gelo notturno e per un attimo esitò, tentata di rintanarsi di nuovo nel nido caldo e accogliente del letto. Poi attraversò la camera in punta di piedi. La porta cigolò sui cardini quando l'aprì e Jane si fermò dietro l'uscio socchiuso, sbirciando in direzione del lungo corridoio buio che conduceva alle scale. Non era mai stata particolarmente impressionabile o superstiziosa, ma improvvisamente la vecchia casa di Ambergate, immersa nell'oscurità, le parve poco familiare e inquietante. Fattasi coraggio, fece per spalancare la porta ma s'immobilizzò subito, sentendo un rumore di passi in cima alle scale. Un uomo stava percorrendo il corridoio e avanzava verso di lei. Jane si ritrasse con un sussulto. La porta era solo socchiusa ma attraverso la stretta apertura poteva vederlo chiaramente, perché aveva in mano una candela. Era sicura di non conoscerlo, altrimenti avrebbe ri12
cordato la sua fisionomia. Non poteva essere un domestico e per un istante Jane si chiese se non fosse per caso un'apparizione creata dalla sua immaginazione delirante per la fame. A una prima occhiata, l'uomo le parve molto alto. La luce della candela gettava riflessi quasi sinistri sul suo volto virile. Era vestito informalmente, come se stesse ritornando in camera e non aspettasse visite. Era in maniche di camicia, con i primi bottoni slacciati sul collo, e i calzoni aderenti evidenziavano le cosce muscolose. Fissandolo affascinata, Jane si accorse di aver trattenuto istintivamente il respiro. Il misterioso sconosciuto era bruno, con capelli neri lucenti e occhi penetranti. La sua espressione era autoritaria, quasi truce. D'un tratto lui si girò verso la camera di Jane e lei si ritrasse nell'ombra, sicura che l'avesse vista. Per qualche istante l'uomo parve esitare e si soffermò a fissare la sua porta prima di scomparire lungo il corridoio. Jane sentì solo il rumore di un uscio che si chiudeva, poco più avanti. Le occorse un buon quarto d'ora per riprendersi e decidersi a tornare a letto, cercando rifugio tra le coltri. La paura aveva fatto attenuare i morsi della fame. Impiegò molto tempo a riaddormentarsi, chiedendosi se avesse visto un intruso o un fantasma. Riluttante ad alzarsi di nuovo per chiedere aiuto, finì per piombare in un sonno agitato e sognò il misterioso uomo bruno che incedeva con passo deciso lungo il corridoio della casa di Ambergate. Quando si svegliò, l'indomani, notò con sollievo che le era tornato l'appetito insieme al suo abituale buon13
senso. «Perché non mi avevi detto che avremmo avuto un ospite in casa, mamma?» chiese a sua madre a colazione. «Ieri notte ho visto un uomo in corridoio e per poco non mi ha sorpresa in camicia da notte!» Lady Verey scambiò uno sguardo perplesso con suo marito, che tossicchiò, imbarazzato, ma non proferì parola. «Non c'è nessun ospite, mia cara» disse Lady Verey sorridendo con indulgenza. «L'avrai sognato.» «Io non l'ho sognato!» esclamò Jane a quel punto, ostinata, pur sapendo bene che stava tentando di combattere una battaglia peraltro già persa in partenza. Sua madre aveva l'espressione gentile ma decisa che assumeva puntualmente quando per lei un argomento era chiuso. «Questa ragazzina ha troppa fantasia» borbottò suo padre tra un boccone e l'altro. «Ha sempre il naso tra i libri. Non dovrebbe leggere così tanto.» Lady Verey si girò verso suo marito con la stessa espressione dolce e accomodante. «Hai ragione, caro. Forse Jane potrebbe andare a cavallo con Simon a Penistone oggi. Le farebbe bene prendere una boccata d'aria fresca e inoltre io ho una commissione da affidarle. Dovrebbe portare una cosa alla signora Marchment da parte mia» disse, scambiando con Lord Verey uno sguardo complice. In questo modo né Jane né suo fratello Simon videro il solitario cavaliere che, giusto un paio d'ore dopo, percorse al galoppo il vialetto della loro casa e se ne andò. Anche se i domestici ebbero molto da spettegolare su quella visita, si attennero strettamente alle raccomanda14
