Css78 le spie del re

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Joanna Maitland

Le spie del re


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: His Cavalry Lady His Reluctant Mistress His Forbidden Liaison Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2008 Joanna Maitland © 2009 Joanna Maitland © 2009 Joanna Maitland Traduzioni di Graziella Reggio e Daniela Mento Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony History ottobre 2009 febbraio 2010 marzo 2010 Seconda edizione Harmony Special Saga agosto 2013 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 78 dello 07/08/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Sommario

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La spia dello zar

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Gioco di spie

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Un incontro pericoloso


La spia dello zar


Prologo San Pietroburgo, 1812 La terza porta conduceva a un'altra sfarzosa anticamera, vuota come le precedenti. Si poteva soltanto proseguire. Il giovane cavalleggero raddrizzò le spalle e attraversò a passi decisi il locale. Nel palazzo non potevano nascondersi nemici! Esitò un istante prima di posare la mano sulla maniglia, poi si convinse ad affrontare i propri timori e aprì. «Soldato Borisov, eccovi dunque!» esclamò sorridendo un gentiluomo corpulento. «Sono il Principe Volkonsky, ministro di corte di Sua Maestà Imperiale.» Lui scattò sull'attenti. «S... signore, io...» balbettò, sempre più a disagio. Il ministro allargò il sorriso. «Sua Maestà vi sta aspettando, giovanotto. Ha sentito tanto parlare delle vostre gesta e del vostro coraggio esemplare. Se le nostre truppe contassero diecimila soldati come voi, avremmo da tempo liberato il mondo dal flagello francese.» Borisov si accorse di arrossire, e imprecò tra sé: era una reazione da ragazzina, non da provato combattente! Volkonsky attendeva una risposta. «Vi ringrazio per la vostra generosità, mio signore. Nell'esercito di Sua Maestà non mancano uomini arditi e...» «È vero, ma pochi sono giovani come voi o hanno compiuto imprese paragonabili.» 9


Il soldato tacque per non dare l'impressione di vantarsi. «Se vi volete accomodare, ragazzo» lo invitò il principe, «avviso Sua Maestà che siete arrivato. Al momento è occupato, ma sono certo che vi accoglierà presto.» Senza aggiungere altro, bussò piano a un'ultima porta, entrò e la richiuse senza fare rumore. Lo Zar Alessandro è là dentro, pensò con ansia Borisov. Tra poco vedrò il Piccolo Padre in persona! Iniziò a camminare avanti e indietro. Non riusciva a stare fermo, come prima delle battaglie. Quell'incontro era di fondamentale importanza. Solo quando il battente si riaprì, Borisov si domandò cosa dire. E se lo zar gli avesse chiesto...? «Soldato Borisov, Sua Altezza vi riceve subito.» Lui deglutì a fatica, assunse la miglior postura militare e si costrinse a varcare la soglia. Si ritrovò in una sala immensa, quasi priva di arredi, ma decorata da dipinti e sontuosi specchi. Di fronte, sotto le grandi finestre, c'era uno scrittoio dorato con una sola poltrona. A quanto pareva, ai visitatori non era concesso sedersi. L'uomo dietro la scrivania si alzò e avanzò di qualche passo. Il giovane militare rimase paralizzato dall'emozione: era solo di fronte all'imperatore. «Venite avanti, Borisov. Fatevi vedere alla luce.» Lui si inchinò e obbedì. Il monarca era di alta statura e sfoggiava un bel paio di favoriti. Eretto e imponente nell'uniforme militare, scrutava con attenzione il nuovo arrivato. Noterà subito il rammendo sulla giubba, si preoccupò Borisov, rammaricandosi di non averne potuta acquistare una nuova. «Ho saputo dei vostri atti eroici durante i recenti conflitti. A quante cariche di cavalleria avete partecipato? Cinque?» 10


