D2084 il limite del piacere

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SARAH M. ANDERSON

Il limite del piacere


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Straddling the Line Harlequin Desire © 2013 Sarah M. Anderson Traduzione di Roberta Canovi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny agosto 2014 Questo volume è stato stampato nel luglio 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY DESTINY ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2084 dell'8/08/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Josey prese un profondo respiro, raddrizzò le spalle e aprì la porta del Crazy Horse Choppers. Il tutto scegliendo di ignorare completamente il brutto presentimento che le stringeva lo stomaco, quello che le ricordava che andare a chiedere una donazione in un negozio di motociclette, per quanto esclusivo, fosse un'idea tremendamente folle. La reception sapeva di pelle lussuosa e lubrificante per motori; due poltrone con struttura cromata fiancheggiavano un tavolino formato da un piano rotondo di vetro appoggiato precariamente su una collezione di manubri ammonticchiati a formare una base. Josey sapeva riconoscere la ricchezza quando la vedeva, e quell'arredo era senz'altro fatto su misura. Una parete era ricoperta da foto autografate della sua preda, Robert Bolton, insieme a ogni sorta di celebrità o pseudo-celebrità; un divisorio di vetro separava la stanza dall'officina vera e propria, dove diversi uomini grandi e grossi e dall'aria truce stavano lavorando – con tutti gli attrezzi di cui lei aveva bisogno. Che fosse un'idea folle o meno, era disperata: una lezione pratica non può considerarsi tale senza... be', senza la pratica. La riflessione fu stroncata sul nascere da una donna che gridava «Bisogno?» per farsi sentire sopra la musica assordante. I Metallica, a occhio e croce. La receptionist – capelli dritti come spaghetti, che volevano essere biondi, tatuaggi fin sopra le orecchie e più piercing di quanti Josey riuscisse a contare – si sedette a una scrivania lucida nera 5


che sembrava di granito; sulla parete alle sue spalle era appesa una splendida collezione di giacche da moto in pelle con lo stemma del Crazy Horse. La donna appariva terribilmente fuori posto. Un secondo dopo, la musica si quietò, rimpiazzata dallo stridio insopportabile degli attrezzi sul metallo. La receptionist fece una smorfia, e Josey rivalutò l'opinione che si era fatta di lei: se avesse dovuto sentire quel frastuono tutto il giorno, probabilmente anche lei si sarebbe data all'heavy metal. «Buongiorno» esordì tendendo la mano. La donna adocchiò la sua manicure e i braccialetti e incurvò un labbro. Non era un gesto amichevole. Imperterrita, Josey non fece che addolcire ancora di più il sorriso. «Sono Josette White Plume. Ho un appuntamento per le nove e trenta con Robert Bolton.» Dopo un altro secondo, ritirò la mano. Tenne il mento alto, però. Che importanza aveva se la receptionist aveva tutta l'aria di essere venuta al lavoro dopo una notte brava? Anche i motociclisti sono persone. Perlomeno, questo era ciò che Josey continuava a ripetersi, sperando di convincersi. Una segretaria contenta faceva la differenza tra l'avere un ordine completato in una settimana o in sei mesi. La receptionist – la targhetta riportava il nome Cass – si piegò sulla scrivania e azionò l'interfono. «È arrivato il tuo appuntamento delle nove e trenta.» «Il mio cosa?» La voce che fuoriuscì dall'apparecchio suonava metallica, ma profonda – e distratta. Robert si era dimenticato dell'appuntamento? Eppure gli aveva mandato una conferma per e-mail la sera prima. Il brutto presentimento tornò alla carica; Josey deglutì, ma non si fece notare. Cass le rivolse un'occhiata che avrebbe potuto passare per una scusa. «Il tuo appuntamento delle nove e trenta. O meglio, l'appuntamento delle nove e trenta di Bobby. Ma lui è a Los Angeles, o l'hai scordato?» Un attimo – Come? Chi era a Los Angeles? E con chi 6


stava parlando Cass? Il presagio si fece violento, assalendola con un'ondata di nausea. Dannazione, detestava quando il sesto senso ci azzeccava. Pensava di essersi preparata. Aveva passato settimane a esaminare tutto ciò che poteva trovare on-line su Robert Bolton: siti, social network, forum – prendendo appunti su chi incontrava e perché. Aveva appreso qual era il suo cibo preferito (cheeseburger di un particolare locale di Los Angeles), dove comprava le camicie (Diesel) e quali attrici era stato sorpreso a baciare (troppe da elencare). Tutto il proprio abbigliamento – fino all'abito nero di lana attillato senza maniche – era studiato in base alla deduzione che Robert Bolton fosse un abile venditore e un egocentrico impenitente, che stava trasformando l'azienda di famiglia in un'impresa di livello nazionale. Diamine, sapeva più di Bolton di quanto sapesse del proprio padre. Ma tutto ciò non aveva più importanza: lui non si trovava lì e Josey era completamente, assolutamente impreparata a parlare con qualcun'altro. Ed essere impreparata era ciò che più odiava al mondo; non avere un piano significava andare incontro a un insuccesso. Non era stata preparata al rifiuto di Matt, due anni prima. Lei stava già facendo programmi, ma alla fine lui le aveva preferito la propria famiglia. Josey non era appropriata. Perché era un'indiana Lakota, e quindi non poteva trovare posto nel suo mondo. E lui, da viso pallido, non aveva alcuna intenzione di trasferirsi nel suo. «So bene che Bobby è in California» borbottò la voce nell'interfono. «È un cliente o un fornitore?» «Nessuno dei due.» «Allora perché mi rompi le scatole?» La comunicazione si interruppe con uno scatto sonoro. «Mi dispiace» si scusò Cass, niente affatto dispiaciuta. «Non posso aiutarla.» Il congedo, freddo e brutale, le fece montare la collera. Non si sarebbe lasciata ignorare; se c'era una cosa che aveva imparato dalla madre era che una Lakota silenziosa era 7