zioni di Lady Verey e non ne fecero parola con Jane e Simon per paura di essere licenziati, come la padrona di casa aveva minacciato se solo loro si fossero azzardati a disobbedirle. «Cos'hai sognato?» chiese Sophia a Jane quando s'incontrarono, dopo che Simon e sua sorella furono giunti a Penistone Manor in sella ai loro destrieri. Jane fece per aprire bocca ma la sua amica del cuore non le diede proprio il tempo di rispondere e prese a raccontare la sua esperienza, tutta eccitata. «Ho fatto un sogno straordinario!» esclamò, portandosi le mani al petto e illuminandosi in volto. «Ho sognato un uomo giovane e bello, biondo con gli occhi azzurri e con un fisico aitante. Il mio futuro marito sarà così!» «Io non ho sognato nessuno» dichiarò Jane con fermezza. «Non ho fatto alcun sogno per tutta la notte» ribadì, respingendo in un angolino della memoria l'immagine dell'uomo che aveva sorpreso in corridoio. Dato che era sveglia quando l'aveva visto per la prima volta, decise che non contava averlo sognato successivamente. Sophia fece il broncio, delusa. «Non hai sognato nessuno? Jane, è terribile! Significa che sei destinata a rimanere zitella!» Jane scrollò le spalle. «Secondo me sarebbe meglio se non mi sposassi» disse, addentando con gusto una fetta della torta della signora Marchment. «Non credo che sarei una buona moglie. E poi, chi vuoi che mi voglia? Sono troppo gras15
sa. Lo dice sempre anche Simon, e lui è un maschio.» «Forse prima o poi troverai un uomo capace di sopportare il tuo temperamento originale» la rincuorò Sophia, che non voleva mortificare la sua migliore amica. «Comunque non sei affatto grassa, solo un po' rotondetta.» Jane non si prese neppure la briga di sollevare obiezioni. Sapeva di essere un tipo particolare, per niente dolce e malleabile come si conveniva a una ragazza di buona famiglia in cerca di marito. «Jane, tu però devi sposarti per forza» dichiarò Sophia con un pizzico di tristezza per la sua amica poco fortunata. «Che altro puoi fare nella vita, altrimenti?» Jane rimase zitta anche stavolta, ma in cuor suo si ripromise che, per quanto Sophia potesse cercare di convincerla o blandirla, lei non si sarebbe piegata al volere altrui e non si sarebbe mai sposata.
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Quattro anni dopo Era ormai notte quando il recalcitrante pretendente di Jane Verey arrivò finalmente ad Ambergate. La cena era rimasta in sospeso per ore, fino a quando la cuoca si era lagnata che, a forza di riscaldare le pietanze, la salsa aveva finito per raggrumarsi e il pasticcio di fagiano era rimasto attaccato al fondo della pentola. Sospirando, Lady Verey aveva dato ordine di portare in tavola e aveva mangiato da sola con sua figlia. La cena era stata consumata in un silenzio carico di disagio, sulla tavola apparecchiata a festa con grande sfoggio di cristalleria e argenteria. Dopocena, madre e figlia erano rimaste in attesa per un'altra ora buona. L'unica frase che aveva rotto il silenzio era stata quella pronunciata da Lady Verey, che si era lamentata perchÊ l'ospite non era ancora arrivato. Aveva anche espresso il timore che gli fosse successo qualcosa, magari un incidente lungo la strada. Jane non aveva fatto alcun commento in proposito e aveva continuato come se niente fosse il suo lavoro di ricamo. Che cosa avrebbe mai potuto dire?, si era domandata. Dopo due mesi di vaghe promesse e impegni annullati 17