Con la gola troppo secca per rispondere, il giovane si limitò ad annuire, rosso in volto. «A parere dei vostri comandanti, non conoscete la paura, ma vi lanciate a capofitto persino quando l'attacco non spetta al vostro squadrone» continuò lo zar con un sorriso incoraggiante. «È stato un mio errore, Vostra Altezza» ammise il soldato con voce arrochita dall'imbarazzo. Il regnante inarcò un sopracciglio, tuttavia non disse nulla. «Era... la mia prima battaglia. Nessuno mi aveva spiegato che le cariche avvenivano per squadroni. Ero convinto di dover partecipare a ogni attacco.» «Capisco. Ma a un certo punto vi siete fermato?» «Sì, Vostra Altezza. Il sergente maggiore mi ha ordinato di restare con la mia unità e di muovermi solo al momento opportuno.» «Comunque avete sempre combattuto con coraggio» notò compiaciuto lo Zar Alessandro. «E a Borodino avete salvato la vita a un ufficiale.» «Era ferito, Maestà. Io mi sono limitato a scacciare i nemici, che sono scappati non appena mi hanno visto arrivare con la lancia in pugno» minimizzò Borisov. «E gli avete dato il vostro cavallo.» «Sì, è vero.» Borisov non aggiunse che, quando era riuscito a recuperarlo, aveva scoperto che il suo equipaggiamento era stato rubato. Di conseguenza, aveva rischiato di morire assiderato per la mancanza del cappotto. «Soccorrere un ufficiale è un atto meritorio. Vi ho convocato per decorarvi con la croce di San Giorgio. E per un altro motivo...» Lo zar si voltò verso lo scrittoio e ne prese un foglio. Borisov si sentì vacillare sulle gambe. Per favore, no! «Ho qui l'appello di un padre disperato, il Conte Ivan Ku11


ralkin, che mi prega di aiutarlo a ritrovare l'amato rampollo, scappato di casa due anni fa per arruolarsi in cavalleria sotto falso nome. Il conte spera di cuore che venga identificato e riportato in seno alla famiglia. Credete che debba accogliere la richiesta, Borisov?» Lasciò ricadere sul tavolo la missiva. Il giovane trattenne il fiato, temendo che la sua espressione rivelasse il panico che provava. «Ne sapete forse qualcosa?» lo interrogò lo zar, fissandolo negli occhi. «Non credo, Vostra Maestà.» Alessandro annuì tra sé, si voltò e si avvicinò alla lunga finestra affacciata sull'ampio giardino. Rimase immobile per parecchi minuti, poi, all'improvviso, ruotò su se stesso e disse a voce così bassa che il soldato lo udì appena: «Mi è stato riferito che siete una donna. È vero?». Il cavaliere rimase pietrificato. Mosse le labbra senza emettere alcun suono. Lo zar attraversò la sala e si parò di fronte a lui. Non sembrava adirato, soltanto incuriosito. E aspettava una risposta. Era inammissibile mentirgli. Inoltre, era chiaro che conosceva la verità. «Sì, è così» sussurrò infine Borisov, preparandosi alla punizione. Invece ricevette un sorriso e una paterna pacca sulla schiena. «Non avrei mai creduto che una fanciulla potesse compiere simili imprese, con un'audacia e una dedizione rare. Rappresentate un radioso esempio per l'intero esercito. Onore a voi, Alexandra Ivanovna Kuralkina.» L'Imperatore di tutte le Russie le appuntò al petto la croce, la baciò solennemente sulle guance e indietreggiò di un passo per valutare l'effetto. Quindi ritornò allo scrittoio e riprese in mano la lettera. «Poiché non avete ancora risposto alla mia domanda, lo farò io per voi. Verrete rimandata dalla vostra famiglia dallo zar in persona con tutte le onorificenze. Le vostre gesta saranno festeggiate.» 12