una Lakota dimenticata – e lei era proprio questo: una Lakota. Aveva cercato di non esserlo, ed ecco perché si era ritrovata col cuore a pezzi. Quando la relazione con Matt era finita, aveva lasciato il lavoro a New York ed era tornata a casa dalla madre e dalla tribù. Ingenuamente, aveva pensato che l'avrebbero accolta a braccia aperte, ma non era così che era andata. Perciò ora si ritrovava a fare del proprio meglio per dimostrare di essere un degno membro della tribù, costruendo una scuola nel mezzo della Riserva. Ma ci volevano soldi per costruire una scuola, e ancora di più per equipaggiarla. Il Crazy Horse Choppers non aveva la reputazione di essere particolarmente caritatevole verso le cause nobili... e allora? Robert Bolton era assente... e allora? Qualcuno c'era, e chiunque fosse poteva fare al caso suo. Al diavolo il non essere preparata: la sorpresa poteva giocare a suo vantaggio. «Certo che può. Probabilmente è lei che manda avanti questo posto, non è così?» Cass sorrise – senza alzare lo sguardo, ma era comunque un sorriso. «Può giurarci. I ragazzi qui sarebbero persi, senza di me.» Josey studiò una linea di attacco. «Non ha certo l'età per avere un figlio in età scolare...» Cass alzò la testa di scatto, l'espressione compiaciuta; poteva avere dai trentacinque ai cinquantacinque anni – impossibile dirlo, con tutti quei tatuaggi. Ma le lusinghe aprono qualsiasi porta, se ben utilizzate, e Josey ci sapeva fare. «Sto raccogliendo fondi per il laboratorio di meccanica di una nuova scuola, e ho pensato che un'officina fosse il posto perfetto dove cominciare.» Be', quella era una bugia: il Crazy Horse era l'ultimo disperato tentativo di racimolare qualcosa. Aveva cominciato con l'approcciare i grandi costruttori e piano piano era scesa di livello fino a rivolgersi ai meccanici locali e persino agli insegnanti degli istituti tecnici più agiati. Niente. Nemmeno un martello. 8


Josey era riuscita a ottenere qualche computer da un ventiduenne diventato milionario grazie a Internet, uno chef televisivo aveva donato il necessario per equipaggiare una cucina e un negozio d'arredamento si era liberato di vecchi modelli di tavoli e sedie che avrebbero fatto da scrivanie. Ma non riusciva a strappare una sega a nastro a nessuno. Andando contro le animate proteste di un piccolo gruppo di membri del consiglio della scuola, guidati da Don Two Eagles, che non voleva avere niente a che fare coi motociclisti, e tanto meno coi Bolton, aveva deciso di tentare col Crazy Horse. Che cosa aveva da perdere? La scuola avrebbe aperto di lì a cinque settimane. «Una scuola?» L'espressione di Cass si fece dubbiosa. «Non so...» «Se potessi solo parlare con qualcuno...» La donna la guardò di sbieco: lei era qualcuno. Così Josey recuperò una brochure e si lanciò nella propria presentazione. «Rappresento la Pine Ridge Charter School. Il nostro obiettivo è il benessere educativo ed emotivo dei bambini della Riserva Pine Ridge...» Cass sollevò le mani in segno di resa. «Okay, okay. Mi arrendo.» Azionò di nuovo l'interfono. «Per la miseria, che c'è ancora?» Volendo vedere il lato positivo, l'uomo all'altro capo della linea non era più distratto. A essere sinceri, però, suonava imbufalito, e il brutto presentimento si ripresentò in toto. «Non se ne vuole andare.» «Di chi diamine parli?» Eccellente, rifletté Josey. Alziamo pure la voce. Cass squadrò Josey da cima a fondo, e nei suoi occhi brillò qualcosa di subdolo. «L'appuntamento. Dice che non va da nessuna parte finché non parla con qualcuno.» L'uomo imprecò. Volgarmente. Wow, già alle nove e mezza del mattino. In che accidenti di pasticcio di stava infilando? 9