all'ultimo momento, Lord Philip Delahaye non aveva ancora assolto l'impegno di presentarsi alla sua futura sposa. A Jane sembrava un corteggiatore piuttosto riluttante, il che contrastava platealmente con quello che le era stato assicurato. Alla fine, quando gli sbadigli di Jane erano diventati troppo evidenti e la madre non aveva più potuto ignorarli, Lady Verey aveva dato alla figlia il permesso di andare a dormire. Lei sarebbe rimasta sveglia, nel caso in cui Lord Philip fosse arrivato. Augurandole la buonanotte, Lady Verey aveva cercato di consolare Jane per il disappunto che sicuramente provava e lei non aveva avuto il coraggio di rivelarle che, in realtà, non era affatto delusa. Era stata persuasa ad accettare la corte di Lord Philip perché le era stato detto chiaramente che lei e sua madre erano quasi ridotte sul lastrico e che l'ultimo desiderio di suo padre, prima di morire, era stato quello di vederla sposata. Suo fratello Simon, ora Lord Verey, combatteva con l'esercito di Wellington e non dava sue notizie da un anno. Ambergate aveva urgente bisogno di lavori di ristrutturazione e la servitù era restata solo per lealtà nei confronti della padrona di casa. In realtà Jane non era del tutto avversa all'idea di sposarsi, sapendo oltretutto di non avere altra scelta. Tuttavia in cuor suo aveva sempre immaginato, o forse solo sperato, che sarebbe stato diverso. La sua amica del cuore, Sophia Marchment, si era perdutamente innamorata di ben quattro giovanotti negli ultimi sei mesi, ma ogni volta l'infatuazione le era passata quando aveva notato che nessuno di loro assomigliava all'uomo 18
che aveva sognato quattro anni prima, durante la notte della vigilia di Sant'Agnese. Jane, invece, non si faceva illusioni di sorta. Sapeva che il suo matrimonio non sarebbe stato altro che una specie di transazione d'affari, in cui non era chiamato in causa l'amore ma il buonsenso. Eppure, in fondo al cuore, desiderava che ci fosse tra lei e il futuro marito almeno un certo rispetto reciproco, visto che non poteva pretendere la passione. Sperava con tutte le forze di poter trovare gradevole Lord Philip. Mentre si spogliava per andare a letto, si era soffermata a guardarsi allo specchio e si era chiesta cos'avrebbe pensato Lord Philip vedendola. Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare affascinante nessuna delle sue fattezze. Era convinta di assomigliare a un gatto, con il suo visetto di forma triangolare incorniciato da una serica e folta massa di capelli neri. Aveva gli occhi a mandorla, di un caldo color nocciola, il mento appuntito e un delicato nasino all'insÚ. Ora che aveva perso i tratti paffuti tipici dell'infanzia, il suo volto possedeva un'intrigante miscuglio di bellezza e innocenza che però Jane non riusciva ancora a riconoscere e a usare come arma di seduzione. Infilatasi in fretta la camicia da notte, perchÊ il freddo delle serate d'aprile era ancora pungente, aveva riposto con cura il suo vestito migliore, un abito di seta bianca, e si era infilata sotto le lenzuola, sentendosi delusa e quasi respinta. Aveva chiuso gli occhi da cinque minuti quando il suono forte e perentorio del campanello spezzò il silenzio della notte. 19
Al primo squillo ne seguirono altri in rapida e irritante successione. «Sveglia!» gridò una sonora voce maschile, con impazienza. «Aprite, che Dio vi fulmini! Siete già tutti a dormire?» Jane scese dal letto, percorse in punta di piedi il corridoio e si avvicinò al pianerottolo. Sbirciando giù per le scale vide Bramson, il maggiordomo, che s'infilava in fretta e furia la giacca correndo verso la porta. L'anziano domestico era visibilmente scosso per essere stato buttato giù dal letto nel cuore della notte da quell'arrivo improvviso. Gli squilli imperiosi non cessavano e Jane sentì che stava cominciando a venirle un fastidioso mal di testa. Affannata, Lady Verey uscì correndo dal salottino quando Bramson aprì la porta. Era chiaro che si era