Css88 i guerrieri di laochre

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Michelle Willingham

I guerrieri di Laochre


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Her Warrior Slave Her Warrior King Her Irish Warrior Harlequin Historical © 2008 Michelle Willingham © 2008 Michelle Willingham © 2007 Michelle Willingham Traduzioni di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici agosto 2009 ottobre 2008 marzo 2008 Seconda edizione Harmony Special Saga aprile 2015 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 88 dell'1/04/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Sommario

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Lo schiavo irlandese

Pagina 227

La moglie del re

Pagina 449

Il guerriero irlandese


Lo schiavo irlandese


1 Irlanda, 1102 «Morirà, vero?» Iseult MacFergus fissò il corpo inanimato dello schiavo. Era disteso al suolo, contuso e ferito. Piaghe aperte, causate da impietose frustate, gli segnavano la schiena e sotto la pelle pallida sporgevano i contorni delle ossa. Sembrava che non mangiasse da mesi e che avesse patito pene indicibili. Iseult rabbrividì al pensiero. Davin Ó Falvey le porse una bacinella d'acqua fresca. «Non saprei. Temo di avere sprecato il mio denaro.» Lei abbassò gli occhi e lavò via il sangue con una pezza umida. «A casa non occorre un nuovo servo, Davin. Non avreste dovuto acquistarlo.» Del resto, l'usanza di possedere schiavi era sempre meno diffusa tra i clan. I MacFergus non si erano mai potuti permettere simili lussi. La famiglia d'origine di Iseult era di condizioni modeste e ricordarlo la mise un po' in imbarazzo. «Se non l'avessi comprato io, l'avrebbe fatto qualcun altro.» Davin si portò dietro di lei e le posò le mani sulle spalle. «Ho notato come soffriva al mercato degli schiavi, mia cara. Lo avevano picchiato fino a farlo crollare a terra.» Iseult gli coprì le mani con le sue. Sapeva che il fidanzato era sempre disposto ad aiutare gli altri, se ne aveva la possibilità. Anche per questo lo considerava il suo migliore amico e aveva acconsentito a sposarlo. Un senso di disagio le serrò lo stomaco. Davin meritava una donna migliore di lei. Iseult aveva fatto di tutto per salvare la propria reputazione, assai compromessa, ma le malelingue non si erano azzittite nemmeno in tre anni. Si domandava perché Davin avesse deciso di 9


chiederle la mano. In ogni caso, i suoi genitori non si erano lasciati sfuggire la buona occasione: non capitava spesso che la figlia di un fabbro si unisse in matrimonio con il primogenito di un capoclan. «Affidiamolo alle cure di Deena» affermò Davin in un tono piuttosto incalzante che celava un implicito invito. «Facciamo una passeggiata insieme, Iseult. Non vi vedevo da una settimana e mi mancavate.» Lei si irrigidì e si sforzò di sorridere. Va' con lui, le suggerì la ragione. Tuttavia si considerava indegna del suo amore, sebbene non lo avesse mai sentito esprimere nessuna critica nei suoi confronti. Dopo avere chiamato la guaritrice, Davin la prese per mano e la condusse fuori. Il bagliore lunare gli rischiarò il volto. Con i suoi intelligenti occhi azzurri e i suoi capelli biondi, Davin era senza dubbio un uomo attraente. Le sollevò con dolcezza la mano e se la posò sulla guancia barbuta. Iseult comprese che stava per baciarla e fu colta dall'ansia, ma si lasciò lo stesso abbracciare. Avrebbe tanto voluto contraccambiare l'ardore del suo futuro sposo. È una questione di tempo, tentò di convincersi. Tuttavia ogni volta che si scambiavano tenerezze, si sentiva al di fuori del proprio corpo, come una spettatrice di se stessa. Davin la strinse forte e le mormorò all'orecchio: «So che non mi volete amare prima della festa di Bealtaine, il primo di maggio. Però sarei uno sciocco se non tentassi di convincervi». Lei indietreggiò con lo sguardo a terra. «Non posso.» Arrossì di vergogna. Sebbene fosse ormai trascorso tanto tempo, l'idea di giacere con un uomo, chiunque fosse, risvegliava soltanto memorie dolorose. Davin si mostrò contrariato, ma non insistette oltre. «Non vi chiederei mai di fare qualcosa che non desiderate.» Iseult si sentì ancora più in colpa. In effetti non voleva amoreggiare con lui. Ma che razza di donna era? Anni prima aveva ceduto a un impeto di passione e ne aveva pagato le conseguenze. E proprio quando un giovane rispettabile l'amava davvero e le proponeva di sposarla, non riusciva ad abbandonare i brutti ricordi. Davin le accarezzò le spalle e le baciò una tempia. «Aspetterò finché sarete pronta.» L'accompagnò alla sua dimora dentro il forte circolare, tenendola per mano. 10


