D2087 quello che desidero

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EMILY MCKAY

Quello che desidero...


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: All He Ever Wanted Harlequin Desire © 2012 Emily McKaskle Traduzione di Giada Fattoretto Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny agosto 2014 Questo volume è stato stampato nel luglio 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY DESTINY ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2087 del 19/08/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo A sessantasette anni e dopo tre infarti Hollister Cain sembrava a un passo dalla tomba, ma si aggrappava alla vita con la stessa tenacia con la quale aveva diretto l'impero dei Cain per quarantaquattro anni. Non era per amore che tutti i suoi familiari erano accorsi al suo capezzale. Se l'ex moglie, i tre figli – di cui uno illegittimo – e sì, anche l'ex nuora si erano precipitati da lui era perché sembrava impossibile che l'uomo che aveva creato un colosso finanziario e aveva plasmato le loro vite potesse rivelarsi mortale come chiunque altro. Sei settimane prima, quando la sua salute era drasticamente peggiorata, lo studio al primo piano della casa nel prestigioso quartiere di River Oaks a Huston era stato convertito in una stanza d'ospedale all'avanguardia. Imperturbabile dopo tre attacchi di cuore, due bypass e problemi al fegato, Hollister Cain era ancora convinto che il ricovero non facesse per lui. Stupido arrogante. Dalton entrò nella stanza cercando di non fare troppo rumore, ma il padre spalancò immediatamente gli occhi, respirando affannosamente. «Sei in ritardo.» «Per forza. Ero in riunione col consiglio d'amministrazione.» Suo padre lo sapeva dato che i dirigenti della Cain si incontravano alle otto di ogni lunedì mattina da più di vent'anni. A volte Hollister sembrava divertirsi nel forzare Dalton a scegliere tra obblighi familiari e l'azienda, come se 5


il figlio non sapesse già che sforzo immane richiedesse dirigere la Cain Enterprises. Hollister annuì soddisfatto, confermando la sensazione del figlio. Il padre lo metteva ancora alla prova per essere sicuro che si dedicasse anima e corpo alla ditta. «Molto bene.» Hollister si allungò con mano malferma verso un pulsante per sollevare la testiera del letto. Sembrava avere a malapena la forza necessaria per premerlo. Lo stesso letto si muoveva lentamente, quasi a imitare gli sforzi del malato, e mentre Hollister era impegnato nella manovra Dalton osservò la stanza ancora una volta. La madre sedeva in una sedia accanto al letto, rigida. Il fratello minore di Dalton, Griffin, era dietro di lei, e aveva un'aria comprensibilmente stanca visto che era arrivato dalla Scozia il giorno prima. Dall'altro lato si trovavano l'ex moglie di Dalton, Portia, che sembrava perfettamente a suo agio tra loro, più di quanto non lo fosse mai stato Dalton. Portia era una delle poche persone ad andare a genio sia a Hollister che a Caro, ecco perché faceva ancora parte delle loro vite anche se era passato parecchio tempo dal divorzio. E per finire, in un angolo, c'era il figlio illegittimo di Hollister, Cooper Larsen, intento a fissare fuori dalla finestra distaccato da tutto e tutti come sempre. Cooper non degnò di uno sguardo Dalton né tantomeno Hollister, preferendo starsene appoggiato allo stipite della finestra con fare noncurante e assente. La sua mancanza d'attenzione non sorprese Dalton, come non lo colpì il fatto che si fosse presentato. Erano anni che Cooper bazzicava attorno alla sua famiglia. Se Hollister l'aveva mandato a chiamare e lui si era oltretutto reso disponibile la situazione doveva essere davvero critica. Quando il letto raggiunse la posizione voluta i sensori che monitoravano il battito cardiaco davano segni di scompenso, come se lo sforzo avesse messo a dura prova Hollister, anche se il suo sguardo rimaneva risoluto. Si allungò per prendere qualcosa dal comodino. Caro Cain si attivò immediatamente per far bere al marito l'acqua fredda dalla 6


tazza termica grazie a una cannuccia, ma lui la respinse irritato. Invece, prese un'anonima busta bianca che era stata messa dietro alla tazza. Per qualche minuto cercò di estrarne il contenuto con dita tremanti, poi ci rinunciò e la scagliò verso la moglie. «Leggi» ringhiò, un ordine perentorio nonostante la voce malferma. Caro si accigliò quasi confusa dal repentino cambiamento, poi prese l'unico foglio scritto a macchina che conteneva. Era talmente sottile che Dalton riusciva a intravedere i caratteri stampati dal retro. Caro diede uno sguardo al marito, steso a occhi chiusi, le mani incrociate sull'ampio petto. Poi lesse ad alta voce. «Caro Hollister, sono venuta a conoscenza della tua malattia e so che non ti resta molto da vivere. Così finalmente marcirai all'inferno. Ti assicuro che avrei potuto usare parole ancora più pesanti. Come vedi non sono più la stupida ignorante che credevi.» Caro fece una pausa, sollevando lo sguardo dalla lettera visibilmente confusa. «Che razza di scherzo è questo?» chiese. Hollister grugnì e agitò la mano come a dire vai avanti. «Forse non ti ricordi nemmeno di aver detto quelle parole, ma, ripeto, ti assicuro che non le ho mai dimenticate. Neanche per un momento. Le hai pronunciate pochi minuti dopo aver lasciato mia...» La voce di Caro si incrinò, mentre lasciava cadere la lettera in grembo. Griffin si avvicinò alla madre. «È ridicolo. Perché ci hai fatto venire qui? Solo per umiliare la mamma?» «Continua a leggere» ordinò Hollister, sempre con gli occhi chiusi. «La leggo io.» Griffin si allungò per prendere la lettera. «No!» urlò Hollister. «Caro.» Caro guardò dapprima Griffin e poi Dalton prima di riprendere in mano il foglio. Griffin le strinse affettuosamente la spalla. 7


