Css87 la stagione dell'amore

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Anne Herries

La stagione dell'amore


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: A Country Miss in Hanover Square An Innocent Debutante in Hanover Square The Mistress of Hanover Square Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2009 Anne Herries © 2009 Anne Herries © 2009 Anne Herries Traduzioni di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici aprile 2010 maggio 2010 giugno 2010 Seconda edizione Harmony Special Saga febbraio 2015 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 87 dello 04/02/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Sommario

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I sogni di una debuttante

Pagina 231

Ombre dal passato

Pagina 461

La signora di Hanover Square


I sogni di una debuttante


Prologo Penisola Iberica, 1812 Tre uomini giacevano a terra, tormentati dall'ardente sole spagnolo. Harry Pendleton era appoggiato a una roccia; dei tre, era quello in condizioni migliori. Max Coleridge aveva gli occhi chiusi e la camicia inzuppata di sangue e sudore mentre Gerard Ravenshead cercava di impedire alle mosche di posarsi sulla sua ferita sventolando una foglia, un fazzoletto legato intorno al profondo taglio che aveva sulla testa. «Pensavo che fossimo spacciati» commentò Harry, esprimendo i suoi sentimenti a voce alta. «Che disastro!» «Non è colpa tua, Harry» intervenne Gerard. «Sapevano che stavamo arrivando: qualcuno deve averli avvertiti.» «Dieci morti e noi tre salvi per un pelo.» Harry si alzò per dare un'occhiata a Max. «In qualche modo devono aver capito che stavamo organizzando un'incursione per prendere dei prigionieri.» «Sarà stato uno dei domestici.» Gerard scrollò le spalle. «In questa dannata guerra non si capisce mai se stiamo combattendo i Francesi insieme agli Spagnoli, o gli Spagnoli e i Francesi.» «Non mi fido dei loro generali» borbottò Harry, fissando il sangue che colava sul viso di Gerard. Il fazzoletto avvolto intorno alla testa non serviva a molto. «La tua ferita continua a sanguinare. Vuoi che le dia un'altra occhiata?» «Mi hai già salvato la vita una volta, oggi» gli ricordò Ge9


rard con una risatina. «Non ho bisogno di una bambinaia: ce la farò. Piuttosto, dobbiamo tornare con Max al villaggio e visto come sta, ci toccherà portarlo di peso.» Harry abbozzò una smorfia. «Da come ti stai comportando ultimamente, sembra quasi che voglia buttar via la tua vita.» Gerard si era guadagnato una reputazione di temerario. «In effetti ci sono stati momenti in cui non m'importava di lasciarci la pelle» ammise quest'ultimo scacciando una mosca che gli ronzava vicino al viso. «Quando affronti la morte, però, le cose prendono una prospettiva diversa: intendo tornare a casa e un giorno...» Non terminò la frase e Harry assentì: sapeva che qualcosa tormentava l'amico e sospettava che avesse a che fare con la giovane donna da lui corteggiata e con la piccola cicatrice sulla tempia che aveva notato quando si erano ritrovati in Spagna dopo un anno di separazione. Gerard se la sfregava spesso con aria pensierosa; a giudicare dall'espressione, stava rievocando un ricordo amaro e doloroso. «So cosa intendi: la guerra significa sangue, sudore e lacrime... e questa è la parte più facile» commentò Harry. Ascoltare le grida degli uomini morenti e sapere di non poterli aiutare era decisamente il lato peggiore della faccenda. «Forza, aiutami a caricarmi Max in spalla.» «Posso camminare» protestò Max. «Dammi solo una mano a rialzarmi.» «Non fare l'idiota» disse Harry. «Ti porteremo noi e quando saremo vicini al villaggio, Gerard andrà a cercare aiuto.» «Posso camminare, con un po' d'aiuto» si ostinò Max a quel punto. «Maledizione, Harry, non sono un bambino.» «Io sono l'ufficiale più alto in grado qui, e tu farai quello che ti dico» replicò Harry risoluto, per poi rivolgersi a Gerard. «Questa esperienza ci legherà per tutta la vita. Nessuno di noi la dimenticherà e se in futuro potremo aiutarci l'un l'altro, lo faremo.» 10


Max si lasciò sfuggire un gemito mentre lo rimettevano in piedi, poi Harry se lo caricò in spalla. Gerard annuì, ammirato dalla determinazione dell'amico. «Compagni in pace e in guerra» concordò. «Su, torniamo: mi scoppia la testa e Max ha bisogno di un medico.»