«Qual è il tuo problema, Cassie? Tutt'a un tratto non sai più buttar fuori qualcuno?» L'urlo era così forte che per un istante annientò i rumori dell'officina. Cassie sogghignò, pronta al secondo round. «Perché non scendi» riprese facendo l'occhiolino a Josey, «e la butti fuori tu?» «Non ho tempo per questo. Fa' venire Billy a spaventarla.» «È fuori per una prova su strada. Con tuo padre. Oggi ci sei solo tu.» Sollevò il pollice verso Josey, come a indicare che la situazione stesse volgendo al meglio. L'interfono emise un gemito terrificante prima di zittirsi del tutto. «Ben sarà qui tra un minuto» annunciò Cass, godendosi appieno il ruolo di spina nel fianco. Indicò una porta nella parete vetrata. Forse Josey avrebbe dovuto darsela a gambe. Don Two Eagles aveva ragione: il Crazy Horse Choppers era un'idea folle. Stampandosi in faccia il migliore dei sorrisi, invece, ringraziò Cass per l'aiuto, sperando di riuscire così a nascondere il panico che le rivoltava lo stomaco. Ben? Benjamin Bolton? Robert era l'unico dei Bolton ad essere entrato nel ventunesimo secolo creandosi una presenza online. Fatta eccezione per una sgranata foto di gruppo di tutto lo staff del negozio e un riassunto generico che ripercorreva la storia dell'azienda dalla fondazione da parte di Bruce Bolton, quarant'anni prima, non era riuscita a reperire alcuna informazione relativa agli altri membri della famiglia. Di Ben non sapeva praticamente nulla; doveva essere il direttore finanziario dell'azienda, fratello maggiore di Robert. Per il resto, era tabula rasa. Prima che potesse decidere se restare o fuggire, la porta a vetri si spalancò. Ben Bolton riempì il passaggio, emanando collera a ondate così palpabili che Josey dovette sforzarsi per mantenere l'equilibrio. Avrebbe fatto meglio a scappare, considerò mentre il signor Bolton ruggiva: «Che diavolo...». Poi la vide. Per una frazione di secondo rimase immobi10


le, a fissarla. Poi, in lui cambiò ogni cosa: la mascella – solida al punto da sembrare scolpita nella roccia – si irrigidì e gli occhi lampeggiarono di una luce che avrebbe potuto essere ira, ma Josey scelse di interpretare come desiderio. Forse era solo una speranza illusoria – con ogni probabilità, l'uomo era ancora furioso – ma senza dubbio, Ben Bolton era l'uomo più attraente che avesse visto in molto, molto tempo. Forse da sempre. Sentì il calore salirle alle guance, e non riuscì a decifrare se fosse attrazione, imbarazzo o collera. Lui si raddrizzò e gonfiò il petto. Okay, la situazione era ancora salvabile. I fratelli spesso hanno gli stessi gusti in fatto di musica, sport... perché dovrebbe essere diverso con le donne? Josey non aveva tempo sufficiente per ricominciare daccapo; sbatté le palpebre, una mossa che aveva imparato anni addietro e che, per quanto potesse essere un cliché, non mancava mai di sortire l'effetto voluto. «Signor Bolton? Josette White Plume» si presentò, avanzando verso di lui con la mano tesa. Il suo palmo la inghiottì; avrebbe potuto stritolarla, ma non lo fece: la sua stretta era decisa senza essere dominante. Le guance si fecero ancora più rosse. «La ringrazio per avermi concesso il suo tempo.» Sapevano entrambi che le cose non stavano proprio così, ma un gentiluomo non avrebbe contraddetto una signora. La sua reazione le avrebbe fatto capire con che genere di uomo aveva a che fare. «Non so dirle quanto lo apprezzi.» Bolton gonfiò le narici, i muscoli della mascella che si tendevano. «Come posso aiutarla, signorina White... Plume?» Pronunciò il suo nome come se ne fosse intimorito. Stupendo: ci mancava solo che cominciasse a blaterare tutte quelle storie che si leggono su Internet sui nativi americani. Comunque fosse, finché non la chiamavano Injun o Pellerossa, il mondo poteva continuare a girare. Strinse la presa sulla sua mano quel tanto che bastava per fargli inarcare un sopracciglio; nella luce soffusa della reception non riuscì a capire se i suoi capelli fossero neri o castano scuro, 11


ma gli stavano comunque molto bene. «Magari potremmo discutere i dettagli da qualche altra parte?» Improvvisamente, Bolton mollò la sua mano con tale velocità da rasentare la maleducazione. «Possiamo andare nel mio ufficio» suggerì, il lampo di collera che si intensificava ancora di più. Dietro di lei, Cass ridacchiò, e Bolton la fulminò con gli occhi. Josey fu lieta di non trovarsi sulla linea di tiro; quando riportò lo sguardo su di lei, era tornato in quella terra di nessuno tra pericolo e desiderio, fissandola con un'intensità cui non era abituata. Stava aspettando una risposta, si rese conto dopo un attimo di silenzio. Strano: la maggior parte degli uomini avrebbe semplicemente previsto che lei li seguisse. «Per me va bene. Non vorrei distogliere Cass dal suo lavoro.» Bolton strinse gli occhi azzurri con aria di sfida, quindi voltò sui tacchi e marciò fuori dalla stanza. Josey ebbe appena il tempo di afferrare la valigetta prima di perderlo di vista. «Buona fortuna» le augurò Cass con un'altra risatina che la raggiunse quando ormai anche lei era uscita dalla stanza. Josey dovette affrettarsi per tenere il passo. Lui attaccò la scaletta metallica due gradini alla volta, il che posizionava il suo fondoschiena da qualche parte tra l'altezza occhi e quella della mano. Josey non avrebbe dovuto sbavare – non in pubblico, perlomeno – ma era praticamente impossibile evitarlo. L'intero lato posteriore era uno spettacolo: ampie spalle modellate da quel tipo di muscoli che la semplice camicia grigia non poteva nascondere; torace lungo e snello, che si stringeva alla cintola circondata da una cintura per attrezzi in cuoio, che faceva molto più cowboy che motociclista. Josey stabilì che il punto più sicuro dove guardare erano le sue caviglie, l'orlo dei jeans neri che ricadeva sopra stivali neri da cowboy. Una cosa era più che evidente: Ben Bolton non era un comune direttore finanziario. 12