addormentata sulla poltrona davanti al caminetto, perché aveva l'acconciatura in disordine e un segno rosso sulla guancia, nel punto in cui si era appoggiata alla spalliera. Non aveva avuto il tempo di riassettarsi i vestiti e ora si stava lisciando la gonna con dita tremanti e un'aria ansiosa. Jane sapeva quanto sua madre contasse sulla buona riuscita di quell'incontro ed essere stata presa alla sprovvista l'aveva lasciata disorientata, pressoché incapace di reagire. «Quanto tempo ci avete messo...» brontolò Lord Philip entrando. «Volevate farmi morire di freddo, là fuori?» L'uomo si guardò intorno, poi il suo sguardo severo si puntò su Bramson. «Provvedete a far sistemare i miei cavalli nella stalla. Sono esausti, povere bestie, dopo aver percorso queste 20
strade dannatamente dissestate» gli ordinò, rivolgendosi poi a Lady Verey. «E voi conducetemi subito dalla vostra padrona!» Con orrore, Jane si rese conto che Lord Philip aveva scambiato sua madre per la governante. Per fortuna, le buone maniere di Lady Verey servirono a supplire alla chiara mancanza d'educazione dell'ospite. Lady Verey abbozzò una riverenza. «Benvenuto, Lord Delahaye. Sono Clarissa Verey» disse in tono affabile. «Mi dispiace che abbiate fatto un viaggio così faticoso. Gradite qualcosa da mangiare prima di ritirarvi?» Jane si aspettava che Lord Philip si scusasse per il ritardo e per i propri modi bruschi. Invece lui guardò Lady Verey dall'alto in basso come se non riuscisse a credere che fosse proprio lei la padrona di casa. Alla fine fece un inchino. «Piacere, Lady Verey...» si limitò a mormorare. «In effetti gradirei molto mangiare un boccone.» «I domestici sono tutti a dormire, ma spero che vi accontenterete di una cena fredda. Ve la farò servire in camera» annunciò Lady Verey, arrossendo sotto lo sguardo critico dell'ospite. Lord Philip emise un sospiro di rassegnazione. «Andrà bene, se proprio non c'è di meglio. Santo cielo, avete degli orari ben strani in campagna, signora! Se fossimo a Londra, a quest'ora staremmo ancora a tavola.» Mentre sua madre guidava Lord Philip verso le scale, Jane si ritrasse nascondendosi nell'ombra. Tuttavia ebbe ugualmente modo di cogliere l'aria sprezzante con cui lui si guardava intorno, notando i mobili antiquati e la tappezzeria scolorita e consunta. 21
Adirata, Jane vide che sua madre era turbata e offesa dai modi dell'ospite, ma cercava con coraggio di dimostrarsi cortese mentre saliva le scale precedendolo. Lord Philip si voltò e ordinò al maggiordomo di far portare in casa i bagagli, poi raggiunse Lady Verey mentre Jane correva a rifugiarsi in camera sua. Infilandosi in fretta sotto le coperte, sentì i due che percorrevano il corridoio. Preoccupata, si chiese come avrebbe potuto sopportare di sposare un uomo tanto arrogante e borioso che, appena arrivato, aveva umiliato la padrona di casa senza alcun ritegno. Un tale sgarbo le riusciva intollerabile. Poco dopo, sentendo un tintinnio di vasellame, si alzò e si avvicinò di soppiatto alla porta. Accostando l'orecchio all'uscio, udì i passi di qualcuno che percorreva il corridoio. Immaginando che fosse sua madre che portava da mangiare a Lord Philip, socchiuse il battente e continuò a origliare. La porta della camera vicina si aprì e Lord Philip esclamò: «È davvero un piacere essere serviti da una personcina tanto graziosa!». Scandalizzata, Jane capì che l'ospite sicuramente non si stava rivolgendo alla padrona di casa e che sua madre doveva aver mandato la cameriera con un vassoio. Sentì un commento pronunciato da Lord Philip, ma non riuscì a cogliere le parole. Tuttavia fu sicura che fosse stato accolto con una risatina dalla ragazza. Jane andò su tutte le furie. Come osava quello spudorato arrivare in ritardo senza neppure scusarsi, recare offesa all'ospitalità di sua madre e per giunta mettersi a fare lo stupido con la cameriera? Davanti a un comportamento 22