«Sei stato così crudele che per anni ho pregato di avere l'opportunità di ferirti come avevi fatto con me. E adesso finalmente mi si è presentata.» «So quanto custodisci gelosamente il tuo piccolo impero. Quanto ti piace tenere tutti sotto controllo. Come manipoli...» le si spezzò la voce e dovette deglutire prima di proseguire «... e controlli la tua famigl...» Dalton ne aveva abbastanza. Avanzò e strappò la lettera dalle mani della madre. Forse Hollister non si rendeva conto del male che le stava facendo, ma quel che era peggio non gliene importava. Dalton diede una scorsa al foglio e lo scagliò verso il letto, facendolo depositare sul petto del padre. L'odio e il veleno che trasparivano da quelle righe gli avevano provocato quella reazione istintiva. Era chiaro che era stata scritta per colpire Hollister. Dalton ne riassunse il contenuto a beneficio degli altri. «Dice di aver dato alla luce la figlia di Hollister, l'erede mancante, la definisce. Si rifiuta di aggiungere altro. In questo modo intende torturarlo, dato che non riuscirà mai a trovare sua figlia.» Dalton guardò la madre, poi Griffin, che le stringeva forte la spalla mentre lei cercava di fare appello a tutte le sue forze. Naturalmente tutti erano al corrente delle scappatelle di Hollister: Cooper ne era la prova vivente. Cooper si staccò dalla finestra e parlò senza degnare Hollister di uno sguardo. «E così il vecchio ha altri bastardi. Non capisco cosa c'entriamo noi.» Dalton era d'accordo con lui. Aveva già il suo bel da fare nel mandare avanti le industrie Cain. Prima che qualcuno potesse commentare Hollister riaprì gli occhi. «Voglio che la troviate.» Perfetto. A Dalton mancava un'ulteriore responsabilità da sobbarcarsi. «Sono sicuro che potremmo trovare un investigatore privato specializzato in cose di questo tipo.» «Niente investigatori privati» ringhiò Hollister. «È contro le regole.» 8


«Regole?» chiese Griffin. «Vuoi che la troviamo. Bene. La troveremo. Ma non è un gioco.» Hollister piegò le labbra rinsecchite in un sorriso amaro. «Non è un gioco. È una prova.» Cooper rise aspramente. «Ovvio. Altrimenti perché mi avresti chiesto di venire se non perché dovevo dimostrarmi degno di essere tuo figlio?» «Non essere ridic...» lo interruppe Hollister, subito scosso da una tosse cavernosa «... ridicolo. La prova è...» tossì ancora «... per tutti voi.» «Ho di meglio da fare che farmi comandare a bacchetta da te» disse Griffin. «Quindi non contare su di me.» «Neanche su di me» disse Cooper. «Invece sì.» Hollister l'aveva asserito con una tale convinzione che Dalton rabbrividì. Forse Hollister stava morendo, ma Dalton aveva imparato che suo padre non si mostrava mai convinto se non ne aveva buoni motivi. Quasi avesse letto nella mente di Dalton, Hollister lo guardò con occhi lucidi. «Vi darete tutti da fare, perché chi troverà la ragazza erediterà le industrie Cain.» Questo sì che cambiava le cose. Dalton aveva sempre saputo che suo padre era un bastardo, ma non fino a questo punto. Dalton aveva dedicato tutta la vita all'azienda. Non ci avrebbe rinunciato senza lottare. «E se nessuno la trova?» chiese. La stanza sembrò piombare nel silenzio totale mentre Hollister rantolava: «Tutto il patrimonio passerà nelle mani dello Stato».