Sotto di lei, qualcuno fischiò di apprezzamento. Prima che potesse reagire, Bolton si piegò sul parapetto e minacciò «Basta così!» con una voce così potente che Josey avrebbe giurato di sentire le vibrazioni sulla scala. I rumori dell'officina – lo stridio dei compressori, il tonfo dei martelli sul metallo, una litania di parole che a malapena riusciva a distinguere come imprecazioni – all'istante si zittirono in un basso mormorio. Per un momento, le sembrò di vedere il corrimano piegarsi nella stretta di Bolton. Josey si sentì sciogliere. Non si trattava di una dimostrazione di potere, ma di potere vero, tanto che quasi riusciva a sentirne l'odore. Ben Bolton pretendeva assoluto rispetto, e lo otteneva. Lei era un'estranea – non riusciva a ricordare un'occasione in cui fosse stata più fuori posto – eppure lui l'aveva difesa senza nemmeno pensarci due volte. L'occhiataccia di Bolton si spostò su di lei, precariamente immobile su uno scalino, come se pensasse che lei volesse sfidare l'autorità che con due parole aveva messo il guinzaglio a dodici uomini armati di attrezzi pericolosi. E poi riprese la scala, questa volta procedendo lentamente e metodicamente, uno scalino per volta. Il cuore cominciò a pulsare erratico nel polso. Era abituata a uomini che cercavano di fare colpo col loro denaro, con le loro proprietà – tutti simboli del loro potere. In quel momento, invece, si ritrovava davanti un uomo al quale non importava un fico secco di impressionarla. Diamine, a giudicare dal modo in cui la stava aspettando in cima alla scala, le braccia incrociate e lo stivale che batteva impazientemente per terra, era abbastanza sicura che la detestasse. In qualche modo, il fatto lo rendeva ancora più affascinante. Una volta raggiunto l'ufficio, la porta chiusa grazie al cielo ammutolì il frastuono dell'officina. Il silenzio però non fu sufficiente a smorzare l'effetto della vista: la stanza conteneva così tanto metallo che Josey fu grata che il sole 13


non penetrasse dalle vetrate a tutt'altezza. La scrivania d'acciaio era sepolta sotto pile di documenti, mentre tutta una parete era attrezzata con schedari della stessa finitura. Qualunque cosa, in quell'ufficio grigio, odorava di soldi. Anche le poltrone di pelle e cromo della reception, in effetti, ma lì era diverso: quelle erano per fare effetto, mentre l'ufficio... Be', era chiaro che al signor Bolton non importava di impressionare la gente. Si trattava di controllo puro e semplice. Oppure Ben Bolton era daltonico. In ogni caso, la stanza aveva un'aria deprimentemente industriale. In un cestino della spazzatura, individuò quelli che dovevano essere i resti dell'interfono; l'aveva strappato dal muro? Per colpa sua? Non c'era da stupirsi che fosse di pessimo umore. Se Josey avesse dovuto lavorare in quell'ufficio, probabilmente si sarebbe raggomitolata a palla aspettando in un angolo di esalare l'ultimo respiro. Bolton le indicò una sedia – anche quella di metallo – perché si accomodasse. Prese posto alla scrivania e la inchiodò con un'altra di quelle occhiate che mescolavano pericolo e desiderio. Afferrando una penna, cominciò a battere la punta sulla scrivania, riempiendo l'aria di un ticchettio perfettamente regolare. «Che cosa vuole?» Oh sì, era furioso. Dato che non aveva un piano B, Josey decise di attenersi al piano A. Dopotutto, era pur sempre un piano. «Signor Bolton...» «Ben.» Trattenne un sospiro di sollievo: la familiarità porta al successo. «Ben» ricominciò, «dov'è andato a scuola?» Robert si era diplomato in un valido liceo di Rapid City, una ventina di miglia da dove si trovavano; c'erano buone probabilità che Ben avesse frequentato lo stesso istituto. «Come?» Confusione. Anche questa era positiva: un avversario incerto è più facile da spingere nella giusta direzione. «Sono pronta a scommettere che si è diplomato tra i primi della classe; giocava anche nella squadra di football, 14