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1 Inghilterra, 1816 Harry Pendleton vide la ragazza attraversare di corsa la stradina di campagna solo pochi attimi prima di tirare le redini di colpo. Il tintinnio dei finimenti, gli sbuffi dei cavalli e le imprecazioni dello stalliere attrassero per un momento la sua attenzione, mentre lottava per tenere sotto controllo gli animali scalpitanti, disabituati a un trattamento così rude. Harry imprecò tra i denti: un altro secondo e la ragazza sarebbe finita sotto i loro zoccoli! «Che cosa diavolo vi è saltato in testa?» tuonò. Poi gettò le redini allo stalliere e balzò a terra, senza notare il suo volto pallido e le mani tremanti. «È stata proprio una sciocchezza; avrei potuto uccidervi!» «Se non aveste guidato i cavalli con tanto impeto, non sarebbe successo niente» replicò la ragazza, fissandolo con uno sguardo di fuoco. Gettò indietro i lunghi capelli e lo squadrò sdegnosa. «Queste strade di campagna non sono fatte per le corse sfrenate, signore. Non immaginavo certo che avreste svoltato l'angolo come un diavolo spuntato dall'inferno.» «Avrete pur sentito il rumore delle ruote» tenne duro Harry, pur sapendo che lei non aveva tutti i torti. «Per quale ragione avete attraversato la strada di corsa?» «Ho visto delle primule» spiegò la ragazza. «Questa è una strada tranquilla, signore. Nessuno guida i suoi cavalli come voi.» «Forse perché nessuno è in grado di farlo.» Harry si rese conto di suonare presuntuoso e arrogante, due tratti che non facevano parte 12


della sua natura. «Dovreste stare più attenta, quando attraversate vicino a una curva, Miss...» Solo allora si rese conto che la ragazza era davvero graziosa: i capelli scompigliati dal vento parevano di oro puro e gli occhi erano così limpidi e chiari che Harry si ritrovò a fissarli come un idiota. «Scusatemi, ma non conosco il vostro nome.» «E non lo conoscerete» replicò la ragazza squadrandolo altezzosa. «Vi trovo arrogante e villano. Vi auguro una buona giornata, signore.» Harry la guardò allibito mentre correva via e scompariva tra i campi; in quel momento si rese conto di aver gestito male la situazione. «Mi dispiace!» le gridò dietro. «Ero in ansia perché avrei potuto uccidervi. Non intendevo essere così scortese.» La ragazza non rallentò, né si girò. Harry continuò a seguirla con lo sguardo per qualche momento, poi scosse la testa e risalì a cassetta. Non gli capitava spesso di perdere le staffe e ora capiva che invece di investirla con urla e accuse avrebbe dovuto accertarsi che non fosse troppo spaventata. Per un attimo fu tentato di inseguirla, ma aveva promesso agli amici di incontrarsi a un mulino poco lontano da lì ed era già in ritardo. Aggrottò la fronte e avanzò ad un'andatura più lenta: la ragazza era illesa, ma lui avrebbe dovuto chiederle se avesse bisogno d'aiuto, anche se era chiaro che non lo desiderava. Un sorrisetto gli distese le labbra: gli aveva risposto con spirito, senza abbandonarsi a una crisi di nervi come sarebbe successo a molte altre giovani signorine, maltrattate da un gentiluomo in genere noto per i suoi modi garbati. A giudicare dai vestiti semplici e dal modo in cui correva da sola e senza cappello, doveva essere una ragazza di campagna, magari la figlia del pastore locale. Era improbabile che la rivedesse; pur provando un certo rimpianto, Harry confinò l'incidente in un angolo della mente. Susannah smise di correre quando si ritrovò senza fiato e ripensò ai modi rudi del guidatore del calesse. Se fosse stato un po' più premuroso e gentile si sarebbe scusata, giacché sapeva che l'incidente 13