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1 «Non lo farà sul serio» disse Griffin mentre apriva la porta del suo appartamento e si faceva da parte per far entrare Dalton. «La Cain gli sta a cuore come a tutti noi. Non permetterebbe mai allo stato di vendere le sue quote.» «Se si trattasse di qualcun altro ti darei ragione.» Dalton aspettò che Griffin accendesse la luce prima di entrare in salotto. «Ma non è uno che bluffa. Lo sai.» Griffin abitava al piano attico del grattacielo in centro dove viveva anche Dalton. Quando Portia aveva chiesto il divorzio Dalton aveva preso l'appartamento due piani sotto a quello di Griffin. Il palazzo era vicino all'azienda ma era carissimo. Gli era piaciuto soprattutto perché, dopo aver visto quello del fratello, aveva potuto acquistarlo senza perdere una giornata a correre dietro a qualche agente immobiliare. L'appartamento di Griffin era arredato in pelle color crema e cromo. Era costoso e moderno e fin troppo spoglio, per i gusti di Dalton. Il suo appartamento, però, era ancora sullo stile sono stato sbattuto fuori casa, quindi non poteva permettersi di criticare. Dalton si diresse subito verso il divano che dominava lo spazio di fronte alla TV. Griffin indicò l'angolo bar. «Cosa vuoi?» Dalton guardò l'orologio e storse la bocca. «Non è neanche mezzogiorno.» 10


«Dopo la piccola bomba che ci ha lanciato papà credo che un goccio sia d'obbligo.» «Bene.» Non si poteva discutere con un'argomentazione così. «Prendo uno scotch.» Griffin roteò gli occhi come a dire che Dalton era un idiota. Poi prese diverse bottiglie – nessuna che contenesse scotch – e iniziò a versarne il contenuto in uno shaker da cocktail. «Credi che legalmente possa farlo?» «Sfortunatamente penso proprio di sì.» Dalton si passò una mano tra i capelli. «Naturalmente la mamma avrà ancora diritto al patrimonio comune quindi alle case, le macchine e i soldi. Ma della Cain può farne quello che vuole. Avremmo potuto dividerci l'azienda. Adesso, invece, chissà cosa succederà.» «Mi sa che sei quello che ci rimette di più. Che pensi di fare?» Dalton si tolse la giacca e la appoggiò sul bracciolo del divano. Con un sospiro si mise a sedere passandosi una mano sul viso. Era vero, aveva molto da perdere. Era una vita che si impegnava per diventare il perfetto futuro amministratore della Cain. Aveva sempre impostato le sue scelte in base alla ditta fin dall'età di dieci anni a partire dagli hobby alle attività extrascolastiche, alla scelta dell'università fino alla donna che aveva sposato. Non avrebbe permesso a suo padre di rovinare tutto per un capriccio. «La prima opzione sarebbe aspettare che il bastardo muoia e risolvere la faccenda in tribunale.» Griffin posizionò il tappo allo shaker e prese a scuoterlo vigorosamente. «A quel punto il patrimonio di papà sarà vincolato per contenzioso per una decina d'anni o giù di lì. Bel piano.» Dalton si sporse in avanti, appoggiando i gomiti alle ginocchia. «Se non ci stesse già lasciando le penne lo ucciderei con le mie stesse mani per questo scherzetto.» «E io ti darei una mano.» Griffin rise e mise del ghiaccio nei bicchieri, colmandoli con il miscuglio di alcolici. «Se 11


guardiamo il lato positivo il consiglio d'amministrazione stravede per te. Anche se i beni di papà dovessero passare allo Stato tutte le sue quote della Cain sarebbero vendute, giusto? Lui stesso non ha le quote di maggioranza, quindi il consiglio probabilmente non vorrebbe perderti.» «E quindi anche tu potresti mantenere il tuo lavoro come vicepresidente alle relazioni estere.» Griffin sorrise. «Sì. Sarebbe l'ideale.» Sapevano entrambi che il lavoro di Griffin era comodo e che difficilmente avrebbe potuto ricoprire la stessa posizione altrove. Griffin tagliò un limone a spicchi, ne spremette uno in ciascun bicchiere e ne mise una fetta come decorazione. «Di sicuro non guadagneresti più le stesse cifre stratosferiche, ma rimarresti comunque l'amministratore della Cain.» «Questa è la migliore delle ipotesi, sì.» Dalton prese il bicchiere che gli porgeva il fratello osservandone il contenuto verde pallido. «Non è scotch.» «Ho fatto il barista per due anni quando ero all'università, non vorrai che ti serva un misero scotch? Sto ampliando i tuoi orizzonti.» Dalton ne prese un sorso, esitante. Era sorprendentemente buono, meno dolce di un margarita e con alcool sufficiente da stendere un cavallo. «Sì, il consiglio potrebbe volermi tenere.» Sapeva per esperienza che le migliori delle ipotesi non erano altro che favolette. Le cose nella realtà non andavano quasi mai come si voleva. «Ma è molto più probabile che uno dei nostri concorrenti si accaparri l'azienda. La Sheppard Capital si trova in una posizione strategica e potrebbe farlo. In tal caso mi farebbero fuori e la Cain verrebbe smantellata pezzo per pezzo.» Per una volta il consueto sorriso ammaliatore di Griffin venne soppiantato da un'espressione cupa. Sollevò il bicchiere e disse in tono amaro: «Al nostro caro paparino». Dalton fece tintinnare il bicchiere contro quello del fratello e poi tracannò un bel sorso, quasi sperando che il drink 12