così oltraggioso, Jane si disse che non avrebbe accettato una proposta di matrimonio da parte di Lord Philip neppure se l'avesse supplicata in ginocchio. Sperava che sua madre si fosse offesa tanto da rifiutare di concedergli la sua mano. Tuttavia, Jane si rendeva perfettamente conto che i Verey navigavano in cattive acque. Senza Simon, non avevano nessuno che potesse gestire la proprietà e non c'erano abbastanza soldi per eseguire i lavori di ristrutturazione che erano necessari. Tranne che per un lascito alla vedova e la dote di Jane, il patrimonio di Lord Verey sarebbe andato interamente a Simon al suo ritorno. Era inevitabile che sua madre insistesse perché Jane si sposasse al più presto. Il pericolo era che Lady Verey fosse tanto disperata da sorvolare sulle pessime maniere di Lord Philip. Mentre rifletteva su tutto questo, Jane udì un rumore di porcellana che cadeva a terra, infrangendosi, seguito subito dopo dai passi affrettati della cameriera che usciva dalla camera di Lord Philip e correva giù per le scale singhiozzando. Jane preferì non soffermarsi a tentare d'indovinare cosa fosse accaduto nella stanza accanto. La situazione era diventata insostenibile e a lei non restava altro da fare che agire per volgerla a suo favore. Accesa una candela, si recò nel ripostiglio senza far rumore e aprì un grosso baule sistemato in un angolo. Era pieno di cianfrusaglie con cui lei, Sophia e suo fratello amavano travestirsi quando giocavano, da ragazzini. Nessuno lo toccava più da anni, ma Jane ricordava perfettamente che conteneva delle cose che facevano al caso suo. 23
Dopo aver frugato per qualche secondo, tirò fuori un vecchio vestito della loro balia, che era stato riadattato per mascherarsi da matrigna di Cenerentola. L'abito aveva dei cuscini cuciti all'interno che la facevano sembrare obesa; il travestimento doveva essere completato da lentiggini disegnate con una matita marrone e un po' d'ovatta in bocca per ingrossare le guance. Jane raccolse tutto l'occorrente in un fagotto e corse di nuovo in camera. Sapeva già che quella notte non avrebbe dormito molto, ma avrebbe perso volentieri il sonno per salvarsi la vita. Lord Philip Delahaye venne svegliato a un'ora indecente da un gallo che cantava proprio davanti alla sua finestra. Gemendo, si girò bocconi e nascose la testa sotto il cuscino, ma invano. Il grido stridulo continuava impietoso, trapassandogli i timpani. Ricordava vagamente di aver scolato una bottiglia di brandy, servitagli da una graziosa camerierina, ma non rammentava altro. Si voltò di nuovo quando sentì qualcuno che apriva la porta. Un attimo dopo fece una smorfia e protestò, quando le tende vennero aperte di scatto, con un gesto impietoso, e la luce gli colpì gli occhi. «Buongiorno, Lord Philip!» gli strillò all'orecchio una voce stridula e sgraziata. «Siete proprio un dormiglione! Mia madre mi aveva raccomandato di lasciarvi riposare, ma vorrei tanto che veniste a fare un giro a cavallo con me prima di colazione.» Lord Philip aprì un occhio con circospezione, poi socchiuse l'altro e si trovò davanti un'apparizione che sarebbe stato gentile definire mostruosa. La ragazza che 24