era in parte colpa sua. Certo, lui le era piombato addosso a un'andatura folle ed era un miracolo che fosse riuscito a fermarsi in tempo; dal canto suo, lei era fortunata a non essere finita sotto gli zoccoli dei suoi cavalli. Se non fosse stata così spaventata avrebbe ammirato la sua abilità nel trattenerli, ma le sue accuse rabbiose le avevano fatto passare la voglia di scusarsi. Susannah aggrottò la fronte poi si sedette su un tronco caduto per riacquistare il controllo prima di tornare a casa. Poco dopo riuscì a vedere il lato divertente della situazione e scoppiò a ridere: era stata una vera avventura, del genere che desiderava tanto. Nei suoi sogni, però, il gentiluomo le avrebbe sorriso e parlato con garbo, facendole battere forte il cuore. In effetti il cuore si era messo a battere come un tamburo, ma per la paura, più che per il piacere. Ora che si sentiva più calma Susannah poteva ammettere con se stessa che quell'uomo era piuttosto bello, a patto di apprezzare i tipi rudi ed arroganti. Si lasciò alle spalle l'incidente e corse verso il cottage dove vivevano dopo la morte del padre. Doveva affrettarsi: era stata fuori a lungo e la mamma la stava di certo cercando. Susannah entrò nel cottage con un cestino di erbe e fiori selvatici. I capelli biondi erano scompigliati e le guance arrossate dall'aria fresca. Era graziosa, anche se un po' in disordine, ma l'aspetto non corrispondeva alla realtà: per quanto vivace e a volte irrequieta, Susannah era una fanciulla beneducata. Posò il cestino sul tavolo di cucina e sentì l'acquolina in bocca al profumo dei dolci e del pane fatto in casa. Stava allungando la mano verso un piatto di dolcetti quando Maisie entrò; era stata la sua bambinaia e ora mandava avanti la casa della vedova Hampton, visto che non potevano più permettersi una numerosa servitù. «Lasciate stare quei dolci, Miss Susannah» le intimò. «Vostra madre ha invitato a prendere il tè il pastore e altri amici e io non ho più burro per cuocerne altri.» «Non posso averne almeno uno?» la pregò Susannah, con lo stomaco che brontolava per la fame. «Non ho mangiato niente da stamattina.» «Avreste dovuto presentarvi a pranzo, invece di vagare per la 14


campagna come un maschiaccio.» Maisie la guardò con una disapprovazione che mascherava il profondo affetto tra loro. «Andate a cambiarvi, prima che qualcuno vi veda. Il tè sarà servito tra un'ora; potete aspettare fino ad allora.» «Io ho fame adesso» replicò Susannah. Rubò rapida un biscotto ancora caldo e fuggì inseguita dai rimproveri di Maisie. Salì in camera sua e si tolse il vecchio vestito indossato per la passeggiata; l'orlo era macchiato di erba e c'era un piccolo strappo nel punto in cui si era impigliato in un cespuglio, dunque aveva fatto bene a sceglierlo. Ormai doveva fare attenzione a conservare gli abiti migliori per le occasioni speciali; avevano giusto il denaro per vivere e pagare un misero salario a Maisie e Susannah non sapeva cos'avrebbero fatto, nel momento in cui ci fosse stato bisogno di vestiti nuovi. Tutto era cambiato alla morte del padre, che aveva dovuto rinunciare alla sua tenuta per colpa di investimenti azzardati e ingenti perdite al tavolo da gioco. La mamma aveva un po' di denaro suo, ricevuto in eredità, ma le entrate erano appena sufficienti a mantenerle. «Non so cosa fare» le aveva confessato, quando si erano trasferite dalla loro comoda casa in quel cottage modesto. Era povero e spoglio, in confronto all'ambiente che avevano dovuto lasciare, ma in qualche modo erano riuscite a renderlo accogliente. «Se usassimo il mio modesto capitale potremmo concederci una Stagione mondana a Londra per te, ma dopo non ci rimarrebbe più nulla.» «E se io non riuscissi a trovare marito, avreste fatto tutto questo per niente» aveva replicato Susannah. Era una ragazza di buon carattere e aveva accettato senza troppe storie il loro rovescio di fortuna. «No, mamma, non è il caso. Forse incontrerò un principe che mi amerà per me stessa e mi porterà nel suo castello. Avrò gioielli e bei vestiti e voi non vi dovrete più preoccupare.» La vedova Hampton aveva scosso la testa con tristezza davanti ai voli di fantasia della figlia. «Sei molto carina, mia cara, ma in genere le cose non vanno così. Riceverai di certo delle proposte di matrimonio, ma non è detto che siano di tuo gusto.» 15


I guerrieri di Laochre di Michelle Willingham Irlanda-Inghilterra, 1102-1171. Nel tentativo di salvare la vita del fratello Egan, Kieran si consegna ai predoni che hanno razziato il suo villaggio, ma lo scambio non riesce e il bambino muore sotto i suoi occhi. Così, deciso a punire se stesso per aver fallito nel momento più importante della sua vita e sicuro che ormai in famiglia lo detestino, accetta di diventare schiavo di un uomo potente. Ma la sua indole di guerriero non tarda a manifestarsi e finisce per attirare l'attenzione di Iseult, la promessa sposa del padrone, la cui bellezza è pari quasi alla tristezza che le tormenta l'anima. A poco a poco, la passione irrefrenabile che li spinge l'uno nelle braccia dell'altro si trasforma in un sentimento più profondo, destinato a sconvolgere la vita di entrambi e a segnare la nascita di un nuovo clan: si chiameranno MacEgan, in onore del bambino tragicamente scomparso, e regneranno su una porzione di terra dal suggestivo nome di Laochre, che significa drappello di guerrieri. Questa è la loro storia, e quella dei loro discendenti...

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