lo stendesse. Lui e Griffin non erano mai stati particolarmente uniti. Hollister aveva sempre fomentato una certa rivalità tra i due perché riuscissero a legare. Anche adesso che erano accomunati dal disgusto che provavano verso la bravata del padre era comunque riuscito a metterli uno contro l'altro. Mentre ancora il liquore gli bruciava in gola Dalton chiese: «Proverai a trovarla?». Griffin sembrò sul punto di sputare il suo cocktail. «Dio, no.» «Era solo per sapere.» Dalton pensò a un'altra cosa. «C'è una possibilità che non abbiamo considerato. Cooper potrebbe trovare la ragazza.» Cooper era obiettivamente una mina vagante. Quando Hollister l'aveva portato a casa all'età di cinque anni, e l'aveva presentato come suo figlio, Dalton e Griffin avevano rispettivamente sette e quattro anni. Cooper passò le estati con loro fino ai sedici anni, quando sua madre morì. Era rimasto a vivere con loro per quasi due anni combinando non pochi disastri, prima di partire per l'università. Non avevano legato affatto. Griffin finì di bere il suo drink. «Cooper potrebbe fare a pezzi l'azienda tanto quanto la Sheppard Capital.» Vero. Dalton fissò quel che restava del liquido verde nel fondo del bicchiere. Se Cooper avesse trovato l'erede Dalton avrebbe perso l'azienda. Griffin divise il contenuto rimasto nello shaker equamente tra lui e il fratello. «Quindi come facciamo a trovare la sorella misteriosa?» «Bella domanda, vero?» Hollister era sempre stato fedifrago. «Non è tanto trovare la madre della ragazza, ma restringere il cerchio delle sue... amiche.» Griffin rise sguaiatamente. «C'è n'è una con cui non sia andato a letto?» «Esatto. Da questo punto di vista la lista delle potenziali madri...» Dalton si limitò a scuotere la testa, rifiutandosi di pensare con quante donne fosse stato il padre. Hollister a13


veva avuto almeno un'amante di lunga data quando Dalton era piccolo, ma temeva che Sharlene fosse solo la punta dell'iceberg. Anche Griffin doveva essersene ricordato. «Potrebbe essere chiunque, una donna qualunque di un qualunque posto.» «Potrebbe anche essere straniera.» Cooper era cresciuto a Vale ma quando Dalton aveva fatto due più due aveva pensato che il padre non era stato in Colorado al momento del concepimento di Cooper. Ma era andato a sciare in Svizzera. E dato che la madre di Cooper era stata una sciatrice olimpica Dalton aveva ipotizzato si fossero incontrati lì. Pensando ad alta voce Dalton disse: «Sarebbe impossibile rintracciare tutte le donne con cui è stato, anche se riuscissimo a risalire al periodo esatto del concepimento». «Hai notato il timbro postale?» chiese Griffin. «Sì. Non c'era il mittente, e il timbro era di una posta locale. Una mossa intelligente, se non si vuole essere trovati. Forse significa che abita nei paraggi. O forse vuol dire che abita a Toronto e ha pagato qualcuno perché spedisse la lettera al suo posto.» Dalton fece roteare il drink nel bicchiere mentre considerava le supposizioni a cui erano giunti. «No, la domanda non è con chi è stato Hollister. La domanda è: quale di quelle donne l'ha odiato a tal punto da fare una cosa simile?» Griffin finse di pensarci su, poi scrollò le spalle come a rinunciare. «Credo tutte.» Ma Dalton scosse la testa. «No. Puoi dire quello che vuoi su di lui, ma nostro padre era un seduttore seriale. Quindi questo ci permette di scartare le avventure di una notte e le donne con cui ha fatto sesso occasionale. Per odiarlo così tanto quella donna deve averlo conosciuto bene.» Dalton si alzò e prese il cappotto. Griffin sollevò le sopracciglia. «Mi sa che hai avuto un'illuminazione.» 14