Quando raggiunsero la casupola, Iseult si fermò davanti alla porta. «Cosa farete dello schiavo?» gli domandò. «Non so ancora. Forse gli ordinerò di lavorare nei campi, oppure di occuparsi dei cavalli. Gli parlerò appena avrà ripreso i sensi. Ci vediamo domani mattina» aggiunse con un certo rammarico e la baciò di nuovo sulla bocca. «Magari potete fare qualcosa anche voi per tenerlo in vita.» Lei annuì e si ritirò in casa, soffermandosi un istante a riflettere vicino all'ingresso. Perché non provava la fiamma del desiderio di cui parlavano le altre donne? I baci e le carezze del suo fidanzato la lasciavano indifferente. Cosa non andava in lei? Davin meritava il suo amore. La trattava come un bene prezioso e le offriva tutto quello che voleva. Iseult, però, non si sentiva alla sua altezza. Con il cuore che pesava in petto, entrò a salutare gli altri. Muirne e la sua famiglia stavano preparando la cena. Sebbene non fossero imparentati con lei, le avevano aperto volentieri le porte, offrendole ospitalità mentre si abituava a vivere con il nuovo clan. E grazie alla loro generosità, Iseult non era costretta ad abitare con la madre di Davin. La moglie del capoclan, infatti, non nascondeva la profonda antipatia nei suoi confronti. «Chi è l'uomo che Davin ha portato con sé?» si informò Muirne. Era una donna robusta dai capelli corvini, che aveva generato sette figli e si prendeva cura di Iseult come se fosse stata una di loro. Senza attendere risposta, continuò: «Non avete ancora mangiato. Sedetevi dunque a tavola con noi». «È uno schiavo» rispose lei. «Mezzo morto, a quanto sembra.» «Un acquisto inutile» notò Muirne alzando gli occhi al cielo. Poi le porse un piatto di sgombri sotto sale e carote arrosto. «Ma Davin è fatto così» aggiunse con ammirazione, come se si fosse riferita a un santo. «Madre, posso avere altro pesce?» chiese uno dei bambini in affido. «Anch'io!» interloquì l'altro. Iseult era molto affezionata a Glendon e Bartley, anche se vederli acuiva la pena per la perdita del piccolo Aidan. Ormai suo figlio doveva avere due anni. Sbocconcellò il cibo, senza nessun appetito. «Perché non avete ancora sposato Davin?» le domandò Muirne, 11


mettendole nel piatto una fetta di pane. «Non capisco per quale motivo vogliate aspettare fino a Bealtaine.» «È lui che preferisce attendere. Vuole che le nostre nozze ricevano una benedizione speciale.» Coprì il piatto con una mano per evitare che venisse aggiunto altro pesce. «Basta così, grazie.» «Lo mangio io» si offrì Glendon. Iseult gli porse uno sgombro e lui lo divorò in pochi istanti. La padrona di casa borbottò tra sé un commento riguardo all'eccessiva magrezza della sua ospite. Lei finse di ignorare la critica. «Prendo con me gli avanzi e li porto allo schiavo, se ha fame.» «Non dovreste dare confidenza a un fudir, un servo. La gente malignerà.» Era vero. Iseult esitò. Le conveniva restare dov'era e non pensare più a quell'uomo. Era un perfetto estraneo e probabilmente sarebbe morto. «Avete ragione» ammise. Ma non appena Muirne le volse le spalle, nascose una fetta di pane in una piega del mantello. «Vado solo a fare una passeggiata. Non resterò fuori a lungo.» L'amica le lanciò un'occhiata accorta. «Non compite azioni delle quali vi potreste pentire in seguito, Iseult.» Lei cercò di ostentare un sorriso disinvolto, ma non ci riuscì. «Tornerò presto.» La luna rischiarava dodici casupole in pietra, disposte in circolo. Una pelle di cervo era tesa ad asciugare, fissata a un telaio di legno; i fuochi per cucinare, fuori dalle dimore, erano ormai ridotti a pochi tizzoni ardenti. Nell'aria aleggiava il consueto odore di fumo di torba e una fresca brezza d'inizio primavera si infiltrava sotto la sopravveste e il léine, l'ampio abito lungo. Iseult si coprì le spalle con il brat, cercando il calore dello scialle di lana. Sebbene vivesse con il clan Ó Falvey soltanto dall'inverno, cominciava a sentirsi a casa nel villaggio. Si fermò davanti alla capanna destinata agli infermi. Perché ci era venuta? Deena, la guaritrice, aveva di sicuro portato da mangiare allo schiavo, dopo averlo medicato. Iseult avrebbe soltanto disturbato. Stava quasi per andarsene, quando la porta si aprì. «Oh!» esclamò Deena portandosi una mano al petto. Curava i membri del clan di Davin da quasi una generazione, ma nonostante l'età piuttosto avanzata aveva ancora lustri capelli neri. La bocca sorridente 12