vero? Quarterback?» Josey concluse con uno dei suoi sorrisi vincenti – caloroso, ricco, con appena una punta di malizia, mentre adocchiava di nuovo quelle spalle larghe. Wow. Se non avesse fatto tanta paura, Ben Bolton sarebbe stato irresistibile. Come sarebbe apparso senza tutto quel grigio? Ragazzi, come avrebbe voluto vederlo su una moto. Doveva essere un motociclista, per forza; dirigeva un'azienda che produceva motociclette! Le lusinghe di solito le aprivano qualsiasi porta, ma non con quest'uomo. Nello sguardo di Bolton, la lancetta tra il pericolo e il desiderio si spostò pericolosamente verso il primo. «Ho fatto il discorso di commiato. E corridore, negli All-State. E allora?» Josey riuscì a deglutire senza perdere il sorriso. L'AllState era un buon segno; ne era orgoglioso, anche se non arrivava a vantarsene. Ma il tamburellare della penna sul metallo si era fatto più forte e più rapido. Tra l'altro, non avrebbe dovuto accarezzare pensieri sensuali riferiti a un altro uomo bianco, non dopo l'ultima débâcle. Doveva tenere d'occhio gli obiettivi: attrezzare la scuola le avrebbe guadagnato un posto nella tribù, in forma permanente. «La sua scuola aveva dei computer in ogni aula, vero?» Prima che lui potesse ripetere e allora, proseguì. «I libri di testo rinnovati ogni due o tre anni, caschi da football di prima categoria, e insegnanti che sapevano davvero ciò che insegnavano, non è così?» Con un ultimo, tenebroso tac la penna smise di picchiettare. Ben non smise di squadrarla, però, e Josey attese in silenzio; non voleva fargli capire che la intimoriva perciò, mento alto e spalle dritte, sostenne il suo sguardo e attese. Aveva i capelli castani, si rese conto. Riusciva a individuarne le sfumature, più scure delle proprie. Qualche sparuto ciuffo bianco cercava di prendere piede alle tempie, ma aveva un taglio senza tanti fronzoli, quasi militare. L'espressione cupa sembrava permanente. Sa che cosa vuol dire divertirsi? La domanda le balzò in mente senza preavviso, ma non 15


aveva niente a che fare con la strategia per avere successo. Si ritrovò a sperare che sapesse divertirsi, ma dubitava che fosse possibile all'interno di quella scatola d'acciaio. Alla fine, fu lui a spezzare il silenzio. «Che cosa vuole.» Non era una domanda, quanto piuttosto un ordine, puro e semplice. Questo significava che la risposta alle sue domande precedenti era sì. Josey non poteva permettersi di sprecare altro tempo a preparare il campo: se non fosse arrivata al punto, probabilmente sarebbe stata cacciata fuori. «È a conoscenza del fatto che il Sud Dakota di recente è stato costretto a tagliare tutti i fondi alle scuole, indiscriminatamente?» L'incredulità si dipinse sul suo viso. «Come?» Appunto. Non era al corrente dell'appuntamento, il che significava che il fratello non gli aveva parlato di lei. «Come ho accennato a suo fratello Robert...» «Vuol dire Bobby.» Si costrinse a sorridere all'interruzione. Attraente e intimidatorio sembrava una bella combinazione, ma l'attrazione non faceva che rendere l'intimidazione più intensa. Pregò di non essere sul punto di arrossire. «Ma certo. Come ho detto a lui, sto raccogliendo delle donazioni per la Pine Ridge Charter School.» L'espressione incredula cominciò a pendere verso l'allibito, ma Josey non gli diede modo di interromperla di nuovo. «Meno del venti percento degli studenti Lakota Sioux raggiunge il diploma – meno del trenta percento va oltre le scuole medie.» No, nemmeno lui ci credeva, ma del resto erano in pochi a farlo; le statistiche rasentavano l'assurdo. «Al momento» riprese come un guerriero pronto al colpo di grazia, «per alcune zone della Riserva la scuola più vicina è a più di due ore di strada; molti studenti devono affrontare quattro ore di viaggio, ogni giorno, avanti e indietro. Se sono fortunati, riescono ad andare in un istituto valido; se non lo sono, però, finiscono in una scuola dove i libri di testo hanno vent'anni, i computer non esistono e a16


gli insegnanti non importa un accidenti di loro.» La quasiimprecazione suscitò un qualcosa che poteva essere un quarto di sorriso. Forse a Ben piacevano le cose più grezze – be', Josey sapeva essere grezza quanto bastava. «Tra un viaggio che fa venire il sedere quadrato su un autobus che si rompe nove volte su dieci, la pessima educazione e la costante discriminazione per il fatto di essere nativi americani, la maggior parte dei ragazzi rinuncia. La gente si aspetta che falliscano. Nella Riserva, la disoccupazione è vicina all'ottanta percento: anche un idiota può vedere che questo rispecchia quasi alla perfezione la situazione scolastica.» Sbatté le palpebre. «Lei non mi sembra un idiota.» Il tamburellare della penna ricominciò; mancavano solo i piatti. «Che cosa vuole?» Questa volta, il tono era più circospetto. Stava ascoltando. E tutt'a un tratto, il presentimento da cattivo passò a essere buono. A Ben Bolton piacevano i numeri, i fatti chiari e semplici; ma era anche un motociclista, perciò doveva apprezzare le cose un po' più grezze, un po' più sporche. Il suo viso – insieme ad altre parti del suo corpo – si fece bollente. Giusto perché non doveva arrossire. Lui allargò gli occhi, l'azzurro che si faceva più intenso al notare il suo rossore poco professionale. Di nuovo l'angolo della bocca si piegò verso l'alto, mentre Bolton si chinava di qualche centimetro verso di lei. Un movimento minimo, sicuro, ma Josey sentì il fuoco schizzare tra di loro, il desiderio che faceva salire la temperatura della stanza. Wow. Era bastato un solo pensiero sconveniente e si ritrovava sul punto di sciogliersi proprio nel bel mezzo di una trattativa. Non era da lei. Era orgogliosa del fatto di saper tenere dovere e piacere ben distinti. Alcuni benefattori pensavano di poterla comprare con le giuste donazioni, ma Josey non lasciava mai che quel quid pro quo si insinuasse in una conversazione. 17