incombeva sul suo letto sembrava uscita dai suoi incubi peggiori. Incredulo, Philip passò in rassegna la cuffietta poggiata su una massa di capelli neri scompigliati, la figura goffa, il viso chiazzato da nei e grosse efelidi. «Chi diavolo siete?» mormorò, ritraendosi con orrore. «Sono la vostra promessa sposa, milord!» dichiarò l'orrenda creatura con una risatina chioccia. Lui si rintanò sotto le coltri da cui fece sporgere solo la punta del naso. «Vi prego di uscire, signorina...» la implorò a quel punto con voce soffocata dal lenzuolo che gli copriva la bocca. «Non credo che sia opportuno che entriate nella camera di un gentiluomo di mattina presto.» «Di mattina presto?» gli fece eco lei, in tono di rimprovero. «Come siete pigro! La colazione viene servita alle sette e poi ci mettiamo subito al lavoro. Diamo una mano nella mungitura e a dar da mangiare ai maiali. Qui c'è una fattoria in piena funzione, milord, sapete? C'è sempre molto da fare.» Lord Philip era sempre più sconsolato. Il solo pensiero della colazione gli faceva venire il voltastomaco, per non parlare di tutto quel blaterare di mucche e maiali. La vista della sua futura fidanzata, poi, gli aveva inferto il colpo di grazia. Jane si era messa tra lui e la finestra; la sua sagoma massiccia, illuminata da dietro dal sole, sembrava un sacco scuro dalle forme indistinte che incombeva minaccioso su di lui. Philip cercò di ricordare cosa gli avesse detto di Jane Verey suo fratello maggiore. Alex era stato molto persuasivo, promettendogli di pagare i suoi debiti di gioco e aumentare la sua rendita se avesse accettato. Pur rilut25
tante, Philip aveva acconsentito, convincendosi che una moglie non avrebbe interferito eccessivamente con le sue attività abituali. L'idea di mungere le mucche lo fece rabbrividire. Philip detestava di tutto cuore la vita di campagna e i passatempi all'aria aperta. Era un vero uomo di mondo, abituato a feste e sale da gioco. Ora capiva per quale motivo Alex fosse stato tanto vago nel descrivergli Jane Verey. Era una campagnola bruttina, abituata a lavorare in una fattoria e in una casa squallida. Sicuramente ai Verey faceva gola il denaro di Alex, si disse. Anche se avesse portato la sua futura moglie dai migliori sarti di Londra, non sarebbe riuscito a renderla presentabile. Tutti avrebbero riso di lui, pensò con orrore. Mentre Philip rifletteva, Jane continuava a cianciare senza posa con la sua vocetta querula. Alla fine, esasperato, lui si alzò a sedere e le chiese di chiamare il suo valletto per farsi aiutare a prepararsi. Avendo preso le abitudini del suo padrone, Gibson era sicuramente addormentato, pensò Philip. Però non gli importava un fico secco di fargli fare una levataccia; era d'importanza fondamentale ripartire da Ambergate al più presto possibile... Lady Verey si alzò alle dieci, dopo aver dormito come un sasso, esausta dagli avvenimenti della sera prima. Jane aveva dato ordine alla servitù di non disturbarla e, quando si svegliò, Clarissa Verey trovò sua figlia seduta sul bordo del suo letto, con il visetto bello fresco perché se l'era appena strofinato energicamente per e26
liminare le finte lentiggini. «Hai provveduto a Lord Philip, Jane?» le chiese subito, ansiosa. «Ha fatto colazione?» Jane le sorrise con indulgenza. «Non preoccuparti per lui, mamma. L'ho visto stamattina presto, appena sveglio. Purtroppo mi ha comunicato che doveva ripartire immediatamente per Londra perché aveva delle questioni urgenti e impreviste da sistemare, da quel che ho capito.» Lady Verey si portò una mano al cuore, con orrore. «Jane! Vuoi dire che è già partito?» Lei annuì, rammaricata. «Mi dispiace, mamma. Ti manda le sue scuse e i suoi saluti.» «Non ha detto niente riguardo a un suo possibile ritorno?» Jane scosse la testa in segno di diniego. «No, purtroppo, e io non me la sono sentita di chiedergli niente.» «Certo, hai fatto bene...» mormorò sua madre distrattamente. «Però è una sciagura. Non ti ha detto niente del fidanzamento, immagino, se aveva così tanta fretta. Forse dovrei scrivergli...» «Ritengo che sarebbe meglio lasciare le cose come sono, mamma» osservò Jane saggiamente. «Lord Philip tornerà se lo riterrà opportuno. Non credo proprio che sia il caso d'importunarlo. Quanto al fidanzamento, non ci resta che farci forza e sopportare la nostra delusione» aggiunse, atteggiando il viso a un'espressione oltremodo dispiaciuta. «È vero» annuì Lady Verey, alzandosi. «Come sei assennata, figlia mia! Dimmi, ti è piaciuto Lord Philip?» 27