No, no! Come sarebbe potuta tornare dal padre e dalla matrigna? Era fuggita per evitare le nozze con un uomo che non conosceva nemmeno! Di certo gliene sarebbe toccato un altro. Avrebbe perso per sempre la libertà: un castigo troppo severo da sopportare. Alexandra si inginocchiò. «Vostra Altezza, vi supplico dal profondo dell'anima: non mi rimandate da mio padre. Piuttosto, preferirei morire sul campo di battaglia. Permettetemi di continuare a combattere per voi. La cavalleria incarna tutte le mie aspirazioni. Non vi potrò più servire, se mi rimanderete a casa.» Lo zar guardò dall'alto la giovane donna travestita da uomo. Aggrottò la fronte, poi si scostò, lasciandola genuflessa sul pavimento di legno intarsiato. Non era la postura adatta a un militare, ma lei non osava muoversi. Trattenendo il fiato, lo guardò camminare avanti e indietro. Esisteva la vaga possibilità che cambiasse idea? «Quanti anni avete?» la interrogò infine, facendole segno di rialzarsi. «Ventidue, Vostra Maestà.» «Davvero? Non ne dimostrate più di sedici.» Dopo una breve pausa, lo zar aggiunse: «Ditemi, ragazza, che cosa vorreste fare, se aveste tutte le possibilità del mondo?». «Continuare a combattere per voi in un reggimento di cavalleria.» «Qualche preferenza?» Lei esitò. Intendeva forse...? «Il corpo degli ussari, se potessi scegliere.» Si immaginò in divisa da ussaro con la sciabola in pugno, durante una spettacolare carica. Proprio quello che sognava! «Come ufficiale?» le domandò lo zar con un sorrisino. Alex sentì il cuore battere forte. Soltanto i membri della nobiltà avevano accesso ai ranghi elevati. Sotto il falso nome di Borisov e senza possibilità di dimostrare le proprie origini 13


aristocratiche, non le era rimasto altro che arruolarsi come soldato semplice. Fino a quel momento aveva amato la vita militare. Ma diventare addirittura ufficiale! Perché no? In fondo, come suo padre, ci era portata. «Una nomina in un reggimento ussaro sarebbe... la realizzazione di un sogno che credevo impossibile.» Azzardò una timida occhiata. L'imperatore annuì. «Vi assegnerò agli ussari di Mariupol.» Lei sussultò. Era un reggimento ambitissimo dalla migliore nobiltà! «Ma non con il cognome Borisov» continuò il sovrano. «E nemmeno con il vostro, Kuralkina. Assumerete il mio nome: vi chiamerete Alexei Ivanovich Alexandrov.» «Vi... vi ringrazio, Maestà» mormorò lei, emozionata. Avrebbe voluto fare salti di gioia. Il Piccolo Padre in persona esaudiva il suo desiderio più grande! Un vero miracolo. «È la giusta ricompensa per avere salvato la vita a un ufficiale durante una battaglia. E, poiché non potrete richiedere a vostro padre i fondi necessari per mantenervi, ve li fornirò io stesso. Farete riferimento a me, tramite il Principe Volkonsky. Nessun altro ne sarà al corrente. Continuerete a fingervi uomo.» «Vostra Altezza, non so davvero come ringraziarvi. Io...» «Esiste un solo sistema per dimostrarmi la vostra gratitudine. Vi ho assegnato un nome nuovo e onorevole: dimostratevene all'altezza sia sul campo di battaglia sia altrove. Non infangatelo, finché lo portate.» La fissò dritto negli occhi, come per sondare l'entità del suo impegno, e sotto quello sguardo indagatore Alexei Ivanovich Alexandrov si ripromise di servire fino alla morte lo Zar Alessandro.

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1 Boulogne, giugno 1814 Fu l'odore a svegliarlo. Per tre secondi, Dominic rimase immobile nel letto migliore del Lion d'Or, cercando di attribuire un senso alle percezioni. Buio... silenzio... fumo? Fuoco! Si alzò di scatto. Gli serviva una lanterna! E dove diavolo erano finiti i suoi calzoni? Un nitrito disperato si levò nella quiete che precedeva l'alba. Seguì un risucchio, come se un gigante avesse preso un'enorme boccata d'aria, poi un'intensa luce rossastra rischiarò la notte. Forse era scoppiato un incendio nella scuderia. Dominic spalancò la finestra e si sporse gridando: «Au feu! Au feu!» abbastanza forte da svegliare persino gli ubriachi. Per fortuna trovò pantaloni e stivali. A una voce nel cortile se ne unirono altre. Si levò il gemito disperato di una donna, poi si udì l'infausto scoppiettio del fuoco che divorava la paglia e le vecchie assi. Lui scese i gradini tre alla volta. Fuori regnava il caos. Gente urlante si agitava nel bagliore infernale, ma nessuno prendeva acqua né si occupava dei cavalli. Dominic afferrò per le spalle lo stalliere più vicino. «Alla pompa» gli ordinò in francese. «Riempite ogni contenitore possibile. E tu...» Afferrò un ragazzo per un lembo della camicia. «Tu chiama tutti gli 15