«Una specie. Se c'è qualcuno che può sapere chi potrebbe odiare papà è la signora Fortino.» «La nostra ex governante?» «Esatto. Sa tutto quello che succedeva in quella casa. Sarà in grado di dirmi quello che mi serve.» «È andata in pensione cinque anni fa» gli fece notare Griffin. «Sei sicuro di riuscire a trovarla? Forse sta girando il paese in camper.» «Non sarà un problema.» Dalton bevve il drink fino all'ultima goccia. «Non è tipo che si mette a viaggiare, ed era un'abitudinaria già quando eravamo piccoli. Sono sicuro che si trova ancora a Huston.» «Ehi, sai chi saprebbe come trovarla?» chiese Griffin prima che Dalton uscisse dalla porta. «Nostra madre» Dalton asserì l'ovvio. «Sì, forse. Ma stavo pensando a Laney.» Dalton si voltò e guardò il fratello minore, prestando attenzione a non far trasparire nulla, soprattutto il battito accelerato del cuore al suono di quel nome. «Ti ricordi di Laney? La nipote della signora Fortino. Ha vissuto con lei per un po' quando eravamo al liceo» soggiunse Griffin. «Sì. Me la ricordo.» «È tornata in città un paio d'anni fa. L'ho incontrata per caso a una raccolta fondi per Tisdale. Sapevi che insegna lì adesso?» «No. Non lo sapevo.» «Già. Strano, eh? Non riesco a immaginare una peperina come lei nei panni di un'insegnante di prima elementare in una scuola cattolica.» «Immagino che sia cambiata.» Cercò nuovamente di uscire ma Griffin aggiunse: «Mi sorprende che non sapessi che insegna lì. Non fai parte del loro consiglio d'amministrazione?». «Certo, ma solo formalmente. Al consiglio basta ricevere le nostre cospicue donazioni, non si aspetta che io partecipi alle riunioni.» Dalton prese il cellulare dalla tasca e lo guar15


dò, come se avesse appena ricevuto un messaggio importante. «Ci vediamo dopo?» Questa volta non diede il tempo a Griffin di rispondere, sparendo velocemente nell'ascensore. Poteva tornare al lavoro visto che aveva un sacco di cose da fare, invece andò nel suo appartamento per iniziare le ricerche su Matilda Fortino. Sia l'istinto che la ragione gli suggerivano che era il primo passo da fare per rintracciare l'erede mancante. Ma per la prima volta dopo molto tempo, anzi, forse per la prima volta in assoluto, mise in discussione entrambi. Voleva mettersi sulle tracce della signora Fortino perché avrebbe potuto condurlo dall'erede o perché avrebbe potuto portarlo da Laney? Naturalmente sapeva dove si trovava Laney, o almeno sapeva dove lavorava. Non si era ancora spinto così in là da cercare il suo indirizzo. Già quello la diceva lunga. Diceva tanto su di lui quanto la bugia che aveva raccontato a Griffin. Non solo aveva saputo quando Laney aveva fatto domanda per entrare alla Tisdale, ma si era anche prodigato perché il posto fosse assegnato a lei. All'epoca si era detto che era solo perché era una vecchia amica di famiglia. Naturalmente, in quel periodo era sposato con Portia. Ogni fantasia che aveva avuto su Laney era solo un lontano ricordo di gioventù. Ma ora, a quasi un anno di distanza dal divorzio, con tutto il futuro davanti, doveva porsi delle domande. Non era solito mettere in discussione il proprio istinto. Ma non era nemmeno abituato a mentire. Quindi quale delle due: stava cercando l'erede o Laney? Alle tre del pomeriggio Laney Fortino era di fronte alla scuola elementare Tisdale a imprecare contro il sole cocente, i genitori in ritardo, Dalton Cain e i messaggi non chiari contenuti nei biscotti della fortuna. Quello che aveva preso da asporto ieri sera le aveva indicato: Ti aspetta un grande cambiamento. 16


Poi oggi aveva ricevuto un messaggio dalla segretaria della scuola che le diceva che Dalton Cain sarebbe venuto a parlarle dopo la scuola. Era il primo biscotto della fortuna della sua vita e non le aveva portato bene per niente. Perché non c'era stato scritto Dalton Cain verrà a trovarti? o anche Ti aspetta un grande cambiamento, quindi domani sarà il giorno giusto per indossare tacchi a spillo e quel vestito stravagante che hai comperato su Ebay. E biancheria intima modellante? Ovviamente non avrebbe mai indossato della biancheria intima modellante o i tacchi per insegnare – non sarebbe stato per nulla pratico – e se il biglietto avesse accennato direttamente a Cain probabilmente avrebbe preso un aereo per Tahiti, tanto per dirne una, e adesso sarebbe dall'altra parte del mondo. E invece eccola qui, ad aspettare gli ultimi genitori ritardatari all'uscita da scuola, sudata fradicia sotto il solleone di ottobre con addosso un vestitino vintage, calzini corti e scarpe da ginnastica di tela. Era vestita come una bambolina. Ma in realtà non le importava molto dell'abbigliamento se doveva incontrare Dalton Cain. Poteva anche non importarle che aspetto avesse ma le importava eccome il giudizio di Dalton. Voleva fargli una buona impressione. Perché poteva esserci solo un motivo se uno dei più ricchi e potenti uomini di Huston voleva vederla. Doveva aver saputo che sua nonna aveva sottratto quasi un milione di dollari alla Cain. Soldi di cui Laney non aveva saputo nulla fino a quando, un anno prima, aveva ottenuto la procura. Da quando aveva scoperto i fondi extra nel conto della nonna Laney era stata assalita dai sensi di colpa e si era chiesta cosa avrebbe dovuto farne. Era indubbio che la nonna li avesse accumulati illegalmente. In dieci anni i suoi risparmi non potevano essere lievitati così tanto anche se la nonna fosse vissuta di pane e acqua e avesse fatto saggi investimenti. 17