era contornata da rughe sottili. «Mi avete spaventata, Iseult. Stavo andando a prendere acqua.» «Come sta lo schiavo?» le domandò lei. Deena scosse la testa. «Non bene, temo. Rifiuta di mangiare e bere. Un vero testardo! Se vuole morire, il problema è suo. Però preferisco che lo faccia fuori della mia capanna.» «Gli devo parlare?» «Se desiderate. Ma non aiuterà molto. Entrate pure» la invitò con un sospiro. Iseult varcò la soglia e si immerse nella penombra del piccolo locale. Nel focolare ardevano le braci e l'ambiente odorava di camomilla e gaultheria. L'uomo giaceva su un pagliericcio. La chioma nera scompigliata ricadeva sul collo e le guance erano ruvide di barba. Somigliava a un demone sbucato dagli inferi, un dio sinistro come Crom Dubh. Comunque, in quanto schiavo, doveva avere viaggiato per l'intera Irlanda. Forse aveva visto Aidan, oppure ne aveva sentito parlare. Iseult cercò di trattenere l'improvvisa ondata di speranza. Non essere sciocca, la rimproverò la mente. L'isola di Éireann era grande: le possibilità che lo sconosciuto sapesse qualcosa di un bambino piccolo erano irrisorie. «Volete mangiare qualcosa?» gli domandò inginocchiandosi accanto al giaciglio. Lui rimase immobile a occhi chiusi e lei fece per toccargli una spalla. D'improvviso l'uomo alzò una mano e le afferrò con forza il polso, lanciandole un'occhiata feroce con le sue iridi scure. Iseult gridò per il male. «Fuori di qui» le intimò, spaventandola con la sua durezza. Non aveva affatto l'atteggiamento sottomesso di uno schiavo. Santa Madre di Dio, chi mai aveva portato a casa Davin? Iseult scattò in piedi, liberando il braccio dalla stretta. «Chi siete?» «Kieran Ó Brannon. E intendo essere lasciato in pace.» Con questo, si girò su un fianco. Lei rabbrividì alla vista delle profonde lesioni sulla schiena. Avrebbe fatto bene ad andarsene subito, invece gli rispose con calma: «Io sono Iseult MacFergus e vi ho portato da mangiare». «Non voglio niente.» Facendosi forza, lei aggiunse: «Se non vi nutrite, morirete». 13


«Meglio la morte che una vita come questa.» Iseult non avvertì sofferenza nel suo tono, ma soltanto una profonda collera. Che cosa le avrebbe detto o fatto? Come un animale in trappola, pareva pronto a colpire chiunque si avvicinasse. Lasciò cadere a terra il pane, senza preoccuparsi se si sporcava. «Se avete intenzione di morire, sbrigatevi. Ma se invece decidete di vivere, sappiate che qui nessuno vi farà del male.» Uscì senza lasciargli il tempo di reagire. Un individuo simile non le avrebbe fornito nessuna informazione utile riguardo ad Aidan. A suo parere, prima Davin si liberava di questo schiavo, meglio era. Kieran Ó Brannon aveva voglia di ridere. Era perfetto che gli comparisse di fronte un angelo di Dio, visto che aveva appena trascorso una stagione all'inferno. Come non notare l'ironia della sorte? Quella splendida creatura aveva capelli d'oro con riflessi rossi, simili al colore del cielo al tramonto. L'abito azzurro e la sopravveste chiara rivelavano un corpo snello, dalle lunghe gambe. Un tempo lui avrebbe fatto di tutto per sedurre una donzella come Iseult MacFergus. Ma le femmine non meritavano fiducia, soprattutto quelle di bell'aspetto. Più avvenenti erano, più ingannevole avevano il cuore. Kieran guardò la fetta di pane gettata nella polvere. Era tormentato dalla fame, ma non poteva accettare il cibo. Non gli importava cosa sarebbe stato di lui. Se avesse potuto richiamare la morte, lo avrebbe fatto volentieri. Un istante dopo, rientrò la guaritrice e si sedette di fronte a lui con un mortaio che emetteva un puzzo disgustoso. I capelli neri erano raccolti in una lunga treccia, coperta da una pezza di lino. «Perché volete morire, ragazzo?» gli domandò. Gli faceva pensare a sua nonna, una donna schietta che dichiarava con franchezza tutto quello che pensava. Non udendo risposta, lei insistette: «Avanti! So che siete in grado di parlare e che avete appena spaventato a morte Iseult. Vi avviso che con me non funziona: sono piuttosto forte. Per giunta vi porterò da bere e da mangiare per qualche settimana a venire». Kieran aveva mal di testa per tutte quelle chiacchiere. Deena non cessava di conversare mentre triturava nel mortaio chissà quale diavoleria. 14