uomini presenti e mettili in fila per passarsi i secchi. Voi due non state lì a guardare, iniziate a far uscire i cavalli!» In meno di un minuto, la confusione si mutò in una parvenza di ordine. Gli animali terrorizzati venivano tratti in salvo e l'acqua passava di mano in mano. L'incendio, però, non si placava. Il lato anteriore della scuderia e una parte dell'ingresso erano in fiamme. Un cavallo imbizzarrito rifiutava di lasciarsi condurre all'aperto: scrollava la testa, indietreggiava, agitava le zampe, infine colpì con un calcio lo stalliere e si rifugiò all'interno. Dominic si lanciò avanti, si caricò in spalla il giovane privo di sensi e corse verso la locanda. Vicino alla porta trovò una cameriera con gli occhi sbarrati, paralizzata dal panico. «Rendetevi utile» le raccomandò, posandole ai piedi il corpo inanimato. «Medicatelo.» Non aspettò risposta, ma corse a salvare i cavalli. Era rimasto un solo uomo a occuparsene e doveva bastare. Ormai il fumo era così denso che rendeva difficile vedere e respirare. Dominic cercò con lo sguardo un panno da usare per ripararsi naso e bocca, pentito di non essersi infilato la camicia. Non trovò niente, quindi dovette continuare senza ripari. Trasse un respiro profondo e si gettò nell'incendio. Nella stalla restavano circa dieci cavalli, forse anche di più. Verso il fondo, le fiamme non erano ancora divampate. Sentendo il battito nervoso degli zoccoli contro le pareti di legno, Dominic si lanciò all'interno a testa bassa, affidando allo stalliere l'area più vicina alla porta. Dalle volute nerastre emerse all'improvviso una figura snella che conduceva un cavallo per le briglie. Pareva un adolescente, in camicia da notte e stivali. Per quanto giovane, dimostrava una certa esperienza, avendo coperto gli occhi dell'animale affinché non si spaventasse. «Ben fatto» lo elogiò lui, senza smettere di correre. Non 16


ottenne risposta: il ragazzo era troppo concentrato sul suo compito. Intanto trascorrevano minuti preziosi e l'incendio avvolgeva parti sempre più ampie dell'edificio. Eppure, l'adolescente in camicia da notte non perdeva coraggio e seguitava a entrare e uscire per salvare i cavalli. Era anche molto bravo a calmarli, mentre li guidava per le redini verso la porta. Più di una volta, Dominic ebbe l'impressione di sentirlo mormorare parole tranquillizzanti. Decise di cercarlo in seguito per complimentarsi con lui. Sarebbe stato fiero di avere un giovane così ardito al proprio servizio. Tornato in cortile, prese al volo uno straccio lanciato da un servitore. Si coprì il capo, sperando che lo sconosciuto facesse lo stesso, poi corse di nuovo tra le fiamme. La cavezza di uno degli ultimi cavalli rimasti era così tesa che Dominic non riusciva a sciogliere il nodo attorno all'anello di ferro. Mentre armeggiava disperatamente, rischiava di farsi spaccare il cranio da un calcio o di bruciare sul posto. Se solo avesse potuto reciderla! Una mano snella e forte emerse dal fumo con un pugnale, tagliò con un colpo deciso la fune, poi sparì nel nulla. Benedetto ragazzo! Il cavallo, di colpo libero, si impennò con un nitrito assordante. Dominic si chinò in fretta per evitare i colpi letali degli zoccoli e afferrò la corda. Doveva uscire al più presto, poiché il fuoco stava per intaccare il tetto. Riuscì a calmare la bestia recalcitrante e tornò all'aperto. Qualcuno aveva spaccato le assi della facciata con un'ascia per allargare la porta e rallentare il propagarsi dell'incendio. Dominic consegnò la fune a una mano tesa e, ignorando le piccole ustioni sul torso nudo, rientrò nella stalla per verificare che fosse vuota. A quanto pareva, il coraggioso adolescente aveva avuto la stessa idea. Le sua figura eterea si intravedeva appena nella penombra e nel fumo. Lui gli corse incontro. «Sono tutti 17