Josey proseguì a testa bassa. Aveva un lavoro da portare a termine. Il piacere sarebbe venuto dopo – se fosse arrivato del tutto. Doveva fare in modo che la scuola fosse pronta più di quanto avesse bisogno di quella che senza dubbio sarebbe stata un'avventura dalla vita fin troppo breve. Non aveva tempo per le avventure, soprattutto con un uomo bianco. Porse a Ben la brochure che aveva progettato lei stessa. «La Pine Ridge Charter School è progettata per dare ai nostri bambini Lakota una base solida, non solo per la loro educazione, ma per le loro vite. Diversi studi hanno dimostrato che il diploma aumenta il guadagno totale di una persona rispetto a uno studente che abbandoni la scuola. Serve solo un minimo investimento iniziale.» Ben sfogliò la brochure, osservando le foto che lei aveva scattato ai bambini raccolti intorno a sua madre, felici di ascoltarla raccontare una storia, e i disegni dell'edificio con sei aule che era costruito solo a metà in una zona pianeggiante della Riserva. «I suoi bambini?» domandò fissando con intenzione la sua mano sinistra, spoglia di qualsiasi anello. «Sono un membro registrato della tribù Lakota Sioux di Pine Ridge.» Odiava dover aggiungere registrato, ma tant'è. Il rosso nei suoi capelli faceva sì che la gente la guardasse con una certa diffidenza, come se fosse un'aspirante. Doveva ringraziare il nonno per quei capelli, ma era l'unica somiglianza. «Mia madre sarà preside e direttrice educativa della scuola. Ha un dottorato in educazione e ha trascorso una vita a insegnare ai nostri bambini quanto sia importante una buona educazione per loro – e per la tribù.» «Il che spiega perché la sua parlantina è da laureata.» A questo punto fu lei a fulminarlo. «Il mio MBA è della Columbia. Il suo?» «Berkeley.» Girò e rigirò la brochure sulla scrivania. «Quanto?» «Non chiediamo denaro.» Perlopiù perché sapeva che non l'avrebbe ottenuto, ma anche per una questione d'orgo18


glio: i Lakota non chiedono l'elemosina . «Offriamo un'opportunità unica di sponsorizzazione per le aziende dello Stato. In cambio di forniture, garantiremo una pubblicità in diverse forme. Il nostro sito avrà una lista dettagliata dei sostenitori, con link diretti ai relativi siti.» Si sporse sulla scrivania per indicare l'indirizzo Internet in fondo alla brochure. Quando sollevò di nuovo gli occhi, trovò quelli di Ben fissi sul proprio viso, non sulla scollatura. Ma l'intensità del suo sguardo la fece sentire come se avesse un vestito trasparente. Lentamente, tornò a sedersi al proprio posto. Gli occhi di Ben non vacillarono neppure per un istante, ma il senso di pericolo che vi aveva dimorato fin dalla prima parola era quasi scomparso. Non rimaneva altro che desiderio. «Tutto ciò che viene donato alla scuola sarà etichettato con le informazioni dello sponsor, il che aiuterà a formare una clientela fedele al vostro marchio, nel contempo equipaggiandola con gli attrezzi di cui ha bisogno per potersi permettere i vostri prodotti...» «Farete pubblicità nella scuola?» No, Ben Bolton non era affatto un idiota. «Preferisco non considerarla pubblicità, quanto piuttosto sponsorizzazione. Come una catena di pizzerie che sponsorizzi una squadra di softball.» Gli vibrarono le spalle, l'accenno di un movimento che avrebbe potuto indicare una risata. «Quindi, pubblicità.» «Per la vostra azienda» aggiunse Josey imperterrita. «Il Crazy Horse Choppers ha una storia di quarant'anni, e visto che avete costruito quest'officina allo stato dell'arte pochi anni fa, ho tutti i motivi per ritenere che resterete nel giro per altri quaranta.» Lui piegò la testa nella sua direzione, un segno di rispetto proveniente da un uomo che di solito lo ispirava. Dunque non era del tutto impreparata – un pensiero confortante. Il suo apprezzamento, tuttavia, ebbe vita breve. «Glielo chiedo un'ultima volta. Che cosa vuole?» «La Pine Ridge Charter School ha come obiettivo non 19