Laney non poteva andare alla polizia. Era improbabile che condannassero un'anziana affetta da Alzheimer, ma se l'avessero fatto? Non poteva correre quel rischio. E non poteva nemmeno andare dai Cain per spiegare l'accaduto. Hollister era brutale e vendicativo con i suoi nemici e Caro era di poco migliore. Ogni volta che Laney cercava di pensare a un modo per uscirne riusciva solo a immaginare la nonna ammanettata e sbattuta in prigione. Del resto non poteva restituire il denaro. Si trovava in un fondo vincolato che la nonna aveva aperto a favore della casa di riposo perché si prendessero cura di lei. Non poteva toccare quei soldi. Si sentiva in trappola, al corrente di un'ingiustizia alla quale non poteva porre rimedio. Ed era terrorizzata all'idea che Dalton avesse scoperto la verità. La reazione tipica di Laney di fronte a un Cain, soprattutto Dalton, contemplava indignazione e insolenza. Era una donna completamente diversa da quando aveva visto Dalton l'ultima volta dieci anni prima. Un tempo si sarebbe messa in tiro, l'avrebbe sfidato a chiamare la polizia per poi insultarlo e prenderlo a parolacce mentre la portavano via in manette. Ma quella ragazza ribelle e impertinente non le apparteneva più. Gli ultimi dieci anni le avevano insegnato a controllarsi. Era un'insegnante elementare, santo cielo. Quindi forse non era un male se appariva come una bambolina docile e remissiva. Non appena quel pensiero le sfiorò la mente vide una berlina color crema lucente che girava l'angolo e si dirigeva verso la scuola. Non sapeva perché, ma l'istinto le diceva che al volante c'era Dalton. Forse perché conosceva le auto dei genitori dei suoi alunni. O forse fu per il modo in cui la macchina volava praticamente sulla strada. Parcheggiò in uno dei posti liberi ed ecco che Dalton fece la sua comparsa. Lo riconobbe all'istante, anche se ne era passato di tempo dall'ultima volta. Indossava pantaloni beige e una camicia bianca. Si fermò per sfilarsi gli occhiali da sole e guardarla, come se stentasse a riconoscerla. Lo salutò 18


con un cenno della mano e allora le andò incontro. La bambina al suo fianco, Ellie, si dimenò. «Signorina Fortino, mi fai male alla mano.» «Uh?» Laney abbassò lo sguardo. «Oh, scusami.» Allentò la stretta e le massaggiò la manina. Ellie si incupì e indicò sospettosamente il parcheggio. «Chi è quell'uomo strano? Ti sta salutando. Dovremmo dirlo al preside Shippey.» «No!» La mamma della bambina finalmente era arrivata. Era ora! «È un mio... vecchio amico.» Bugiarda, bugiarda, sei peggio di Pinocchio, come avrebbero detto i suoi alunni. «La prossima volta, piccola, okay?» le disse mentre la accompagnava verso la mamma. Almeno per una volta le sarebbe piaciuto incontrare Dalton Cain sullo stesso livello. Invece indossava un paio di scarpe sportive sgualcite. Stupide, comode scarpe da ginnastica. Anche se Dalton non vedeva Laney Fortino da anni la riconobbe immediatamente. I capelli corvini che le ricadevano sulle spalle erano inconfondibili. Si muoveva ancora con quella sensualità che avrebbe dovuto cozzare con gli abiti da maestrina che indossava, ma non era così. Aveva la stessa pelle di alabastro e il grande sorriso di sempre. Portava un vestitino a fiori che le arrivava fino a metà polpaccio e teneva per mano una bambina. Per un secondo rimase impietrito nel vederla. Si sentì pervadere da un'ondata di desiderio. Laney era stata un'adolescente affatto timida ed era passata direttamente dall'essere ragazzina a una dea del sesso, ruolo che le era piaciuto perché irritava la nonna moralista e i suoi benefattori, ossia i genitori di Dalton. Aveva dato fastidio anche a lui, anche se aveva cercato di non darlo a vedere. Ora che era una donna la sua sensualità aveva toni più pacati, ma non per questo meno attraenti. Si era chiesto se le avesse fatto un favore quando l'aveva aiutata a ottenere quel lavoro tre anni prima. Se fosse riu19