fuori?» domandò a voce alta, per farsi udire sopra il fragore del fuoco. In quel momento uno schiocco inquietante echeggiò sopra le loro teste. Dominic scorse un'enorme trave in fiamme che cadeva in direzione del ragazzo. Senza esitare, si lanciò su di lui, lo afferrò per la vita e lo trasse da parte. Il pesante legno si abbatté a terra a poca distanza da loro e li inondò di scintille. La camicia da notte del giovane prese subito fuoco. Dominic tentò di sfilargliela. «Non!» fu la sua reazione disperata. Che sciocchezza! Non capiva che era meglio spogliarsi che bruciare? «Non!» gridò ancora il giovane, strappandogli di mano i lembi dell'indumento. Non c'era tempo per discutere e la soluzione era una sola. Dominic spinse giù il ragazzo e si gettò su di lui per soffocare il fuoco. A quel punto comprese: il corpo snello che si dibatteva sotto il suo non era affatto maschile, ma apparteneva a una straordinaria giovane donna. Glielo confermava la propria immediata reazione fisica, assurda in quel momento di emergenza. Un gemito di protesta lo riportò alla realtà. Non c'era tempo per interrogarsi sulla strana situazione; bisognava scappare al più presto, prima che l'intero edificio crollasse su di loro. Dominic balzò in piedi e sollevò la ragazza per le braccia. «Venez!» la spronò e fece per lanciarsi di corsa. Lei, però, tentò di liberarsi dalla presa. Cosa faceva? Non era il momento per il pudore! Senza più esitare, se la caricò in spalla. La sconosciuta gli tempestò di pugni il petto nudo, ma lui la ignorò. Doveva portarla fuori da quell'inferno! A testa bassa, uscì barcollando in cortile. C'era ancora 18


molto fumo, ma le fiamme parevano ormai sotto controllo. Con un sospiro di sollievo, Dominic rimise a terra la ragazza, sostenendola per le spalle per assicurarsi che fosse in grado di reggersi in piedi. Doveva congratularsi con lei per il suo coraggio, oltre a chiederle scusa per averla un po' strapazzata. «Mademoiselle, vous...» esordì con voce rauca, ma non ebbe il tempo di terminare la frase. Lei, infatti, sbarrò gli occhi, si divincolò e corse come una furia verso la locanda, lasciandogli soltanto l'immagine confusa di una figura esile dai capelli rasati e dalla camicia da notte sudicia. Lui fece un passo per seguirla. Non poteva lasciarla svanire nel nulla come un fantasma. «Monsieur, attention!» lo avvisò un uomo. Il tetto della scuderia si abbatté con un boato assordante, generando una pioggia di scintille. Il fuoco aveva ripreso vita e rischiava di divampare ovunque. Dominic afferrò un secchio e iniziò a bagnare il muro della locanda, subito imitato da altri. Con l'aiuto di Dio, sarebbero riusciti a salvarla dall'incendio. Quando infine le fiamme si spensero, erano tutti esausti, ma esultanti. I volti anneriti dal fumo sorridevano di gioia. Dominic rilassò le spalle per la prima volta da ore. La schiena gli doleva e le ustioni sul torso bruciavano da impazzire. Capì che i dipendenti della locanda non avevano più bisogno di lui, quindi decise di rientrare in camera. La trovò vuota, poiché Cooper, il suo valletto, era ancora in cortile a dare una mano. Non importava: poteva fare a meno di lui. Il riflesso nella specchiera lo fece spaventare. Viso e corpo, infatti, erano ricoperti da uno spesso strato di sporcizia e di fuliggine. Con un certo divertimento, pensò che la giovane doveva essere fuggita perché l'aveva visto come un diavolo dell'inferno. Nemmeno sua madre lo avrebbe riconosciuto in quello stato. Tuttavia, non poteva certo richiedere 19