«Non ho avuto il tempo di formarmi un'opinione ben precisa su di lui» rispose Jane con cautela. «In ogni caso sembra molto bello ed elegante.» «È strano, però, che sia dovuto andare via così in fretta» commentò Lady Verey, accigliandosi. «Non ha accennato al motivo della sua partenza?» «No, ma forse tornerà» la rassicurò Jane affettuosamente. «Sì, forse tornerà...» Tre settimane dopo, Simon Verey tornò a casa. La guerra l'aveva cambiato. Agli occhi di sua sorella sembrava più maturo e posato, diverso dal ragazzo mattacchione e spensierato che era prima di partire. Addirittura le aveva accennato al suo desiderio di andare a Londra per trovare moglie e sistemarsi. Quando Jane aveva riferito a Sophia il progetto di suo fratello, la sua amica era arrossita ma era stata brava a nascondere il suo disappunto. Jane sapeva che Sophia era sempre stata un po' innamorata di Simon, anche se non l'avrebbe mai ammesso. La novità sconvolgente era che, quando Simon aveva informato sua madre dei suoi propositi, Lady Verey aveva deciso di accompagnare il figlio a Londra insieme a Jane. La zia dei ragazzi, Augusta Monckton, aveva offerto loro di sistemarsi nella sua casa di Portman Square qualora avessero voluto trattenersi per la Stagione. A quella notizia, Sophia aveva cominciato a parlare delle feste e dei balli con grande eccitazione, esprimendo la sua invidia per la fortuna dell'amica, che avrebbe potuto inserirsi nell'alta società e conoscere il fior fiore dei gentiluomini londinesi. 28
Tuttavia Jane non condivideva l'entusiasmo di Sophia. Preferiva di gran lunga la vita di campagna, quieta e semplice. Pur essendo contenta del ritorno di suo fratello, aveva accolto con stupore la notizia della sua intenzione di recarsi a Londra. Pensava che Simon volesse riposarsi dopo la dura esperienza della guerra, invece d'immergersi in una girandola vorticosa d'impegni mondani. La prospettiva di accompagnarlo, poi, l'aveva demoralizzata ancor di piĂš. Sapeva che sua madre aveva in mente di combinare un altro incontro con Lord Philip Delahaye nella speranza di poterlo indurre a riprendere in considerazione un possibile matrimonio. In caso contrario, comunque, far debuttare Jane in societĂ le avrebbe permesso di farsi notare da altri gentiluomini e, forse, di trovare cosĂŹ un buon partito. Jane era consapevole che sposarsi era la sua unica via d'uscita da una situazione difficile. Il ritorno di Simon aveva portato un po' di linfa nelle magre finanze di casa Verey, d'altra parte lei non avrebbe potuto vivere alle sue spalle a tempo indeterminato. Andare a Londra la riempiva di trepidazione ma anche di preoccupazione. Dato il modo in cui era riuscita a sbarazzarsi di Lord Philip, con il suo travestimento, rivederlo le avrebbe sicuramente creato un certo imbarazzo. Quando aveva escogitato il suo piccolo stratagemma non aveva certo considerato di doverlo incontrare di nuovo. Era stata ingenua e avventata per non aver tenuto conto del fatto che avrebbe dovuto dare spiegazioni della sua improvvisa trasformazione. 29
Per fortuna nessun altro era a conoscenza del motivo per cui Lord Philip aveva interrotto bruscamente la sua permanenza ad Ambergate. La sua bugia non la rendeva particolarmente fiera di se stessa, però, ragionandoci su, Jane sperava di poter trovare una spiegazione plausibile per salvare la faccia. A mali estremi, estremi rimedi, si disse per farsi coraggio. Londra l'aspettava, e chissà cos'altro le sarebbe toccato fare per restare a galla e non rovinare il proprio futuro...
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