scita a placare la sua natura ribelle tanto da poter insegnare niente meno che in una scuola privata e conservatrice. La Laney che aveva conosciuto da adolescente si faceva beffe dei benestanti e disprezzava la loro ipocrisia. Ora insegnava ai figli di quei ricchi. A vederla oggi non avrebbe mai detto che dietro a quel vestito si nascondesse un carattere ribelle, finché non la vide sporgersi per parlare alla bambina. La spallina del vestito era scivolata rivelando un tatuaggio sulla spalla. Questo si avvicinava di più alla Laney che ricordava. Lo guardò, la bocca carnosa serrata in segno di disapprovazione. Be', una cosa non era cambiata. Lo odiava ancora. Non poteva biasimarla dopo il modo in cui l'aveva trattata. Laney diede un buffetto alla mano dell'alunna. C'era un qualcosa di intimamente femminile e aggraziato in lei, ma certamente nulla di raffinato o elegante. Chissà perché si ritrovò a pensare all'ex moglie. Portia non avrebbe mai messo un vestitino a fiori e... erano per caso delle scarpe di tela quella che indossava Laney? Era stato sposato con Portia per otto anni e non era neanche sicuro che avesse delle scarpe da ginnastica. E comunque, Portia non sarebbe nemmeno mai stata fuori da una scuola tenendo per mano una bambina. Solo dopo che Laney ebbe aiutato l'allieva a salire in macchina e si voltò per guardarlo con aria determinata Dalton si chiese come gli fosse venuto in mente di accomunare le due donne. Erano diametralmente opposte. Era stato coinvolto intimamente ed emotivamente da Portia, ma con Laney... non riusciva nemmeno a descrivere la relazione che aveva avuto con lei. Dalton avanzò lungo il marciapiede. «Ciao, Laney.» «Ehm. Ciao. Dalton.» Le parole le uscirono strozzate. Accidenti, tra le scarpe da tennis e il ritrovarsi a non riuscire a spiccicare parola non era proprio la sua giornata. Sapeva che a bloccarla erano il nervosismo e la paura. Non aveva niente a che fare con il fatto che Dalton fosse diventato un uomo talmente attraente da mozzarle il respiro. 20


«Possiamo andare a parlare da qualche parte?» le chiese facendo un cenno con il capo verso l'edificio. «Sì. In classe.» Ma anziché incamminarsi Laney rimase immobile, cercando di non fissarlo. Aveva ancora il viso sottile, le labbra carnose, i capelli neri leggermente mossi, ribelli, quasi in contrasto con la linea rigida che cercava di seguire nella vita. Poi si ritrovò inaspettatamente a guardarlo negli occhi, e si accorse che anche lui la stava studiando. Si sentì avvampare, e distolse lo sguardo. Lui invece non le staccava gli occhi di dosso. «Ti trovo bene, Laney.» Bugiardo, bugiardo, sei peggio di Pinocchio. Non era carina, almeno non con quel vestito da quattro soldi e i calzini corti, alla fine di una lunga giornata di lavoro con i bambini. Una volta, tornando a casa, si era ritrovata una patatina tra i capelli. Quindi sapeva per certo di non essere bella quanto lui. Comunque, quel saluto cordiale la rilassò. Forse Dalton non sapeva dei soldi, altrimenti sarebbe partito subito all'attacco. Ma se non era qui per portarla dalla polizia, allora qual era il motivo della sua presenza? Confusa, si voltò e si diresse verso la scuola. «Non posso fermarmi molto. Tengo anche delle lezioni di teatro al pomeriggio.» Arrivati al portone Laney si fermò per aprire e si ritrovò Dalton a pochi centimetri da lei. Sobbalzò arretrando di un passo e lui allungò una mano per sorreggerla. Lei fece correre lo sguardo dalla mano di Dalton al suo viso. Le era sempre più vicino, cosa che le fece trattenere il fiato. Come aveva fatto a dimenticare quegli occhi di un azzurro intenso? Era una sfumatura particolare. Assomigliava al colore del cielo non completamente terso, quando lo si vede in lontananza, all'orizzonte. La nonna lo definiva il blu dei Cain. Dalton Cain, con i suoi occhi blu dei Cain. Laney non poteva permettersi di dimenticare nemmeno per un momen21


to chi era quest'uomo o il potere che aveva di distruggere lei e la nonna se solo lo avesse voluto. Scostandosi gli chiese: «Cosa vuoi da me?». «Perché credi che voglia qualcosa da te?» chiese con fare innocente. «Perché quando un Cain ti viene a trovare c'è sempre un motivo.» «Non hai una bella opinione della mia famiglia.» «No, infatti.» Era ironico che fosse lei a non fidarsi di Dalton. Tra i due, era lei quella che stava proteggendo una ladra. Ma cosa avrebbe dovuto fare? Lasciargli trascinare la nonna in prigione? E d'improvviso, a quel pensiero, non voleva più farlo entrare a scuola. Voleva sbrigare la faccenda in fretta, capire cosa volesse e metterci una pietra sopra. Incrociò le braccia in un sciocco gesto di sfida. «Non dimenticarti che sono cresciuta in casa vostra. Direi che la mia opinione è accurata.» Si pentì subito di quelle parole. Non era così che parlava una ragazza per bene. Ma lui fece una smorfia volutamente esagerata. «Ahi.» Laney stava quasi per sorridere ma si trattenne giusto in tempo. Non si sarebbe fatta irretire dal suo fascino. Sapeva fin troppo bene che Dalton un minuto prima si sarebbe potuto comportare come fosse il suo migliore amico e il momento dopo fingere di non conoscerla. Non si sarebbe prestata ai suoi giochetti mentali ancora una volta. «Oh, non fingere che ti dispiaccia» mugugnò. «Sono dieci anni che non ti parlo. Se ti sei fatto vivo dopo tutto questo tempo significa che vuoi qualcosa» disse in tutta onestà. «Quindi perché non la smetti di fare il carino e mi dici cosa vuoi?» Lui sorrise. «Mi trovi carino?» Lei roteò gli occhi. «Sappiamo entrambi che sai esserlo quando c'è in ballo qualcosa. Dopo tutto sei proprio figlio di tuo padre.» 22