acqua calda per lavarsi: gli addetti alle cucine era impegnati in compiti ben più importanti. Dunque avrebbe aspettato. Si lasciò cadere sul letto e si levò gli stivali. Erano così rovinati che nemmeno Cooper sarebbe stato capace di salvarli. Sorrise figurandosi la sua espressione costernata nel vederlo così ridotto. Magari, tra i bagagli, aveva un vasetto di balsamo lenitivo. In quel momento, però, Dominic desiderava soltanto sdraiarsi e chiudere gli occhi, almeno per qualche minuto. Appoggiò con soddisfazione il capo al guanciale di piume. Che meraviglia! Proprio mentre stava per scivolare nel sonno, l'immagine della ragazza gli riaffiorò alla mente. Chi era? Aveva dimostrato un coraggio incredibile. Le doveva parlare, ma soltanto dopo essersi rimesso in sesto. Intendeva dimostrarle che era un gentiluomo, non un demone furioso. In mezzo al fumo, non aveva distinto bene i lineamenti e nemmeno il colore dei capelli; aveva comunque notato l'insolito taglio maschile. Forse era appena guarita da una malattia. In fondo, non sarebbe stato difficile scoprire la sua identità: non ci dovevano essere molte donne con i capelli corti nella principale locanda di Boulogne. Dominic l'avrebbe trovata e ringraziata. Le avrebbe anche donato un piccolo premio in ghinee, se lo avesse accettato. Lo meritava di sicuro. «State fermo, Vostra Grazia, ve ne prego.» Dominic imprecò. Cooper insisteva troppo con il suo maledetto balsamo. «Proprio così, Vostra Grazia. Se non spalmo tutte le ustioni, rischiano di infettarsi. Con il vostro permesso, naturalmente.» Nonostante le parole, non c'era niente di servile nel suo atteggiamento. Il valletto lavorava per Dominic da anni e non esitava a imporsi, quando, come in quel caso, sapeva di essere nel giusto. 20


Con un sospiro, lui si sottomise alle sue cure e lasciò che, alla fine, gli infilasse una camicia pulita di cotone leggero. Era piacevolmente fresca sulla pelle ardente. «Ecco, Vostra Grazia. Tornerete in piena forma.» «Non ne dubito, Cooper» gracchiò Dominic. Aveva ancora la gola irritata. Afferrò un bicchiere d'acqua e lo vuotò d'un fiato; almeno per qualche momento, gli diede sollievo. «Vado a procurarvi del miele» si offrì il valletto. Si era adoperato con gli altri per spegnere l'incendio, ma aveva respirato meno fumo di lui; la sua voce era quasi normale. «Così tra poco potrete presentarvi in pubblico.» Sbuffando, Dominic afferrò la cravatta. Aveva già perso troppo tempo poiché, stanco com'era, non era riuscito a contrastare il sonno. Innanzitutto doveva trovare la ragazza, che di sicuro era ustionata e aveva la gola riarsa. Poteva offrirle il balsamo lenitivo e... «D'accordo, Vostra Grazia, intendete uscire subito.» Cooper studiò il suo riflesso allo specchio e annuì in segno di approvazione. Ormai la duchessa madre lo avrebbe riconosciuto, pur esprimendo qualche commento caustico. Dominic uscì dalla stanza e scese le scale, in cerca del locandiere. «Monsieur» lo salutò questi con un inchino esagerato, poi si profuse in interminabili ringraziamenti. «Chiunque avrebbe fatto lo stesso» si schermì lui. «Non parliamone più.» L'albergatore si inchinò ancora e fece per ricominciare, ma Dominic lo interruppe. «Alla locanda c'è una ragazza dalla chioma rasata. Le vorrei parlare. Sareste così gentile da chiamarla?» «Una ragazza, monsieur?» Sembrava stupito. Scosse la testa, poi esclamò: «Oh, intendete quella con i capelli corti!». Dominic evitò di insultarlo. In fondo aveva subito un gra21