Infine decise di risponderle, se non altro per interrompere il flusso di parole. «Per quale motivo dovrei sopravvivere?» Lei alzò le spalle con un sorrisino: aveva vinto e ne era soddisfatta. «Siete un ragazzo intelligente, no? E di sicuro da qualche parte avete una famiglia. Vivrete per il bene dei vostri genitori.» Gli aveva forse letto nel pensiero? Era indovina, oltre che guaritrice? Di colpo, Kieran ricordò il suo fratellino Egan che invocava aiuto. L'immagine gli trafisse il cuore come una spada e lo fece sanguinare. No, i suoi familiari avrebbero preferito che morisse. Ma quando Deena riprese il discorso, lui represse le emozioni e raccolse da terra la fetta. Non la meriti. Dovresti crepare di stenti come il resto del tuo clan. Azzittì la voce interiore e mangiò. Il pane era raffermo, ma la fame che lo tormentava ne reclamava altro. La guaritrice gli porse una ciotola, che lui prese con mani tremanti. Moriva di sete. Non ricordava nemmeno quando avesse mangiato o bevuto per l'ultima volta. Ma non appena assaggiò l'amaro infuso, rischiò di soffocare per il disgusto. Deena ridacchiò. «Vi farà dormire. Avete bisogno di riposare per rimettervi presto in piedi.» Se la pozione l'avesse aiutato a piombare nell'oblio, Kieran l'avrebbe ingurgitata volentieri. Svuotò la ciotola senza discutere. Deena gli spalmò la schiena con un balsamo d'erbe che, come promesso, alleviò il dolore. Le piaghe lasciate dalle frustate non erano profonde come altre che lui aveva sopportato in passato. Accettava la sofferenza, poiché rappresentava un atto fisico di contrizione. «Dovreste comportarvi meglio con Iseult MacFergus» lo mise in guardia la donna. «Andrà in sposa al vostro padrone. Davin Ó Falvey non vede di buon occhio chi tratta male la sua fidanzata.» «Dunque non le rivolgerò più la parola.» Kieran strinse i denti mentre lei gli bendava le ferite. Conosceva il motivo per cui lo curava: non certo per compassione, ma perché uno schiavo debole non aveva valore. Non sopportava l'idea di servire qualcuno e provava il potente istinto di ribellarsi a quel terribile destino. L'orgoglio gli suggeriva di tentare la fuga: che fosse guarito o meno, poteva escogitare un sistema per uscire dal forte. 15


E poi? Chiuse gli occhi. Avrebbe tanto voluto sapere cosa fare. Non aveva nessun posto dove recarsi. Forse gli toccava una penosa esistenza vagabonda per scontare gli errori commessi. La guaritrice gli porse altro pane, che lui mangiò senza esitare. Lo stomaco esigeva cibo, ma allo stesso tempo bruciava. «Per adesso basta» lo avvisò lei. «Conciato come siete, non sopportereste altri alimenti.» Gli diede un boccale d'acqua fresca e lui la bevve. Era dolce come la neve appena sciolta. Non somigliava al fango che Kieran aveva ingoiato negli ultimi mesi. Assaporò il sapore puro, lasciando che placasse la sete. Infine Deena lo aiutò a distendersi sul ventre. L'infuso d'erbe aveva iniziato a placare il dolore e a favorire il sonno. Kieran chiuse gli occhi, ferito nello spirito tanto quanto nel corpo. L'oscuro richiamo della morte lo tentò di nuovo: solo abbandonando il mondo avrebbe scacciato i fantasmi che lo assillavano. Aveva scelto lui di vendersi come schiavo con l'intento di salvare suo fratello Egan e rimandarlo a casa. Invece si era prestato al gioco del nemico e aveva tragicamente perduto. Suo padre non l'avrebbe mai perdonato per questo. A Dio piacendo, lui non avrebbe più rivisto la sua famiglia.

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