solo garantire ai bambini un'educazione di prima classe...» Ben cominciò a picchiettare la penna sulla scrivania, «... ma anche un addestramento al lavoro. Per questo, chiediamo l'equipaggiamento necessario a lanciare uno specifico programma di tecnologia vocazionale.» Un sorriso – uno vero, il tipo di sorriso che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi donna – gli illuminò il volto. Wow. Altro che attraente. «Finalmente: siamo arrivati al punto. Vuole che le dia degli attrezzi gratis.» Il modo in cui lo disse ebbe uno strano effetto su di lei, e una punta di panico le fece di nuovo capolino nello stomaco. «Volendo riassumere, sì.» Lui riprese la brochure, come se stesse prendendo seriamente in considerazione la cosa. «No» rispose però poi. Mettendo da parte il volantino, posò entrambi i palmi sulla scrivania; sembrava quasi che volesse scavalcarla con un salto. «Ascolti. Lei è ovviamente intelligente e ovviamente bella. Questa azienda, tuttavia, opera con uno strettissimo margine di guadagno; non ho intenzione di cedere una fornitura di attrezzi per niente.» Una piccola parte di lei si ritrovò spalmata sul pavimento. La considerava bella, ovviamente bella. «Nemmeno per la pubblicità?» La voce le uscì strozzata, non riuscendo a nascondere la sconfitta. «Nemmeno per la pubblicità» confermò lui flettendo le spalle. La stava di nuovo fissando, aspettando di vedere se l'avrebbe sfidato. Josey deglutì e si morse il labbro, e un'infinitesima scintilla di desiderio gli attraversò il volto. «Non c'è... niente che possa fare per farle cambiare idea?» Il momento che ebbe pronunciato le parole avrebbe voluto rimangiarsele. Non faceva offerte del genere. Mai. Quindi perché diamine l'aveva detto? Non che fosse servito. Le parve di vedere le sue pupille che si dilatavano, ma era difficile esserne certi perché gli occhi si strinsero a fessura. «Di solito lo fa?» No, avrebbe voluto rispondere, perché non aveva mai fatto una simile offerta. Certo, lui era attraente. Era anche 20


arrogante, dispotico e probabilmente senza cuore, un vero e proprio Scrooge vestito di pelle. Tutti ottimi motivi per i quali lei avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa. Non aveva importanza se Ben Bolton fosse o meno un fenomeno a letto. O sulla scrivania. O su una moto, tanto per dire. Non aveva importanza che lei avrebbe voluto scoprirlo. Perlomeno, non avrebbe dovuto avere importanza. Ma era bastata una frase sbagliata perché, all'improvviso, il loro incontro assumesse una connotazione... sbagliata. Ma lui non l'avrebbe mai accettata. Il rifiuto la ferì nell'orgoglio, e avrebbe voluto mandarlo all'inferno, ma non ne ebbe l'occasione. In quel momento, attraverso il pavimento dell'ufficio riverberò un potente frastuono, così forte che ogni pezzo di metallo della struttura tremò con tale forza da farla aggrappare alla sedia per non cadere. Ben si piegò in avanti, il volto circospetto. Sollevò una mano e fece un silenzioso conto alla rovescia: tre, due, uno... prima che il telefono squillasse. «Sì?» Non pareva sorpreso. La voce dall'altra parte era così forte che persino Josey sussultò. Ben dovette reggere la cornetta a venti centimetri dalla testa. «Sono occupato» fu tutto ciò che disse, sbattendo giù il telefono. «Signorina White Plume...» Fece una pausa, come se aspettasse che lei gli permettesse di chiamarla per nome. Josey però non lo fece, e lui proseguì con un'alzata di spalle. «La pregherei di venire da questa parte» suggerì indicando la scrivania. Un altro tonfo scosse il pavimento. «Subito.» Più vicina a lui? Pochi secondi dopo essere stata rifiutata? Il botto successivo parve più vicino, come un'orda di bufali che stesse scappando su per le scale. Josey non aveva intenzione di farsi calpestare. Raccolse le proprie cose e si affrettò a raggiungerlo. Ben si mise un passo avanti a lei appena prima che la porta venisse spalancata con tale forza che avrebbe giurato di vedere le cerniere che si staccavano. 21


Un uomo – no, sembrava più un gigante – si fiondò nella stanza. Era enorme, a occhio un metro e novantacinque, con lunghi baffi arrotolati neri come l'inchiostro. I muscoli erano contenuti a stento da una maglietta blu in tinta con la bandana che aveva in testa. Gli occhi restavano nascosti dagli occhiali da motociclista, rendendo impossibile capire quanti anni potesse avere. «Dannazione» ruggì, il rumore che riecheggiava sul metallo, «dì a quel bastardo che chiami fratello che gli ho detto di...» In quel momento registrò la presenza di Josey, e l'uomo interruppe l'imprecazione proprio mentre veniva raggiunto da un nuovo venuto, ancora più imponente e con una barba tanto folta e incolta da sembrare un orso. «Te l'ho detto, non riuscirai mai a far funzionare quell'idea, e...» L'uomo coi baffi diede un pugno sulla spalla all'orso e indicò Josey con un gesto del pollice. Lei non riuscì a impedirselo; anche se era furiosa con Ben per averla umiliata – due volte – si ritrovò a cercare rifugio dietro di lui. Confronto alle due montagne di motociclisti che incombevano dall'altra parte della scrivania, Ben era ancora il posto più sicuro della stanza. «Ah, diavolo» borbottò l'orso. «Che cos'hai lì, figliolo?» Ah. Quindi l'uomo coi baffi era Bruce Bolton, direttore esecutivo del Crazy Horse Choppers e padre dei fratelli Bolton. Il che significava che l'orso dietro di lui doveva essere Billy, la forza creativa dell'azienda e fratello maggiore di Ben. Con ogni probabilità, il test su strada non era andato troppo bene. Josey non gradiva molto il modo in cui Bolton senior la stava guardando, e tanto meno le piaceva essere definita una cosa. Per colpa degli occhiali non poteva esserne sicura, ma aveva l'impressione che l'uomo la stesse spogliando con gli occhi. Ben fletté le spalle. «Te l'ho detto, sono occupato.» Afferrò il telefono con una calma forzata, ma era impossibile non percepire la tensione alle stelle. 22