ve incendio ed era comprensibile che fosse ancora sconvolto. «Proprio lei. Dov'è? E chi è?» «Immagino vi riferiate alla figlia del mercante di grano, monsieur. Qui non ci sono altre fanciulle in quello stato. Poverina! Suo padre mi ha raccontato che ha avuto una malattia. Un vero peccato rovinarle la chioma così.» «Già. Ma dove si trova? La voglio vedere.» L'altro abbassò lo sguardo. «Désolé, monsieur. Purtroppo se ne è andata. Sono partiti parecchie ore fa, mentre voi riposavate.» Lui maledisse se stesso per la propria debolezza. Avrebbe dovuto seguirla subito, come gli aveva suggerito l'istinto. «Ha un nome?» Il locandiere non alzò lo sguardo. «Non conosco il suo» rispose un po' esitante. «Ma la famiglia si chiama Durand e vive a Parigi. Immagino che lei fosse la figlia. Non mi hanno lasciato un recapito preciso. Non era necessario, capite...» «Dunque non avete modo di contattarli?» «Mi dispiace, ma...» «D'accordo» tagliò corto Dominic, senza riuscire a mascherare la frustrazione. Perché un cognome tanto comune? E nessun indirizzo? Dopo un rapido cenno di ringraziamento, uscì in cortile per valutare la situazione. Dietro le sue spalle, l'albergatore scosse la testa. Davvero strani questi inglesi, pensò. Persino quelli che parlavano un francese perfetto, come il Duca di Calder. Perché diavolo voleva vedere una bambina di dieci anni? Non certo per nobili motivi. Si sapeva che, oltre la Manica, avevano gusti perversi. Da onesto patriota francese, lui non poteva arrischiarsi a rivelare l'identità della fanciulla, nemmeno a colui che aveva tratto in salvo i cavalli. In fondo, l'Inghilterra era nemica dell'impero ed era responsabile dell'esilio all'Elba di Napoleone. Emise un verso disgustato, poi sorrise tra sé. Aveva fatto 22


bene a dichiarare al duca un nome falso. Ormai la bambina doveva essere al sicuro a casa sua e non a Parigi. Dominic si avvicinò a grandi passi all'area dov'erano legati i cavalli, ancora nervosi per il puzzo di fumo. Magari, affrettandosi, sarebbe riuscito raggiungere la misteriosa fanciulla. Se la famiglia Durand era sulla strada per Parigi non poteva essere lontana, a meno che non viaggiasse in corriere postale, cosa improbabile per dei mercanti di granaglie. Mentre stava per chiedere di sellargli un cavallo veloce, rammentò dove si trovava e quali erano i suoi impegni. Non poteva allontanarsi da Boulogne nemmeno per un'ora, poiché doveva svolgere l'incarico affidatogli da Lord Castlereagh, il ministro degli esteri, che si aspettava da lui la massima efficienza. «A prima vista, il vostro compito è piuttosto semplice» gli aveva spiegato il ministro. «Vi unirete al seguito dello Zar Alessandro per l'intera durata della sua visita in Inghilterra. Alla corte di Russia si parla francese, ma per voi non rappresenta un problema, visto che conoscete la lingua alla perfezione. Farete il possibile per appianare la strada all'imperatore e per accertarvi che non sorga nessuna difficoltà attorno a lui.» «A prima vista, milord? Dunque la missione non si limita a questo?» Lord Castlereagh aveva risposto con un sorrisino teso: «Mi avete appena dimostrato che ho fatto bene a scegliervi. Sì, Calder, c'è anche altro. Il nostro governo coltiva qualche sospetto nei confronti dell'imperatore russo. È un abile sovrano e non è escluso che sia in contatto con i nemici dell'Inghilterra. Sappiamo, per esempio, che non vede con favore la proposta di matrimonio del Principe d'Orange alla Principessa Charlotte. È possibile che cerchi di ostacolare il connubio, poiché capisce quanto sarebbe preziosa un'alleanza 23