Il sorriso svanì dal suo volto. «Okay. Vuoi sapere perché sono qui? Ho bisogno di parlare con tua nonna.» Maledizione. Se voleva parlare con la nonna allora sapeva tutto. Forse non aveva le prove. E voleva parlare con la nonna per questo. Forse voleva estorcerle la verità. Laney non gliel'avrebbe permesso. Già quando era in forma Matilda Fortino non sapeva nemmeno di essere al mondo. Figurarsi quando stava male... in quei giorni si chiudeva in se stessa, imbrigliata nelle memorie del passato, piena di recriminazioni e rimpianti. Se Dalton fosse andato da lei chissà cosa avrebbe potuto rivelargli. Avrebbe potuto confessare. Improvvisamente Laney, che mai nella vita si era sottratta a una sfida, sentì l'impulso di fuggire. Fece per aprire il portone ma Dalton le mise una mano sul braccio. «Mi porteresti da tua nonna?» Laney gli rivolse quello che sperava fosse un ultimo sguardo. Scivolò all'interno del freddo rifugio rappresentato dalla scuola e rispose: «No».

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2083 - Il ritorno del magnate di Katherine Garbera

Christopher è un uomo che si è fatto da solo e ha sempre desiderato essere ammesso al TCC. Quando torna a Royal e rivede Macy, però, i suoi progetti cambiano. IL CLUB DEI MILIONARI

2084 - Il limite del piacere di Sarah M. Anderson

Ben Bolton è nei guai. L'azienda di famiglia rischia la bancarotta e lui è l'unico che può risollevarla. Nulla deve distoglierlo dai suoi obiettivi, e Josey è una distrazione troppo forte. I FRATELLI BOLTON

2085 - Milionario di ghiaccio di Olivia Gates

La fama di Maksim, milionario russo, ha il potere di spaventare ogni rivale. E il suo piacere è grande quando scopre che Caliope non ha intenzione di fuggire. L'attrazione tra loro è forte e...

2086 - Appassionata finzione di Catherine Mann

Hilary attira i cattivi ragazzi come una calamita. E Troy, collaboratore governativo e playboy, è proprio ciò che lei deve evitare. Purtroppo ha bisogno del suo aiuto. I PADRONI DEL SUCCESSO

2087 - Quello che desidero... di Emily McKay

Dalton Cain non permetterà al padre di mettere a rischio l'azienda di famiglia. Per fermarlo ha bisogno di Laney, la donna che ha abbandonato e che ora deve sedurre di nuovo.

2088 - Un inganno dal passato di Charlene Sands

Justin Slade è tornato a casa, e la prima persona che incontra è Katherine, più bella e furente che mai. Il desiderio di averla di nuovo nel suo letto è imperante. RITORNO A SUNSET RANCH


dal 30 settembre 2089 - Seduzione a mezzanotte di Barbara Dunlop Mitch Hayward, presidente del TCC, non riesce a credere ai propri occhi. Jenny Watson, la sua impeccabile e compassata assistente personale, è diventata una donna sensuale e ammaliatrice. E una notte accade l'irreparabile. IL CLUB DEI MILIONARI 2090 - La scelta del playboy di Sarah M. Anderson Jenny sa che Billy Bolton, milionario con la fama di cattivo ragazzo, non è adatto a diventare un marito devoto. Lui ama correre in sella alle sue amate moto, e passare da una donna all'altra. Perché non riesce a resistere all'attrazione che prova per lui? I FRATELLI BOLTON 2091 - Il segreto del milionario di Catherine Mann Jayne sa che Conrad le spezzerà il cuore, eppure non può fare a meno di sposarlo. Lui è uno dei più ricchi proprietari di casinò di Monte Carlo e fingere è la sua specialità. Ovvio che sia riuscito a convincerla della sua buona fede. Ma non accadrà una seconda volta. I PADRONI DEL SUCCESSO 2092 - Il tuo cuore mi cambia di Charlene Sands Lei è la creatura più dolce che Casey abbia mai incontrato. Con le sue mani delicate crea dolci composizioni che inducono in tentazione il più morigerato degli uomini. Lei è Susanna Hart, la sorella del suo migliore amico. Quindi proibita. A meno che... RITORNO A SUNSET RANCH


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