Trovarsi nel mezzo di una lite tra Bolton doveva essere quanto di peggio c'era al mondo, perché senza alcun dubbio tutti e tre sembravano pronti a dare battaglia. Forse era per questo che l'ufficio era tutto di metallo: più facile lavare via il sangue. «Cass, per favore, accompagna la nostra ospite alla macchina» ordinò, le parole come lance di ghiaccio. Ripose la cornetta, spostandosi ancora di qualche centimetro per essere tra lei e il padre. Nessuno si mosse, nessuno aprì bocca. Oh, Josey conosceva la paura. Con la propria parlantina era riuscita a togliersi d'impaccio quando i soci del nonno avrebbero voluto approfittare di lei; al liceo, aveva preso a botte un ragazzo che l'aveva considerata un bersaglio facile. Ma questo? Senza alcun dubbio, la situazione più spaventosa in cui si fosse mai ritrovata. Cass comparve sulla porta. «Dannazione, Bruce. Così la spaventi» rimarcò facendosi largo tra le due montagne. «Andiamo» invitò Josey, «lasciamo che si scannino in privato.» Lentamente, lei si districò cercando di passare il più lontano possibile dai presenti. «Signorina White Plume» la chiamò Ben appena ebbe varcato la soglia. «Buona fortuna.» Cass chiuse la porta, il che non fu comunque sufficiente a soffocare i rumori della battaglia che era esplosa all'interno. Josey non ebbe modo di ricambiare l'augurio. Comunque fosse, aveva l'impressione di aver già consumato tutta la propria fortuna, per quel giorno.

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2083 - Il ritorno del magnate di Katherine Garbera

Christopher è un uomo che si è fatto da solo e ha sempre desiderato essere ammesso al TCC. Quando torna a Royal e rivede Macy, però, i suoi progetti cambiano. IL CLUB DEI MILIONARI

2084 - Il limite del piacere di Sarah M. Anderson

Ben Bolton è nei guai. L'azienda di famiglia rischia la bancarotta e lui è l'unico che può risollevarla. Nulla deve distoglierlo dai suoi obiettivi, e Josey è una distrazione troppo forte. I FRATELLI BOLTON

2085 - Milionario di ghiaccio di Olivia Gates

La fama di Maksim, milionario russo, ha il potere di spaventare ogni rivale. E il suo piacere è grande quando scopre che Caliope non ha intenzione di fuggire. L'attrazione tra loro è forte e...

2086 - Appassionata finzione di Catherine Mann

Hilary attira i cattivi ragazzi come una calamita. E Troy, collaboratore governativo e playboy, è proprio ciò che lei deve evitare. Purtroppo ha bisogno del suo aiuto. I PADRONI DEL SUCCESSO

2087 - Quello che desidero... di Emily McKay

Dalton Cain non permetterà al padre di mettere a rischio l'azienda di famiglia. Per fermarlo ha bisogno di Laney, la donna che ha abbandonato e che ora deve sedurre di nuovo.

2088 - Un inganno dal passato di Charlene Sands

Justin Slade è tornato a casa, e la prima persona che incontra è Katherine, più bella e furente che mai. Il desiderio di averla di nuovo nel suo letto è imperante. RITORNO A SUNSET RANCH


dal 30 settembre 2089 - Seduzione a mezzanotte di Barbara Dunlop Mitch Hayward, presidente del TCC, non riesce a credere ai propri occhi. Jenny Watson, la sua impeccabile e compassata assistente personale, è diventata una donna sensuale e ammaliatrice. E una notte accade l'irreparabile. IL CLUB DEI MILIONARI 2090 - La scelta del playboy di Sarah M. Anderson Jenny sa che Billy Bolton, milionario con la fama di cattivo ragazzo, non è adatto a diventare un marito devoto. Lui ama correre in sella alle sue amate moto, e passare da una donna all'altra. Perché non riesce a resistere all'attrazione che prova per lui? I FRATELLI BOLTON 2091 - Il segreto del milionario di Catherine Mann Jayne sa che Conrad le spezzerà il cuore, eppure non può fare a meno di sposarlo. Lui è uno dei più ricchi proprietari di casinò di Monte Carlo e fingere è la sua specialità. Ovvio che sia riuscito a convincerla della sua buona fede. Ma non accadrà una seconda volta. I PADRONI DEL SUCCESSO 2092 - Il tuo cuore mi cambia di Charlene Sands Lei è la creatura più dolce che Casey abbia mai incontrato. Con le sue mani delicate crea dolci composizioni che inducono in tentazione il più morigerato degli uomini. Lei è Susanna Hart, la sorella del suo migliore amico. Quindi proibita. A meno che... RITORNO A SUNSET RANCH


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