tra la nostra Marina e quella olandese. Lo zar, insomma, preferirebbe che l'erede al trono sposasse un principe squattrinato. Il Reggente intende offrirgli ospitalità per consentirci di sorvegliare chi gli farà visita. Voi avrete il compito di tenere d'occhio la situazione dall'interno». «Se lo zar è astuto come sembra, rifiuterà i servizi di un funzionario di collegamento inglese. Non credete?» «Potrebbe provarci, ma vi garantisco che non ci riuscirà, duca.» E in effetti era vero, altrimenti Dominic non si sarebbe trovato a Boulogne per prepararsi a scortarlo. Per fortuna aveva fatto in tempo a passare da casa, ad Aikenhead Park. Dopo avere passato tanti mesi da solo in Francia in quanto spia del governo britannico, aveva un gran bisogno di rilassarsi. Vi aveva trascorso qualche giornata assai gradevole, grazie soprattutto alla presenza di Jack, il fratello minore, che, come al solito, non aveva perso occasione per stuzzicarlo. Sebbene avesse ventiquattro anni e Dominic trentasei, il legame tra loro era molto forte. Il rapporto si era rafforzato ancora di più negli ultimi anni, da quando Jack era diventato il terzo membro della piccola squadra di spie chiamata gli Onori Aikenhead. Dominic, il primogenito, era l'asso, Leo, minore di due anni, il re e Jack il fante, mentre il suo caro amico Ben Dexter, reclutato per ultimo, era il dieci. Per completare il mazzo, mancava soltanto la regina. Non avevano ancora trovato una donna cui confidare i loro segreti. Per giunta, si trattava di un lavoro pericoloso. Quale giovane signora sarebbe stata tanto ardita da accettarlo? Magari la ragazza dell'incendio... Dominic scosse la testa. Per l'incarico che stava svolgendo non gli serviva aiuto. In ogni caso doveva smettere di pensare a lei, altrimenti sarebbe diventata un'ossessione. Lo aspettavano ancora molti preparativi, prima dell'incontro 24


con lo zar, previsto per l'indomani. Tutto doveva essere in perfetto ordine. Rientrò al Lion d'Or e salÏ in fretta i gradini. Non si poteva lasciar dominare dalle emozioni. In fondo si trattava della figlia di un mercante, inadatta come amante o come moglie. Non ricordava nemmeno il suo aspetto. Aveva notato la sua voce profonda e melodiosa, poichÊ l'aveva sentita sussurrare ai cavalli. A lui, però, aveva riservato soltanto un non, sebbene l'avesse appena tratta in salvo. Nemmeno una parola di gratitudine. Soltanto occhi sbarrati dal terrore e una fuga precipitosa, come dal diavolo in persona.

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D'armi e d'amore di Deborah Simmons Inghilterra, XIII secolo. Figli del Conte di Campion, i nobili fratelli de Burgh sono ognuno alla ricerca della propria strada e della donna giusta da amare. Stephen, il più bello e viziato dei sette, è costretto a scortare fino in Galles la giovane Brighid, ma quello che all'inizio gli sembra solo uno sgradevole incarico si rivela in realtà un'avventura appassionante. Robin, deciso a non cadere vittima del sortilegio che ha fatto innamorare i fratelli, si rifugia in un convento e si perde negli splendidi occhi di una dolce novizia. Reynold, infine, convinto che la gamba malata non gli permetta di avere la fortuna dei fratelli in fatto di donne, parte dal castello di famiglia senza una meta precisa. Non immagina che quel viaggio si rivelerà una impresa leggendaria, alla fine della quale anche lui troverà l'anima gemella.

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465 - STRATEGIE DI SEDUZIONE

di Carole Mortimer

Inghilterra, 1817. Lucian St. Claire deve prendere moglie ma non vuole lasciarsi coinvolgere in una storia d'amore. Pur provando le sue solite strategie, non riesce a far cadere in trappola la bella Grace. Che sia giunto il momento di cambiare tattica? 466 - IL GIOIELLO PROIBITO

di Louise Allen

India, 1796. Durante un lungo viaggio sotto il rovente sole dell'India, l'istintiva simpatia che Nicholas e Anusha provano l'uno per l'altra si trasforma in un'irresistibile passione. Lui però non può cedervi, perché... 467 - IN CAMBIO DI UN EREDE

di Sophia James

Inghilterra, 1831. Dopo tre anni di lontananza, il Duca di Alderworth torna a casa con una proposta per la moglie davvero irriguardosa: un erede in cambio di una rendita e di una casa indipendente. Lei ne rimane scandalizzata, poi però... 468 - IL VOLTO DELL'ANGELO

di Barbara Cartland

Inghilterra, 1802. Il Conte di Rochester, deciso a sottrarre la giovane Ophelia alle grinfie della crudele matrigna, l'affida alla sua balia, che provvede a nasconderla. Non riesce tuttavia a dimenticarla, così...


presenta

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